LA VITA Solitaria di Giacomo Leopardi PDF

Title LA VITA Solitaria di Giacomo Leopardi
Author Francesca Pimpinella
Course Letteratura italiana 
Institution Università degli Studi di Bari Aldo Moro
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LA VITA SOLITARIA

di Giacomo Leopardi

Leopardi scrisse il canto "La vita solitaria", che chiuse l'esperienza dei primi idilli, tra l'estate e l'autunno del 1821. Lo spunto iniziale del canto, presumibilmente, indica che Leopardi scrisse la poesia ricordando un suo soggiorno nella casa di campagna di famiglia nella tenuta di San Leopardo, presso Recanati. Molti passi dello Zibaldone del 1821 si rifanno al tema della "vita solitaria" che era presente da tempo nella mente di Leopardi come si evince dai molti altri riferimenti letterari, insiti nel canto. Molti versi, infatti, fanno riferimento ad opere letterarie di Monti, di Pindemonte, di Parini e di Foscolo e riprendono, anche, versi di Odae adespotae che Leopardi aveva tradotto nel 1816. Il tema, inoltre, esprime il contrasto tra la vita della campagna e la vita delle città. Ma io, Biagio Carrubba, credo, che Leopardi abbia voluto esprimere il suo amore per una natura ritenuta ancora, soprattutto benigna. Questo sentimento di amore verso la natura cambierà radicalmente nel 1824. Nel canto la natura è soprattutto benigna, anche se in certi versi Leopardi già comincia a fare vedere la natura come madre matrigna ed indifferente verso gli uomini; dal 1824 in poi, nelle opere di Leopardi, scomparirà completamente il volto benigno della natura e rimarrà solo il volto maligno di essa. La Vita solitaria è composta da 107 versi e fu pubblicata per la prima volta nel "Nuovo Ricoglitore" del 1826. Parafrasi e costruzione diretta della poesia "La vita solitaria".

1ª strofa. La mattutina pioggia mi risveglia, mentre la gallinella saltella nel pollaio sbattendo le ali, mentre il contadino s'affaccia al balcone, mentre il sole, che sorge, fa passare i suoi deboli raggi fra le gocce della pioggia che cade sopra la mia capanna; ed io mi alzo e saluto con gioia le piccole nuvole, il primo cinguettio degli uccelli, le aperte campagne e l'aria fresca; poiché io vidi e conobbi voi, disgraziate mura cittadine, là dove l'odio è inseparabile al dolore; ed io vivo addolorato e morirò in tal modo, deh subito! Benchè ora la natura mi mostra nessuna o poca pietà in questi luoghi, un tempo essa fu molto generosa con me! E tu, o Natura, non guardi i miseri; tu, disprezzando gli affanni e le sciagure, sei asservita solo alla felicità. Sia in cielo che in terra nessuno è amico degli infelici, e, a loro, non rimane nessun altro rifugio che il suicidio.

2ª strofa. Alcune volte mi siedo in un luogo solitario, sopra un'altura, al margine di un lago, circondato da piante silenziose. Qui, quando il meriggio si dispiega nel cielo, il sole riflette la sua tranquilla immagine sul lago, né erba né foglia si muovono al vento e quando non si ode, né da vicino né da lontano, voce né movimento, né si vede onda muoversi e nè si sente cicala stridere, né uccello battere le ali sui rami, né farfalla sussurrare, allora una profondissima quiete domina sulle rive;

tanto che io, stando seduto immobile, dimentico quasi me stesso e il mondo; e già mi pare che il mio corpo si liberi dalla mia anima e mi pare che, né spirito né sensazioni riescano più ad animarlo e mi pare che la stasi prolungata del mio corpo si assimili al silenzio del luogo.

