L\'avviso di accertamento - nozione e tipologie PDF

Title L\'avviso di accertamento - nozione e tipologie
Course Diritto Tributario
Institution Università degli Studi di Siena
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L'avviso di accertamento - nozione e tipologie...


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L’avviso di accertamento.

Natura giuridica. Il procedimento amministrativo di applicazione delle imposte sfocia in un provvedimento impositivo, che le leggi denominano “avviso di accertamento”. Le leggi tributarie disciplinano compiutamente i presupposti, la misura, i soggetti passivi dell’obbligazione tributaria: l’Amministrazione finanziaria, in presenza di ciò che la legge richiede, deve emanare l’avviso di accertamento, con contenuti aderenti ai criteri prestabiliti dalla legge. All’ufficio non è data alcuna possibilità di scelte discrezionali. Negli atti d’imposizione, non è riscontrabile il vizio di eccesso di potere, che può aversi solo negli atti discrezionali.

Requisiti di contenuto. La parte dispositiva. Nel contenuto dell’avviso di accertamento possiamo distinguere due parti: motivazione e dispositivo. La parte dispositiva è data dalla statuizione relativa alla base imponibile e all’obbligazione tributaria; la motivazione invece è l’indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche per cui è emanato l’avviso. Ciò che appare essenziale è soltanto la determinazione dell’imponibile. Solitamente, l’avviso statuisce l’imposta dovuta. Ma vi sono anche avvisi senza imposta. Un’ipotesi di questo tipo è l’accertamento dei redditi delle società di persone; con esso, si ha la determinazione dell’imponibile della società, da imputare poi, pro quota, a ciascun socio. Un’altra ipotesi è quella degli accertamenti di redditi per i quali hanno rilievo anche le perdite. Se, ad esempio, una società commerciale ha dichiarato una perdita, e l’avviso di accertamento determina una perdita minore di quella dichiarata, un simile avviso non comporta statuizioni circa l’imposta, ma rileva solo per il riporto a nuovo delle perdite. Nell’Iva, il contenuto dell’avviso di accertamento può contenere, non solo una nuova determinazione dell’imposta dovuta, ma anche una nuova determinazione dell’imposta detraibile o rimborsabile. Nell’imposta di registro, la rettifica ha per oggetto il valore venale dei beni o diritti sui quali deve

essere applicato il tributo.

La motivazione Ogni provvedimento amministrativo deve essere motivato indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria. L’obbligo di motivazione è previsto per tutti gli atti dell’Amministrazione finanziaria dallo Statuto dei diritti del contribuente. L’Amministrazione finanziaria ha l’obbligo di indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche del provvedimento. Si richiede, inoltre, il distinto riferimento ai singoli redditi delle varie categorie e la specifica indicazione dei fatti e delle circostanze che giustificano il ricorso a metodi induttivi o sintetici e delle ragioni del mancato riconoscimento di deduzioni e detrazioni. Anche nell’imposta di registro si prevede che l’avviso di accertamento, a pena di nullità, deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato. Molto spesso gli avvisi di accertamento sono emessi in base ad altri atti, richiamati nell’avviso (la motivazione del provvedimento deve garantire la conoscibilità dell’iter logico seguito dall’ente impositore – allegando le norme a cui si rimanda o riportandone sinteticamente il contenuto). La motivazione non è un semplice mezzo attraverso il quale il contribuente può esercitare il suo diritto alla difesa; l’avviso di accertamento è un provvedimento amministrativo e le norme in tema di motivazione richiedono non soltanto la pretesa ma anche i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che giustificano l’atto.

La notificazione.

L’avviso di accertamento viene ad esistenza attraverso la notificazione: l’atto di imposizione esplica effetti giuridici solo se notificato al destinatario. La notificazione degli atti tributari è eseguita dai messi comunali o da messi speciali autorizzati dall’Agenzia delle entrate:

- il messo deve far sottoscrivere l’atto al consegnatario; - se il consegnatario non è il destinatario dell’atto o dell’avviso, il messo consegna o deposita la copia dell’atto da notificare in busta (il consegnatario sottoscrive una ricevuta e il messo dà notizia dell’avvenuta notificazione dell’atto o dell’avviso, a mezzo di lettera raccomandata); - la notificazione degli avvisi o degli atti è eseguita mediante spedizione a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento; - la notificazione deve essere fatta nel domicilio fiscale del destinatario. La notificazione a mezzo del servizio postale si considera fatta nella data di spedizione. Se nel comune del domicilio fiscale non vi è luogo presso cui la notifica può essere fatta validamente, l’atto da notificare è depositato presso la casa del comune, ed il messo affigge un avviso del deposito presso l’albo del comune e ne dà notizia al destinatario con raccomandata. Quando la verifica deve essere fatta ad un non residente, questi elegge in Italia un luogo presso cui fare notifica. Egli può nominare un rappresentante per i rapporti tributari ai fini delle imposte dirette o ai fini dell’Iva. È facoltà del contribuente che non ha la residenza nello Stato comunicare al competente ufficio locale l’indirizzo estero per la notificazione degli avvisi. I vizi di notificazione sono vizi formali dell’atto: la giurisprudenza però ritiene che il ricorso contro l’avviso di accertamento sani i vizi di notificazione.

