Moda e Arte - riassunto PDF

Title Moda e Arte - riassunto
Author Alessia Spino
Course Arte e moda
Institution Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM
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MODA E ARTE A cura di Marco Pedroni e Paolo Volonté

La moda è arte? Quale posizione occupa nel panorama delle arti, dei mestieri e delle professioni? Quale rapporto ha con il mondo dell’arte? L’intero discorso andrebbe storicizzato perché moda e arte non sono concetti universali culturali, ma variano, anche considerevolmente, col variare del contesto storico e geografico, cioè col variare della cultura di riferimento. La moda non è qualcosa di costante. Basti pensare che cento anni fa essa si identificava con la haute couture parigina, cioè con un regime di alta sartoria in cui dominavano i pezzi unici o multipli a produzione artigianale. Mentre negli anni Ottanta e Novanta del Novecento, pur non essendo sparita l’haute couture, la parte predominante del sistema moda è stata occupata dalla produzione industriale del prêtà-porter, con la conseguente distinzione tra gli artefatti mostrati in passerella e quelli prodotti in serie per la commercializzazione di massa. Allo stesso tempo è diventata sempre più marcata la distinzione tra creatori di moda che privilegiano la ricerca estetica e, forse, finanche artistica, e creatori di moda che privilegiano il successo commerciale. Anche l’arte è soggetta a forti condizionamenti culturali. Nel Medioevo si trattava di una forma di artigianato di alta qualità motivato da scopi devozionali. Col tempo sono diventati sempre più rilevanti sia la maestria del singolo esecutore (l’autorialità), sia l’unicità dell’artefatto, fino a culminare nella concezione ottocentesca dell’art pour l’art, che estromette dall’arte prima ogni funzione pratica, poi anche quella economica. Con le avanguardie e le neoavanguardie storiche, tuttavia, i criteri di legittimazione dell’artisticità di un’opera d’arte si sono ribaltati e alla maestria tecnica si è sostituita, quale principio fondamentale, la creatività concettuale. Ciò ha condotto ad abbandonare l’ideale del pezzo unico a favore della realizzazione di multipli, che in certi casi (Andy Wahrol), rasentano la produzione industriale. Infine, la relazione tra l’arte occidentale e le tecnologie elettroniche, digitali e il mondo dei media, ha gradualmente eroso la distinzione tra arti visive (che producono artefatti resistenti nel tempo) e arti dello spettacolo. Quindi, in conclusione, dovremmo lasciarci questa esigenza di storicizzazione sistematica insoddisfatta e limitarci a far trasparire di volta in volta la cornice spaziotemporale del discorso svolto. La relazione tra arte e moda può essere studiata collocandosi su almeno tre diversi terreni di ricerca:







