La Chartreuse de Parme PDF

Title La Chartreuse de Parme
Course Letteratura francese iii
Institution Università degli Studi di Siena
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La Chartreuse de Parme Marie-Henri Beyle, 1830 Capitolo I Presentazione della Milano del 1796, subito dopo l’entrata in città di Napoleone Bonaparte. Il popolo italiano addormentato si risveglia dal lungo torpore della dominazione austriaca. Stendhal ricorda l’audacia dei milanesi in epoca medievale, un’audacia che era costata la distruzione completa della città da parte di Barbarossa. Il popolo si rende conto che per vivere veramente è necessario amare profondamente la propria patria e andare in cerca di imprese eroiche. I religiosi italiani, mentre in Francia spopolavano l’Enciclopedia e l’età dei Lumi, si ostinano a sostenere che imparare sia inutile e che invece il modo migliore per arrivare in Paradiso sia quello di versare le decime e confessarsi regolarmente. Inoltre, il popolo milanese aveva anche ricevuto il privilegio di non dover fornire reclute all’esercito asburgico, così che nel 1796 l’esercito di Milano è composto da appena 24 guardie e un solo reggimento di granatieri, per di più austriaci. Con l’arrivo dei francesi giunge in città anche Antoine-Jean Gros (discepolo di J.L. David), che acquista fama a Milano con la sua caricatura dell’arciduca d’Austria, subito ristampata nei giorni seguenti in migliaia di copie. I francesi impongono un contributo di 6 milioni per le spese militari, un contributo che grava soprattutto sul clero e sulla nobiltà. La spensieratezza dei giovani soldati francesi riesce subito a smentire le prediche dei religiosi, secondo cui i francese altro non erano che gente sanguinaria, pronta a mozzare teste al loro passaggio. Gli ufficiali sono alloggiati nelle case dei nobili: al tenente Robert capita come alloggio il palazzo della marchesa del Dongo. All’arrivo a palazzo il giovane tenente non ha altro che uno scudo da sei franchi, un’uniforme militare logora e delle scarpe completamente sprovviste di suola. Al suo passaggio, il tenente suscita subito lo scherno non tanto dei padroni, quanto persino dei servi, vestiti comunque meglio di lui nonostante la loro condizione. A palazzo, incontra la marchesa del Dongo e sua cognata Gina (futura contessa di Pietranera) e riesce a guadagnare la loro simpatia raccontando le sue recenti vicissitudini sui campi di battaglia. Viene poi introdotto il marchese del Dongo, che per paura dei francesi era corso a ritirarsi nel suo castello di campagna sul lago di Como, lasciando in balia degli invasori la moglie e la sorella. Nel suo castello isolato il marchese si sente più al sicuro che in città a causa dei suoi contatti con una spia austriaca cha ha il compito di favorire l’evasione degli austriaci catturati dai francesi in battaglia. Il progetto di matrimonio per la sorella Gina va in fumo quando la ragazza si rifiuta di sposare un potente nobile della zona, a causa della sua abitudine ad usare la cipria. Il matrimonio con il conte di Pietranera è un brutto colpo per il marchese, dato che il giovane è un ardito sostenitore della Legione Italiana e di Napoleone. Alla fine, l’incapacità dei generali di comandare le truppe francesi, costringono i nuovi dominatori alla ritirata: il tenente Robert, ora maggiore e ferito a Cassano, passa a salutare per l’ultima volta la marchesa del Dongo. Si mette poi in marcia assieme al conte di Pietranera nella lunga ritirata fino a Novi. Il piacere voluttuoso di vivere che aveva dominato Milano sotto gli Sforza si era interrotto con la conquista spagnola del 1624, quando per seguire le usanze dei padroni, il popolo passava il suo tempo non a godere del presente, ma a cercare di vendicarsi dei torti subiti con un pugnale. La nuova gioia portata da Napoleone termina però bruscamente nel 1799, quando i francesi vengono scacciati da Milano dopo la sconfitta di Cassano. Ricomincia quindi il periodo dei brontoloni e dei reazionari. Subito il marchese del Dongo rientra a Milano e grazie al suo accanimento, riesce a raggiungere le vette del suo partito politico, riuscendo a circuire