LE Teorie Della Comunicazione DI Massa E LA Sfida Digitale PDF

Title LE Teorie Della Comunicazione DI Massa E LA Sfida Digitale
Author Ilaria Marciano
Course Teorie della comunicazione e dei nuovi media
Institution Sapienza - Università di Roma
Pages 33
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Warning: TT: undefined function: 32LE TEORIE DELLA COMUNICAZIONE DI MASSA E LA SFIDA DIGITALESara Bentivegna – Giovanni Boccia ArtieriParte prima: società e comunicazione1à e comunicazione di massa La società di massa può essere definita come società in cui le istituzioni relative ai diversi sottosi...


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LE TEORIE DELLA COMUNICAZIONE DI MASSA E LA SFIDA DIGITALE Sara Bentivegna – Giovanni Boccia Artieri Parte prima: società e comunicazione 1.Società e comunicazione di massa La società di massa può essere definita come società in cui le istituzioni relative ai diversi sottosistemi sociali sono organizzate in modo tale da trattare con vasti insiemi di persone considerate come unità indifferenziate di un atteggiamento o massa (GILI). Dunque, oltre che a vasti insiemi di persone, siamo in presenza di individui che non appartengono più integralmente a un certo segmento o status sociale, ma dispongono dell’accesso ai diversi sistemi differenziati, anche se solo per funzioni specifiche. Tale differenziazione sociale è propria delle società moderne → società nate con le profonde trasformazioni in campo economico, sociale e culturale avviata alla fine del XIX secolo. I fenomeni che segnano tale periodo e che necessitano di un’attenta riflessione sono quelli noti dell’industrializzazione, urbanizzazione e modernizzazione: non è un caso che proprio in quegli anni nasce la sociologia. Tra i primi a interrogarsi Claude-Henri SAINT-SIMON, che elabora il concetto di società organica, ossia una società equiparata a un organismo all’interno del quale tutti i soggetti non sono che parti. Perché possa affermarsi questo modello, è necessario che la riorganizzazione della società avvenga su basi scientifiche e sul lavoro industriale. La “fisiologia sociale” di Saint-Simon considera la differenziazione delle parti all’interno dell’organismo sociale come qualcosa di inevitabile, che può essere controllato e organizzato su basi scientifiche → la differenziazione di cui si parla è quella introdotta dall’industrializzazione. Sarà proprio l’accentuazione della differenziazione tra le parti a costituire la base per l’elaborazione di una teoria della società di massa. Si tenga presente il filo rosso che unisce Saint-Simon ad August COMTE, che nel suo Corso di filosofia positiva propone una concezione organica della società: all’interno di questo organismo è possibile individuare una molteplicità di parti che operano in modo coordinato → ciò implica il presupposto di una divisione dei compiti tra i vari soggetti nell’obiettivo di mantenere un’armonia complessiva. Comporta in altri termini l’introduzione del concetto di specializzazione che tuttavia implica il rischio di un eccesso di specializzazione, tale da indebolire lo spirito d’insieme. Può capitare di assistere quindi a una scomposizione della società stessa in una moltitudine di corporazioni incoerenti, che sembrano quasi o per niente appartenere alla stessa specie. La specializzazione rischia di produrre distanza e incomunicabilità tra individui, dando vita a inattese forme di disorganizzazione. L’incomunicabilità e la distanza tra individui intesi come frutto dell’eccesso di specializzazione rappresentano uno dei punti di partenza fondamentali del dibattito sulle comunicazioni di massa. Sulla questione della profonda trasformazione della sfera relazionale dei soggetti, ulteriori elementi di conferma vengono forniti da Ferdinand TÖNNIES nel suo lavoro Comunità e società: la comunità si riferisce a un modo di sentire comune, che fa sì che gli uomini si sentano parte di un tutto, che partecipino della realtà nella quale vivono immedesimandosi completamente con essa; la società è invece impersonale e anonima, basata sulla forma di relazione sociale tipica del contratto tra individui in vista di un tornaconto personale. Lo studioso prevede dunque che nella società industriale scompariranno