L\'ARTE DI Osservare a cura di Paola Cecchetti e Antonella Cammarota PDF

Title L\'ARTE DI Osservare a cura di Paola Cecchetti e Antonella Cammarota
Author GIUSY DE LUCA
Course Fondamenti di Psicologia Sociale
Institution Università degli Studi di Messina
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Riassunto completo elaborato da uno studio individuale...


Description

L’ARTE DI OSSERVARE a cura di Antonella Cammarota e Paola Cecchetti INTRODUZIONE (PAOLA CECCHETTI)

Paola Cecchetti è presidente dell’associazione Apeiron, psicoanalista e psicodrammatista, membro didatta della SIPsA (Società Italiana di Psicodramma Analitico, aderente alla COIRAG, Confederazione di Organizzazioni Italiane per la Ricerca Analitica sui Gruppi) e docente presso la scuola di specializzazione COIRAG; conduce gruppi di osservazione diretta. Antonella Cammarota , docente dell’università degli studi di Messina, è anche formatrice nell’Associazione Apeiron, “centro studi per la ricerca analitica e educativa”, di cui fa parte uno dei due centri didattici attraverso i quali a Roma la Coirag forma i futuri psicodrammatisti. Ciò che viene presentato è il lavoro e la ricerca di un gruppo che sperimenta sulla formazione dei formatori, con l’idea base che sia necessario affrontare sempre nuovi saperi. Il gruppo è composto da insegnati di ogni ordine e grado, impegnati per oltre 15 anni in una formazione permanente attraverso l’ Osservazione diretta, all’interno di una struttura che si occupa di psicoanalisi, per questo è stato richiesto ai membri un percorso di psicoterapia analitica, necessaria in ogni relazione in cui ci si prende cura dell’altro. È importante distinguere i confini tra educazione e psicoanalisi, per farle dialogare, grazie alla metodologia dell’Osservazione diretta, che viene definita una “terra contigua”, in quanto rende possibile, valorizzandola, la contiguità di educazione e psicoanalisi. Sono stati sperimentati gruppi di osservazione misti, nei quali cioè hanno partecipato sia insegnanti sia allievi psicodrammatisti. Il gruppo misto si riuniva ogni 15 giorni, e si leggevano i protocolli relativi alle osservazioni fatte nelle classi, una volta dagli insegnanti, una volta dagli allievi; gli insegnati potevano apprendere quali sono gli indizi che mostrano dietro il bambino “reale”, il bambino immaginario con cui si ha a che fare, di vedere direttamente le teorie sessuali di Freud, l’Edipo … gli allievi terapeuti avevano l’opportunità di entrare nelle dinamiche inconsce di un gruppo di pari (quali sono i processi di crescita, l’aggressività, l’invidia, come nasce la figurazione nei primi scarabocchi ..). Lo sguardo dell’insegnante arricchiva quello del terapeuta e viceversa per cui l’osservazione diviene strumento di conoscenza regolato dall’astensione all’agire; l’ascolto quotidiano di bambini, adolescenti e adulti, cui la

