Moda e arte - Riassunto Moda e arte - Moda e arte PDF

Title Moda e arte - Riassunto Moda e arte - Moda e arte
Course Storia della moda contemporanea
Institution Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM
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Moda E Arte a cura di Marco Pedroni e Paolo Volontè

INTRODUZIONE Prima di iniziare bisogna mettere in chiaro alcuni concetti chiave: - moda e arte > due concetti che variano col variare del consenso storico e geografico, cioè col variare della cultura di riferimento. La moda non è qualcosa di costante e quindi di conseguenza la relazione della moda con l’arte può variare nel tempo e nello spazio in relazione a questi mutamenti della sua stessa natura. - la relazione tra moda e arte può essere studiata collocandosi su almeno tre diversi terreni di ricerca: oggetti (le creazioni dei maggior fashion designer possono essere equiparate a delle opere d’arte? a quali condizioni e in che misura l’arte è una moda?); pratiche (artisti e stilisti, modi di fare arte e modi di fare moda) e infine sfera istituzionale, ovvero dei “mondi” sociali cui appartengono, di volta in volta, artisti e stilisti.

PRIMA PARTE. L’ARTE DELLA MODA. Fin dai primi grandi couturier parigini, alla fine del XIX secolo, la moda ha preso a modello i mondi dell’arte per definire se stessa, spesso identificarsi, altrettanto spesso per contrapporsi: in entrambi i casi per ritagliarsi un ruolo definito nel panorama delle professioni creative.

CREATORE, ARTISTA O DESIGNER? IL PROBLEMA DELLA LEGITTIMAZIONE. Enrica Morini. 1. Alle origini della questione “Non si pagano a Vernet solo le tele e i colori” era stata la risposta di Rose Bertin, la più famosa marchandes de modes, alla critica sui suoi abiti di scarso valore e di costi altissimi. Il prezzo di un opera d’arte comprende una serie pressoché infinita di valori immateriali, fra i quali primeggiano la creatività dell’artista stesso, la sua reputazione e il successo di cui gode > questo riconoscimento cominciavano a chiederlo anche i couturiers. Quasi un secolo dopo Worth dichiarò “io sono un artista”. Prime volte che nella storia della moda occidentale fu proposta l’idea di un parallelismo tra moda e arte con l’obbiettivo di dare credibilità e fama ad un settore che fino a quel momento aveva vissuto nell’ombra. I creatori di moda da quel momento cominciarono ad adottare l’arte come fonte d’ispirazione, diventare collezionisti e lavorare a stretto contatto con gli artisti o ricercare la loro collaborazione.

2. Moda e arti applicate La questione di un possibile parallelo fra le due professioni, artista e couturiers, si affrontò seriamente, per la prima volta negli anni settanta dell’Ottocento, quando la produzione industriale, gli albori di una società di massa e la presa di coscienza di una modernità fatta anche di un nuovo mondo di oggetti destinati alla vita quotidiana rivoluzionarono la concezione accademica dell’arte e accesero l’attenzione sulle arti decorative. Il clima culturale era quindi particolarmente aperto a ogni forma di arte decorativa, a partire da quelle più strettamente legate all’architettura per arrivare alle produzioni extraeuropee o a quelle inerenti al lusso.

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Non a caso l’idea di dedicare una mostra alla moda nacque a Parigi, centro universalmente riconosciuto dell’invenzione delle novità e della produzione di lusso. NB: Blanc affermava che per arte applicata non era da intendere ciò che aveva a che fare con l’architettura (come, di fatto, sostenevano gli inglesi), ma reclamava un ruolo di artista anche per coloro che di occupavano di decorare la figura umana. Anche la moda era una manifestazione della società che l’aveva prodotta, esattamente come l’arte di ogni epoca.

