Title | Leopardi |
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Author | Bianca Vaiana |
Course | Letteratura Italiana |
Institution | Università degli Studi di Napoli L'Orientale |
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appunti su vita opere e poetica leopardiani...
ITALIANO “A UN VINCITORE NEL PALLONE” di Giacomo Leopardi TESTO Di gloria il viso e la gioconda voce,
PARAFRASI
Garzon bennato, apprendi,
Giovane di nobile animo, insegna quanto la
E quanto al femminile ozio sovrast
virtù che costa fatica sia migliore dell'ozio
La sudata virtude. Attendi attendi, Magnanimo campion (s'alla veloce Piena degli anni il tuo valor contrast
femmineo, quanto riempia di gloria il viso e renda gioconda la voce. Fai attenzione! concentrati, generoso campione (e ti auguro che il valore sottragga il tuo nome alla
La spoglia di tuo nome), attendi e il core
rapida fuga degli anni), fai attenzione e
Movi ad alto desio. Te l'echeggiante
suscita alti desideri nei cuore. Lo stadio
Arena e il circo, e te fremendo appella
pieno di voci e il favore popolare
Ai fatti illustri il popolar favore;
pronunciano il tuo nome con un fremito.
Te rigoglioso dell'età novella Oggi la patria cara
Oggi la cara patria ti spinge, nel rigoglio della giovinezza, a rinnovare gli "antichi esempi".
Gli antchi esempi a rinnovar prepara.
Del barbarico sangue in Maratona Non colorò la destra Quei che gli atlet ignudi e il campo eleo, Che stupido mirò l'ardua palestra, Né la palma beata e la corona D'emula brama il punse. E nell'Alfeo
Colui che guardò con animo insensibile i nudi atleti, il campo di Olimpia e le difficoltà della palestra, non sporcò nemmeno la sua mano del sangue barbarico nella battaglia di Maratona, né mai desiderò la corona della vittoria. Invece quel tale che lavò i capelli
Forse le chiome polverose e i fianchi
impolverati e i fianchi delle cavalle vincitrici
Delle cavalle vincitrici asterse
nel fiume Alfeo (quello che scorre nei pressi
Tal che le greche insegne e il greco acciaro
di Olimpia) forse portò le insegne e le armi
Guidò de' Medi fuggitvi e stanchi Nelle pallide torme; onde sonaro Di sconsolato grido L'alto sen dell'Eufrate e il servo lido.
greche tra le schiere dei Persiani in fuga; quelle armi che fecero risuonare di grida sconsolate le acque dell'Eufrate e quelle terre di schiavi soggiogati ad un despota.
Vano dirai quel che disserra e scote Della virtù natva
Giudicherai forse inutile colui che le
Le riposte faville? e che del fioco
nascoste scintille della nativa virtù scuote e
Spirto vital negli egri petti avviva Il caduco fervor? Le meste rote Da poi che Febo instga, altro che gioco
rianima? Colui che rende vivo nei cuori induriti il fervore del debole spirito vitale, destinato a spegnersi? Da quando Apollo spinge le triste ruote del sole, sono forse
Son l'opre de' mortali? ed è men vano
qualcosa più che un gioco le opere degli
Della menzogna il vero? A noi di liet
uomini? E la realtà non è meno vana della
Inganni e di felici ombre soccorse
vergogna? La natura stessa ci aiuta con lieti
Natura stessa: e là dove l'insano
inganni e felici illusioni: e là dove malate
Costume ai fort errori esca non porse, Negli ozi oscuri e nudi
abitudini ostacolano i "forti errori", gli uomini lasciano le passioni gloriose per una squallida e oscura vita.
Mutò la gente i gloriosi studi.
Tempo forse verrà ch'alle ruine Delle italiche moli
Verrà forse presto il giorno in cui greggi
Insultno gli arment, e che l'aratro
pascoleranno in mezzo alle rovine delle
Sentano i sette colli; e pochi Soli Forse fien volt, e le città latne Abiterà la cauta volpe, e l'atro
grandi opere italiche, il tempo in cui i sette colli di Roma saranno solo terra da arare; forse tra pochi anni le città europee saranno solo tane per volpi e fra le poderose mura
Bosco mormorerà fra le alte mura;
mormorerà al vento una scura foresta; se il
Se la funesta delle patrie cose
destino non rimuoverà dalle menti ormai
Obblivion dalle perverse ment
pervertite la sciagurata dimenticanza delle
Non isgombrano i fat, e la matura
memorie antiche, se il cielo, impietosito dal
Clade non torce dalle abbiette gent Il ciel fatto cortese Dal rimembrar delle passate imprese.
ricordo delle imprese di un tempo, non allontanerà dalla vile umanità la rovina ormai prossima.
