San Tomé di Carvico. Archeologia di una chiesa altomedievale, a cura di G.P. Brogiolo, Carvico, 2016. PDF

Title San Tomé di Carvico. Archeologia di una chiesa altomedievale, a cura di G.P. Brogiolo, Carvico, 2016.
Author Gian Pietro Brogiolo
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San Tomé di Carvico Archeologia di una chiesa altomedievale con testi di Michele Asolati Gian Pietro Brogiolo Paola Marina De Marchi Gabriele Medolago Marina Uboldi Maria Grazia Vitali a cura di Gian Pietro Brogiolo Estratto da: Gabriele Medolago e collaboratori Carvico alle pendici del Monte Canto ...


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San Tomé di Carvico Archeologia di una chiesa altomedievale con testi di

Michele Asolati Gian Pietro Brogiolo Paola Marina De Marchi Gabriele Medolago Marina Uboldi Maria Grazia Vitali

Estratto da:

Gabriele Medolago e collaboratori

Carvico alle pendici del Monte Canto Comune di Carvico, 2016, volume I

a cura di Gian Pietro Brogiolo

San Tomé di Carvico Archeologia di una chiesa altomedievale a cura di

Gian Pietro Brogiolo con testi di

Michele Asolati Gian Pietro Brogiolo Paola Marina De Marchi Gabriele Medolago Marina Uboldi Maria Grazia Vitali

Estratto da:

Gabriele Medolago e collaboratori

Carvico alle pendici del Monte Canto volume I

Comune di Carvico 2016

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San Tomé di Carvico: Archeologia di una chiesa altomedievale a cura Gian Pietro Brogiolo

Premessa (di Gian Pietro Brogiolo) A quasi trent’anni dagli scavi della chiesa di San Tomé, vede finalmente la luce la pubblicazione della sequenza e di alcune classi di materiali. L’occasione è stata fornita dall’iniziativa promossa e finanziata dall’Amministrazione comunale, curata da Gabriele Medolago, e confluita in due volumi che raccolgono, oltre ai risultati delle ricerche archeologiche, anche un’analisi urbanistica ed architettonica del territorio di Carvico e studi frutto delle ricognizioni in molteplici archivi storici. Ho accettato di contribuire a questo progetto, sebbene sia stato coinvolto solo nella fase finale, per il debito che avevo nei confronti del geometra Granfranco Ravasio e del gruppo di cui era l’anima e il riferimento principale. Si deve infatti a loro se di Carvico si può oggi raccontare anche una storia, priva di testimonianze nelle fonti scritte, che ruota attorno alla chiesa di San Tomé, abbandonata almeno dal XIV secolo e ridotta a rudere nel secolo successivo. Una storia importante perché scava nelle radici altomedievali del nostro passato, dove si trovano le premesse di tanti insediamenti che per secoli hanno caratterizzato le campagne lombarde. L’altomedioevo è stato infatti una sorta di filtro, che dell’età romana, che aveva organicamente strutturato non solo le città, ma soprattutto le campagne, lascia passare solo alcuni elementi, mentre crea al contempo nuovi punti di aggregazione. San Tomé è uno di questi. Non ha preesistenze di età romana, non è inserito nell’area centuriata dell’Iso-

la Brembana, ma si trova anzi in un’area incolta, il “bedesco” dei documenti medievali e successivi. Le motivazioni che, nella prima età longobarda, indussero a fondare questo insediamento non ci sono chiare: la vicinanza ad una strada, un possibile sfruttamento dell’incolto o di altre risorse sono solo generiche ipotesi, che rimarranno probabilmente tali, perché gran parte dell’area circostante è stata distrutta da una cava di argilla. A meno che lo scavo dei settori, non indagati negli anni ‘80 per mancanza di risorse e di opportunità, fornisca in futuro indizi in grado di precisare la questione. Quanto si è potuto ricavare dagli scavi, condotti tra 1981 e 1986, è tuttavia sufficiente per una narrazione che, seppur incompleta, si snoda lungo tre principali trasformazioni: una prima chiesa in legno, già di per sé eccezionale nel panorama lombardo del VII secolo, seguita da una seconda in muratura collegata ad un edificio residenziale ed infine una fortificazione che trasforma la chiesa in una motta difesa da spalto e fossato. In questa sezione del volume, da me curata, vengono pubblicate le ceramiche comuni che mostrano una continuità nell’VIII-IX secolo di forme tipiche del VI secolo (Maria Grazia Vitali), i vetri in buona parte attribuibili a lampade pertinenti alle due chiese (Marina Uboldi), un elemendo di cintura longobarda della metà del VII secolo (Marina De Marchi) e due monete altomedievali di Carlomagno e di Corrado II (Michele Asolati), che offrono importanti riferimenti cronologici per la sequenza. Conclude una parte sui documenti (Gabriele Medolago). A questi reperti sono da aggiungere i recipienti in pietra ollare, con lavorazioni tipiche dei secoli centrali dell’altomedioevo, pubblicate in precedenza (da Chiara Malaguti e Antonella Zane). Un complesso di materiali che suggerisce una certa vitalità di questo insediamento apparentemente disperso in un’area incolta. Se vi fosse stato il tempo per studiare gli scheletri, riferibili a tombe collegate alla chiesa in