3. Poiret o l’art de la robe Perché i creatori di moda potessero tornare ad essere un tema interessante per il mondo dell’arte si dovette aspettare il 1911, quando “Art et Decoration”, una famosa rivista di arte moderna, dedicò un lungo articolo a Paul Poiret. Il giornalista sottolineava a più riprese che tutte le creazioni di Poiret rispondevano a quel gusto estetico dei “pittori e dei decoratori moderni” che i critici d’arte e la stessa rivista consideravano in quel momento all’avanguardia. Le stesse fonti d’ispirazione di Poiret erano comuni a quelle di molti altri artisti: il japonisme, oppure l’elegante linearità del Direttorio e dell’epoca napoleonica, ma anche la ricchezza decorativa bizantina.. Ormai la barriera che separava il mondo dell’arte da quello della moda era abbattuto: all’Exposition internationale des art dècoratifset industriel modernes del 1925 le creazioni dell’haute couture stavano accanto a quelle degli architetti e degli artisti delle arti applicate. Trent’anno dopo, a Milano, Marucelli avrebbe esposto i suoi modelli alla Triennale. Chanel e Schiaparelli lavoravano e avevano rapporti personali con gli artisti più famosi, Vionnet li utilizzava nel suo atelier ed era riuscita a far applicare sui propri oggetti di moda il copyright delle opere d’arte. Il problema non esisteva più, quindi non valeva più la pena parlarne.

4. Moda e Design Le trasformazioni della società e della cultura del Novecento, e soprattutto quelle che riguardavano la moda e le arti applicate, riproposero la questione più di mezzo secolo dopo. Alla fine degli anni 70 le abitudini di consumo della società di massa avevano ormai imposto un tipo di prodotto più “democratico”- nella moda dall’haute culture fu sostituita dal pret a porter mentre le arti decorative furono totalmente soppiantate del moderno industrial design. Il primo era progettato dagli stilisti, il secondo da architetti e grafic, ma entrambi erano prodotti dell’industria. Ancora una volta i due mondi cominciarono a studiarsi per capire differenze e similitudini. Ancora una volta si cominciò tentando di elevare la moda alle arti più nobili, depurandola dalla sua natura più effimera e mercantile. NB: l’associazione tra le due professioni, però, non doveva trovare unanime consenso - agli stilisti non importava molto perché avevano già la loro fama mentre agli architetti e ai grafici dichiararono il loro dissenso. DIFFERENZE: differenza strutturale, che rendeva l’oggetto di moda totalmente diverso da quello di design e che richiedeva un metodo di progettazione specifico: il movimento. UGUALIANZE: La sensazione era che moda e design d’avanguardia avessero gli stessi riferimenti culturali e parlassero la stessa lingua: forme provocatorie e cromi stravaganti, il piacere della fantasia e in indubbio eclettismo. C’erano però alcune caratteristiche della moda che attraevano i designer della nuova avanguardia: la breve durata e l’estetica della decorazione. Erano i due capisaldi che avevano sempre impedito una vera elevazione

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della moda ad arte, ma nel momento in cui i consumi di massa si stavano imponendo in modo definitivo anch’esse cominciarono ad assumere un significato che coinvolgeva la cultura e la produzione industriale. La decorazione diventava l’ultima frontiera del nuovo e della fantasia, quella che tradizionalmente segnava la breve vita dei modelli di moda e che ora stava per essere condivisa da tutte lue altre categorie di beni di consumo. Ci si augurava che anche l’architettura avesse le sue sfilate, avesse un carattere stagionale! Il nuovo design cominciava ad esplorare questo mondo e indubbiamente la moda italiana era al suo fianco. Il pubblico a cui si rivolgeva era lo stesso.

A questo punto la performance dell’artista di grido può usare il linguaggio e i mezzi di comunicazione della moda e la moda, dal canto suo, può mandare in passerella una sfilata di abiti che non saranno mai prodotti e che mette in scena solo la creatività dell’artista.