il generale austriaco e facendogli arrestare 150 persone sospettate di connivenza col nemico. Ottenuta una carica prestigiosa, il marchese comincia a vantarsi di non mandare neanche un soldo alla sorella contessa di Pietranera, nonostante stia morendo di fame in Francia. Proprio in questi tredici mesi di restaurazione asburgica, nasce Fabrizio Valserra, marchesino del Dongo, secondogenito del marchese e protagonista del romanzo. Il fratello maggiore, Ascanio, è il ritratto del padre. Fabrizio ha appena due anni, il fratello otto, quando Napoleone entra nuovamente a Milano, sconfiggendo gli austriaci nella battaglia di Marengo. In città cominciano a tornare quei pochi sopravvissuti tra i prigionieri e subito i più compromessi fanno i bagagli per ritirarsi in campagna, lontano dai pericoli: tra i primi, il marchese del Dongo. Nel frattempo, i sostenitori asburgici confidano nella profezia che prevede la cacciata dei francesi dopo 13 settimane. Quando dopo 13 settimane i francesi sono ancora a Milano, l’interpretazione punta sui tredici mesi, ma anche stavolta la profezia mente. Passano dieci anni, fino al 1810. I primi anni di Fabrizio passano nel castello di Griante, poi il giovane viene mandato a scuola dai Gesuiti, dove il padre esige gli venga insegnato il latino, ma non quello degli antichi capaci a parlare solo di repubblica, ma quello di un volume secentesco scritto dai del Dongo. La sorella del marchese, la contessa di Pietranera, diviene, sotto la dominazione francese, una delle persone più brillanti della corte del principe Eugenio, viceré d’Italia. Riesce persino ad ottenere che Fabrizio possa di tanto in tanto uscire dal collegio: un ragazzo spiritoso, riflessivo e carino, ma del tutto ignorante e appena in grado di scrivere. La contessa promette la sua protezione al direttore del collegio in cambio di premi scolastici per il nipote. La contessa porta il nipote sempre con sé in tutte le occasioni e riesce addirittura a farlo nominare ufficiale degli ussari a dodici anni. Arriva persino a chiedere per il nipote un posto da paggio, ma ritira la domanda dopo aver considerato che il padre del ragazzo non avrebbe mai accettato. Tornato al castello, Fabrizio rimpiange subito la vita fastosa a casa della zia. Il padre è sempre chiuso con il primogenito Ascanio nel suo studio per compilare lettere cifrate per l’alto comando austriaco, in cui erano riportati gli spostamenti dei contingenti francesi, opportunamente ridimensionati per fare bella figura. La marchesa, invece, per quanto apprezzi l’aspetto e i modi del figlio, è atterrita da come Fabrizio prende sul serio gli insegnamenti dei Gesuiti, convinta che il suo fanatismo potrebbe essere un mezzo che il padre potrebbe sfruttare per allontanarlo da lei.

Capitolo II

Il marchese mostra nuovamente il suo odio per il secolo dei Lumi, affermando che sono state le idee a rovinare l’Italia. Vuole intanto perfezionare l’educazione che Fabrizio ha ricevuto dai Gesuiti e incarica così l’abate Blanès, parroco di Griante, di insegnare il latino al figlio. Ma come Stendhal afferma, neanche il parroco conosceva il latino, se non quello limitato alle preghiere e alle omelie. L’abate, persona acuta e molto intelligente, passa le serate sul campanile della sua chiesa scrutando il cielo con un rudimentale telescopio. La sua passione è l’astrologia e il suo scrutare il cielo è volto a prevedere gli avvenimenti futuri. Una persona così non può attribuire valore alle lettere. La sua passione è tanto forte che i contadini lo considerano una specie di stregone; il marchese, invece, lo disprezza perché ritiene che pensi troppo per essere una persona di così bassa levatura. E Fabrizio apprezza le serate trascorse con l’abate sul campanile a scrutare il cielo. Addirittura, il giovane sembra aver fatto tesoro degli insegnamenti del parroco: quando si allontanano di notte con gli amici per le loro bravate al porto, Fabrizio si guarda sempre prima attorno in cerca di segnali che possano rivelargli l’esito dell’impresa. Fabrizio ha solo otto giorni di permesso all’anno per vedere la zia a Milano, e passa i restanti 357 giorni a