3ª strofa. Amore, amore, sei volato via lontano dal mio cuore, che un giorno fu caldo, anzi rovente. La sciagura lo ha stretto con la sua fredda mano ed esso si è tramutato in ghiaccio nel pieno della mia gioventù. Ricordo il tempo che tu, amore, mi scendesti nel cuore. Era quel dolce ed indimenticabile tempo, quando questo infelice spettacolo del mondo si apre alla vista del giovane e gli appare in forma di paradiso. Allora il cuore palpita nel petto al ragazzo che è pieno di speranze ancora intatte, non deluse; e il misero mortale già si prepara al lavoro di questa vita come fosse danza o gioco. Ma non appena mi accorsi di te, o amore, ecco che già la sfortuna aveva spezzato il mio vivere, cosicché non altro restò ai miei occhi, se non il piangere sempre. Se qualche volta mi trovo per le campagne assolate, o durante la silenziosa aurora, o quando i tetti, le colline e le campagne brillano al sole, incontro lo sguardo di una bella fanciulla; o quando nella tranquilla quiete di una serata estiva contemplo la terra solitaria, soffermandomi davanti alle ville e sento il sonoro canto di una fanciulla che lavora nelle solitarie stanze e aggiunge con le sue mani nuovo lavoro al lavoro del giorno, allora questo mio cuore insensibile ritorna a palpitare; ma, ahi, torna subito al duro torpore, poiché ogni sentimento soave è diventato estraneo al mio cuore.

4ª strofa. O cara luna, le lepri danzano al tuo tranquillo raggio; e, alla mattina, il cacciatore si lamenta perché trova le orme false e sparpagliate che lo sviano dalle tane; salve, o benigna regina delle notti. Il tuo raggio scende nocivo fra gli alberi e fra le valli o dentro case abbandonate o sulla lama del pallido ladrone, il quale, con le orecchie tese, ascolta il rumore delle ruote, il calpestio dei cavalli o il fruscio dei passi sul silenzioso sentiero; poi all'improvviso con il suono delle armi, con la voce rauca e con il volto truce e minaccioso egli gela il cuore del passeggero, e in un battere d'occhio lo lascia semivivo e nudo. La tua bianca luce scende nelle vie cittadine ed è sfavorevole all'amante adultero, che, rasentando le mura delle case e seguendo le ombre degli edifici, s'arresta e ha paura delle lucenti lucerne e delle finestre aperte. (Il tuo raggio) Scende nemico a tutte le menti malvagie. Invece, per me, la tua vista sarà sempre benevola perché mi illumina non altro che lieti colli ed ampi campi. Benché io fossi innocente, io solevo accusare il tuo bel raggio, quando nei luoghi abitati mi esponeva allo sguardo degli altri, o quando scopriva gli altri al mio sguardo. Ora, invece, sempre lo loderò, quando, o luna, ti vedrò passare tra le nuvole, o quando tu, serena dominatrice del cielo stellato, contemplerai questa piangente terra umana. Tu vedrai me, spesso muto e solitario errare nei boschi o per le verdi rive, o mi vedrai sedere sopra le erbe, e mi vedrai assai contento, se mi rimarrà tanta forza nel cuore per sospirare, per sperare e per vivere.

