Giacomo Leopardi VITA PDF

Title Giacomo Leopardi VITA
Author camilla riva
Course Letteratura Italiana quinto anno
Institution Liceo (Italia)
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Summary

APPUNTI SULLA VITA E POETICA DI GIACOMO LEOPARDI...


Description

Giacomo Leopardi LA POETICA DEL VAGO E INDEFINITO L’INFINITO NELL’IMMAGINAZIONE La “teoria del piacere” è fondamentale nel pensiero leopardiano: da una parte è il nucleo della filosofia pessimistica di Leopardi, dall’altra il punto d’avvio della sua poetica. Se nella realtà il piacere infinito irraggiungibile, l’uomo può figurarsi piaceri infiniti mediante l’immaginazione. La realtà immaginata è l’alternativa a una realtà vissuta che non è che infelicità è noia. Ciò che stimola l’immaginazione è tutto ciò che è “vago e indefinito”, lontano e ignoto. Riflessioni riguardo a questi temi si possono trovare nello Zibaldone. A ciò si aggiunge anche la teoria della visione: piacevole per l’anima la vista impedita da un ostacolo, come può esserlo una siepe, perché allora in luogo della lista lavora l’immaginazione; lo stesso effetto lo possono avere altri elementi, come per esempio la luce lunare che non è una luce ben definita ma morbida e soffusa. Contemporaneamente c’è anche una teoria del suono, ovvero suoni suggestivi perché vaghi: un canto che vada a poco a poco allontanandosi o il canto che giunga all’esterno dal chiuso di una stanza. Tutto ciò si riassume nella teoria della doppia visione, ovvero il poeta vede il reale ma questo è anche una porta per l’immaginazione. È grazie al finito, infatti, se possiamo comprendere l’infinito. Se non sia questa doppia visione non si percepisce che la realtà è espressiva.

IL BELLO POETICO Il modello poetico consiste dunque nel “vago e indefinito”, che si manifesta in immagini del tipo di quelle elencate nella teoria della visione del suono (anche certe parole sono poetiche, per le idee indefinite che suscitano: ad esempio lontano antico o eterno). Queste immagini sono suggestive perché evocano sensazioni che ci hanno affascinato da fanciulli. La rimembranza diviene, quindi, essenziale al sentimento poetico. La poesia non è infatti altro che il recupero della visione immaginosa della fanciullezza attraverso la memoria. Rimembrando l’anima si allunga nel passato, si espande quindi è felice dato che l’anima trova piacere solo quando può spaziare. Leopardi esalta per questo l’infanzia, perché sono proprio i bambini quelli con più immaginazione e sono in grado di stupirsi delle cose più semplici. Questo perché non hanno ancora sviluppato la ragione e la logica.

ANTICHI E MODERNI Leopardi osserva inoltre che i maestri della poesia vaga e indefinita erano gli antichi perché più vicini alla natura quindi più immaginosi, come fanciulli. Questo carattere è rilevato dal ricorrere, nella loro poesia, di immagini vaghe e indefinite. Ai moderni, che si sono allontanati dalla natura per colpa della ragione, e per questo sono disincantati e infelici, la poesia di immaginazione è ormai preclusa, ad essi non resta che una poesia sentimentale che nasce dalla consapevolezza del vero e dall’infelicità. Leopardi segue proprio la poetica del vago e indefinito, alcuni esempi si possono trovare nello Zibaldone e torneranno sempre più spesso nelle sue liriche. Leopardi, quindi, non si rassegna a escludere il carattere immaginoso dei suoi versi, così come non si rassegnerà a rinunciare alle illusioni ma, pur consapevole della loro vanità, continuerà a vagheggiarle attraverso la memoria e a nutrire di esse la sua poesia.