gli insiemi dei sentimenti comuni e reciproci in virtù dei quali gli individui rimangono uniti → gli individui continuano quindi ad essere descritti come sempre più soli e immersi in relazioni sociali sempre meno condivise fino ad arrivare, in casi estremi, a dar vita a ciò che DURKHEIM ha chiamato anomia (assenza di norme). Egli ricostruisce il complesso delle relazioni che si stabiliscono all’interno di una società: la solidarietà meccanica deriva dalle somiglianze tra gli individui, si accompagna a una divisione del lavoro elementare e si caratterizza per dare vita a un essere collettivo; la solidarietà organica tra invece origine dalla eterogeneità tra gli individui, si traduce in una divisione del lavoro molto sviluppata e viva a seguito dell’introduzione di numerose relazioni formali e frammentate. L’eterogeneità tra individui e la marcata divisione del lavoro possono, in casi estremi, dare vita a una situazione caratterizzata da anomia, rintracciabile laddove la società non si configura più come in grado di regolare e porre limiti all’agire degli individui. In breve, ciò che viene meno è la capacità di sentirsi parte di una comunità e stabilire relazioni significative con gli altri membri. Ne discende che gli individui: a) vivono in una condizione di isolamento; b) vivono quasi esclusivamente relazioni basate sull’impersonalità; c) sono relativamente liberi da pressioni sociali vincolanti.

Il XX secolo si apre con un nuovo soggetto, la massa. Nel ricostruire tale momento, Gianni STATERA ricorda reazioni diverse e contrastanti. Con “massa” si intende essenzialmente la “massa bruta”, soggetta alle più svariate sollecitazioni, pronta a seguire intriganti demagoghi, a piegarsi istintivamente alle parole d’ordine abilmente diffuse da questi. Con la sola eccezione di chiavi di lettura ispirate al marxisimo, prevaleva una concezione della massa manipolabile e portatrice di una sorta di istinto di sottomissione. Sul fronte degli studi di sociologia politica, un contributo significativo alla creazione di un clima di preoccupazione circa la massa proviene dai teorici dell’élitismo (MOSCA, PARETO e MICHELS) → condividono l’idea secondo la quale, in tutte le forme di società, la massa non è altro che uno strumento di manovra a disposizione delle élites: non è sufficiente essere numerosi per avanzare rivendicazioni e proporsi come alternativa al governo della società; piuttosto è necessario dotarsi di una struttura organizzativa. Abbandonando il campo della riflessione politica, ORTEGA pone al centro della sua riflessione la qualità dell’uomo-massa in antitesi all’uomo “colto”: la massa è irrazionale e incompetente, e rischia di diffondere ignoranza e irrazionalità → l’irruzione della massa sulla scena sociale, quindi, non può che rappresentare l’indicatore più evidente di una trasformazione profonda, legata alla perdita di un mondo che non tornerà mai più. Su un versante più propriamente sociologico si colloca SIMMEL, che sostiene che la massa si fonda sull’esaltazione delle parti che accomunano gli individui piuttosto che quelle che le differenziano; inoltre, le azioni della massa puntano dritto allo scopo e cercano di raggiungerlo per la via più breve: questo fa sì che a dominarle sia sempre una sola idea, la più semplice possibile. Ancora una volta, dunque, vengono sottolineati i tratti dell’irrazionalità, della disorganizzazione, della difficoltà a trovare tratti identitari comuni e dell’isolamento nel quale versano gli individui che abitano la società di massa. Un isolamento sottolineato anche da BLUMER → questa carenza di interazione si riflette sulla difficoltà da parte degli individui a condividere quadri valoriali, modelli e aspettative di vita da un lato, e a difendersi dal sogno di modelli estranei alla propria sfera di vita dall’altro. Questo è dunque il clima culturale e scientifico dei primi anni del secolo che ha visto nascere e diffondersi la prima teoria sulle comunicazioni di massa; la teoria ipodermica è la prima utilizzata per dar conto della presenza dei mass media nelle società del tempo. I postulati ai quali fa riferimento discendono direttamente da quelli alla base della teoria della società di massa: a) nella società contemporanea si è verificata