Termine e decadenza.

L’atto di imposizione deve essere notificato entro un termine previsto a pena di decadenza. Per le imposte sui redditi e per l’Iva, l’Amministrazione deve notificare l’avviso entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione. Per l’imposta di registro, vi è un termine di cinque anni per gli atti non registrati e tre anni per quelli registrati.

La nullità del provvedimento impositivo.

È nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge. La nullità è la conseguenza della violazione delle norme che disciplinano gli elementi essenziali del provvedimento, l’attribuzione delle competenze e il giudicato. Il provvedimento amministrativo è nullo, in primo luogo, quando è privo di elementi essenziali (non è sottoscritto, è intestato ad un soggetto inesistente, non è notificato, è privo di elementi essenziali dalla parte dispositiva). Il provvedimento impositivo, in secondo luogo, è nullo quando è viziato da carenza di potere (ad esempio, quando è emesso da un ufficio incompetente, oppure riguarda un tributo inesistente). In materia di imposte dirette è stabilita in modo esplicito la nullità degli accertamenti non sottoscritti, non motivati o privi di altre indicazioni essenziali, come le aliquote applicate. Provvedimento annullabile e provvedimento irregolare. Non sempre il legislatore rende esplicita la conseguenza di un vizio: ad esempio, gli avvisi di accertamento devono essere notificati entro un termine di decadenza, ma non è espressamente indicato che l’atto notificato in ritardo è annullabile. Nei casi in cui il legislatore non indica le conseguenze di un vizio, è compito dell’interprete stabilire la gravità del vizio ed il suo valore invalidante. Un criterio-guida sta nel ritenere invalidante la violazione di norme procedimentali, dettate a garanzia del contribuente. I vizi non invalidanti sono mere irregolarità (ad esempio, nel caso in cui non indica gli organi cui si può inoltrare richiesta di riesame o ricorso, ed altre indicazioni similari). Alcune violazioni non comportano l’annullabilità del provvedimento. Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione delle norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato. Tale norma, quindi, interessa solo i provvedimenti vincolati e non gli atti discrezionali. La corrispondenza dell’imposta accertata alla situazione di fatto e alle norme di legge rende irrilevanti i vizi per i quali non vi sia una norma ad hoc che ne preveda la nullità o l’annullabilità. È comunque rilevante il vizio di motivazione degli atti impositivi nei casi in cui sia palese che il contenuto dispositivo del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso.

Il divieto di doppia imposizione.

Come i giudici non possono pronunciarsi due volte sulla stessa controversia, così l’Amministrazione finanziaria non deve sottoporre ad imposta due volte lo stesso presupposto. Nelle sue articolazioni, il divieto implica: - che non può essere applicata la stessa imposta sullo stesso presupposto nei confronti di soggetti diversi; - il divieto opera anche quando sono coinvolte imposte diverse (un reddito non può essere tassato prima come reddito di una società di capitali, poi di una persona fisica). Il secondo atto d’imposizione è illegittimo per il solo fatto che si pone in contrasto con tale divieto e, quindi, a prescindere dal fatto che l’imposta dovuta sia quella applicata dal primo atto o quella applicata dal secondo.

Gli effetti dell’avviso di accertamento. Teoria dichiarativa e teoria costitutiva. L’avviso di accertamento è un provvedimento amministrativo, con cui l’obbligazione tributaria è stabilita autoritativamente. Secondo la teoria dichiarativa, l’obbligazione tributaria sorge non appena si verifica il presupposto di fatto del tributo. Le norme strumentali che disciplinano l’attuazione delle leggi d’imposta non sono rivolte alla costituzione, ma all’accertamento (e all’attuazione) del rapporto tributario. L’obbligazione tributaria, sorta ex lege con il verificarsi del presuppost, è dunque accertata dalla dichiarazione del contribuente e dall’avviso di accertamento. L’accertamento dell’imposta da parte del fisco è considerato un atto amministrativo autoritativo sia dalla teoria dichiarativa, sia dalla teoria costitutiva. Secondo la teoria dichiarativa, l’avviso di accertamento non produrrebbe una nuova situazione giuridica ma si limiterebbe a dichiarare ed accertare una situazione giuridica preesistente. La teoria costitutiva afferma che, affinché sorga l’obbligazione, è necessaria la presentazione della dichiarazione o l’emanazione di un avviso di accertamento. Le norme strumentali che pongono a carico del contribuente l’obbligo di dichiarare il tributo e attribuiscono all’Amministrazione finanziaria poteri autoritativi, sono rivolte a costituire l’obbligazione, applicando le norme tributarie materiali.