Alla patria infelice, o buon garzone, Sopravviver t doglia.
Buon giovane, non ti auguro di sopravvivere
Chiaro per lei stato sarest allora
alle rovine della tua terra. Un dono luminoso saresti stato per la sua vegetazione, ora
Che del serto fulgea, di ch'ella è spoglia, Nostra colpa e fatal. Passò stagione; Che nullo di tal madre oggi s'onora:
inaridita. Non c'è rimedio alla nostra colpa. La stagione ormai è passata e oggi la nostra madre terra non riceve alcun onore. Dunque
Ma per te stesso al polo ergi la mente.
almeno per te stesso solleva lo sguardo
Nostra vita a che val? solo a spregiarla:
all'orizzonte: a che serve la nostra vita? Solo
Beata allor che ne' perigli avvolta,
a disprezzare la vita stessa. Felice è la vita
Se stessa obblia, nè delle putri e lente
soltanto quando, travolta dal pericolo,
Ore il danno misura e il flutto ascolta;
dimentica se stessa e non misura il danno delle putride e lente ore; felice solo quando
Beata allor che il piede
spinge il piede sulla soglia dell'oblio: allora
Spinto al varco leteo, più grata riede.
ci pare più gradita.
La canzone“A un vincitore nel pallone” fu scritta da Giacomo Leopardi nel novembre 1821, è divisa in cinque strofe e fa parte delle Canzoni Civili e patriottiche che esortano alla riscossa nazionale. Con essa Leopardi si riferisce ad un personaggio ben preciso, il giovane Carlo Didimi di Treia, campione famoso nel gioco del pallone, poi anche patriota e carbonaro. Qui è acclamato come campione e valorizzato per l’energia espressa nell’azione sportva. In partcolare, "A un vincitore nel pallone" esalta la sfida con gli avversari e il rischio come unici rimedi ad un'esistenza svuotata di qualsiasi valore. Una visione della vita che va presa come un gioco, come il calcio, e quindi tutta da giocare. Non è necessario fare troppa attenzione allo scopo dell’azione, basta che si agisca, che non si rest fermi. E allora Leopardi incita il ragazzo a contnuare così e a fare sempre di più, perché la vita deve essere attiva e anche rischiosa per offrire la possibilità di salvarsi dall'infelicità e dalla noia.
L’autore
Giacomo Leopardi fu uno dei più important poet della letteratura italiana dell'Ottocento. Le sue vicende personali ci sono note anche grazie al suo diario personale di ricordi, noto con il ttolo di “Zibaldone”. Il poeta nacque nell'anno 1798 a Recanat, nelle Marche, da una famiglia di nobile origine, ma economicamente caduta in rovina a causa del padre. Egli scrisse tantssime poesie important e note, come per esempio “A Silvia” in cui è descritta la figura di Silvia intenta nelle sue attività di vita quotdiana. Tra le sue opere che si trovano nelle raccolte poetche de “I Piccoli Idilli” e “I Grandi Idilli”, si ricorda anche “Il Sabato del villaggio”, in cui vengono delineat i tratti della poetca leopardiana. Tra le altre poesie vi è “L'Infinito”, in cui è descritto lo stato d'animo dell'autore quando ammira l'infinito. Il suo pensiero può essere diviso in 3 part principali: Il pessimismo storico tratta dell’infelicità dell’uomo che non dipende dalla natura, ma dalla ragione che è simbolo di sofferenza perché fa capire che tutti i sogni e le speranze che si avevano da giovani sono irrealizzabili.
Il pessimismo individuale nasce dal fatto che Leopardi aveva problemi di salute: a 16 anni aveva già il fisico di una persona in età avanzata e quindi il dolore diviene strumento di conoscenza che accompagna tutta la vita del poeta. Il pessimismo cosmico secondo cui l’uomo è destnato a soffrire per tutta la durata della sua vita e la natura è la sola colpevole, perché ha fatto in modo che nell’uomo nascesse il desiderio della felicità, senza però dargli i mezzi per raggiungerla....