Opere LA TEORIA DEL PIACERE dallo Zibaldone Leopardi in questo passaggio riflette sul piacere e l’indefinito, con alcuni accenni alla felicità. Noi per Leopardi siamo esseri desideranti e l’anima è anche essa un qualcosa di desiderante, desidera all’infinito, ma nella realtà nulla può appagare questo desiderio perché tutto è limitato. Di conseguenza, l’anima non sarà mai felice anche perché per Leopardi, ateo, l’anima finisce quando finisce il corpo. Tutto ciò che facciamo per arrivare la felicità è limitato perché noi in realtà desideriamo la sensazione della felicità, ovvero noi non desideriamo un piacere ma il piacere. Grazie alla facoltà immaginativa cioè l’immaginazione, l’uomo può figurarsi dei piaceri che non esistono e figurarseli infiniti. Il piacere infinito, che non si può trovare nella realtà, si trova così nell’immaginazione. Da questo Leopardi trai le solite conseguenze, ovvero la superiorità degli antichi sopra i moderni in ordine alla felicità e la superiorità dei fanciulli sugli adulti. La cognizione del vero, dice Leopardi, cioè ciò che limita e definisce delle cose, circoscrive l’immaginazione. Il poeta, pertanto, afferma che l’ignoto sia più bello del noto. Leopardi conclude la riflessione dicendo che la malinconia e il sentimentale moderno sono così dolci perché immergono l’anima in un abisso di pensieri indeterminati, e dicendo che l’anima si figura cose che non potrebbe se la nostra vista si estendesse dappertutto, perché il reale escluderebbe l’immaginario. Con queste ultime parole Leopardi sta descrivendo la poesia “L’infinito” che stava completando proprio in quel periodo.

L’INFINITO dai Canti – idilli L’infinito anticipa in forma poetica il nucleo tematico che sarà il centro delle riflessioni leopardiane, ovvero la teoria del piacere, da cui si sviluppa la teoria del vago e indefinito. Leopardi sostiene che particolari sensazioni, per il loro carattere indefinito, inducono l’uomo a crearsi con l’immaginazione quell’infinito a cui aspira, che è però irraggiungibile, perché la realtà non offre che piaceri finiti. L’infinito è la rappresentazione di uno di questi momenti in cui immaginazione strappa la mente al reale e la immerge nell’infinito. La poesia si articola in due momenti; nel primo momento l’immaginazione prende l’avvio da una sensazione visiva, ovvero, l’impossibilità di spingere lo sguardo oltre la siepe che gli impedisce di vedere fino l’orizzonte. L’impedimento fa, inoltre, subentrare il fantastico e il pensiero si costruisce un infinto spaziale, senza limiti.

Nel secondo momento l’immaginazione prende l’avvio da una sensazione uditiva, lo stormire del vento e delle piante. La voce del vento viene, infatti, paragonata all’infinito silenzio e suscita l’idea di perdersi delle cose umane nel silenzio. Tra i due momenti c’è anche un passaggio psicologico: l’io lirico davanti all’infinito prova un senso di sgomento, ma nel secondo momento l’io si annega nell’immensità dell’infinito e questa sensazione di naufragio che l’io è dolce, piacevole. Tra lo spaurarsi del cuore e la dolcezza del naufragio non c’è però contrasto, come potrebbe apparire di primo acchito: essi infatti non sono che due aspetti che, secondo il sensismo, derivano dall’immaginazione dell’infinito. Il componimento non va però letto con chiave mistico-religiosa, nonostante l’autore usi il linguaggio tipico della mistica, richiamato dalla metafora del mare in cui l’io naufraga. Non si nota però all’interno del componimento nessun accenno a una dimensione sovrannaturale; l’infinito non ha le caratteristiche del divino, anzi, nello Zibaldone Leopardi lo esclude esplicitamente. Non solo, ma questo infinito non è un infinito oggettivo, come dovrebbe essere la divinità, bensì tutto soggettivo, creato solo dall’immaginazione dell’uomo ed è evocato a partire da sensazioni fisiche, così come è la riflessione del piacere misto a paura provocato nell’immaginazione dell’idea dell’infinito. Con questo non si può del tutto escludere una componente mistica nella poesia: ma questa è radicata negli strati più profondi della personalità leopardiana....


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