DAL BALLO AL MUSEO: COME L’ABITO DIVENTA OPERA D’ARTE. 1. Artigianato e arte, i concetti chiave un tempo si pensava in questo modo> se x è funzionale, x è artigianato, mentre se x non è funzionale, x è arte La principale argomentazione contraria all’elevazione della moda al rango di arte è stata tradizionalmente quella della funzionalità. Ultimamente questo ragionamento è stato respinto e per una buona ragione: pure l’architettura ha una funzionalità, ma il suo status di membro delle arti liberali non è mai stato messo in discussione. Gli argomenti a favore del fatto che la moda sia arte emergono in continuazione. “L’abito è una forma di arte figurativa, una creazione di immagini che usa il se visibile come medium [..] come ogni arte figurativa, l’arte del vestire ha una sua particolare storia, un flusso perpetuo di immagini che scaturiscono da altre immagini”.

2. Il dibattito tra la moda come arte e la moda come artigianato La prima volta che su un Bollettino del Metropolitan Museum è stato posto questo problema “Is Fashion Art?” furono gli artisti a opporsi con maggior forza affermando: per essere un’arte, la moda dovrebbe essere un’espressione diretta di chi la indossa, invece in realtà è l’espressione di un’idea del designer, “un bozzetto disincarnato”. Negli anni ottanta il dibattito su questi temi si poté trasferire in un ambito pubblico più vasto, con il contributo: - delle riviste di d’arte > il cambiamento radicale nella percezione dello status della moda come arte fu inaugurato dalla più importante rivista internazionale d’arte contemporanea che pubblicava in copertina anche abiti d’alta moda e questo equivaleva immediatamente a riconoscere che la moda poteva far parte del sistema delle arti; - le mostre di moda > non in musei specializzati, la novità fu nell’allestire le mostre di moda nei musei d’arte

3. Ribaltare la prospettiva ma se facessimo la domanda inversa: un opera d’arte può essere considerata artigianato? La risposta indubbiamente è affermativa! Ma è lo scopo finale che interferisce di più sul dibattito.. 4.Tre risposte alternative Qual’era lo scopo di “Uccello nello spazio” di Brancusi? Dare piacere estetico. Qual’era lo scopo del completo di Paul Poiret intitolato “Sorbetto” creato per la moglie Denise? Essere ammirato dagli invitati al ballo in costume e essere indossato.

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Qual’era lo scopo della Maestà di Duccio, pala d’altare dipinta per il duomo di Siena? Ispirare sentimenti religiosi in un luogo di culto. Tre oggetti apparentemente diversi, creati per un diverso scopo alla fine si trovano a condividere lo stesso contesto, il museo. Hanno perso la dimensione funzionale e sono diventati oggetti di contemplazione estetica. Originariamente i loro scopi erano distinti ma li accomuna il fatto che sul loro status abbia interferito l’azione di un insieme di fattori: istituzioni, storia dell’arte, statuto teorico, intenzionalità ecc.

5. Couture e arte, arte e couture In questo dibattito un posto particolare va riservato a quattro couturier - a differenza di Chanel, che rifiuta di accettare che l’haute couture fosse una forma d’arte - si considerano artisti: Paul Poiret, Elsa Schiaparelli, Madeleine Vionnet e Roberto Capucci. PAUL POIRET Grande amante dell’arte, belle sue memorie il famoso couturier equipara il suo mestiere a quello dei pittori. La sua affinità con il mondo dell’arte era abbastanza tangibile, dato che non solo egli si considerava un artista, ma era amico degli artisti e collaborava con loro. Nel 1910 aprì addirittura una galleria d’arte. Il paradosso legato alla natura della moda insiste nel fatto che gli abiti sono oggetti funzionali prodotti in massa per il consumo ordinario, e che solo i capi esclusivi della haute couture possono aspirare allo status d’arte > questo discorso perché Poiret aveva inventato le famosissime tuniche a paralume e i pantaloni alla turca che si diffusero in maniera straordinaria, amatissime da tutta la società di massa femminile. Si potrebbe sostenere che l’abito a paralume di Poiret non rientra nella definizione di arte, perché non un oggetto unico, bello e creato da un artista. Il nodo della questione è un altro però: Poiret era un couturier, e fino ad allora non vi era la possibilità di passare da una sfera d’attività all’altra. Questa era la vera barriera che impediva a Poiret d’essere accettato come artista. ELSA SCHIAPARELLI nel 1930 gli inizi della collaborazione coi surrealisti nello specifico Salvador Dalì e Jean Cocteau, passaggio che avviò la sua carriera. Considerata “la sola vera artista della haute couture” - “unica fashion designer che interpretasse il surrealismo efficacemente incorporandone la filosofia del proprio stile unico” . Fu la sua abilità a produrre tale fusione, in grado di liberare la moda dallo status di “mera sartoria” per trasformarla in qualcosa di più elevato. MADELEINE VIONNET Inventò una complessa tecnica di drappeggio, grazie alla sbiegatura, con cui i vestiti venivano prodotti a partire da tre forme archetipiche - quadrato, rettangolo e cerchio - combinate in variazioni infinite. Il risultato era una struttura modernista che si rifaceva proprio all’architettura di Le Corbusier e all’art decò. inoltre l’amore di Vionnet per l’antichità classica, e in special modo per l’arte greca, è evidente non solo nell’uso del drappeggio sullo stile di chitone, ma anche in quanto fonte d’ispirazione figurativa. o ROBERTO CAPUCCI La carriera nella moda di Roberto Capucci incomincia nei primi anni 50, dopo un periodo di successo commerciale decide di intraprendere un cammino artistico, tanto che la logica tridimensionale dei suoi abiti trova analogie nella scultura e nell’architettura