San Tomé. Foto Piera Masoch (a sinistra) e foto Cristiano Perico (sopra).

muratura, avremmo qualche dato in più su chi l’ha frequentata tra VIII e IX secolo, ma per queste informazioni si dovrà aspettare, oltre all’autorizzazione della Soprintendenza, anche i tempi tecnici per analisi tecniche di vario tipo. Al di là di questi risultati scientifici, ottenuti o potenziali, credo che San Tomé sia esemplificativo di un modo di fare archeologia che è stato usuale fino agli anni ‘70 e che poi è proseguito solo eccezionalmente. Un’archeologia che nasce dalla richiesta della popolazione locale e viene sviluppata poi nella collaborazione tra questa e le istituzioni. Troppo spesso considerata di serie B, o dei “raccoglioni” in un’espressione coniata da Armando De Guio, è in realtà un modo di fare archeologia che in molti casi è stata, non solo necessaria, ma vincente. Necessaria quando negli anni ‘50 e ‘60 il soprintendente Mario Mirabella Roberti, coadiuvato da un paio di ispettori, doveva seguire tutti gli scavi di una regione, come la Lombardia, in pieno boom edilizio. Vincente negli anni ‘70, allorché la rivoluzione stratigrafica, sulla scia dell’esperienza anglosassone, è stata sperimentata prima negli scavi dei gruppi e musei locali e solo in un secondo momento, dal 1981, è stata accettata anche dalla Soprintendenza. Lo scavo di San Tomé si è collocato in questa fase di transizione ed è stato per me naturale, entrato in Soprintendenza nell’ottobre del 1980 dopo quindi anni di scavi e ricerche con i gruppi locali, lasciarmi coinvolgere dal geometra Ravasio e dal suo gruppo. Senza di loro la Soprintendenza non avrebbe probabilmente mai avuto notizia di San Tomé, che sarebbe andato distrutto, come molti dei siti della pianura padana, al primo intervento di trasformazione edilizio od agricolo. La tutela si risolve infatti in una sterile emissione di editti, quali sono i vincoli, che non salvaguardano il patrimonio storico se non sono accompagnati da una prolungata disseminazione che solo le comunità locali possono garantire.

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San Tomé di Carvico: Gli scavi e la sequenza (di Gian Pietro Brogiolo) San Tomé di Carvico si trova nell’Isola Brembana, triangolo di pianura delimitato dai fiumi Adda ad ovest, Brembo ad est e dal monte Canto a nord (Fig. 1). È stato identificato come sito di interesse archeologico dal compianto geometra Gian Franco Ravasio, fin dagli anni ‘70 fervido promotore, con un gruppo di amici, di numerose attività di volontariato, tra le quali anche ricerche sulla storia locale. Osservando la mappa di quella zona aveva infatti notato, oltre al toponimo, la particolare

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posizione al confine di tre comuni (Carvico, Calusco e Terno) e l’anomalia della particella catastale di forma ellittica (37 x 28 m, pari a 1000 mq ca.) che corrisponde, sul terreno, a un dosso sopraelevato di due - tre metri rispetto alla pianura circostante (Fig. 2). Un primo scavo, diretto nel 1981 dallo stesso Ravasio, dopo aver asportato lo strato di crollo che si trovava al di sotto dell’humus superficiale, aveva messo in luce, al centro del dosso, i perimetrali di una chiesa in muratura, conservati in alzato per ca. 40 - 50 cm. Informato del ritrovamento, in quanto allora ispettore della Soprintendenza archeologica della Lombardia, nel 1982 ho promosso uno scavo regolare che è proseguito poi nel

Fig. 1. San Tomé rispetto all’Isola Brembana.