professione dell’insegnate obbliga, diventava un strumento prezioso per la formazione dei terapeuti, che in genere conoscono i casi patologici studiati nei libri, ma hanno poca esperienza concreta di bambini e adolescenti. Paola Cecchetti ha svolto la sua formazione e la formazione alla formazione nel Movimento di Cooperazione Educativa, che negli anni 70 si poneva il problema dell’inconscio nella pratica educativa; ci si chiedeva se l’inconscio di cui si parla nella pratica educativa fosse l’inconscio di cui si parla nella pratica clinica, sicuramente la risposta è affermativa, dato che sia il bambino sia il paziente sognano, ciò che è importante è l’uso che si fa dell’ascolto. In quegli anni si tentava di ripensare la pedagogia utilizzando la psicoanalisi, stimolati anche dai problemi relativi all’inserimento dei bambini portatori di handicap nelle classi “normali”; ne venne per il gruppo la teoria della pedagogia dell’ascolto: nella relazione educativa, come in quella terapeutica, se c’è qualcuno che ascolta la parola dell’altro che non sa quel che si dice, si instaura una relazione di cura, ma in ogni caso è importante tenere distinti gli obiettivi, educare in un caso, curare nell’altro. In questo contesto un gruppo (misto) di insegnati, psichiatri, psicoterapeuti, assistenti sociali, tutti impegnati nel sociale per il cambiamento, si sono impegnati nel percorso dell’Osservazione diretta (si incontravano ogni 15 giorni, a Perugia); nel 1977 si è tenuto un convegno : “l’Osservazione e la sua applicazione nella psicoterapia infantile, nella scuola e nelle situazioni psicotiche”. Tramite la metodologia dell’Osservazione, gli insegnati dovevano recarsi nelle classi, dovevano osservare, senza agire, per ritornare in un certo senso sui banchi per apprendere chi è il bambino o l’adolescente a cui si desidera insegnare (ogni bambino ha i suoi spazi e i suoi tempi di apprendimento e l’educatore può rendersene conto solo osservandolo), e chi sono loro stessi, adulti oggi, ma bambini e adolescenti ieri; ricercare quindi “il bambino non visto”. Nello stesso tempo, nel Movimento di Cooperazione educativa si lavorava per comprendere sempre più a fondo il pensieri del bambino, scoprendo che sia per l’adulto che per il bambino, pensiero ed emozione sono inscindibili; l’emozione viene definita “la madre del pensiero”. Nel gruppo di osservatori, un elemento fondamentale è la lettura del protocollo, mentre l’osservatore legge il protocollo al gruppo, tutti i suoi componenti contemporaneamente, dovevano scrivere ciò che ascoltavano, o meglio riscrivere ciò che filtravano nell’ascolto, per cui ciascuno scriveva il proprio “protocollo del protocollo” secondo un modello prestabilito. Il foglio è diviso in tre colonne, nella prima si riscrive il protocollo ascoltato, suddividendolo nelle sequenze principali; nella seconda si appunta il film, ovvero il vissuto che nasce dall’ascolto, emozioni, associazioni, ricordi.. ; nella terza vengono annotate le questioni teoriche e

metodologiche che il testo ascoltato ha posto. Finita la lettura del protocollo, ognuno legge ciò che ha scritto e solo al termine l’osservatore interviene con le sue riflessioni; il conduttore interviene alla fine come cassa di risonanza del funzionamento del gruppo, mostrando anche gli aspetti che nel corso dell’opera sono rimasti nascosti. In questo modo si è pensato che fosse più semplice coinvolgere tutti e inoltre valorizzare un principio della metodologia dell’osservazione diretta, in base al quale nell’ascolto ciascuno filtra secondo un proprio stile. Inoltre confrontare il proprio ascolto con quello dell’altro permette all’ascoltatore di svolgere un ruolo attivo e non passivo. Tutti gli insegnanti che facevano parte del gruppo, sono stati esortati ad utilizzare con la loro classe un metodo analogo, ovvero sollecitare gli alunni a non registrare passivamente in appunti anonimi, ciò che l’insegnate diceva, ma annotare allo stesso tempo ciò che ascoltavano e i pensieri, le emozioni, più o meno disturbanti, connessi a ciò. Un altro momento che è stato valorizzato nel gruppo è quello della restituzione; non c’è osservazione senza restituzione, intesa quest’ultima come dono. Quando l’osservazione è stata fatta nelle classi, infatti, la restituzione ha assunto il significato di un dono prezioso che l’osservatore faceva ai bambini, restituendogli la ricchezza della vita segreta, con modalità narrative diverse in base all’età dei soggetti interessati. Nell’ambito scolastico si è avuto a che fare con due diversi generi di restituzione: quelle fatte a bambini o adolescenti, soprattutto in forma di favola o narrazione e quelle fatte ai consigli di classe,in cui la restituzione è diventata un mezzo per verificare se il progetto educativo elaborato dagli insegnati ha poi trovato corrispondenza nella vita reale della classe. L’osservatore può rimandare-restituire all’insegnante osservato: i movimenti della mente attraverso i quali è passato l’apprendimento, le diverse proiezioni degli adolescenti su di lui, attraverso le quali passa il legame che permette di apprendere o di rifiutare le conoscenze. Ma anche quando l’osservazione è stata fatta in altri ambiti, per esempio quello ospedaliero, avviene una sorta di identificazione con l’osservatore e ciò permette di riattivare il processo del pensiero, infatti guardandosi dal “di fuori” l’osservato, grazie alla restituzione, può tentare di liberarsi dalla routine, ponendo l’attenzione sui segnali di un possibile cambiamento. Nella restituzione c’è sempre qualcosa di intimo e di privato alla relazione osservatore-osservato, non facilmente comprensibile dall’esterno. La preparazione della restituzione fatta dal singolo, è un momento importante per tutto il gruppo, in quanto mostra la ricchezza del lavoro fatto, non più parcellizzato nei singoli protocolli, ma unificato. (chi deve restituire prepara per proprio conto tutto il materiale, riesaminando tutti i protocolli e raccogliendo tutte le conoscenze su colui che è stato osservato, bambino, adolescente o adulto che sia).

