Moda e Pubblicità PDF

Title Moda e Pubblicità
Author camilla Bianchi
Course Culture e tecniche della moda
Institution Università di Bologna
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riassunto dettagliato...


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Moda e pubblicità, una storia illustrata 1. Dalla moda aristocratica all’alta moda Abitualmente si ritiene che la moda sia nata in Europa alla fine del Medioevo con il continuo cambiamento dell’abbigliamento e le sempre più evidenti differenziazioni nel modo di vestire tra i due sessi. A partire da questo momento e per diversi altri secoli, è l’aristocrazia (che comandava nella società) a porre un particolare interesse nei confronti della moda. Da subito la moda, però, necessita di disporre di alcuni strumenti di diffusione e di comunicazione: è per questo motivo che nascono le cosiddette “bambole di moda”, le quali, inviate in tutta Europa, potevano esibire le nuove proposte nel campo del vestiario della Corte di Francia. Il loro ruolo è però a poco a poco svanito a causa della nascita dei primi giornali dedicati alla moda che si sono imposti, in quanto decisamente più efficaci nel proporre le novità e facilmente diffondibili. Il primo giornale di moda è stato il “Cabinet des Modes” creato da Lebrun Tossa nel 1785, anche se il primo VERO giornale di moda viene oggi giorno considerato “Le journal des Dames et des Modes” del 1797. Nel 1829 inoltre nasce “La Mode” per merito di Émile de Girardin, giornale che in poco tempo diventa un fondamentale punto di riferimento, anche grazie alla presenza di scrittori come Honoré de Balzac e di disegnatori come Paul Gavarni. La rivista dedicata alla moda diventa quindi il fulcro centrale per lo sviluppo di essa stessa e nel 1840 a Parigi se ne contano già una ventina. (Probabilmente se la moda non fosse stata oggetto di discorsi che la promuovevano, così come facevano i giornali, non si sarebbe affermata in questa maniera nel corso del tempo). Che le riviste fossero di vitale importanza per la diffusione della moda, lo dimostra il fatto che, durante l’epoca dell’alta moda, nata a metà dell’Ottocento, il couturier inglese Charles Frederick Worth (che ha lanciato il modello dell’alta moda con l’apertura del suo atelier a Parigi nel 1857) ha cercato di ampliare il suo mercato pubblicando le sue creazioni sulle riviste dell’epoca: le sue acquirenti erano infatti solo poche migliaia di aristocratiche e ricche borghesi ma un elevato numero di altre donne poteva ricreare i suoi abiti consultando e sfogliando le riviste. Per questo motivo i couturier dell’epoca non avevano bisogno di ricorrere al manifesto, già in uso presso aziende di diversi settori, perché appunto i giornali e le riviste erano già sufficientemente in grado di influenzare grandi masse di donne e inoltre si temeva che la loro immagine sofisticata e d’élite potesse diventare troppo popolare. Successivamente però sono emerse aziende d’abbigliamento che hanno tranquillamente iniziato a fare uso dei manifesti. Ciò in Italia è avvenuto nei primi anni del Novecento: Achille Beltrame ha realizzato nel 1901 un manifesto per l’azienda veneta produttrice di Loden Dal Brun; Leopoldo Metlicovitz ha realizzato un manifesto per i grandi magazzini di abbigliamento di Napoli “Mele” e uno per l’azienda di calzature di Varese; Dudovich ha invece collaborato spesso con l’azienda di cappelli “Borsalino” e nel 1928 ha realizzato un iconico manifesto nel quale si vede un uomo che guarda estasiato la vetrina in cui è stato esposto un cappello Borsalino. Enrico Sacchetti ha ritratto in un manifesto del 1914 un uomo elegantemente vestito (a sx) al quale viene consegnato da parte di un servitore di colore un abito che si suppone appena uscito dalla grande scatola dei magazzini “Mele” appoggiata in terra; Achille Luciano Mauzan, francese di origine ma che ha vissuto a Milano per quasi tutta la vita, ha realizzato invece un manifesto per l’azienda di cappelli “Alexandria” nel quale 4 uomini di diverse fasce d’età sventolano un berretto su una decappottabile. A poco a poco anche altri paesi hanno iniziato ad impiegare il manifesto e ciò che faceva la differenza principale era lo stile: la Francia, per esempio, si riconosceva per l’influenza esercitata dall’Art Nouveau, mentre l’America prediligeva uno stile più realista. Le riviste della moda continuano ad accrescere la loro importanza nel corso dei decenni ma è soprattutto negli anni Venti del Novecento che potenziano la loro capacità di diffusione soprattutto anche grazie alla sostituzione dei disegni con le fotografie. Due riviste in particolare si affermano: “Harper’s Bazaar” e “Vogue” creata nel 1892 da Arthur Turnure e acquistata nel 1909 dal gruppo editoriale Condé Nast. Tra le due riviste nasce una forte competizione che porterà Vogue a predominare. Vogue ha in un primo tempo fatto ricorso a De Meyer, considerato L’INIZIATORE della fotografia di moda. Ma è stato solo quando Steichen ha preso il suo posto che si può dire veramente sia nata la fotografia di moda perché Steichen abbandona il cosiddetto “pittorialismo” adottato da De Meyer favorendo uno stile realistico che