la scomparsa dei gruppi primari; b) gli individui sono isolati; c) gli individui annullano l’esaltazione dei tratti personali per lasciare spazio a quelli impersonali della massa; d) il pubblico delle comunicazioni di massa è un pubblico atomizzato; e) i mezzi di comunicazione di massa sono onnipotenti e consentono di manipolare gli individui. WOLF sostenne che l’isolamento del singolo individuo nella massa anonima è il prerequisito della prima teoria sui media → la nuova società prodotto dalla rivoluzione industriale è intimamente attraversata dai mezzi di comunicazione di massa. La teoria ipodermica o bullet theory è stata definita da KURT e LANG come una delle teorie che “never was” a causa della profonda estraneità mostrata dagli scienziati sociali → teoria più volte recuperata, soprattutto quando si voleva enfatizzare il carattere massificante e manipolatorio delle comunicazioni di massa: ADORNO e HORKHEIMER la riprendono per la “teoria critica”; MORIN per la “teoria culturologica”. Nella ricostruzione a cicli delle teorie della comunicazione elaborata dalla NEUMANN la teoria ipodermica è collocata nella fase iniziale. Le preoccupazioni circa il potere manipolatorio dei media trovano un buon terreno di colutra nel clima di opinione che da un lato temeva i pericoli dell’avanzata delle masse nella vecchia Europa e le conseguenze devastanti della guerra, dall’altro adottava a riferimento la teoria dell’azione elaborata dalla psicologia behaviorista, che comportava l’estensione dell’unità stimolo-risposta a ogni forma di comportamento, umano o animale che fosse. Saldandosi alla teoria della società di massa, l’approccio di stampo behaviorista completava e suggellava una visione del rapporto tra individui e mezzi di comunicazione di massa determinato interamente da questi ultimi. La preoccupazione relativa agli effetti manipolatori dei mezzi di comunicazione sugli individui, pur non poggiando su dati empirici di sostegno, era fortemente diffusa tra gli studiosi. I postulati sui quali si fonda la teoria ipodermica sono i seguenti:

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il pubblico è una massa indifferenziata, con individui che sono in una condizione di isolamento fisico, sociale e culturale; i messaggi veicolati dai media sono potenti fattori di persuasione; gli individui sono indifesi di fronte al potere dei mezzi di comunicazione di massa; i messaggi veicolati sono ricevuti da tutti i membri allo stesso modo.

Il punto di partenza dal quale muovere per studiare il rapporto tra mezzi di comunicazione di massa e individui si caratterizza per la collocazione di questi ultimi in una sorta di vuoto sociale. Gli individui appaiono completamente soli, privi di reti di protezioni, esposti senza scampo agli stimoli dei media. In questo modello però c’è una semplificazione estrema del rapporto comunicativo, ridotto a un mero automatismo: non è presente alcuna traccia di una qualche forma di potere ascrivibile ai destinatari. Da questo modello prendono le mosse due ingegneri – SHANNON e WEAVER – che elaborano la teoria matematica della comunicazione: obiettivo quello di definire una teoria sulla trasmissione ottimale dei messaggi. Le possibili “fonti di rumore”, in grado di produrre una dispersione di informazioni, rappresentavano lo specifico oggetto di studio. In entrambi i modelli dunque si ha un punto comune: un emittente costruisce e veicola un messaggio che deve arrivare al destinatario, consentendo l’attivazione di una “risposta”. ECO sottolinea come sia possibile sempre ritracciare una fonte o sorgente dell’informazione, dalla quale, attraverso un apparato trasmittente, viene emesso un segnale; questo segnale viaggia attraverso un canale lungo il quale può venire disturbato da un rumore. Uscito dal canale, il segnale viene raccolto da un ricevente che lo converte in un messaggio. Come tale, il messaggio viene compreso dal destinatario. Questo schema può essere applicato a una comunicazione tra macchine, tra esseri umani o tra esseri umani e macchine. Estraneo al processo rimane il momento dell’attribuzione di significato al messaggio da parte del ricevente. Il modello comunicativo elaborato da LASSWELL costituisce il primo tentativo di sistematizzare i dati