È stata praticata anche quella che è stata poi definita Osservazione muta, messa in atto per un anno, senza che i protocolli venissero discussi nel gruppo. Si trattava di un gruppo misto, formato da allievi psicodrammatisti, nel quale il ruolo dell’osservatore era affidato ad un insegnante; l’osservatore prende la parola all’inizio, si presenta nel gruppo, e alla fine dell’anno per restituire al gruppo ciò che ha osservato (l’astensione dall’agire è fondamentale per chiunque voglia apprendere l’ascolto dell’inconscio, si diventa capaci di affrontare la verità nascosta negli oggetti). L’osservatore assiste a tutti gli incontri, per ognuno dei quali scrive un protocollo, che non leggerà a nessuno, solo alla fine restituirà al gruppo il frutto della sua elaborazione. L’oggetto dell’osservazione è il Laboratorio, in cui gli allievi del terzo e quarto anno della scuola di specializzazione in psicoterapia della Coirag, acquisiscono gli strumenti del mestiere di psicodrammatista. I luoghi privilegiati per l’Osservazione diretta sono luoghi in cui si presentano situazioni al limite, i luoghi da osservare infatti si scelgono in base a tale bisogno. Il gruppo in questione ha compiuto l’osservazione soprattutto nelle scuole, servendosi dell’osservazione diretta come mezzo per vedere e comprendere gli intrighi della relazione educativa; per rendere possibile l’educazione, il formare soggetti in una fase della vita in cui si è ancora malleabili. Anche l’osservazione nelle istituzioni sanitarie si è rivelata feconda (e non solo perché aiuta a capire i processi della psicosomatica); sicuramente il progresso biologico e tecnologico porta a scoperte innovative ed efficaci, ma rischia di pensare solo alla malattia e non alla persona che ne è affetta. L’osservazione invece ha lo scopo di cercare di costruire un nuovo rapporto tra malattia e vita, tramite la discussione dei protocolli con tutte le figure sanitarie, che si occupano del malato, ponendo al centro la persona malata , non solo la malattia, e la complessità della relazione di cura tra operatori della salute e paziente. Tra i luoghi più oscuri da osservare, vi sono quelli in cui si applica la legge 194, che permette di praticare l’interruzione volontaria della gravidanza; in questi luoghi, nei quali non si parla neanche di malattia, in quanto non si arriva a vivere, la discussione dei protocolli diventa un’esperienza impensabile, si cerca di capire attraverso quali vie misteriose il concepimento si fa disfacimento, il generare si fa negarsi di maternità .. tramite l’osservazione però è stato testimoniato che ogni bambino non nato nasce nella psiche della madre; gli operatori della 194 sull’aborto hanno espresso il loro disagio, ma gli è stato restituito che non sono del “macellai”, cos’ come vengono definiti dall’opinione pubblica, bensì rispondono a un’etica che insegna che nella vita c’è la possibilità della non vita, e non è una loro responsabilità. Il loro è un compito impossibili, in quanto devono operare, mettere le mani nel luogo da cui ognuno di noi è transitato sperimentando ch avrebbe potuto non esserci. Nell’osservazione non si danno giudizi, per questo è preziosa in tutte le situazioni

