La Divina Commedia - Struttura e temi PDF

Title La Divina Commedia - Struttura e temi
Author Francesco Pavoni
Course LETTERE
Institution Università degli Studi di Udine
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Struttura e temi delle tre cantiche ...


Description

La Divina Commedia - struttura e temi L'opera maggiore di Dante Alighieri è la Comèdia, detta poi "Divina" per primo dal Boccaccio. Dante cominciò a comporla verso il 1307 e ne fu impegnato fino agli ultimi anni di vita. Divisa in 100 canti, riuniti in 3 cantiche, è la narrazione di un viaggio immaginario e ultraterreno compiuto dal poeta, in seguito al suo smarrimento in una selva, attraverso l'Inferno e il Purgatorio sotto la guida del poeta latino Virgilio, e infine attraverso il Paradiso, fino alla visione diretta di Dio nell'Empireo, sotto la guida di Beatrice. Il viaggio, che Dante fa cominciare la sera del venerdì santo, 8 aprile del 1300, dura una settimana. Ma sotto il velo di questo viaggio immaginato, il poeta cela in allegoria le vicende del suo spirito e del destino di tutti gli uomini che, dal fondo del buio del peccato, aiutati dalla scienza umana (Virgilio) e da quella divina (Beatrice), attraverso la contemplazione del male e del dolore che nasce da esso, purificandosi per mezzo del pentimento sincero, ascende alla gioia della contemplazione di Dio, sommo bene, l'unico nel quale l'anima possa trovare la sua pacificazione definitiva. Da questo significato allegorico, nascosto sotto quello letterale, scaturiscono il significato morale, cioè le norme che l'uomo deve seguire per non cadere nel peccato e quello anagogico, cioè universale, che non riguarda soltanto la storia personale del poeta ma quella di tutta l'umanità, smarrita nella vita peccaminosa, soprattutto perché non sorretta e guidata dalle due autorità che dovrebbero costantemente indicarle la via più giusta: il papa e l'imperatore, i cui poteri, secondo Dante, come abbiamo visto, dovrebbero sempre rimanere distinti e non turbare, confondendosi e tentando a vicenda l'uno di prevaricare l'altro, l'ordine della società. Come si può notare l'opera è impostata secondo il senso dell'ordine gerarchico proprio delle "summae teologiche" (cioè dei trattati di teologia del tempo). La Commedia è il testamento spirituale del Medioevo cristiano, in cui si ripresentano gli ideali di un'età che si sta concludendo, in un grande sforzo di sintesi e di fiducia in un ordine superiore che non può essere messo in discussione dalle condizioni avverse del presente. Dante, deluso, sconfitto, ingiustamente condannato, privo di punti fermi al di là della propria rettitudine, della propria idea politica del mondo e della propria fede, riunisce questi tre elementi in un'opera che ne rappresenta perfettamente l'esigenza di ordine, di giustizia assoluta e di moralità. Tutta la cultura dantesca, dalla filosofia, alla teologia, alla poesia, si organizzano in un complesso ritratto della realtà e del suo tempo che aspira a colorarsi dei toni profetici dei testi sacri e ispirati, per presentare attraverso l'esperienza irripetibile di un uomo il cammino dell'anima umana verso Dio e l'ordine provvidenziale che regge tutto il creato. L'Inferno, nel quale sono chiusi eternamente i dannati, distribuiti in nove cerchi, oltre il vestibolo, secondo la gravità dei loro peccati, è un abisso in forma approssimativa di cono, il cui vertice giunge al centro della terra; da questo punto, per una via sotterranea, si giunge alla superficie dell'emisfero australe coperto di acque, dalle quali emerge l'isola del Purgatorio. Quest'ultimo è un altissimo monte diviso in sette cornici, oltre l'antipurgatorio, dove le anime attendono prima d'iniziare la loro penitenza; sulla cima è il Paradiso terrestre, dal quale Dante, guardando negli occhi Beatrice, ascende al Paradiso e compie il suo viaggio attraverso nove cieli, sfere concentriche perpetuamente giranti, tutte comprese dall'Empireo, cielo sempre quieto, sede di Dio e di tutti gli spiriti beati. Le tre cantiche sono divise rispettivamente in 34, 33 e 33 canti che portano ciascuno il nome di uno dei tre regni ultraterreni e i versi contenuti sono ordinati in terzine. Nella prima cantica il tono è cupo e dolente: il poeta in essa presenta figure scolpite con potente rilievo, ci fa assistere a scene altamente drammatiche; nella seconda siamo trasportati in un'atmosfera serena, in cui le anime soffrono rassegnate la penitenza che le 1