Fig. 2. La motta di San Tomé, con al centro la chiesa in muratura.

1984 individuando, a breve distanza dalla chiesa, due fossati difensivi concentrici e un terrapieno. Due ulteriori campagne, nel 1985 e 1986, hanno indagato integralmente l’interno della chiesa e un quarto circa del settore esterno nord ed ovest, occupato dal terrapieno (Figg. 3 - 4)1. All’esterno dei fossati, l’area verso ovest è stata abbassata, negli anni ‘60 del XX secolo, per recuperare argilla destinata ad una vicina fornace di laterizi. Non si può dunque più verificare se vi fossero tracce di attività antropiche, che non sono state peraltro riconosciute nemmeno nei sondaggi condotti nel lato opposto, occupato da un querceto. San Tomé si trova al centro di un’area interessata da alcuni dossi di origine fluviale. Geologicamente ha in superficie un consistente livello di loess tenero, dello spessore di 80 cm, stratificatosi su un compatto orizzonte sottosuperficiale alterato (“fragipan”). I due strati, che superano in alcuni punti i due metri di spessore, si sono formati su ghaie e ciottoli di origine fluviale. Lo strato limo argilloso superficiale, che evolve in modo indistinto in suolo A1, favorisce il ristagno di acque meteoriche, mentre le sottostanti ghiaie rendono difficile un approvvigionamento idrico attraverso pozzi e i corsi d’acqua più vicini, i torrenti Grandone e Buliga, scorrono a più di un chilometro di distanza (fig. 1). Le condizioni ambientali sfavorevoli hanno impedito, fino a tempi recenti, uno sfruttamento agricolo di questa zona, ancor oggi parzialmente a bosco o incolta. Non diversa doveva essere la situazione in età romana, dal momento che non vi sono state riconosciute tracce di centuriazione, presenti invece nel territorio dell’Isola Brembana2, dove su dieci località ricordate nelle fonti di VIII - IX secolo, e sicuramente identificate, sei hanno preesistenze di età romana (Ponte San Pietro, Terno, Calusco, Bonate Sotto, Suisio, Brembate Sotto). In questa continuità del popolamento, l’insediamento di San Tomé potrebbe testimoniare un’espansione verso l’incolto. Nei documenti medievali quest’area viene definita, fin dal 959, come bedesco3, termine con il quale sono indicate le aree incolte nel cuore dell’Isola Brembana. Tale definizione, ovviamente, non significa impossibilità di un insediamento stabile, ma una sua specializzazione non agricola, ad esempio nell’allevamento dei maiali. Le ricerche archeologiche hanno documentato una sequenza di tre principali periodi, che coprono un arco cronologico compreso tra fine VI - VII e XI - XII secolo. Segue una quarta fase poco documentata, e dunque con scarse attività, che culmina nell’abbandono del sito, già avvenuto nella seconda metà del XIV secolo. Al primo periodo, entro la prima metà del VII secolo, è attribuibile una chiesa di legno, ad aula unica con abside semicircolare. Nel secondo periodo, probabilmente nell’VIII secolo, la chiesa, provvista di atrio,

Fig. 3. San Tomé, aree di scavo (1981-1986): posizionamento delle trincee e delle sezioni.

viene ricostruita in muratura. Al tratto nord della sua facciata viene addossato un edificio residenziale, che ha almeno due successive fasi costruttive. Vengono deposte alcune sepolture dentro e fuori la chiesa. Infine nel terzo, tra seconda metà XI e XII secolo, la chiesa viene fortificata con un duplice fossato ed un terrapieno. L’ultima fase di utilizzo del luogo di culto, tra XIII e XIV secolo, è probabilmente occasionale, considerato che non ci si preoccupa di spianare il terrapieno a ridosso dei suoi perimetrali. Nel 1392, quando la chiesa è indicata come termine di confini tra i tre Comuni di Calusco, Castegnate e Terno, è già in rovina4.