privilegiava donne ATTIVE e in CONTINUO MOVIMENTO, SPAZI ALL’APERTO e GIOCHI DI LUCI E OMBRE. Negli anni Trenta altri fotografi hanno seguito questa strada. In questi anni si è intensificato il processo di emancipazione femminile che ha dato un notevole impulso allo sviluppo della moda e dei suoi strumenti di comunicazione.

2. Guerra e dopoguerra: crisi e rinascita della moda Le due guerre mondiali hanno quasi completamente distrutto il sistema economico europeo e di conseguenza rallentato lo sviluppo della comunicazione pubblicitaria. Fatta eccezione per gli Stati Uniti che invece non hanno subito questi tipi di problemi e anzi, hanno goduto tra gli anni Quaranta e Sessanta di un lungo periodo di sviluppo economico. Di questo ha beneficiato chiaramente anche la comunicazione pubblicitaria che, a differenza di quella europea rimasta paralizzata, ha potuto strutturarsi come un vero e proprio sistema industriale basato su una rete di agenzie. Evidente è l’influenza che l’impostazione tipica del marketing aziendale, disciplina che si stava diffondendo in America in quegli anni, ha esercitato sulla pubblicità. La fase espansiva attraversata dalla pubblicità americana ha però stimolato anche lo sviluppo di quella che è stata chiamata “rivoluzione creativa” in cui personaggi come David Ogilvy, Leo Burnett e soprattutto Bill Bernbach hanno saputo dare vita ad annunci così innovativi da rappresentare ancora oggi fondamentali punti di riferimento per il mondo pubblicitario. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, la moda riparte anche in Europa e Christian Dior è il nuovo protagonista per eccellenza. La sua “linea a corolla”, soprannominata in seguito “New Look”, rispecchiava perfettamente le esigenze delle donne bisognose di rivivere l’eleganza e il lusso che negli anni della guerra erano stati completamente dimenticati. Di conseguenza Dior esaspera le forme femminili mettendo in evidenza il seno, la vita e i fianchi e incrementa la femminilità con tacchi a spillo, cappellini infiorati, guanti, foulard e ombrellini. Grazie al suo successo Dior riesce a rilanciare l’alta moda francese che eserciterà la sua egemonia sull’abbigliamento per tutti gli anni ‘50 insieme al lavoro di altri stilisti come Balenciaga, Givenchy, Balmain e Fath. Di quest’ultimo è interessante un annuncio del 1955 realizzato da René Gruau nel quale viene raffigurata una ragazza su fondo rosa che indossa una calzamaglia nera e un cappuccio dal quale spuntano soltanto gli occhi e che sembra una ladra. Particolare è lo stile utilizzato da René Gruau, caratterizzato dall’impiego di un tratto curvilineo e di pochi colori forti e contrastanti. La donna inoltre era sinuosa, aveva la vita stretta e i fianchi pronunciati e impiegava molti raffinati accessori, proprio come faceva Dior, questo spiega il legame tra i due. Il successo di Dior ha però portato ad un progressivo indebolimento dell’alta moda in quanto egli proponeva un modello di femminilità ben differente dalla realtà quotidiana vissuta dalle donne in quegli anni in cui la società si mostrava sempre più modernizzata. L’alta moda ha cominciato dunque, piano piano, a perdere terreno e ciò è avvenuto anche a causa dell’industrializzazione dell’abbigliamento e della produzione degli abiti in serie con taglie standardizzate. Naturalmente le nuove industrie iniziarono a lanciare i loro messaggi pubblicitari che però si mostrarono ancora troppo elementari, ad eccezione del manifesto realizzato da Armando Testa per “Facis: si tratta di un uomo che sta correndo con un completo grigio sotto braccio. Tale immagine invita il consumatore a “correre a comprare” l’abito pubblicizzato ma esprime anche il senso di dinamicità, velocità, modernità e continuo cambiamento.