quello degli oggetti, ovvero gli artefatti artistici o dei prodotti di moda. prendendo in considerazione gli oggetti la domanda che sorge verte intorno al carattere più o meno artistico dei prodotti del fashion design. La risposta si basa su delle variabili, quali: carattere innovativo dell’artefatto, unicità o serialità, rarità, il fatto che sia stato incluso in istituzioni artistiche (musei), la sua riconducibilità ad un autore riconoscibile e noto (autorialità), la sua inutilità pratica. Si dirà allora che un fashion designer è o non è un artista perché realizza o non realizza delle opere d’arte. La definizione dello status del creatore di moda dipenderà dallo status riconosciuto ai suoi prodotti. Al contrario, in che misura l’arte è moda? Mentre la moda aspira ad essere legittimata come arte, poiché questo titolo conferisce notorietà, prestigio e fatturato, nessun’arte aspira ad essere considerata una moda, perché ciò la ricondurrebbe dall’empireo dei valori eterni alla dannazione di ciò che è destinato a declinare. I soggetti e le loro pratiche: artisti e stilisti, modi di fare arte e modi di fare moda. Ci si chiede che cosa qualifichi un soggetto come artista o come fashion designer e se dei fashion designer possono essere equiparati a degli artisti. Si dirà che un fashion designer è o non è un’artista perché si comporta o non si comporta come un’artista. La definizione dello status del creatore di moda avverrà sulla base delle sue pratiche. I principali criteri di riferimento sono: il disinteresse economico, l’indipendenza dai gusti dominanti, l’innovazione o la capacità di sollevare questioni critiche e socialmente rilevanti. Sfera istituzionale, ovvero i “mondi” sociali cui appartengono artisti e stilisti. Esistono le riviste d’arte e le riviste di moda. Di norma le prime non si occupano delle seconde, né le seconde delle prime, se non col dichiarato intento di dedicarsi a qualcos’altro rispetto al loro campo. Lo stesso vale per le istituzioni (premi e concorsi, associazioni corporative…). Esistono poi organizzazioni che appartengono al mondo dell’arte (musei, gallerie, case d’asta, case editrici) ed esistono organizzazioni che appartengono al mondo della moda (aziende, fiere, studi professionali, case editrici) e quasi mai coincidono. Considerando moda e arte come due istituzioni sociali di questo tipo, ci si domanda cosa li renda simili e cosa differenti e cosa li leghi. Si dirà allora che un fashion designer è o non è un’artista perché appartiene o non appartiene al mondo dell’arte. Va detto che su questo terreno la situazione è mobile perché il mondo della moda e le sue relazioni con altri mondi sono in rapida evoluzione. Ma soprattutto negli ultimi anni si sta verificando una progressiva commistione tra mondo della moda e mondo delle celebrities, che porta non tanto gli stilisti ad accedere al primo, quanto gli artisti ad accedere al secondo, del quale gli stilisti sono storicamente una parte rilevante.

Il contributo della sociologia

Gli approcci più diffusi sul tema del rapporto tra moda e arte si pongono sul terreno degli oggetti. Il terreno delle istituzioni è spesso trascurato dalla pubblicistica più comune, sebbene ampliamente studiato dai sociologi. Il motivo di tale disinteresse è che arte e moda vengono normalmente ritenute come oggettive, esistenti in sé e per sé. È invece importante, comprendere bene che solo la dimensione istituzionale delle sfere sociali (o “mondi”) e delle corrispettive regole d’ingresso, appartenenza, interazione con le altre sfere sociali può spiegare sia le situazioni di fatto (es. perché una certa creazione di moda sia stata inclusa in un dato museo d’arte), sia le tendenze e le potenzialità (es. quando la retrospettiva di un fashion designer dentro a un museo d’arte appaia subito come mera iniziativa promozionale). Illustreremo questo aspetto ora appoggiandoci sulla letteratura più nota a riguardo, e in particolare sulla proposta di considerare oggetti e soggetti dell’arte come nodi di un più articolato sistema di relazioni. Howard Saul Becker, sociologo americano, nel 2004 ha definito tale sistema un insieme di “mondi dell’arte”, categoria poi largamente impiegata nella sociologia dell’arte. La definizione di Becker prende le distanze dalle teorie estetiche e da ogni forma di valutazione degli oggetti d’arte, per concentrarsi invece sulla dimensione collettiva del lavoro artistico e sui rapporti tra i suoi protagonisti. Si tratta, in sostanza, di reti relativamente stabili di cooperazione tra soggetti (singoli individui, ma anche organizzazioni) che producono non solo eventi e oggetti artistici. Il punto fondamentale di questa prospettiva è che non sono gli oggetti a stabilire chi fa parte dei mondi dell’arte, bensì i soggetti che si accordano su tale definizione. L’uso del plurale “mondi” è centrale nel pensiero di Becket poiché demolisce la concezione di un’arte che si vuole presentare come terreno unitario, a dispetto della su complessità. L’analisi sociologica individua come unità di studio ciascun singolo “mondo” dell’arte (musica, pittura…) e ne riconosce la specificità. Le opere d’arte non sono il semplice prodotto individuale dei singoli creatori, ma il frutto di un lavoro collettivo. Becker non guarda agli oggetti in sé, ma alla natura collettiva e processuale della loro realizzazione; al contempo non cade nell’errore di attribuire ai mondi dell’arte una natura statica, ma li pensa piuttosto come reti dai confini fluidi. Le ragioni di questa flessibilità sono molteplici: nel tempo mutano, innanzitutto, le forme di cooperazione tra i loro membri e la definizione di ciò che caratterizza un mondo come “artistico”. Non si capisce tuttavia, quali siano le forze che spingono un mondo dell’arte a evolversi e a trasformarsi. Il sociologo francese Pierre Bourdieu suggerisce di usare, a questo scopo, la nozione di “campo sociale”. Il concetto di campo comporta l’idea che i soggetti che ne fanno parte occupino delle “posizioni” al suo interno che stanno in una relazione reciproca di tipo gerarchico, basata cioè sulla dominazione, la subordinazione o l’omologia. Appartenere al campo sociale dell’arte significa far parte di un cosmo in perpetua lotta, o competizione.