1. LA

CHIESA IN LEGNO Il più antico livello antropizzato è costituito da un suolo (1037) di alterazione superficiale, arricchito da sostanze organiche prodotte

da almeno tre focolari. A partire da questo livello, è stata costruita una chiesa rettangolare in legno con aula di m 7,10 x 4,50 (misure interne) ed abside semicircolare (corda di 2 m). Sono stati attribuiti alla chiesa (Figg. 5, 6): (a) due solchi paralleli interpretati come perimetrali nord e sud della navata, larga 5 m. Tagliati dalle fondazioni dell’aula della successiva chiesa in muratura, che ne ricalca l’andamento, sono profondi ca. 10 cm rispetto al piano d’uso e presentano sezione irregolarmente concava. Nel solco meridionale, il solo visibile quasi interamente, non sono state riconosciute impronte di pietre. È dunque possibile che le fondazioni dei perimetrali fossero costituite da travi lignee, così come è testimoniato da una serie di edifici, dalla preistoria al medioevo, documentati sia in Italia settentrionale che altrove; (b) tre coppie di buche di palo e un palo singolo, disposti lungo l’asse mediano, indivi-

duati al di sotto di altrettanti basamenti in pietra (Fig. 7). A livello interpretativo sono stati riferiti ad una prima fase, attribuendo la piccola dimensione al fatto che, quando furono sistemati i basamenti in pietra, la parte superiore delle buche di palo fu tagliata. A rigore, tuttavia, non si può del tutto escludere che costituissero un rinforzo per i basamenti dei travi che dovevano sostenere il colmo del tetto. Quattro basamenti erano ancora in posto, un quinto è stato asportato; (c) un solco corrispondente alla facciata. Sebbene non sia chiaramente tagliato dalla successiva facciata della chiesa in muratura, è ipotizzabile per la continuità con i solchi degli altri perimetrali e per la mancanza nell’atrio, sia dei buchi di palo sull’asse, sia di un piano d’uso comparabile a quello della navata; (d) una trincea di fondazione curvilinea, interna all’abside della successiva chiesa in muratura, costituita da una decina di pietre

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Fig. 4. San Tomé, foto generale.

Fig. 5. San Tomé, ipotesi ricostruttiva della chiesa in legno.

Fig. 6. San Tomé, la chiesa in muratura con all’interno le buche riferite alla chiesa in legno.

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Fig. 7. San Tomé, una base in pietra dei sostegni lungo l’asse della chiesa in legno.

Fig. 9. San Tomé, buche di palo nell’atrio.

Fig. 8. San Tomé: pietre del giro absidale e buca interpretata come base dell’altare della chiesa in legno (strutture rinvenute all’interno dell’abside della chiesa in muratura).

di diverse dimensioni, poste di taglio e di piatto, in modo alquanto irregolare e con ghiaia a riempire gli spazi vuoti della trincea (Fig. 8). Il modesto spessore (da 35 a 40 cm), l’assenza di legante tra pietra e pietra (solo in superficie vi è qualche traccia di malta), l’irregolarità nella disposizione rendono poco plausibile che questa modesta fondazione potesse reggere una muratura fino al tetto; sembra piuttosto la base per un alzato in legno. In fase con questa pic-

cola abside vi sono alcune chiazze di argilla gialla, pertinenti forse ad un piano d’uso. Al centro dell’abside è stata documentata una fossa circolare, interpretata come alloggiamento di un tronco di colonna di scisto (della quale è rimasta traccia nel fondo della fossa) a sostegno dell’altare. Il livello d’uso, costituito da un semplice battuto, è tagliato da una serie di buche di palo (Fig. 6): quattro, di simile dimensione e riempite da argilla e pietre, potrebbero cor-

rispondere ad una divisione interna; due si trovano in prossimità dell’abside; altre due sono di modeste dimensioni; vi è, infine, una fossa circolare di incerte funzioni. L’interpretazione proposta è che queste buche siano in fase con la chiesa in legno, in quanto tagliate a partire dal medesimo piano di calpestio. All’esterno di questo edificio, in corrispondenza dell’atrio della successiva chiesa in muratura, tagliano il suolo naturale una serie di buche di palo (Fig. 9); una sola,