3. La rivoluzione dei giovani nella moda A partire dagli anni Cinquanta la fotografia ottiene un maggiore riconoscimento sociale ma è solamente negli anni Sessanta che la fotografia si afferma socialmente conquistando una maggiore libertà espressiva. Ciò è avvenuto grazie all’emergere di fotografi che hanno iniziato a documentare la realtà sociale, meno vincolata dalle imposizioni stabilite dalle industrie e dallo stile dell’abito. A partire dagli anni Sessanta nasce il prêt-à-porter che mette in crisi l’alta moda con la sua semplicità ed economicità. Secondo il modello del prêt-à-porter gli abiti dovevano essere semplici ed accessibili sul piano economico ma curati ed innovativi sul piano stilistico. Essendo così innovativo, il prêt-à-porter ha in un certo senso fatto fronte alle necessità dei giovani che chiedevano di avere una maggiore libertà e di poter

liberare il loro corpo e la loro sessualità dalle convenzioni sociali: l’industria del prêt-à-porter ha dato il via a un modo di vestire colorato, divertente, vivace e libero dalle rigidità tradizionali. Anche la comunicazione cambia e il prodotto non più solo al centro del messaggio pubblicitario, anzi, vige la regola della libertà espressivo e per la prima volta nella storia in due campagne pubblicitarie riguardanti intimo femminile e maschile, compaiono due corpi completamente nudi. Il corpo è protagonista -> vedi anche pubblicità Levi’s. Walter Albini è il primo esempio di prêt-à-porter in Italia e il primo che abbandona Firenze per trasferirsi a Milano. Secondo lui, lo stilista doveva essere in grado di cogliere le tendenze sociali e di creare abiti facilmente realizzabili dalle industrie. Lui stesso ha cercato di rappresentare al meglio questa figura: ha dato il suo stesso nome alla prima linea indipendente italiana di prêt-à-porter (W.A.), è apparso sui giornali indossando i suoi abiti e ha posato nelle fotografie delle sue campagne pubblicitarie. Il suo esempio è stato seguito da altri diversi stilisti italiani tra cui Armani, Versace, Missoni e Ferrè. È stato però Fiorucci che ha incarnato la figura dello stilista grazie alla sua capacità di operare tra la creatività tipica dei giovani e il prêt-à-porter industriale. Ha inoltre aperto numerosi punti vendita in tutto il mondo e creato prodotti popolari ma allo stesso tempo innovativi comunicando attraverso messaggi pubblicitari con uno stile pop, colorato e pieno di energia. Le ragioni del successo del prêt-à-porter risiedono anche nella sua capacità di recuperare le delusioni di tanti nei confronti delle ideologie politiche e di assecondare quella centralità che il corpo stava ormai assumendo. Simonetta Buffo individua due strategie di comunicazione: quelle basate sull’IDENTITÀ STILISTICA (a cui facevano ricorso gli stilisti perché esse prevedevano che ci fosse un’identificazione totale tra la personalità del creatore di moda e l’immagine di marca comunicata nei messaggi. UNA COMUNICAZIONE DUNQUE FINALIZZATA A METTERE IN EVIDENZA LA QUALITA’ DEI MATERIALI E DEL DESIGN DELL’ABITO) e quelle basate sull’IDENTITÀ D’IMMAGINE (sono proprie delle aziende che puntano sulla marca, la quale viene presentata in maniera esplicita). ES: Facis e Marzotto, il primo comunicava in modo più tradizionale ed elementare, il secondo ha adottato un linguaggio più moderno ed originale.