nelle quali c’è un sapere che non aiuta, ma blocca il pensiero, e per le quali va inventato un sapere nuovo. Vengono presentate le esperienze di alcuni insegnati e formatori che hanno avuto esperienza in prima persona con l’Osservazione diretta. Un’insegnante, andata in pensione prima del tempo, ha incontrato l’osservazione in età matura, attratta dall’idea di un gruppo di lavoro che sperimentava l’osservazione come strumento di conoscenza (inserito nell’associazione APEIRON, Associazione per la ricerca psicoanalitica, di cui è entrata a far parte) e dal problema del rapporto educativo. Deliberatamente, nonostante l’età, poteva decidere di far parte del gruppo dei giovani o degli adulti, imparando così la prima regola dell’osservazione, ovvero imparare l’ascolto sospendendo il giudizio. Ciò dimostra che a qualsiasi età è possibile formarsi; l’insegnate in questione è stata osservatrice soprattutto in contesti scolastici, ma ha svolto anche osservazioni “speciali”, per esempio l’osservazione muta durante le lezioni di un gruppo di studenti specializzandi psicoterapeuti, senza mai confrontarsi con il gruppo. L’addestramento alla formazione con il tempo diventa una sorta di atteggiamento interiore, permette allo sguardo di trovare la giusta distanza, di sostare anche su ciò che è privo o troppo carico di emozione o su ciò che fa troppo male, come nelle situazioni estreme (esempio stare accanto a malati terminali o affrontare una brutta malattia che colpisce in prima persona). Tramite l’osservazione si impara ad osservare se stessi e gli altri. L’osservazione permette di trasformare se stessi e gli altri; chi ha già attraversato il percorso, in una seconda osservazione ha già cambiato qualcosa del suo modo di osservare e ha cambiato qualcosa anche in tutti quelli con cui è entrato in relazione. Può essere scandita in quattro fasi:  OSSERVAZIONE: quando si va ad ascoltare in genere si dice che una delle difficoltà da affrontare è la solitudine, ci si sente soli, obbligati a stare in silenzio, astenendosi dall’agire, in una situazione estranea; bisogna liberare la mente ed eliminare il pregiudizio. Spesso però, come nel caso dell’insegnate in questione, la solitudine e silenzio fanno parte dell’essenza di una persona, che li vive come una normale condizione, e ciò che risulta difficoltoso è il confronto con qualcuno, il riuscire a parlare di fronte ad altre persone, perché il pregiudizio verso se stessi porta a pensare che ciò che si vuole dire magari non è abbastanza intelligente o interessante per gli altri, e il batticuore blocca la possibilità di esporsi con la parola al giudizio degli altri. Il gruppo in questo caso aiuta a sciogliere il silenzio e apre la strada alla possibilità dell’ascolto e del confronto.

 LA SCRITTURA DEL PROTOCOLLO: nel protocollo si scrive a distanza di ore ciò che si è osservato, e questo è complicato in quanto la maggior parte di ciò cade nel dimenticatoio, senza possibilità di recuperarlo; per cui in assenza dell’oggetto osservato l’immagine frammentaria di ciò che si è osservato si sovrappone con frammenti di immagini e memorie proprie; in genere si attenziona maggiormente ciò che ci attrae per somiglianza o diversità da noi stessi; per cui il protocollo non è una riproduzione fedele di ciò che è realmente accaduto.  LA LETTURA DEL PROTOCOLLO: abbattere il pregiudizio su se stessi e il timore di essere giudicati, inizialmente infatti la voce può farsi tremante e si pone l’attenzione all’ascolto degli altri. Gli altri che ascoltano la lettura del protocollo, diventano a loro volta osservatori, ognuno infatti interviene su ciò che ritiene importante, e ciò che è stato osservato viene rivisto da altre angolature, così che il primo osservatore può avere un’osservazione più ampia, ampliata dai vari punti di vista; per cui i saperi possono incontrarsi e mischiarsi e ciò è reso possibile dall’educazione all’ascolto, si ascolta se stessi e gli altri, imparando a sospendere il giudizio, e a essere presenti con la mente e con il cuore, con il pensiero e con l’emozione .L’osservatore scopre nell’osservazione la sua soggettività, quel modo particolare di guardare che costituisce il suo punto di vista.  LA RESTITUZIONE: è l’ultima fase del percorso osservativo, in cui l’osservatore restituisce, a coloro che si sono lasciati osservare, il frutto della sua elaborazione. L’osservatore ha la possibilità di ridare quanto ha ricevuto e chi è stato osservato può dare voce a pensieri ed emozioni che l’hanno accompagnato durante l’esperienza dell’essere osservato. La restituzione inoltre pone il confronto con la visibilità, con la capacità di trasmettere un’esperienza e con il timore del giudizio. L’osservazione quindi può trasformare, permettendo di passare dal silenzio denso di emozioni, alla parola e poi alla scrittura, da un ripiegamento su se stessi ad un’apertura verso il gruppo e anche oltre se coloro che sono stati formati, divengono a loro volta formatori. L’insegnate che racconta la sua esperienza è stata anche formatrice, ha tenuto infatti un corso di aggiornamento a Messina, presso l’istituto tecnico Majorana, insieme ad un’altra formatrice. La conduzione di un gruppo in coppia, permette di avere una maggiore serenità e attenzione e rimanda ad una modalità di lavoro basata sulla cooperazione, sulla condivisione, sull’integrazione delle diversità, sull’ascolto e sul rispetto reciproco, mettendo in discussione il lavoro solitario e ripetitivo, che spesso