renderà degne d'ascendere alla beatitudine, e in essa la poesia attinge toni soavi, nei quali il dolore si dissolve in un'attesa piena di speranza della gioia eterna; nella terza, infine, si procede in una luce sempre più viva verso la suprema felicità di perdersi nella contemplazione di Dio, e il tono della poesia si fa sempre più gioioso, fino all'espressione piena di raccolta ed altissima letizia, della pace definitiva, raggiunta nel mistico congiungimento dell'anima con l'"amor che muove il sole e l'altre stelle". L'INFERNO L'Inferno è un gran baratro che si restringe a imbuto fino al centro della terra. In un vestibolo, che è una buia e larga campagna, stanno le anime dei vili, di coloro che vissero senza infamia e senza lode, dannati costretti a correre nudi faticosamente dietro una bandiera perché in vita non ne seguirono alcuna. E' questo un primo esempio, in seguito frequentissimo in tutta l'opera, della cosiddetta "pena del contrapasso", ovvero una corrispondenza più o meno evidente esistente tra la pena inflitta ai dannati e la colpa commessa da loro in vita. Dante, uomo energico e di parte, non fa ai vili, come invece farà spesso per gli altri dannati, l'onore di citarne alcuno, perché preferiva magari un'azione sbagliata all'assenza di qualunque decisione e di qualunque presa di posizione. Insieme ad essi mette significativamente gli angeli che furono neutrali nella lotta tra Dio e Lucifero. Nel I Cerchio (Limbo) troviamo i bambini non battezzati e i pagani, tutti quelli, tantissimi, che vissero senza peccato ma nelle epoche precedenti la venuta di Cristo sulla terra. In un luogo appartato, bello e luminoso, descritto come un nobile castello, vi sono i grandi personaggi dell'antichità. Nel II Cerchio, custodito da Minosse, giudice infernale, i lussuriosi sono trasportati da una furiosa tempesta: in mezzo a tanti spiriti dolenti e urlanti, come in un'oasi d'amore fra tanto terrore, abbracciati, i due amanti perduti per l'eternità, Paolo e Francesca. Nel III Cerchio i golosi, sotto una fetida pioggia, urlano come cani dal dolore, e Cerbero, altro demonio rappresentato come un mostro a tre teste, li graffia, li scuoia e li squarta. Tra questi Dante situa e ricorda Ciacco. Nel IV Cerchio avari e prodighi, in due schiere opposte, voltano col petto enormi massi, insultandosi tra loro all'incontro del mezzo cerchio. Il demonio che li custodisce è Pluto, signore della ricchezza, rozzo e gretto. Nel V Cerchio, quello della Palude Stigia, immersi nel fango troviamo i superbi e gli invidiosi: Filippo Argenti, personaggio in vita vanaglorioso e pieno di sè, qui è turpemente straziato dai compagni di pena immersi nella fanghiglia orribile del pantano. Nel VI Cerchio, in arche di pietra infuocate che hanno i coperchi mezzo alzati, si trovano gli eretici: sovrasta tutti l'alta figura di Farinata degli Uberti, magnanimo cittadino di Firenze che difese la sua città a viso aperto e a cui va l'ammirazione di Dante esule, che non manca mai di fare accenno all'ingratitudine dei fiorentini. Un altro personaggio, positivo ma ugualmente dannato per mancanza di fede, è Cavalcante de' Cavalcanti, il padre dell'amico di Dante e poeta a sua volta Guido, che chiede notizie circa la sorte del figlio. Nel VII Cerchio troviamo i violenti. Simbolo della violenza bestiale è il loro custode infernale, il demonio Minotauro. Tale cerchio è distinto in tre gironi circolari concentrici, di aspetto ben diverso tra loro: un fiume di sangue bollente, una fantastica e cupa selva, un orrendo deserto infuocato da una nevicata di fiammelle. - Nel fiume stanno gli omicidi ed i predoni, sorvegliati da snelli Centauri, altre creature infernali, che corrono lungo le rive. - Nella selva stanno i suicidi, anime dolorose tramutate in cespugli ed alberi, straziate dalle Arpie, crudeli demoni volanti dal corpo di uccello e dal volto di donna; i dissipatori di 2