Gli avvisi di accertamento, quindi, non accertano, ma costituiscono, secondo il modello legislativo, l’obbligazione tributaria. La principale divergenza rispetto alla teoria dichiarativa concerne gli effetti dell’atto di imposizione, che, secondo questa teoria, sono effetti di natura costitutiva. Se l’atto di imposizione non è impugnato, l’obbligazione statuita dall’atto dell’Amministrazione è da considerarsi definitivamente posta, senza possibilità di rimedi per il contribuente. Per la teoria dichiarativa, il contribuente è titolare, di fronte al potere di accertamento, di un diritto soggettivo e agisce in giudizio a tutela di tale diritto. Nell’ambito della teoria costitutiva, si è sostenuto che il contribuente, di fronte all’imposizione, è titolare di una posizione di interesse legittimo. La teoria che sostiene l’esistenza di un diritto soggettivo pone in evidenza che il potere d’imposizione è vincolato e che, di fronte a un atto d’imposizione illegittimo, il contribuente ha diritto alla tutela giurisdizionale. In realtà non importa stabilire quale sia la posizione del contribuente prima dell’imposizione, ma quali siano gli strumenti di tutela di cui dispone, quando gli è notificato un atto d’imposizione. E non vi è dubbio che il destinatario di un atto d’imposizione ha il diritto di difendersi, costituzionalmente garantito, agendo in giudizio per ottenere la tutela piena ed effettiva. Le ragioni della teoria costitutiva. Per operare una iscrizione a ruolo, occorre che il debito sia oggetto o di dichiarazione o di un atto dell’Amministrazione. E ciò dimostra che dichiarazione e avviso di accertamento non sono mera ricognizione di un rapporto obbligatorio già sorto ex lege, ma atti che costituiscono tale rapporto. L’atto d’imposizione è espressione dell’esercizio di un potere amministrativo non discrezionale, ed è atto autoritativo; esso non ha effetti di mero accertamento. Il divario tra teoria costitutiva e teoria dichiarativa può essere colmato se si ravvisa una statuizione di esistenza di quella situazione, che l’atto costituisce nuovamente, in un rapporto di concorso di fattispecie con la dichiarazione. Se l’Amministrazione costituisce un rapporto, che doveva sorgere già per effetto della dichiarazione, se ne deve dedurre che l’avviso di accertamento ha efficacia retroattiva, perché costituisce il debito d’imposta con riferimento al momento di efficacia della dichiarazione.

Facoltà difensive del contribuente.

Il contribuente al quale è notificato un avviso di accertamento: - può presentare istanza di accertamento con adesione (con ridimensionamento del tributo e riduzione delle sanzioni nella misura di un quarto del minimo); - può anche definire solo le sanzioni e impugnare l’avviso di accertamento nella parte concernente il tributo; Se il processo giunge al suo epilogo naturale e il ricorso è accolto, l’atto cessa di esistere perché annullato. Se il ricorso è respinto, l’atto sopravvive al processo come definitivo. Il contribuente può, nel termine di sessanta giorni dalla notifica, impugnare l’avviso di accertamento dinnanzi alle commissioni tributarie. Se l’avviso non è stato preceduto né da un processo verbale cui è possibile aderire, né da invito a comparire, le sanzioni sono ridotte – per mancata impugnazione – ad un ottavo di quanto irrogato. L’avviso non impugnato diventa definitivo, per cui l’ufficio può riscuotere il dovuto mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo.

L’accertamento analitico del reddito complessivo.

L’accertamento analitico ricostruisce l’imponibile delle persone fisiche considerandone le singole componenti. È effettuato quando sono note le singole fonti dei redditi e si perviene al reddito complessivo sommando i redditi delle singole fonti. Per i redditi d’impresa esso presuppone che la contabilità, nel suo complesso, sia attendibile. Anche nell’Iva, l’accertamento analitico investe singole componenti dell’imponibile, dell’imposta o delle detrazioni. L’accertamento sintetico del reddito complessivo.