rimpiangere quei momenti. La gioia nel marchese nell’apprendere del disastro della Beresina è smodata: la cacciata di Napoleone da Parigi permette agli austriaci di tornare in possesso di Milano e subito il marchese viene insignito di una delle più alte cariche, ma Fabrizio rifiuta il posto di cadetto che gli viene offerto. Tuttavia, il trionfo è breve: la sua vita isolata non gli aveva affatto giovato. Incapace di condurre gli affari in maniera appropriata all’interno della complessa macchina burocratica asburgica, viene licenziato pochi mesi dopo. Il conte di Pietranera (invidiato dal marchese perché capace di vivere serenamente con soli 50 franchi al mese) viene nel frattempo imprigionato per essersi rifiutato di arruolarsi nell’esercito austriaco dopo l’assassinio del ministro Prina. La moglie allora, a conoscenza dei fatti, minaccia gli assassini del ministro, gli stessi che hanno fatto arrestare il marito, di recarsi a Vienna per dire tutta la verità all’imperatore, e riesce così ad ottenere, in una sola notte, l’ordine di scarcerazione per il marito. Pochi mesi dopo, però, il conte Pietranera rimane ucciso in un duello d’onore. La vedova allora chiede all’amico Limercati di andare in Svizzera per uccidere l’assassino, ma ottiene un secco rifiuto. La contessa medita vendetta e fa di tutto per sedurre Limercati, conscia del suo antico amore per lei, per poi abbandonarlo sul più bello tramite una lettera recapitata dal lacchè del conte N***, da tutti creduto suo amante ma in realtà mero strumento. Abbandonato anche il conte, Gina licenzia tutta la propria servitù e si ritira in una piccola abitazione a Milano. Allora il marchese, in parte contento delle disgrazie della sorella, la invita a vivere al castello di Griante, dove viene accolta con grande gioia, in particolare dalle figlie del marchese e dalla moglie, per non parlare di Fabrizio. Proprio con il nipote, la contessa visita i luoghi attorno al castello, meravigliandosi della loro bellezza e vedendovi le rappresentazioni delle descrizioni del Tasso e dell’Ariosto. La vita torna ad essere più movimentata, anche grazie alla collaborazione tra Fabrizio e la zia che sono piuttosto propensi al rischio. Il 7 marzo 1815 una barca giunge sul lago di Como lanciando stani segnali. Napoleone è fuggito dall’Elba e sta rientrando in Francia per riprendere l’Impero. Il giorno seguente, Fabrizio annuncia alla zia la sua partenza: intende raggiungere Napoleone, secondo lui legittimo sovrano d’Italia. La zia non è convinta, sapendo quanto Napoleone sia odiato da tutti in Europa. Ancora una volta, Fabrizio tira in ballo i suoi presagi: è stata la vista di un’aquila, subito dopo la notizia del rientro del corso, a convincerlo ad unirsi al suo idolo. Vede l’aquila come un segno divino. La madre, al contrario, non vede nulla di eroico nella decisione del figlio e lo scongiura di non partire. Vista l’inutilità del suo pregare, la madre non può far altro che consegnare a Fabrizio alcuni diamanti per il viaggio. Le sorelle sono invece animate dallo stesso senso eroico del fratello, e sono contente di vederlo partire per inseguire i propri ideali. La sera si trova già in Svizzera, senza più il terrore di essere inseguito dagli sgherri del padre. Da qui entra in Francia, convinto nella sua ingenuità di poter parlare a Napoleone, visto che in Italia poteva parlare con il principe Eugenio quando voleva. Le sue speranze sono però disattese in più occasioni. Da ultimo, in una locanda viene ripulito completamente dei suoi soldi, persino dei diamanti donatigli dalla madre. Alla fine riesce a comprarsi un cavallo per dirigersi a Maubeuge, dove si sta radunando l’esercito. Arrivato, chiede ospitalità a dei soldati che accettano di buon grado alla vista dei soldi nelle mani del giovane. Tuttavia, quando la compagnia racconta all’aiutante di reggimento di quel soldato che parla un francese zoppicante, subito il giovane viene svegliato e dopo diverse ore condotto nella prigione di B***, senza neanche averne capito il motivo. Infuriato, il giovane comincia a scrivere lettere su lettere al comandante della guarnigione, che sarebbero dovute