beni si rifugiano tra codesti arbusti, inseguiti da cagne nere, bramose e correnti. - Nel deserto infuocato, abbrustoliti dalla pioggia di fuoco, supini a terra, stanno i bestemmiatori; sempre in movimento sono coloro che furono violenti contro la natura; seduti intorno al baratro che si apre nel mezzo del cerchio gli usurai. Ciascuno di questi gruppi di dannati ha i suoi rappresentanti famosi: tra i suicidi si leva la pietosa e ricca parola del poeta sicilianeggiante Pier della Vigna, condannato in vita, con ogni probabilità ingiustamente, per tradimento verso l'imperatore al quale si era sempre dimostrato affezionato e devoto e che attesta e giura la sua innocenza. Virgilio spiega ad un certo punto a Dante che, seguendo la dottrina aristotelica, i peccati seguono delle graduatorie di pena ben precise: pur essendo tutti i dannati in ira di Dio, i peccatori di incontinenza hanno offeso meno Dio rispetto ai peccatori di malizia e frode, e questi a loro volta hanno offeso Dio sempre meno dei peccatori di bestialità e di violenza. Per questa ragione i primi si trovano al di fuori della città di Dite che contiene i dannati colpiti da pene più severe, cioè i violenti. L'VIII Cerchio è quello di Malebolge: è il più pieno di vita, il più vario, il più ricco di incidenti, situazioni, di commedia e di tragedia. Le Malebolge sono dieci fosse concentriche dove si trovano i Fraudolenti, i peccatori di truffa e frode; il custode di Malebolge è il mostro Gerione, simbolo proprio della frode, con la faccia di uomo giusto ed il corpo di serpente alato. Nella 1° di queste bolge corrono, sferzati dai demoni cornuti (rappresentati da Dante in modo classico, cioè come la tradizione medioevale era solita descriverli), i seduttori, per conto proprio o di altri, di donne. Nella 2° stanno tuffati nello sterco umano i lusingatori e adulatori. Nella 3°, conficcati con la testa in pozzetti e con i piedi bruciati da una fiamma, i simoniaci, ovvero coloro che si macchiarono della colpa di vendita di oggetti sacri e di cariche religiose; tra di essi Dante colloca un papa che aspetta lì l'arrivo di altri papi. La 4° bolgia accoglie schiere di indovini, con la faccia stravolta dalla parte della schiena. Nella 5° bolgia troviamo i barattieri immersi in un fondo di pece bollente da cui non possono mai uscire, sotto pena di essere artigliati dai demoni Malebranche, nome generico che indica i diavoli custodi di questa bolgia, ognuno dei quali ha però il suo nome specifico. Il termine "malebranche" è evidentemente un diretto riferimento agli uncini di cui questi diavoli sono muniti ed agli artigli delle loro mani ed è coniato da Dante sul tipo di "malebolge". Nella 6° bolgia camminano lentissimi gli ipocriti, sotto cappe di piombo esternamente ricoperte d'oro, e una parte di essi, i farisei, stanno confitti a terra con tre pali. Nella 7° bolgia i ladri sono tramutati in serpenti. Nell'8° i cattivi consiglieri sono rinchiusi in fiammelle in una delle quali, con Diomede, c'è Ulisse (entrambi noti macchinatori di inganni) il quale narra a Dante il suo "folle volo" fino all'isola misteriosa del Purgatorio. Nella 9° bolgia i seminatori di scandali e di scismi sono mutilati orrendamente dai diavoli armati di spade. Nella 10° i falsari, affetti da malattie tormentosissime: se falsarono i metalli, ora la lebbra li strazia, se falsarono la persona, la rabbia li fa mordere e correre, se falsarono le monete, una grave idropisia li rende mostruosi e se falsarono la parola i loro corpi fumano per febbre acutissima. Finito l'VIII Cerchio, il XIX ed ultimo, distesa di ghiaccio chiamata Cocito, contiene i traditori distinti in quattro sezioni: - - la Caina, dove troviamo i traditori dei parenti, immersi nel ghiaccio e con la faccia rivolta all'ingiù; - l'Antenòra che contiene i traditori della patria o del partito, conficcati nel ghiaccio fino al mento; Dante vede qui il "fiero pasto" del conte Ugolino e sente da lui l'orrenda descrizione 3