Mentre l’accertamento analitico ha per oggetto redditi appartenenti a singole categorie, con l’accertamento sintetico si ottiene direttamente la misura del reddito complessivo. Il metodo sintetico ha come punto di partenza l’individuazione di elementi e fatti economici diversi dalle fonti di reddito (spese per consumi, investimenti, etc.). Perciò l’accertamento sintetico può essere

indicato anche come accertamento basato sulla spesa. L’ufficio non è obbligato a verificare la congruità dei singoli redditi dichiarati prima di adottare il metodo sintetico. Alla conoscenza di cespiti e fonti di reddito è correlato l’accertamento analitico, alla conoscenza di elementi di natura diversa (tenore di vita, investimenti, etc.) corrisponde l’accertamento sintetico. L’accertamento è ammesso solo quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato. Inoltre, trattandosi di reddito netto, non hanno rilievo le spese di produzione del reddito e non sono scomputabili gli oneri che possono essere dedotti dal reddito complessivo determinato in via analitica. Il contribuente, per contro, può impugnare l’avviso di accertamento deducendo e dimostrando che il maggior reddito, determinato sinteticamente, è costituito (in tutto o in parte) da redditi non tassabili, oppure può opporre di aver utilizzato disponibilità economiche di natura non reddituale. I parametri dell’accertamento sintetico.

Sono tre i criteri di quantificazione del reddito sintetico. Attraverso il c.d. “redditometro”, vengono individuati dei fatti-indice e dei coefficienti in base ai quali gli uffici possono determinare induttivamente il reddito globale (disponibilità di barche, auto, residenze, …). Applicando i coefficienti, l’ufficio determina sinteticamente il reddito complessivo del contribuente, a condizione che il reddito così calcolato si discosti dal dichiarato per almeno un quarto e per almeno due periodi d’imposta. Il contribuente può opporre tutte le prove opponibili agli accertamenti sintetici. Inoltre, può contestare la quantificazione reddito metrica, fornendo una prova contraria alla presunzione reddituale (che è presunzione relativa, e quindi l’onere della prova è invertito). L’accertamento sintetico fa spesso affidamento sugli incrementi patrimoniali. Quando l’esborso è molto elevato in rapporto ai redditi dichiarati dal contribuente nell’anno in cui viene fatta la spesa e negli anni precedenti, è legittimo presumere che siano stati utilizzati redditi non dichiarati (che si ipotizzano conseguiti in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata la spesa e nei quattro anni precedenti).

L’accertamento analitico-contabile dei redditi d’impresa.

L’accertamento analitico-contabile dei redditi d’impresa consiste in rettifiche di singole componenti del reddito dichiarato. La rettifica può essere giustificata da ragioni di diritto (ad esempio, quando risulta violata una delle norme in materia di reddito d’impresa). La rettifica può scaturire: - dal confronto tra dichiarazione, bilancio e scritture contabili; - dall’esame della documentazione che sta alla base della contabilità; - da circostanze extra-contabili (ad esempio, documenti di terzi). L’accertamento analitico tout court è quello che deduce la incompletezza, la falsità o la inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione in modo certo e diretto attraverso verbali, risposte ai questionari, esame di atti o documenti del contribuente, etc. Accertamento analitico-induttivo è invece quello che rettifica la dichiarazione sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti o su gravi incongruenze (come le discordanze tra prezzo di vendita di un bene e un suo valore corrente). L’accertamento analitico-induttivo mediante studi di settore. Il reddito degli imprenditori può essere determinato su base contabile quando l’impresa tiene in modo sistematico la contabilità, secondo il regime della contabilità ordinaria. Per quanto riguarda le imprese minori che operano in regime di contabilità semplificata, sono stati previsti specifici strumenti di determinazione di reddito (coefficienti presuntivi, studi di settore, parametri). Quindi, per questi soggetti, l’accertamento può essere fatto, oltre che in base alle norme ordinarie, anche ricorrendo a criteri predeterminati normativamente. Oggetto degli studi di settore è la determinazione presuntiva dei ricavi o compensi attribuibili al contribuente sulla base della sua capacità potenziale di produrli, definita in base ad una varietà di fattori, interni ed esterni all’azienda ed in base ad indici di normalità economica. Le imprese sono divise in gruppi omogenei (cluster), in base ad una molteplicità di fattori. Sulla base di tali elaborazioni, e valutando dei campioni significativi di contribuenti, è individuata una funzione matematica mediante la quale sono calcolati i ricavi per ciascun cluster. Gli studi di settore si applicano agli imprenditori e lavoratori autonomi i cui ricavi non superano i 5.164.000 euro.

Ogni contribuente che appartenga ad una categoria alla quale si applicano gli studi di settore deve presentare, insieme alla dichiarazione dei redditi, un modello con cui comunica i dati rilevanti ai fini degli studi. Ogni contribuente deve: - inquadrare la propria attività in un cluster; - indicare se il volume dei ricavi e compensi dichiarati è “congruo”; - individuare la “coerenza” dei principali fattori economici che caratterizzano la sua attività, rispetto agli standard del cluster di appartenenza. S...


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