di ricerca e le riflessioni teoriche raccolte e sviluppate nella fase iniziale dalla communication research. Wolf sottolinea come tale modello superi la teoria ipodermica, evidenziando le innovazioni introdotte; tuttavia, non si tratta di un superamento, ma di un perfezionamento → gli elementi sottolineano come tale teoria ribadisca un assunto fondamentale della teoria ipodermica, ovvero che l’iniziativa della comunicazione è un’esclusiva del comunicatore e che gli effetti sono da riferirsi esclusivamente al pubblico. Prestare attenzione a chi attiva il processo comunicativo significa collocarsi nell’area di studio dell’emittenza; l’operazione di separare la figura dell’emittente da quella del destinatario appare oggi difficilmente difendibile e tale da ignorare l’ingresso di nuove figure come quella del prosumer, un soggetto che veste alternativamente i panni tanto del produttore quanto del consumatore → ai tempi dei social media e di una comunicazione che diventa sempre più orizzontale, dinamica e frutto di numerosi soggetti, una rigida divisione dei ruoli appare inopportuna oltre che inadatta a descrivere i processi comunicativi in corso. Secondo elemento del modello è il cosa viene comunicato: questo implica un’automatica collocazione nell’area di studio del messaggio → il filone della content analysis trova in Lasswell il suo padre fondatore. Per far ciò, Lasswell prende in esame una specifica situazione (discorso del 1° maggio in Unione Sovietica): la staticità del contenuto del messaggio analizzato dagli studiosi rischia di trasformarsi in un limite conoscitivo di notevole impatto. Le pratiche del mush up (inclusione di contenuti e informazioni diversi) possono modificare infatti il messaggio in misura significativa fino al punto di stravolgerlo e rendere decisamente difficile la sua analisi. Prestare attenzione a chi è il destinatario del messaggio implica l’assunzione di un focus d’attenzione centrato sul pubblico dei media; prestare attenzione a quali effetti vengano attivati nei destinatari significa entrare di forza nel campo di studio che più di altri ha attraversato l’intera storia della mass communication research, quello degli effetti. La tripartizione del campo di studio (emittenza, messaggio, ricezione) ha a lungo costituito un punto di riferimento nella communication research, quantomeno dal punto di vista dell’organizzazione della ricerca. Un’efficace sintesi delle critiche mosse ai presupposti teorici del modello è stata elaborata da Wolf, che ha sottolineato: a) l’asimmetria della relazione che lega l’emittente al destinatario; b) l’indipendenza dei ruoli; c) l’intenzionalità della comunicazione.

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Lo stesso ideatore del modello cerca di correggere il tiro, ma le integrazioni proposte non sono state sufficienti ad aggirare le critiche mosse riguardo alla staticità delle categorie. Inoltre, le trasformazioni avvenute durante il tempo rendono pressoché impossibile continuare ad assumere a riferimento il modello di Lasswell; ciò nonostante, tale modello deve essere considerato come un framework interpretativo che ha guidato una lunga fase della ricerca e che, oggi, può essere assunto a riferimento per realizzare una sorta di benchmark sulle trasformazioni avvenute nel corso del tempo. Considerati una pietra miliare nell’ambito della communication research, i Payne Fund Studies rappresentano la risposta empirica al clima di allarme sociale diffuso negli Stati Uniti negli anni Trenta a seguito del grande successo del cinema → in quegli anni la platea cinematografica era amplissima (40milioni di biglietti venduti ogni settimana nel 1922, mentre nel 1929 40milione sono i minori presenti agli spettacoli); le storie di Hollywood, però, non sempre raccontavano storie edificanti. La preoccupazione per le giovani generazioni esposte a tali messaggi portò alla nascita dei Payne Fund Studies, che finanziarono ben tredici ricerche relative al contenuto dei film e agli effetti esercitati sulle giovani generazioni nell’arco temporale dal 1929 al 1932. Le ricerche hanno individuato dieci generi maggiormente presenti nel cinema: crimine, sesso, amore, mistero, guerra, infanzia, storia, avventura, commedia e questioni