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Soluzione bivalente per gli status degli abiti - li passiamo considerare a volte come arte e a volte come artefatti, pochi metterebbero in discussione un atto essenziale: si tratta di oggetti belli da contemplare e che, in quanto tali, favoriscono un’esperienza estetica.

STILE E SOCIALISMO: QUANDO LA MODA DOVEVA ESSERE ARTE Unione Sovietica - 1917 - La moda cominciò a venir disprezzata e restò ideologicamente sospetta durante i mutamenti politici e sociali, in quanto nata in occidente e parte della tradizione culturale e commerciale di matrice borghese rifiutata dal socialismo. La moda poteva essere accettata solo se percepita come arte. L’abito artistico era un costrutto ideologico, un discorso convogliato dai media, che erano controllati dallo stato, nonché la dimostrazione di tutte le perversioni del sistema economico socialista, che rifiutava le leggi del mercato e, di conseguenza, l’abito come oggetto che può essere acquistato e indossato. In un periodo storico durato settantadue anni l’abbigliamento s’è piegato a estetiche diverse, dall’astrattismo utopico del costruttivismo alle esplorazioni sartoriali cubo-futuriste, fino alla versione russa dell’art dèco e, infine, al paradigma del realismo socialista impostosi durante lo stalinismo e rimasto l’espressione artistica ufficiale fino alla fine del periodo socialista.

Costruttivismo: rifiuto ideologico del fenomeno moda seguito alla rivoluzione del 1917 - l’abito dalle linee dritte e geometriche, ispirato da un desiderio di totale cambiamento dei gusti e delle gerarchie di genere. Tutti iniziò con la produzione di abiti da teatro poi destinati alla vita quotidiana. I costruttivisti puntavano inoltre un design totalmente industriale improntato a cancellare ogni traccia di artigianalità; ma l’idea di sottomettere totalmente le belle arti e le arti applicate all’industria venne alla fine respinta perché troppo estrema. Il cubo-futurismo: i cubo-futuristi russi riducevano la realtà ad astrazione - piatte forme sartoriali dallo stile cubista. Lamanova trova dinamismo e contrasto negli abiti etnici, prediligendo la gonna ucraina e sostenendo che la sua forma stretta intorno ai fianchi, in combinazione con un ampio camicione, dia vita a un abito di ingegnosi contrasti.

L’art dèco: estetica piena di colori e di motivi etnici reinterpretati. I motivi etnici non adempivano solo alla funzione di abbellire gli abiti, ma anche quella di garantire loro uno status artistico anziché di moda. Si usavano tagli rettangolari per ottenere abiti dalle linee allungate e pulite, decorati con applicazioni etniche oppure con linee di colori contrastanti.