4. La trasgressione degli anni Settanta Negli anni Settanta le aziende francesi, a differenza di quelle italiane, mostravano di aver già compreso le possibilità della comunicazione pubblicitaria. La Francia infatti, come ben si sa, aveva una storia più lunga alle sue spalle e di conseguenza maggiore esperienza e consapevolezza. Questo ha probabilmente permesso un salto di qualità nella fotografia della moda che ha sviluppato un dialogo con la realtà sociale ed è riuscita a riflettere i cambiamenti dei ruoli sessuali. Tra i lavori più innovativi di quegli anni ricordiamo quelli di Newton e Bourdin. Entrambi infatti si sono mostrati capaci, dopo aver conquistato maggiore libertà rispetto alle richieste dei loro committenti, di interpretare un’epoca di forte liberazione sessuale e di emancipazione femminile. Newton ha infatti mostrato in molte delle sue fotografie donne forti e competitive con gli uomini anche nell’ambito sessuale: si pensi alla celebre fotografia di una donna su un divano che con le gambe aperte guarda vogliosa un uomo a torso nudo, oppure alle pubblicità realizzate per Mario Valentino e Anna Molinari – Blumarine, nelle quali le donne si dimostrano aggressive, sicure e dominanti. Newton però non riproduceva affatto la realtà: le sue immagini non erano realistiche ma attentamente costruite. Egli crea situazioni ad alto contenuto erotico, quasi sadomasochistico, che non combaciano con la realtà sociale ma sono irreali immagini di immagini (simulacri). Ciò, risulta maggiormente evidente nelle fotografie di Bourdin, basate anche in questo caso su rappresentazioni dal contenuto erotico e che addirittura esprimevano significati di tipo feticistico o presentavano simboli fallici. Bourdin però, a differenza di Newton, usava un linguaggio, nelle sue campagne pubblicitarie, ancora più lontano dalla realtà perché era influenzato dal surrealismo. A prescindere da questo si può affermare che sia Newton che Bourdin utilizzassero linguaggi diversi da quello reale. In quegli anni inoltre la fotografia della moda ha saputo dare spazio non solo a figure di uomo come oggetto di desiderio per le donne ma anche a figure di uomo come oggetto di desiderio omosessuale: ne è

un esempio la campagna pubblicitaria per il primo profumo da uomo di Yves Saint Laurent nella quale lo stesso stilista viene fotografato completamente nudo. Uno scatto che ha probabilmente aperto maggior spazio alle tematiche omosessuali all’interno delle pubblicità (anche se in altre categorie di vendita ciò non avveniva se si considerano nazioni come l’Italia e la Spagna molto legate alla religione cattolica). Negli anni Settanta sono uscite anche le originali fotografie “romantiche” di Sarah Moon scattate per la marca francese “Cacharel”, seguendo lo stile appunto del marchio. Sarah Moon però ha anche rappresentato lo spirito trasgressivo generale dell’epoca mettendo ad esempio in scena giochi tra adolescenti e donne mature. DA RICORDARE: nel 1972/1973 in Italia escono i jeans “Jesus”. Due annunci in particolare hanno suscitato scandalo. Il primo presentava in primo piano jeans con la cerniera abbassata con scritto “non avrai altro jeans all’infuori di me”; il secondo presentava invece un sedere fasciato di jeans e lo slogan “chi mi ama mi segua”. Lo scandalo fu dettato dall’accostamento di tali significati con la religione cattolica.

5. Gli anni Ottanta: l’affermazione sociale della moda Negli anni Ottanta si assiste ad una forte espansione economica che consente alla moda e al campo della comunicazione di espandersi e svilupparsi. Di conseguenza, anche la fotografia vede aumentare la propria libertà espressiva: 

uno dei casi più noti è quello di Calvin Klein che si è imposto portando avanti una strategia di comunicazione spesso aggressiva e alla ricerca di scandalo. Lo dimostrano infatti le sue campagne pubblicitarie, in particolare quella del 1995 di una ragazza in minigonna sdraiata che maliziosamente mostra le sue mutande bianche Calvin Klein. Calvin Klein nel tempo ha consolidato nei consumatori la sua associazione con la trasgressione, tanto da essere sicuro di essere riconosciuto senza per forza apporre la propria firma.