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Fig. 10. San Tomé, ipotesi ricostruttiva della chiesa in legno. (disegno di Luca Zigrino).

tagliata dalla trincea di fondazione della chiesa in muratura, è di un palo consistente; le altre sono riferibili ad una qualche attività esterna non meglio identificabile. In base a queste evidenze si può ipotizzare un edificio costruito, in parte o in toto, in legno (Fig. 10). Un edificio in muratura, della larghezza di 5 m, non avrebbe infatti richiesto dei supporti verticali lungo l’asse. Se le buche di palo rinvenute sotto le basi in pietra sono, come ipotizzato, più antiche, l’edificio ha avuto due distinte fasi costruttive. L’absidiola, l’assenza di attività domestiche e le dimensioni della navata, ricalcate dalla successiva chiesa in muratura, sono gli elementi che suggeriscono di interpretare questo edificio come una chiesa, anche se la struttura portante con travi verticali sembrerebbe più adatta ad un edificio residenziale. Il termine post quem per la fase più recente è fornito da una placchetta in ferro ageminato in argento, databile al secondo tren-

tennio del VII secolo, rinvenuta al di sotto di una delle basi in pietra disposte lungo l’asse. Una collocazione della seconda fase dell’edificio in legno attorno alla metà del VII secolo è dunque plausibile, mentre la prima potrebbe essere circoscritta tra fine VI e prima metà del VII. Rimangono poi i problemi della funzione della chiesa e della sua relazione con l’insediamento circostante. Lo scavo, come si è detto, ha infatti interessato solo una parte, seppur consistente, del dosso su cui sorge la chiesa e nell’area esterna non sono state individuate tracce di insediamento anteriore alla costruzione della chiesa in legno. Questo, però, non significa che non ci fosse un abitato nell’area interessata dalla cava di argilla. A parte la guarnizione ageminata, nessun altro reperto è riferibile alla cultura longobarda, ben attestata invece nel vicino sito di Trezzo. Su un edificio romano, le cui murature sono ancora almeno in parte con-

servate in alzato, si insedia, alla fine del VI secolo, un gruppo di longobardi. Ventisei sepolture, di cui una sola integra, si distribuiscono per “righe” intorno ad una tomba (in camera lignea) del “fondatore”. In seguito (termine post quem offerto da due tombe con corredo del primo trentennio del VII secolo, tagliate dalla facciata), viene costruita una chiesa, che si ipotizza sia stata “edificata da un eminente rappresentante della società longobarda con la funzione di racchiudere al suo interno un gruppo di tombe appartenenti al suo stesso gruppo famigliare e rendere così visibile alla comunità, monumentalizzandolo “more romano”, il luogo di sepoltura”5. Nel caso di San Tomé, l’assenza di sepolture in fase con la chiesa in legno non consente di dare un’interpretazione né sulla committenza, né sulla sua funzione, che si precisano meglio solo quando viene ricostruita in salda muratura. La cronologia è la stessa di Trezzo, ma il contesto insediativo appare fondamentalmente diverso, come differente è la cultura materiale, che si esprime nella costruzione di una chiesa in legno. Diffuse nel nord Europa, le chiese in legno sono assai più rare in Italia, dove paiono per lo più confinate nell’area alpina, salvo forse un caso sporadico nel comasco6. San Tomé di Carvico presenta, dunque, peculiarità proprie che non sono facili da spiegare: non è chiaro in quale contesto si collochi (non in un’area votata all’agricoltura, come si è detto); è costruita in legno, a differenza delle altre chiese altomedievali della Pianura Padana; non ha sepolture ad essa associabili, che ne palesino una funzione funeraria. E’ dunque anomala rispetto al trend usuale di una chiesa privata con funzione funeraria, che si inserisce in un’azienda romana e testimonia sia la continuità del suo sfruttamento, sia l’adesione ad un modello di culto funerario cristiano da parte delle élites del VII secolo7. Anomalia che ha probabilmente a che fare con le modalità di sfruttamento dell’incolto nel quale è ubicata. Il querceto è altresì adatto all’allevamento dei maiali. Nelle vicinanze poteva già allora passare una strada. Quel che è certo è che l’Isola Brembana, territorio del quale Carvico fa parte, come tutti gli altri che si distribuiscono, lungo l’Add...


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