Il realismo socialista: inizio anni trenta si cambiò nuovamente opinione ritenendo che l’industria non poteva sostituire l’artigianato. Ma questo non segnò la fine della relazione tra moda e arte. In quel periodo l’abbigliamento si ritrovò coinvolto in un genere d’arte totalmente nuovo e differente: il realismo socialista. Se i precedenti movimenti artistici erano stati implicati in rapporti dinamici di rifiuto , confronto, collaborazione e scambio con l’occidente; il realismo socialista, invece, segnalò una netta rottura dei rapporti con l’occidente. Il realismo socialista nacque con lo stalinismo > che sottopose il paese a un duro processo di industrializzazione. Un’improvvisa svolta ideologica che attribuì alla moda un ruolo altamente rappresentativo e finì per imporle uno stile iperdecorativo del tutto particolare, corrispondente ai caratteri estetici fondamentali del realismo socialista: grandezza, classicismo,unicità e preziosità. Mentre l’avanguardia voleva cambiare il mondo, il realismo socialista mirava ad abbellirlo. La nuova estetica fondeva inoltre le tradizione etnica russa col glamour hollywoodiano.

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Spesso però tutti questi abiti non potevano essere prodotti in massa, ma rimanevano a languire in un eterno mondo perfetto. Come qualsiasi artefatto artistico. A differenza dell’approccio sovietico , incapace di riprodurre in serie i suoi troppo ambiziosi abiti artistici, i principali stilisti occidentali seppero attenuare l’aura artistica delle loro creazioni per consentirne una produzione di massa. Gli stilisti occidentali potevano presentarsi come artisti quando volevano, mentre in Unione Sovietica i designer d’abbigliamento erano considerati come tali artisti e, conseguentemente, producevano principalmente disegni e prototipi. La produzione in serie di abbigliamento semplice e di prima necessità era lasciata all’industria.

ABITI CHE FANNO OPINIONE. La moda può diventare portatrice autonoma di cultura e, così facendo, diventare molto più simile all’arte. Attraverso varie forme artistiche si possono favorire processi di innovazione sociale, nel caso della moda invece questi processi sono molto meno scontati. Se un abito non esiste senza il corpo che lo indossa, allora è vero che tutte le iniziative culturali che la moda può intraprendere rimangono proposte, che si ritengono disponibili nel discorso del pubblico e che possono essere attualizzate soltanto da un corpo di genere maschile o femminile, di una certa fascia di età, di una certa taglia e portatore di un certo capitale sociale e culturale. E’ la voce di questi corpi che può dare forma a quelle innovazioni culturali che il mondo della moda può preconfezionare per noi.

La moda come arte allografica o/e autografica allografica - opera letteraria e sinfonia > ogni esecuzione della partitura è di per se originale, così come lo è ogni ristampa del libro. In altri termini, il sistema di notazione musicale individua come opera d’arte autentica un intera di esecuzioni connesse a quello spartito autografica - quadro di Picasso > ogni tentativo di riproduzione dell’unica copia originale del quadro produce un falso. Come possiamo classificare il sistema moda? La moda può essere un arte sia autografia e sia allografica: - un abito è falsificabile come un Picasso - una borsa di Hermes falsa è l’esito di un processo di contraffazione che si origina nella storia di produzione di quell’oggetto. In questo senso la moda funziona in modo autografico. - al contrario, se consideriamo le dimensioni allografiche presenti nel sistema moda, esse diventano per noi illuminanti. Un abito, infatti, è più simile ad uno spartito musicale piuttosto che a un libro di Picasso.Un abito necessità di un’esecuzione, di una performance corporea che lo esegua, cioè che gli dia vita. In altri termini, un abito richiede di essere indossato e soltanto allora si completa come opera.

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SECONDA PARTE. L’ARTE NELLA MODA. In questa parte viene discusso in che misura alcune professioni del sistema moda possano essere assimilate alle professioni artistiche.

L’ARTIFICAZIONE PARZIALE DEI MONDI DELLA MODA. 1.Mondi dell’arte e sistema della moda B...


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