La diversità culturale - Ulf Hannerz PDF

Title La diversità culturale - Ulf Hannerz
Course Antropologia
Institution Università degli Studi di Genova
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riassunto di La diversità culturale di Ulf Hannerz...


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LA DIVERSITÀ CULTURALE Del termine "globalizzazione" è zeppa la pubblicistica degli ultimi tempi, ma il saggio dell'antropologo svedese ne esplora un aspetto poco dibattuto, cioè i rapporti col concetto di cultura: in tal modo egli cerca di chiarire la contrapposizione spesso fuorviante tra globale e locale, termini non sempre antitetici come si potrebbe invece credere. La traduzione italiana del titolo dell'opera di Hannerz, pubblicata dal Mulino, non rende conto esattamente del contenuto dei sei brevi scritti, che effettivamente trattano di culture, popoli, luoghi, nonché connessioni transnazionali, termine preferito dall'Autore rispetto a "multiculturali", in quanto più adeguato a trattare fenomeni variabili in termini di scala e distribuzione. Nel ripensare la cultura nel contesto globale, essa diviene un mosaico globale di unità circoscritte: "la cultura... si dà in pacchetti diversi con una loro propria integrità, relativa a collettività umane differenti, appartenenti in genere a territori specifici" (pag.10). Tuttavia per l'A. il termine più chiaro per discutere di globalizzazione è l'antico oikumene dei Greci, l'ecumene globale che egli sceglie come punto di partenza per discutere dell'interconnessione del mondo, attuata per mezzo di scambi, interazioni e correlazioni, che riguardano proprio l'organizzazione della cultura. Il primo capitolo, "Locale e globale", cerca anzitutto di chiarire le convinzioni per cui il locale è fonte di continuità culturale, di contro al globale, divenuto quasi sinonimo di cambiamento. Secondo l'A. non bisogna perdere di vista l'eterogeneità degli attori sociali e dei contesti della cultura odierna, dato che "gli habitat possono espandersi e contrarsi" (pag. 28), intendendo per habitat il complesso di significati che è costituito dagli individui e dalle collettività. Hannerz rileva che il senso della globalizzazione come omogeneizzazione di idee e di pratiche ovunque diffuse, fornisce sicuramente un senso di perdita culturale, dovuto al fatto che gli altri ci appaiono improvvisamente troppo vicini, senza essere completamente accettati né capiti; perciò si preferisce il locale come fonte apparente di continuità e profondità, di radicamento. Ma il locale è comunque un luogo in cui l'interazione di parentele, collegialità, affari, contatti vari è tale, che non si può proprio stabilire che cosa sia originariamente locale. Compare quindi nella trattazione ciò che oggi si chiama meticciato, che anche se non viene così nominato, è visto nell'accezione di "culture creole", ben poi spiegate nel quinto capitolo.

Il secondo capitolo, "Quando la cultura è ovunque", tratta i dibattiti più recenti sul concetto di cultura e parte dal quesito sull'utilità della diversità, in un mondo che vede le persone sempre più a stretto contatto. L'A. riporta uno schema poco noto dell'antropologo americano Robert Redfield, nel quale si considerano i modi di pensare e di agire ereditati biologicamente, intersecati con quelli acquisiti dopo la nascita: attraverso le possibili e diverse interpretazioni della natura umana che ne scaturiscono, riprendendo il pensiero di Cliffort Geertz, l'A. conclude che "fra ciò che dicono i nostri geni e ciò che dobbiamo apprendere per vivere c'è una lacuna informativa e noi colmiamo questo gap con la cultura" (pag.52). Il problema dell'acquisizione culturale chiama in causa gli studi di Maurice Bloch, che il Nostro apprezza molto, anzitutto perché quegli osserva che l'acquisizione non è mai riducibile ad un processo unico e ciò è un palese riconoscimento al valore della diversità. Inoltre, fatto notevole, l'A. ritiene che è positivo tener conto oggi di tutte le critiche fatte al termine cultura, in quanto "per continuare a costruire la nostra comprensione di come funziona la cultura [...] può anche essere che si debba ricorrere talvolta all'aiuto di amici di altre discipline" (pag. 65). Il saggio procede nella costruzione dei suoi assunti nel terzo capitolo, dedicato all'"Ecumene globale come paesaggio della modernità": quest'ultima, intesa come civiltà diffusa a livello planetario, non è regolarmente estesa e porta con sé l'idea di somiglianza. Ma, nota l'A., se la modernità è tornata ad essere al centro delle teorizzazioni sociali, spesso se ne discute in astratto e (purtroppo, sembra dire egli) i teorici sono occidentalisti. La globalizzazione come importante parte della modernità deve comunque "prestare attenzione alle implicazioni per le popolazioni ai margini dell'ecumene globale" (pag. 85) E così spesso non è... Il quarto capitolo costituisce la pars construens del saggio: sono "Le sette ipotesi sulla diversità", cioè le valutazioni dell'A. a favore della diversità, in riferimento a che cosa essa in effetti serva, secondo un pensiero tipicamente pragmatico, che considera i vantaggi derivanti dalla conservazione della diversità culturale. Essa viene spiegata anzitutto come monumento alla creatività umana e come diritto di ciascuno alla propria cultura, che la gente possiede, ma da cui è anche posseduta (cfr. pag 92).Segue poi un'ipotesi di tipo ecologico, che tratta la dimostrazione del beneficio che la diversità offre nell'adattamento degli uomini alle risorse terrestri, considerando però quanto sia importante che il