Bourdieu ha applicato la nozione di campo a svariati ambiti dell’attività umana, comprese l’arte letteraria e la moda. È importante avere chiara la dinamica del funzionamento generale di un campo, in cui la collaborazione tra agenti sociali è una, ma non l’unica, strategia per assicurarsi il controllo dello spazio sociale. L’altra, che rende profondamente diversa l’analisi di Bourdieu da quella di Becker, è la competizione. Bourdieu riconosce a Becker il merito di trattare la creazione artistica come collettiva, rompendo con la concezione del creatore individuale, ma gli contesta il metodo di analisi di matrice descrittiva: artisti, esecutori, tecnici, pubblici dell’arte sono considerati da Becket come una “somma” di soggetti interagenti nel mondo dell’arte, elemento che non consente di considerarne le relazioni oggettive né le dinamiche di cui fanno parte anche “lotte per conservare o modificare” il campo. In realtà, in Becket non è del tutto assente il riferimento a dinamiche conflittuali. Egli sceglie di analizzare non solo i mondi dell’arte riconosciuti come tali, ma anche quelli la cui artisticità è oggetto di controversie. Tuttavia la sociologia bourdieusiana ha un accento più marcatamente conflittuale e interroga ogni ambito dell’azione sociale come un sistema di potere in cui inevitabilmente si contrappongono gruppi egemoni e gruppi dominati. La definizione di arte illustra alla perfezione questo meccanismo: nell’ottica di Bourdieu l’arte è un campo segnato da relazioni collaborative e antagonistiche tra i suoi membri, e quel che è considerato arte è una decisione non di tutti i membri ma solo delle fazioni dominanti. Quindi per Bourdieu, come per Becket, è l’accordo fra i soggetti a stabilire ciò che è arte, ma a differenza di Becket, Bourdieu riconosce l’esistenza di soggetti che non condividono tali decisioni. Becket sostiene che vi siano coloro che cercano di attribuirsi la definizione di “arte” a quello che fanno, poiché essa è un titolo onorifico e vantaggioso. Prosegue proponendo che alcuni membri della società potrebbero essere incaricati di controllare l’applicazione di questo titolo onorifico. Questo pensiero è in sintonia con la visione bourdieusiana di mondi sociali dominati da una costante lotta per il monopolio del potere di categorizzazione, vale a dire la facoltà di etichettare un campo definendo chi ne faccia parte e chi no. Un approccio centrato sul terreno delle istituzioni ha dunque il grande vantaggio di affrontare lo studio delle relazioni che intercorrono tra moda e arte in maniera disincantata, a prescindere da idee precostituite di ciò che è arte e ciò che non lo è. L’analisi conduce a domande che non potrebbero mai trovare una risposta oggettiva o ampiamente condivisa. Ragionare in termini di sfere di produzione culturale consente, invece, di cogliere la dimensione collettiva e relazionale tanto della moda quanto dell’arte. Ogni abito e ogni opera possono così uscire dalla gabbia del giudizio estetico ed essere studiate come l’esito di pratiche che coinvolgono molteplici attori, ciascuno con finalità e modi operandi propri, legandoli all’interno di uno spazio

sociale che richiede la condivisione di norme, regole, prassi e muta nel tempo la sua fisionomia in conseguenza delle interazioni tra i suoi membri. Moda e arte mutano storicamente in virtù delle dinamiche di campo interne, ma anche in conseguenza degli incontri e degli scontri che si vengono a creare sul loro confine.

