Lattuada e Occhio Quadrato PDF

Title Lattuada e Occhio Quadrato
Author Andrea D'Agostino
Course Laboratorio di videoarte e installazioni audiovisive
Institution Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM
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Summary

Appunti fotografia/videoarte...


Description

Alberto Lattuada e Occhio Quadrato. Un prologo al Neorealismo Il 1941 è il primo anno di guerra per l’Italia, nella scelta del Duce Benito Mussolini di seguire la folle avventura di Adolf Hitler, allora apparentemente vincente sui diversi fronti del conflitto mondiale. Roberto Rossellini ha appena fatto uscire il film La nave bianca per il Ministero della Marina e sta girando Un pilota ritorna, su soggetto di Vittorio Mussolini; Vittorio De Sica, dopo Maddalena zero in condotta, è alle prese con Teresa Venerdì; Luchino Visconti tra la bassa del Pó e le colline marchigiane sta dirigendo le riprese per Ossessione. In quell’anno viene pubblicato a Milano, dalla casa editrice Corrente, un piccolo volume in brossura del giovane esordiente Alberto Lattuada, intitolato Occhio Quadrato. 26 Tavole Fotografiche1. Figlio di un musicista piuttosto famoso in quei tempi, Alberto Lattuada si era da poco laureato in Architettura al prestigioso Politecnico di Milano e aveva optato per il Cinema, in qualità di sceneggiatore e aiuto regista, per Mario Soldati nel film Piccolo Mondo antico. Necessario passaggio dalla disciplina appresa in università a quella praticata nella vita è la Fotografia, con le immagini pubblicate nella sua opera prima. Pare sia stato Mario Soldati 2 a suggerire il titolo, prendendo spunto dal formato delle immagini scattate con una macchina fotografica che produceva un negativo di cm 6x6. Nell’aggettivo quadrato, il titolo pare stabilire l’appartenenza e la continuità della fotografia di Lattuada rispetto alla misura classica del Razionalismo Italiano e, soprattutto, rispetto all’uso esemplare del formato quadrato fatto dall’architetto Giuseppe Pagano nelle immagini realizzate per la mostra “Architettura Rurale Italiana”3, esposta alla Triennale di Milano nel 1936. Nel sostantivo occhio, il titolo sembra anche indicare la centralità del retto uso dell’organo della visione nei riguardi della realtà dell’uomo e della storia, come chiarisce inequivocabilmente lo stesso Lattuada in prefazione: L’assenza dell’amore ha generato agli uomini molte calamità che si sarebbero potute evitare. Invece che la pioggia d’oro dell’amore è scesa sugli uomini la cappa nera dell’indifferenza. Ed ecco che gli uomini hanno perduto gli occhi dell’amore e non sanno più distinguere alcuna cosa, brancolano in una oscurità di morte. Da qui è incominciato lo scadimento graduale di tutti i valori, da qui è incominciata la distruzione della coscienza, isterilita fin nella radice: è una lunga catena che va a ancorarsi ai piedi del diavolo. Quanto grandi siano in questa faccenda le colpe degli spiriti eletti, degli artisti, dei sacerdoti della poesia, è difficile dire. Assenze, fughe, ritorni, polemiche, confusioni d’ogni specie hanno ridotto l’orticello delle Muse un mucchio di serpi e di sabbia arida pressoché impraticabile. I migliori si son chiusi in casa a coltivare fiori di serra, fiori rarissimi senza profumo. Invece io credo che sia proprio questo il necessario momento di tornare a esporsi in posizioni indifese, di abbandonare, sia pur per breve tempo, il lavoro della spietata analisi e delle troppo pedantesche ricerche di stile, e rinnovare il flusso d’amore che muove gli uomini verso l’unità. Occorre rifarsi alle grandi virtù, non avere paura dell’eloquenza, essere romantici al modo di Leopardi e di Manzoni. L’uomo aspetta che gli si ridia la 1

Alberto Lattuada, Occhio Quadrato. 26 Tavole Fotografiche, Corrente, Milano 1941 Piero Berengo Gardin, Alberto Lattuada Fotografo. Dieci anni di Occhio Quadrato 19381948, Alinari, Firenze 1982, p. 5 3 Giuseppe Pagano, Guarniero Daniel, Architettura Rurale Italiana, Hoepli, Milano 1936 2

ricchezza tolta, il calore dei sentimenti e degli affetti, la solidarietà cristiana ... Nel fotografare ho cercato di tener sempre vivo il rapporto dell’uomo con le cose ... Selciati di quiete piazzette, case possedute e abbandonate, vecchi muri, collinette cittadine soffocate dalle pietre, uomini per le strade, uomini al lavoro, uomini sospesi alla voce della poesia, uomini vinti, e dappertutto, in qualunque condizione, la tesa volontà di vivere e la necessità di amare e di sperare.