della morte sua e dei suoi figli; - la Tolomea, dove troviamo i traditori dell'ospitalità che hanno fuori soltanto la faccia e stanno supini sotto il ghiaccio; - la Giudecca, in cui i traditori dei benefattori appaiono da sotto il ghiaccio in vari atteggiamenti. Tre di questi, i massimi traditori, stanno nelle tre bocche di Lucifero: Giuda, traditore di Cristo, cioè della fede e della religione, e Bruto e Cassio, traditori di Cesare, cioè dell'impero. IL PURGATORIO Il Purgatorio è un'alta montagna composta da un gran balzo e da sette piani sovrapposti l'uno sull'altro, sulla cui cima verdeggia la bellissima selva del Paradiso Terrestre. Nell'antipurgatorio, costituito dal piano dell'isoletta su cui si erge il monte e dal balzo, vi sono prima le anime degli scomunicati che devono girare intorno all'isola un periodo trenta volte maggiore del tempo in cui furono scomunicati, e Dante incontra il re Manfredi che, sebbene scomunicato dal vescovo di Cosenza per istigazione di papa Clemente IV, si trova in luogo di salvazione per essersi sinceramente pentito, in vita, dei peccati commessi. Poi, in uno scoscendimento del monte troviamo i pigri che aspettarono l'ultima ora per pentirsi: qui Dante incontra un suo amico, Belacqua, che si dimostra pigro e negligente così come lo era in vita. Poi seguono i morti per violenza altrui e che si sono pentiti solo in fin di vita: Iacopo del Càssero, Buonconte da Montefeltro e una soave voce di donna infelice che saluta Dante e gli augura buon viaggio: è Pia dei Tolomei, collocata come gentile figura femminile nel V canto, come già nel V canto dell'Inferno campeggiava la fiera eppure sventurata figura di un'altra donna, Francesca. Il VI canto, dopo una discussione tra Dante e Virgilio circa la questione teologica dell'efficacia dei suffragi e delle preghiere dei vivi a vantaggio delle anime del Purgatorio (si discuteva in pratica sulla possibilità o meno che hanno i vivi di accorciare il periodo di espiazione alle anime purganti tramite le preghiere), diventa un canto politico, come già politico era il VI canto dell'Inferno. In seguito all'incontro con l'anima di Sordello, anch'egli morto per violenza e pentitosi solo in punto di morte, Dante lancia la sua apostrofe all'Italia accusandola per le sue divisioni interne e per le lotte fratricide che la insanguinano e accusando Alberto d'Asburgo, eletto re dei Romani, che non volle mai scendere nella Penisola e la lasciò abbandonata a se stessa. Più avanti troviamo i prìncipi che furono assorti in pensieri terreni, da un imperatore di Germania ad un marchese feudatario del Monferrato, tentati ogni sera da due serpenti. Nel I° girone del Purgatorio i superbi camminano curvi sotto gravi pesi: e il pavimento e la parete sono istoriati con esempi di umiltà e di superbia punita. Fra essi troviamo Oderisi da Gubbio. Nel II° girone gli invidiosi stanno addossati alla riva, vestiti da penitenti, con gli occhi cuciti dal fil di ferro, come i ciechi alle porte delle chiese: non vedono ma sentono voci passanti per l'aria che dicono esempi di carità e di invidia punita. Nel III° girone gli iracondi sono avvolti in un fumo densissimo che li tormenta, attraverso il quale, alle anime espianti e anche a Dante, appaiono visioni e fatti di mansuetudine e di ira punita. Nel IV° girone corrono velocissimi ad espiare la loro colpa gli accidiosi che gridano esempi di sollecitudine e di accidia punita. Nel V° girone avari e prodighi, distesi bocconi e legati, piangono con la bocca a terra ripensando ai vani beni della terra. Ascoltano uno di loro che celebra esempi di povertà, di generosità e di avarizia punita. Nel VI° girone i golosi, , magrissimi, ridotti a sola pelle e ossa, hanno fame e sete e vedono 4