arrivare tramite la moglie del secondino, ma che vengono puntualmente bruciate per evitare che il ragazzo venga fucilato. Alla fine la donna, in cambio di qualche moneta, accetta di aiutare Fabrizio ad evadere, nascondendolo in camera sua e poi fornendogli l’uniforme di un ussaro morto qualche giorno prima in carcere. L’ultimo consiglio è di lasciar perdere la carriera militare, e soprattutto di parlare il meno possibile con i soldati. Allontanatosi dal carcere, Fabrizio apprende della vittoria napoleonica a Ligny e prosegue la sua marcia. Alle cinque del mattino, i colpi di cannone sono il preludio alla battaglia di Waterloo. Capitolo III Fabrizio incontra delle locandiere, che subito lo avvertono di tenersi lontano dalla battaglia, dato che la sciabola che porta al fianco non gli sarà utile contro i fucili degli avversari. La vivandiera, dopo aver sentito la storia del giovane, si convince che sia l’amante della moglie di un capitano, e Fabrizio è costretto a darle ragione pur di avere qualche consiglio. Il primo e unico consiglio è quello di comprarsi un cavallo migliore: in effetti, il ronzino di Fabrizio rizza le orecchie ad ogni cannonata e non sarebbe adatto alla battaglia. Dopodiché Fabrizio si mette a mangiare e riceve nuovamente il consiglio di non avventurarsi in battaglia, lui che non ha alcuna esperienza. Vista la sua testardaggine, la locandiera decide di accompagnarlo al 6° reggimento attraverso i campi fangosi. Fabrizio rimane sconvolto alla vista di un cadavere in mezzo alla via, coperto di sangue, senza stivali e con la testa orribilmente sfigurata da un colpo di fucile. Sul punto di svenire, riesce a rimontare in sella grazie ad un sorso di acquavite. Incrociano procedendo altri soldati francesi in corsa sul sentiero, li fermano e si fanno dire dove è il 6° reggimento. Fabrizio compra da uno dei soldati un cavallo militare e si rimette in marcia verso la sua destinazione. Raggiunge un gruppo di soldati a

cavallo e si rende conto, pur non riuscendo ad individuarlo, di trovarsi al cospetto di Ney. Alla fine riesce a farsi dire quale dei soldati sia il maresciallo di Napoleone. Continuando a cavalcare, Fabrizio perde due uomini della compagnia, colpiti dai fucili inglesi. Si accorge di essere insistentemente osservato e alla fine si dice che parlando con uno dei soldati potrebbe levare quel velo di diffidenza tra loro. Durante il discorso si dichiara fratello della moglie di un capitano, ma quando gli viene chiesto il nome risponde con un nome a caso Meunier. Fortunatamente, il rumore impedisce al suo interlocutore di comprendere correttamente il nome, che diviene quindi Teunier. Concluso il discorso, Fabrizio procede avanti verso una carretta, convinto si tratti della stessa locandiera di poco prima, ma lo attende uno spettacolo raccapricciante: stanno amputando una gamba ad un corazziere. Dopo aver bevuto quattro bicchieri di acquavite, decide di portare la bottiglia ai suoi nuovi commilitoni che scolano il liquore in pochi sorsi. Di colpo, un sergente rimprovera gli uomini che non si sono accorti del passaggio di fronte a loro di Napoleone Bonaparte. Fabrizio rimane deluso dal fatto che non sia riuscito neanche stavolta a vedere nitidamente il suo eroe a causa dell’alcol appena bevuto. Uscito dal fossato, si accorge di stare seguendo non più Ney ma il conte d’A***, attuale nome del tenente Robert. Poco dopo, Fabrizio viene derubato del suo cavallo, l’unico ancora in grado di galoppare. Disperato comincia ad inseguire i soldati gridando al ladro, ma è costretto a desistere. Disilluso, si incammina per la strada fino ad incontrare un altro reggimento francese, a cui chiede del pane. Schernito, si accascia a terra dopo aver ricevuto un boccone di pane. Unica gioia, il distinguere in lontananza la locandiera della mattina, che lo carica sul suo carretto, su cui Fabrizio si addormenta. Capitolo IV Fabrizio si sveglia a fatica sul carretto della vivandiera, sentendo tutto attorno rumore di spari. Il carretto è accompagnato da un manipolo di soldati guidati da un colonnello canuto, che affida a un certo Aubry il giovane. Il gruppo si prepara per un