porta gli insegnanti a vivere la solitudine e a tramandare automaticamente questo modello educativo ai suoi studenti. È importante che si crei un’atmosfera di accoglienza e di ascolto reciproco, essere presenti e mettere da parte il pre-giudizio. Inizialmente l’osservazione era libera, ognuno può scegliere il luogo da sperimentare; il corso si svolge nelle ore pomeridiane, per cui i ragazzi sono assenti e regna il totale silenzio, molti osservano l’aula vuota ed emergono dei temi importanti per l’insegnante, come la nostalgia per la propria giovinezza e il ricordo di alcuni propri insegnanti. Quando gli insegnanti vanno ad osservare nelle classi, sono liberi dalla responsabilità di docente, e alcuni gesti dell’alunno, in genere ignorati o sopportati, quando vengono osservati, trascritti sul protocollo e letti al gruppo, acquistano un nuovo significato; anche i gesti di un altro docente possono essere compresi con più chiarezza e assumono importanza nella relazione anche i piccoli gesti, come uno sguardo o chiamare il ragazzo per nome. Quando i protocolli osservativi vengono discussi nel gruppo, si ha l’opportunità di attenzionare le problematiche relative alla professione del docente, ognuno discute la propria esperienza, che viene confrontata con quella degli altri. La scrittura ha inizialmente inquietato il gruppo, ma con il tempo ha scoperto il piacere della scrittura, e alcuni hanno anche iniziato a scrivere altro, a prescindere dalle richieste del corso. Nel corso ogni incontro era diviso in due parti, una dedicata all’attività dell’osservazione pura, in cui leggendo i protocolli di osservazione fatta nelle classi si affrontavano in modo diretto gli aspetti legati alla relazione docente-studente e delle condizioni che rendono possibile l’ascolto e l’apprendimento; nella seconda parte venivano proposte attività e vari laboratori, per esempio giochi che mettevano in gioco le emozioni in modo immediato e riflessioni su testi teorici che riguardavano temi psico-pedagogici. Da alcuni frammenti di scrittura, tratti da protocolli osservativi scritti durante la formazione, altri nati dall’attitudine ad osservare, ma non destinati all’osservazione, è stato possibile ricavare ciò che l’osservazione ha portato a scoprire in alcuni soggetti impegnati in essa (esempio Rosanna, insegnante, ha osservato la sua classe durante l’ora di matematica e racconta la scoperta della normalità della sua classe, riscoprendola anche nella sua ora; Antonio, insegnante, scopre la nostalgia dell’andare a scuola, attraverso l’osservazione della sua classe riaffiorano in lui dati ricordi ).

Un’altra insegnate di latino e greco in un liceo scientifico, racconta la sua esperienza, del suo percorso di formazione all’ascolto e alla formazione, ricordandolo come un passaggio fondamentale della sua vita, professionale e non; i vari corsi di aggiornamento davano molti contenuti e informazioni, ma erano poveri di emozioni e non basati sulla condivisione, la ricerca e la relazione. L’approdo ad Apeiron, il centro studi di cui facevano parte docenti, operatori psicosociali e psicoterapeuti che operavano nel settore edu...


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