Il totalitarismo in quel momento imperante su tutta l’Europa continentale, la tragedia dell’immane conflitto in corso, che da lì a due anni avrebbe fatto conoscere all’Italia i bombardamenti a tappeto sulle sue città più importanti e un’ininterrotta serie di combattimenti e battaglie dalla Sicilia alle Alpi, sino agli episodi più eroici della Resistenza e ai fatti più ignobili della guerra civile, si situano per Lattuada nel cuore di ogni uomo, nella decisione di ogni coscienza, nella responsabilità primaria degli uomini di cultura, degli intellettuali e degli artisti. Le immagini di Occhio Quadrato hanno come esergo una breve poesia di Ernesto Treccani, intitolata “Gli uomini dormono”: Le strade sono vuote / e splendide di pioggia/ in fondo è l’arco solenne / dove gli uomini / dormono la notte.

Gli spazi urbani in cui si aggira Lattuada con la sua macchina fotografica sono quelli che si aprono al di là degli archi solenni dove riposa ancora intatta la bellezza della città storica, oltre l’arco di Porta Romana e oltre l’arco di Porta Garibaldi o di Porta Nuova a Milano. Così, nella prima immagine, sul fondo di un abisso semi-circolare che si apre dentro un gasometro abbandonato, quattro ragazzi sembrano contemplare la propria immagine sull’acqua stagnante che riflette e duplica la rovina del grande edificio. Nelle immagini immediatamente successive, uomini donne e bambini si aggirano in luoghi di ancora più profonda desolazione. Dall’ottava alla penultima immagine, lo sguardo di Lattuada si posa via via sugli antichi selciati di pietra dove antiquari e rigattieri ammassano, in inquietante disordine esterno, tutti gli oggetti una volta facenti parte dell’interno della casa: quadri, statue, vecchi mobili, piatti, vasi, sino alle scarpe e ai materassi. La sequenza si chiude con l’immagine di un’industria semidemolita, abbandonata tra le distese di erbacce che si allargano a perdita d’occhio al di là della figura ancora compatta e unitaria della città, a cui stavano dando fondazione moderna architetti come Giuseppe Terragni, Giovanni Muzio, Gio Ponti, Giuseppe Pagano. Con le immagini di Occhio Quadrato, compaiono nella fotografia italiana gli spazi desolati e le distese informi cui è stato dato il nome di periferie; in esse, per davvero e non solo metaforicamente, l’occhio dell’uomo pare perdersi in un irrimediabile disagio del cuore, incapace di riconoscere memorie del passato in cui dimorare, e si smarrisce nell’inquietudine dello sguardo, impossibilitato a trovare luoghi e aspetti del presente capaci di generare identità e appartenenza. Quelle rovine e quelle masserizie e quelle suppellettili ammassate nelle strade e fotografate da Lattuada, di lì a due anni, diventeranno la scena quotidiana in cui gli italiani saranno costretti ad aggirarsi impotenti, in balia di ogni violenza, in preda ad un destino che trasforma implacabilmente l’amico in nemico e l’apparente nemico in amico. Accolto con grande interesse e giudizi positivi nell’ambiente della letteratura e del cinema, Occhio Quadrato segna una svolta per la cultura visiva del nostro paese, che in questa opera

dà il primo segnale pubblico di maturità artistica e di assunzione di responsabilità nei confronti del dramma in corso nella storia. Il linguaggio visivo di Alberto Lattuada è certo una novità dirompente per la cultura italiana, ma non certo per quella americana da cui trae consapevolmente spunto. Emilio Cecchi, che fu tra gli sceneggiatori del film Piccolo mondo antico, per la fondamentale antologia di scrittori statunitensi Americana4, edita da Elio Vittorini per Bompiani nel 1943, scrisse nella prefazione: L’inizio della guerra 1914-1918 trovò i lettori di tutto il mondo a testa china sui romanzi russi. E l’inizio della nuova guerra, nel 1939, li ha trovati a testa china sulle novelle e sui romanzi americani.

Per illustrare il volume, Vittorini non usa immagini tratte dalla pittura americana, né tanto meno quelle tratte da fotogrammi di film prodotti a Hollywood, ma utilizza sistematicamente e in maniera straordinariamente rigorosa le fotografie più importanti scattate dagli autori americani, a partire da Mathew Brady, Timothy O’Sullivan sui campi di battaglia della Civil War, attraverso “The Steerage” di Alfred Stieglitz, sino a Edward Weston, Walker Evans, Dorothea Lange. Infatti, proprio sulla rivista “Corrente”, il 31 giugno 1939, viene recensito da Giulia Veronesi il volume American Photographs5 di Walker Evans, pubblicato l’anno precedente in occasione della mostra al Museum of Modern Art a New York, con le seguenti parole: Quanto ha realizzato Walker Evans con questo suo stupendo documentario non rifugge dall’essere opera d’arte, ma soltanto rifugge dall’arte come commento. Scarnificata e rigorosa, senza alcuna compiacenza estetizzante l’opera di Evans ci presenta l’aspetto di un’America non contaminata dall’influenza di un’Europa decadente, un’America innocente e naturale. Non visi né grattacieli né cow-boys, Evans ha guardato semplici case e uomini (i volti impersonali degli americani di ogni colore)6.