modello di sviluppo del cosiddetto Primo mondo non sia esportato ovunque, pena il disastro globale. La quarta argomentazione vedeva la diversità culturale come resistenza alla cultura globale d'importazione, come già aveva denunciato nella teoria del sistema-mondo Immanuel Wallerstein, il quale sottolineava le manipolazioni ad opera delle élite della periferia che cercano consenso, mirando ad una contro-egemonia opposta al centro. Quinta ipotesi, la posizione estetica nei confronti della diversità; sesta, il valore di un'utile provocazione di tipo intellettuale e, infine, la diversità come "serbatoio di conoscenza sedimentata sui differenti modi di fare le cose" (pag 91). Tutte queste interpretazioni, giustapposte in modo sommario, servono all'A. per avanzare l'idea che la varietà è proprio nutrita dall'ecumene globale, come un processo in continua ricostruzione. Il penultimo capitolo, dal sibillino titolo "Il ritorno di Kokoschka", parla dei processi culturali avvalendosi di metafore tratte dall'arte, dalla biologia, dal linguaggio stesso. I cambiamenti che avvengono sono come un dipinto di Kokoschka, dove nessun elemento si distingue nei particolari, pur dando conto di un'idea d'insieme. Le cornici organizzative del vivere sociale, secondo l'A., danno nella raffigurazione "creola" della cultura un'interpretazione della diversità molto soddisfacente (pag.115). In proposito egli nota che anche al centro dell'ecumene globale, in Europa occidentale, c'è un incontro continuo con la periferia che è una fonte incessante di novità culturali, dalla musica alla cucina, dal mercato all'alta cultura, attraverso gli scrittori e i musicisti di patrie diverse: centro e periferia si sono quindi creolizzati come "una forma mista che nasce dall'incontro tra centro e periferia e quindi che possiede già una certa affinità culturale con il centro"(pag.126). L'ultimo capitolo si occupa dei viaggiatori, con il titolo "Cosmopoliti e locali nella cultura mondiale" e parte dall'interconnessione tra differenti culture, considerata con gli occhi di chi fa esperienza anche ludica del diverso, considerando la diversità come un valore. La dimensione della struttura culturale e sociale sono oggi talmente cresciute, che ciò che cinquant'anni fa era giudicato cosmopolita, oggi è considerato un modesto localismo. L'A. descrive perciò il genuino cosmopolitismo come "un orientamento, una volontà di interagire con l'altro" (pag.131), che presuppone però competenze relative alle culture altre, pur se il viaggiatore non s'identifica mai con esse.

Ciò che comunque accomuna i due tipi umani, cosmopoliti e locali, è la sopravvivenza della diversità che permette ai locali di restare nelle loro culture, ed ai cosmopoliti di andarle a cercare. Si perpetua l'antica dialettica...Auguriamoci che rimanga attiva, sembra dire Hannerz, che si è dimostrato molto attento a recepire l'odierno dibattito su queste tematiche, nonché molto preciso a descrivere le molteplici sfaccettature dei concetti che ha analizzato....


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