L’arte della moda e l’arte nella moda La moda è un’arte. O forse non lo è. Oppure potremmo definirla arte se lo intendiamo in un senso diverso da quello che usiamo per indicare le opere di Michelangelo. L’arte della moda sarebbe l’insieme dei canoni del fare moda, cioè la capacità di creare capi d’abbigliamento ben fatti, ben funzionanti rispetto a certi scopi funzionali o estetici. Nell’usare questa espressione si equipara l’arte dell’abbigliamento a un’arte applicata, inserendo quindi la moda tra tutte quelle forme di artigianato che prevedono anche una dimensione di artigianato artistico. Sorge la domanda di che cosa contraddistingua l’artigianato della moda rispetto alla mera produzione di abbigliamento a fini commerciali. Nel novembre 1967 il “Metropolitan Museum of Art Bulletin” pubblicò una serie di riviste sotto il titolo: “La moda è un’arte?”. Ci furono diverse risposte:  Norman Norell (fashion designer statunitense) sosteneva che il meglio della moda è degno di essere chiamato arte e si riferiva ad “artisti della moda” quali Chanel, Vionnet e Balenciaga, capaci in modi diversi di coniugare eleganza e qualità.  Irene Sharaff (designer di costumi per il teatro e il cinema) nella moda sottolineava la componente creativa e la capacità di esprimere lo spirito dei tempi, come fa l’arte.  Louise Nevelson (scultrice) riteneva che per qualificare la moda come arte essa debba essere “un’espressione diretta di chi la indossa ed essere in relazione con il suo ambiente” e non espressione dell’idea di un designer la cui firma prevale sull’identità di chi la indossa.  Alwin Nikolais (coreografo) riteneva che la moda non è arte perché le donne si affidano ad altre persone che disegnano i vestiti. Egli crede che l’abito debba esprimere la personalità della persona che lo indossa, poiché la creatività è un’affermazione di sé. Quindi purché la moda si un’arte , una donna dovrebbe essere la stilista di se stessa.  André Courrèges (couturier) affermava: “Di certo non direi che la moda non è arte”. Inoltre diceva che se la funzione dell’arte è quella di dare gioia attraverso l’armonia, il colore e la forma, forse, vestendo una donna in modo che si possa sentire giovane e partecipare pienamente alla vita possiamo, dopo tutto, darle una gioia paragonabile a quella che prova nel contemplare un dipinto.

Le opinioni scaturiscono da criteri di valutazione diversi. Una variabile importante è se si identifica l’”opera” della moda con l’abito in sé (l’oggetto materiale) o con l’abito indossato. Questa questione è analoga a quella, per esempio, tra le pale d’altare considerate in sé (collocate in un museo) e quelle considerate come oggetti d’arte sacra nel contesto della chiesa per cui furono realizzate. Da questo ragionamento Nevelson e Nikolais ne traggono la conclusione che, allora, la moda non è arte, mentre Courrèges sostiene la tesi contraria. Nella maggior parte dei casi non è comunque la donna vestita ad essere considerata la potenziale opera d’arte, ma l’oggetto materiale, l’abito. Gli abiti, infatti, per le loro caratteristiche di innovatività, bellezza, forza estetica o unicità, hanno molto in comune con ciò che siamo abituati a considerare un’opera d’arte. Esempi di questo tipo possono essere i corpetti di plastica di Issey Miyake, gli abiti deformati di Rey Kawakubo, gli abiti metallici di Paco Rabanne, le sculture vestimentarie di Roberto Capucci, tutte sperimentazioni capaci di sorprendere per la loro innovatività estetica e culturale. Alternamente gli abiti incorporano esperienze artistiche, per esempio citazioni, come nei famosi capi dell’abito aragosta di Schiaparelli, riferimento a Dalì, e dell’abito Mondrian di Yves Saint Laurent. In tutti questi casi ci si pone, chiaramente, sul terreno degli oggetti, i quali si prestano alla museificazione perché sono in grado di esercitare la propria forza espressiva anche solo attraversando lo sguardo. Non bisogna dimenticare che vi sono numerosi motivi di distinzione tra l’opera d’arte e l’opera vestimentaria:  La durata. L’arte è longeva, caratteristica estranea alla moda. Pure nella moda si incontra l’uso di materiali durevoli (plastica di Myiake, metallo di Rabanne, ma anche a prescindere dal fatto che il materiale maggiormente utilizzato dai creatori di moda, il tessuto, resta particolarmente soggetto a usura, la questione fondamentale è che la moda è di breve durata da un punto di vista concettuale, è appunto fatta per “passare di moda”, diventare datata. Al contrario dell’arte, la moda non mantiene la capacità di svolgere tutte le sue funzioni originarie anche al di fuori dell’epoca in cui è stata realizzata.  Il disinteresse. L’arte ha un valore per se stessa e viene realizzata dall’artista perché corrisponde a una sua determinata visione estetica, la moda ha uno scopo commerciale e l’abito è creato dallo stilista per piacere a un pubblico di consumatori. Tanto che la moda si è industrializzata, mentre l’arte continua a conservare un carattere artigianale. Il gusto e la percezione di novità, importanti in entrambi i casi, hanno nel primo caso un carattere sensibilmente e necessariamente più elitario che nel secondo.  L’autorialità. Mentre nella moda la celebrazione dell’autore è perlopiù solo uno strumento di promozione commerciale impiegato dai grandi marchi, nell’arte essa costituisce una norma di comportamento piuttosto rigorosa e molto osservata. Un’opera d’arte porterà sempre il nome del suo autore/ della