La rappresentazione dell’esterno sulle strade dell’immensa provincia americana, grande quanto l’intero continente, s’impone negli Stati Uniti, a partire dal 1936, proprio con la fotografia di Walker Evans e dei suoi compagni Dorothea Lange, Ben Shahn, Russell Lee, John Vachon7, ingaggiati da Roy Striker nell’agenzia governativa Farm Security Administration per documentare il dramma epocale di milioni di contadini scacciati dalla loro terra per effetto della Grande Depressione, seguita alla crisi delle Borse del 1929. Proprio come Walker Evans e gli altri autori della Farm Security Administration, Lattuada elimina nelle sue inquadrature qualsiasi elemento identificativo dei luoghi e dei volti, nella consapevolezza che il dramma in atto è rappresentabile solo a partire dal luogo comune, dal 4

Elio Vittorini, Americana, Bompiani, Milano 1943 Walker Evans, American Photographs, Museum of Modern Art, New York 1938 6 Ennery Taramelly, Viaggio nell’Italia del Neorealismo. La fotografia tra letteratura e cinema, SEI, Torino 1995, p.76 7 Roy E. Stryker, Nancy Wood, In This Proud Land, Galahad Book, New York 1973 5

volto comune, nella consapevolezza critica e artistica che solo ciò che è comune può diventare universale immagine della condizione umana. Nella lezione di American Photographs , Lattuada comprende che nel tempo moderno l’acme del dramma dell’uomo, il problema dell’abitare in pace e giustizia il mondo si situa nello sguardo, ovvero all’interno del tema dell’immagine. Dall’invenzione di Galileo, nello sguardo attraverso l’obbiettivo dilatato tra telescopio e microscopio, l’uomo si è scoperto, nella solitudine della sua finitezza, al limite dei due abissi insondabili del lontano e del vicino, del grande e del piccolo, sospeso, come testimonia Blaise Pascal, tra due infiniti. Nell’affrontare questo limite, nelle osservazioni sulla tecnica fotografica con cui conclude la sua prefazione, Lattuada pare rispondere a questa domanda: se l’infinito è la forma propria della realtà, come può l’immagine, nella finitezza insuperabile della sua rappresentazione, rivelare con verità la forma reale del mondo? Di fronte a questo interrogativo, che è il problema fondamentale della coscienza moderna, Lattuada segue le ragioni del cuore di Pascal, attraverso Leopardi e Manzoni e, con Evans, fa propria la nitida trasparenza della messa a fuoco dal primo piano sull’infinito, come l’unica via della fotografia capace di rappresentare la realtà. Scrive infatti Lattuada: Credo inutile fare osservazioni sulla tecnica fotografica. Mi pare giusto dire soltanto questo: recentemente ho visto pubblicata su un quotidiano di Torino una fotografia dalla quale, con l’aiuto di filtri, velature, bagni chimici e altri accorgimenti, l’autore era riuscito a ricavare un quadro; si trattava di una scena fluviale in controluce, sfumatissima ... Mi domando se sia il caso di ripetere che la fotografia è documento, è istantanea rivelazione della vita, è un punto di vista che implica giudizio e selezione dei fatti fissati nella loro apparenza essenziale.

La fotografia perfettamente a fuoco da un metro all’infinito, contrariamente a quella sfumatissima in auge in Italia tra Elio Luxardo e Ghitta Carell, è l’unica fotografia secondo Lattuada capace di rappresentare l’infinito vivo della realtà, certo non nella trascrizione spaziale, ma nella trascrizione temporale, che permette al soggetto che guarda l’osservazione e la contemplazione senza fine di ogni dettaglio, reso visibile dalla cristallina trasparenza dell’obbiettivo. Quando Alberto Lattuada scatta le sue fotografie tra le periferie di Milano e le Fondamenta degli Incurabili di Venezia, non c’è alcun dramma in atto in Italia paragonabile a quello americano degli anni precedenti e, tanto meno, alla tragedia che si scatenerà in Italia di lì a poco e che darà vita a Roma città aperta e a Paisà di Roberto Rossellini. Eppure, nelle immagini di Occhio Quadrato è proprio l’irrimediabile rovina della condizione umana, il silenzioso dolore degli uomini vinti, ad essere insieme soggetto e scena della sequenza visiva. Come nei capolavori cinematografici della breve stagione del Neorealismo, ciò che permette di guardare e di rappresentare, in un’immagine speculare e obbiettiva, il dramma della realtà, è proprio lo sguardo gettato su di essa dagli occhi dell’amore. Giovanni Chiaramonte...


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