frutta e acqua; si raccolgono gridando sotto un albero da cui escono voci che ricordano esempi di frugalità e di intemperanza punita. Nel VII° ed ultimo girone i lussuriosi, in mezzo alle fiamme, in schiere opposte, cantano esempi di castità e di lussuria mostruosa. Tra essi il poeta Bolognese Guido Guinizelli. Nel Paradiso Terrestre, ultima tappa della seconda Cantica, Dante vede sfilare una processione mistica, assiste all'arrivo di Beatrice, alle trasformazioni del carro simboleggianti la storia e la corruzione della Chiesa ed è poi immerso nelle acque purificatrici dei fiumi Letè ed Eunoè. IL PARADISO Con Beatrice Dante sale al Cielo: lo attraversa per giungere rapidamente all'Empireo, la sede di Dio. Meno figure, meno movimento di personaggi nei nove cieli: ma qui, in ognuno, c'è un dramma di pensiero, una spiegazione che Beatrice fa al suo fedele amante e discepolo: un adagiarsi a poco a poco della mente umana nella quiete e nella soddisfazione della rivelazione divina. Nel I Cielo, che è quello della Luna, sotto forma di immagini riflesse, appaiono le anime che involontariamente mancarono ai loro voti di castità. Un'altra figura soave di donna, nel III canto, Piccarda Donati, apre la serie degli spiriti di Paradiso incontrati da Dante. Nel II Cielo, quello di Mercurio, come splendori luminosi appaiono le anime di quelli che operarono virtuosamente ma per desiderio d'onore e di fama: Giustiniano, che fu in terra Cesare, fa la storia epicamente grandiosa dell'Impero romano, voluto provvidenzialmente da Dio. Nel III Cielo, quello di Venere, si presentano gli VENERE, SI PRESENTANO GLI spiriti amanti come faville in fiamma. Nel IV Cielo, quello del Sole, gli spiriti sapienti raggruppati in ghirlande ciascuna di dodici fulgori, fiammeggiano le lodi dei due grandi santi, Francesco e Domenico. Nel V Cielo, quello di Marte, troviamo gli spiriti guerrieri disposti in una croce luminosa; sono quelli che combatterono e morirono per la fede di Cristo: qui troviamo l'antenato di Dante, Cacciaguida, che al vedere il suo discendente fatto degno di ascendere a Dio e che accetterà il destino della sua vita, con tutti i pericoli e le sventure che procura la dichiarazione della verità, si dimostra soddisfatto e rievoca la Firenze del buon tempo antico. Nel VI Cielo, quello di Giove, le anime giuste formano una scritta luminosa. Nel VII Cielo, quello di Saturno, gli Spiriti contemplanti, roteanti splendori lungo una scala d'oro. Nell'VIII Cielo, quello delle Stelle fisse, gli spiriti sono tutti attorno a Cristo trionfante. Nel XIX Cielo, del Primo Mobile, nove schiere di angeli girano con rapidità e fulgore intorno ad un punto fulgidissimo che è Dio. Nell'Empireo infine, dove Beatrice riprende regalmente il posto che i suoi meriti le consentono, e che è la sede abituale di tutti i beati venuti incontro a Dante via via che egli saliva nei cieli, la visione suprema di Dio appare all'accesa mente del Poeta che davanti a quella visione esaurisce ogni desiderio nella comprensione dell'altissimo mistero della Trinità divina. La commozione del Poeta nell'ultimo canto della terza Cantica ha qualche cosa di veramente straziante per lo squilibrio che Dante sente tra la piena della sua gioia e del suo affetto religioso e la insufficienza della memoria e della parola. E nell'umiltà della preghiera trova, forse, le più grandi espressioni della sua poesia:

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O somma luce che tanto ti levi da' concetti mortali, alla mia mente ripresta un poco di quel che parevi. E fa' la lingua mia tanto possente ch'una favilla sol della tua gloria possa lasciare alla futura gente. La glorificazione della donna amata fu per il Poeta uno dei primi pensieri subito dopo la morte di lei: questa glorificazione nella sua mente assunse varie forme fino a coordinarsi dopo le vicende dolorose che produssero il suo esilio in un tutto che diventò il grande poema, in cui riversò ira, ardore, vendetta contro i suoi nemici, sdegno del mondo falso e corrotto e visioni di una più nobile umanità. Ma l'amore che ebbe così tanta forza sul suo animo ardente tenne un posto predominante anche nella Commedia, e Beatrice è sempre presente, anche prima che discenda dal Paradiso Terrestre a incontrare e rimproverare il suo antico fedele. E attraverso i cieli Beatrice teologale, dogmatica, filosofica e guida spirituale dell'anima, si conserva sempre donna nella sua bellezza celeste che è un'evoluzione di quella terrena onde essa superò tutte le creature. "Sotto alla Beatrice del suo pensiero- disse il De Sanctis c'è la Beatrice del suo cuore". Beatrice rappresentava per Dante, oltre che il ricordo caro della sua vita gi...


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