imboscata con dei fucili, a Fabrizio è costretto a farsi caricare l’arma. Per sicurezza decide di infilare una seconda pallottola nel fucile e riesce così ad uccidere un cavallerizzo prussiano. Viene però notato da altri due soldati e inseguito fin nel bosco, dove si ricongiunge con il caporale Aubry. A sera, il gruppo raggiunge un piccolo centro abitato e attraverso i campi riescono a tornare sulla strada principale. Decidono quindi di coricarsi. Al risveglio, Fabrizio si lascia sfuggire un’insinuazione a danno dei francesi, e subito Aubry lo rimprovera. Stendhal ricorda come i francesi siano persone vanitose e facili da ferire. Ripresa la marcia, tra il fiume di uomini in ritirata, Fabrizio riesce a comprarsi un cavallo e una nuova sciabola. Più avanti i soldati decidono di chiedere ospitalità ad una famiglia di contadini, facendo pagare l’anticipo a Fabrizio. Ripresa la marcia si imbattono nuovamente nella vivandiera, stavolta demoralizzata dopo essere stata derubata dagli stessi francesi. Fabrizio le offre il suo cavallo per la marcia. La conversazione con Aubry, porta il giovane a fidarsi dei suoi nuovi compagni di sventura e alla fine decide di usare la storia consigliatagli dalla moglie del carceriere. Il consiglio che Aubry e la vivandiera danno a Fabrizio è di abbandonare l’esercito in rotta alla prima occasione e di tornare a Parigi vestito da civile, affermando di provenire da Cambrai, e non menzionando di provenire da una battaglia. All’improvviso, si ritrovano con i cosacchi alle calcagna e Fabrizio in uno slancio di generosità, lascia il proprio cavallo alla vivandiera, spronandola a mettersi in salvo. A questo punto decide di allontanarsi come da suggerimento. Fabrizio ricorda di non aver più scritto alla madre e alla zia dai tempi di Parigi. Si imbatte poi in un soldato con tre cavalli ed è costretto a minacciare il poveraccio per farsi vendere uno dei ronzini. Raggiunge così una fattoria, dove trova una compagnia di ussari che lo scambiano per uno di loro. Il colonnello Le Baron, ferito ad un braccio, ordina a Fabrizio di mettersi di guardia al ponte e di ordinare a tutti quelli che passeranno di lì di recarsi alla locanda per prelevare l’ufficiale. Il primo gruppo di soldati in entrata si prende l’ordine e si allontana. Fabrizio si rimette di guardia fino all’arrivo di un secondo manipolo di soldati a cavallo. Alla sua richiesta di fermarsi e di rispettare l’ordine del colonnello Le Baron, gli ussari cominciano a sfotterlo, al che il giovane estrae la sua sciabola. Gli ussari sono decisi a prendersi gioco del ragazzo e cominciano a molestarlo con le spade finché Fabrizio non riesce a colpire uno di loro alla mano. L’ussaro, furioso, infila la propria arma nella coscia di Fabrizio che a questo punto spara un colpo in aria per richiedere aiuto. Il colonnello Le Baron giunge sul posto solo per essere gettato a terra agli ussari che proseguono la loro marcia dopo aver nuovamente ferito Fabrizio ad un braccio. Fabrizio viene rapidamente portato dentro la locanda per ricevere cure al braccio, la cui ferita sembra piuttosto profonda. Capitolo V Fabrizio viene medicato e chiede di poter dormire nella scuderia con il proprio cavallo, per paura che possano rubarglielo durante il sonno. La mattina decide di ripartire e poco dopo, da lontano, vede il casolare in cui aveva dormito in fiamme. Prosegue la sua marcia ma si sente sempre più debole. Un contadino nei pressi di Zonders gli offre un bicchiere di birra e del pane. Fabrizio riparte quindi alla volta di Zonders, dove trova alloggio in una locanda gestita da una donna e dalle sue due figlie. Il ragazzo viene curato, e dopo quindici giorni comincia a sentirsi meglio, ricordando persino l’ufficiale tedesco che era entrato nella locanda per prenderlo prigioniero, ma che era stato dissuaso per il momento dalla locandiera. Decide a questo punto di fuggire, ma la locandiera e le figlie decidono di aiutarlo ad andarsene, nonostante sappiano di correre un notevole rischio. Le ragazze fanno di tutto per aiutare quel giovane sfortunato, gli restringono i ve...


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