sociali; il 75% dei film cade nei generi di sesso, amore e crimine e inoltre spesso venivano ritratti individui che consumavano tabacco e alcol (erano gli anni del proibizionismo). Si trattava di risultati che confermavano la pericolosità di un’offerta che si poneva talvolta in aperto contrasto con i valori e i comportamenti delle generazioni adulte e integrate. Il filone della ricerca sugli effetti può essere articolato in due grandi aree di interesse: 1) lo studio degli effetti del cinema sugli atteggiamenti degli individui; 2) lo studio degli effetti del cinema sul comportamento quotidiano degli individui. La ricerca più significativa in relazione alla prima area è stata senza dubbio quella di PETERSON e THURSTONE: i due analizzarono l’orientamento dei bambini nei confronti di alcuni gruppi etnici, di soggetti di nazionalità diversa, di alcune questioni sociali come la pena di morte e così via. L’atteggiamento del bambino venne misurato una volta in procinto di vedere il film e una seconda volta al termine della proiezione. I risultati sottolinearono l’effettiva influenza esercitata dai film sugli atteggiamenti dei bambini, in particolare di quelli più piccoli. Un interesse per gli effetti attivati dal cinema sulla vita quotidiana viene condotta da BLUMER su 1800relazioni stilate da uomini, donne, adolescenti e bambini → lo studioso adotta una metodologia qualitativa che presterà il fianco a qualche critica; nonostante ciò, la ricerca è estremamente ricca di suggestioni ancora attuali, a partire dalle aree di indagine individuate: influenza sui giochi infantili, imitazione di stili di vita, proiezioni e fantasie, coinvolgimento emotivo. Il cinema influenza la vita dei bambini quando propone soggetti nei quali indentificarsi e quando suggerisce nuove scene, situazioni e dinamiche di comportamento da adottare nei giochi con i compagni. Al crescere dell’età, il cinema offre altro: consente l’acquisizione di un linguaggio e di uno stile. 2.Società e media digitali: network society, connective society e platform society L’avvento del digitale rappresenta una sfida alle comunicazioni di massa e al concetto di “massa” → in questo clima si sviluppa un’utopia cibernetica, quella della società industriale in cui la dimensione di massa assume un movimento più fluido, di tipo orizzontale, che ha il suo senso regolativo in una prospettiva reticolare. La regolazione cibernetica è di tipo automatizzato e alimenta una società del controllo, che trovala sua forma più compiuta nel dispargersi della diffusione della tecnologia computazionale in ogni ambito del quotidiano, sia del lavoro che del tempo libero. Questa fase di utopia tecnologica si correla a un clima culturale e teorico che segna l’era della globalizzazione e del capitalismo post-industriale, portando a dissolvere tutto ciò che è solido. Nella modernità avanzata troviamo un cambio di direzione dell’utopia cibernetica negativa a favore di un’utopia positiva, che interpreta il senso della cyberconnessione così come cominciamo a osservarla → in questa fase diventa prevalente un certo internet-entusiasmo. L’utopia cibernetica nella sua visione cyberconnettiva produce una narrazione fatta di comunità virtuali, di accesso permanente e condiviso del sapere, di tecno-democrazia sospinta da un egualitarismo digitale e da un liberatismo espressivo che talvolta sembra determinato dalla tecnologia di rete in sé e dalle sue proprietà: troviamo così esaltata una natura salvifica della rete.

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La visione cyberutopica esaurisce la sua spinta propulsiva nel momento in cui la penetrazione ubiqua delle tecnologie di comunicazione digitale tocca le routine del mondo della vita quotidiana, e nel momento in cui il progetto di globalizzazione politica ed economica dell’Occidente a capitalismo avanzato volge il suo sguardo alla rete come strumento di esportazione liberale della democrazia. Internet, infatti, inizia ad assumere un ruolo rilevante nella politica degli Stati; tuttavia, la componente demagogica comporta seri pericoli perché rischia di portare a ritenere che la tecnologia darà potere a gente che, oppressa da anni di regi...


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