C’è però da dire che le modalità comunicative, adottate dalla maggior parte delle aziende del prêt-à-porter, sia italiane che francesi, erano ancora elementari. I messaggi infatti si assomigliavano tra loro, erano più concentrati sul prodotto e si adottava spesso il modello del catalogo (si usavano più pagine consecutive sui giornali per mostrare la modella che indossava i capi della nuova collezione) con la convinzione che “bombardando” i consumatori di pagine di immagini si sarebbero ottenuti risultati migliori nelle vendite. Questi approcci banali e quasi errati non hanno però impedito l’emergere di innovazioni nel campo comunicativo e pubblicitario. In Francia, ad esempio, Yves Saint Laurent ha cercato di rappresentare lo stile di vita di una consumatrice in carriera; Jean Paul Gaultier, invece, che ama giocare con l’ambiguità sessaule ha mostrato lo stesso abito indossato contemporaneamente da un uomo e da una donna; Thierry Mugler, invece più sofisticato e allievo del fotografo Newton, rimanda ad una pittura astratta. L’espansione economica è quindi stata accompagnata da un’espansione di libera creatività e originalità: basti pensare a Rei Kawakubo x Comme des Garçons, Yohji Yamammoto, Martin Margiela. In Italia spiccano invece Franco Moschino e Romeo Gigli. Il primo si è imposto con uno stile “dissacrante”, fuori dalle regole, unico. Ha rivisitato ironicamente tutta la moda del Novecento e ha utilizzato i suoi vestiti come fossero delle lavagne sulle quali scrivere messaggi provocatori. Di conseguenza, anche la sua comunicazione pubblicitaria, è basata sull’ironia ed è volta a contrastare il tradizionale sistema della moda. Gigli, invece, pur avendo colto la libera creatività di quegli anni, ha uno stile del tutto differente rispetto a Moschino. La sua comunicazione è più sofisticata e sicuramente meno trasgressiva e originale ma non ha comunque rinunciato a sperimentare nuove forme comunicative. Gli anni Ottanta hanno consentito alle imprese, create nel decennio precedente, di crescere e consolidarsi sul piano economico, anche grazie al successo riscosso negli Stati Uniti. 

Prima fra queste, quella di Giorgio Armani, il quale ha concepito delle innovazioni fondamentali per il modo di vestire. La principale ragione del suo successo è però dovuta alla capacità di interpretazione dei cambiamenti avvenuti nel corso degli anni Sessanta e Settanta.





Ha inoltre riservato grande attenzione al corpo e ai nuovi ruoli nella società: per la donna ha formulato la linea statica dell’abito maschile e per l’uomo un modo di vestire che può essere considerato parzialmente femminile. Per quanto riguarda la comunicazione pubblicitaria, Armani ha sempre seguito personalmente l’ideazione e la realizzazione e incisivo è stato il rapporto stretto con il fotografo Aldo Fallai che nel corso degli anni ha attribuito alla marca Armani un’identità: il suo stile si è incontrato con quello di Armani, basato su un’estetica essenziale con precisi riferimenti all’architettura dell’epoca fascista e al cinema noir hollywoodiano (es: annunci con modelli che non guardano lo spettatore + utilizzo del bianco e del nero). Lo stilista si è concesso maggiore libertà dal punto di vista pubblicitario, con le linee realizzato per un pubblico più giovane: lo vediamo con “Emporio Armani” che ha spesso presentato annunci dallo stile quasi cinematografico -- 1) Pubblicità del 1988 basata su una fotografia del 1932, a New York durante la costruzione di un grattacielo che mostra degli operai seduti su una trave d’acciaio. --2) Pubblicità del 1995 con una modella attaccata ad una torre d’acciaio, riconducibile alla Tour Eiffel, e un aereo che le gira attorno e che sembra essere attaccato alla stessa torre. Queste due immagini sono molto simili tra loro e in comune hanno il punto di vista perché lo spettatore si trova in una posizione elevata rispetto alla metropoli. Un altro importante stilista è stato Gianni Versace che ha fondato la sua marca nel 1977. Egli mischiava in maniera originale modernità e tradizione, presente e passato e si rivolgeva ad una donna seduttiva e vistosa. Per questo motivo ha sempre cercato di dare vita a messaggi...


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