sua autrice, mentre le opere vestimentarie sono normalmente anonime, contraddistinte da un marchio industriale o dalla firma di un morto.  L’inutilità. Le opere d’arte non sono mai state inutili, altrimenti non verrebbero conservate, ma la loro utilità è circoscritta a un determinato spettro di fattori (esperienza estetica, investimento, ostentazione, decorazione, denuncia) ai quali, nel caso della moda, si aggiunge il fattore vestimentario propriamente detto: abbigliarsi per condurre la propria vita sociale con soddisfazione. Dal punto di vista dei soggetti la moda è considerata un’arte nella misura in cui è un’attività svolta in stretta relazione con l’estetica e sottoposta a una poetica specifica. L’estetica posseduta dalla moda è quella dell’abbigliamento sartoriale e della haute couture, le poetiche proprie dei singoli marchi. In questi casi si tende a far risaltare il carattere creativo dell’attività dei soggetti coinvolti. Angela McRobbie afferma: “Definisco fashion design l’applicazione di un pensiero creativo alla concettualizzazione ed esecuzione dei capi d’abbigliamento, in maniera che essi palesino una coerenza estetica formale e distintiva che abbia il sopravvento sulla loro funzione” (1998). Come osserva anche Malcolm Barnard, questa visione è fortemente concentrata sulla contrapposizione tra pensiero creativo e pensiero strumentale, forma estetica e funzione materiale. Nell’arte la forma prescinde dalla funzione, mentre nel design ne è la conseguenza. Molti fashion designer diplomati nelle scuole d’arte britanniche privilegiano la realizzazione di una “moda da vedere” rispetto alla “moda da indossare”. Chiedersi se la moda sia arte può avere poco senso se si guarda, da un lato, ai maestri dell’arte figurativa (Michelangelo) e, dall’altro, alla produzione industriale di indumenti d’alta probabilità per un pubblico di massa (Armani). Ma assume significato se si mettono a confronto l’artwear o casi particolari di performance artistiche, come l’abito di carne di Jana Sterbak, con le sperimentazioni proposte dai fashion designer giapponesi. In questi ultimi casi, infatti, la moda – come l’arte- attinge alla retorica dell’ispirazione, del genio e della creatività.

Due mondi, un destino È necessario spostarsi sul versante delle istituzioni per chiedersi in che misura opere e attori del mondo della moda facciano parte, o possano far parte, dei mondi dell’arte. Nancy Troy, professoressa di arte, propone di spostare l’attenzione dalle contaminazioni e dai riferimenti tra stili di moda e movimenti artistici, di c...


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