Sintesi della poesia. Nella prima strofa il poeta si risveglia al leggero suono della pioggia e saluta il nuovo giorno con fiducia e nuova speranza poiché conosce il dolore, e l'odio che lo accompagna, che si nascondono nella città. Anche il poeta vive la sua quotidianità in modo angosciato e in questo modo prevede morrà. La natura, anche in quei luoghi campestri, non ha pietà per il poeta; ma Leopardi dice che essa un giorno fu assai generosa con lui. La natura distoglie gli occhi dalle miserie e dalle disgrazie umane ed è asservita soltanto alla felicità. Su questa terra nessuno è, infatti, amico degli infelici e ad essi non rimane che il suicidio. Nella seconda strofa talvolta il poeta si siede presso un laghetto circondato da alberi taciturni e vede il sole riflettersi sulle acque del lago e quando non si sentono né le onde incresparsi né il battere delle ali degli uccelli e si vede lo svolgersi del pomeriggio, allora una profonda quiete domina quel luogo. In questa sospensione del tempo, il poeta quasi dimentica sé stesso e il mondo e gli pare che il suo corpo si liberi dall'anima e che nessuna sensazione lo animi e gli sembra che l'immobilità del suo corpo diventi un tutt'uno con il silenzio del luogo. Nella terza strofa Leopardi si rivolge all'amore che un tempo gli aveva riscaldato, anzi arroventato, il cuore. Ora invece il cuore del poeta si è agghiacciato e Leopardi ricorda quando l'amore gli era disceso in cuore così come accade a tutti i giovani a cui la vita sembra una danza o un gioco. Ma, subito dopo che l'amore gli era disceso in cuore, la sfortuna gli aveva troncato la vita stessa e a lui non rimaneva che piangere sempre. Soltanto quando incontra qualche leggiadro volto di ragazza o quando ascolta un melodioso canto di una fanciulla che lavora di notte, il cuore del poeta ricomincia a battere ma si ferma subito dopo perché ogni movimento dolce e soave è diventato, ormai, estraneo, al suo cuore. Nella quarta strofa il poeta si rivolge alla luna sotto il cui raggio le lepri giocano nelle selve dove la mattina il cacciatore si lamenta per le ingannevoli tracce che non gli fanno trovare le tane. Il poeta rivolgendosi alla luna pensa che il suo raggio sia nocivo al brigante che, la notte, con le armi e il suo torvo volto assale il povero viaggiatore e lo lascia spoglio dei suoi beni. Il raggio della luna è nocivo anche all'amante vile che, rasentando i muri degli alberghi e delle case e nascondendosi nell'ombra, fugge via dalla finestre spalancate ed illuminate. Il raggio della luna scende nocivo per tutti gli uomini malvagi ma non per il poeta perché a lui la luna, con il chiarore del suo raggio, mostra campi spaziosi e colline liete. Anche per Leopardi, una volta, però il raggio della luna era nocivo perché lo esponeva agli sguardi altrui e esponeva gli altri ai suoi sguardi. Il poeta sarà sempre grato alla luna sia che essa passi tra le nuvole o che essa contempli la misera sede degli uomini. La luna vedrà il poeta, solitario e muto, sempre vagare tra i boschi e tra le verdi rive o seduto sopra l'erba e lo vedrà abbastanza contento se gli rimarrà la forza e il fiato per potere sospirare.

Il tema della poesia. Il tema del canto è la "solitudine", così come si evince dalle molte pagine scritte da Leopardi sul tema nello Zibaldane per tutto il 1821. Per Leopardi la solitudine ha un effetto benefico per gli uomini perché riconcilia i loro sentimenti con la semplicità e la bellezza della natura. Secondo Leopardi gli uomini, sopraffatti ormai dalla scienza e dalla civiltà, sono diventati troppo aridi e distanti dalla vita felice. A conferma di questa perdita di felicità Leopardi porta come esempio la favola di Psiche e nello Zibaldone così scrive su questo tema: .

Analisi della forma. Il genere della poesia. Il canto “La vita solitaria” è l'ultimo idillio nella accezione leopardiana. La metrica della poesia. Il canto è scritto in endecasillabi sciolti in quattro strofe. Il linguaggio poetico della poesia. Il lessico del canto è parecchio prosastico perché segue il filo conduttore dell'esile trama del canto: il risveglio del poeta all'inizio del giorno, l'oblio del poeta nel silenzioso meriggio, il ricordo dell'amore che, per breve tempo, il poeta immaginò nel suo animo ed infine la descrizione della luce lunare che scende nemica al brigante, all'adultero e a tutte le menti malvagie. Invece il poeta apprezza il raggio lunare e la luna che illumina la terra piangente perché Leopardi ritrova se stesso e dentro se la calma, la serenità e la forza per sospirare e per trovare il vigore e la forza necessaria per potere ritornare alla scontro quotidiano della città. Il lessico, dunque, è molto ragionativo ma non privo di una sapiente e suasiva descrizione interiore ed esteriore. Il tono emotivo della poesia. Il tono emotivo del canto è, come al solito, melanconico e triste perché esprime i veri sentimenti del poeta che vive dentro di se sentimenti di assoluta infelicità e tristezza. In questo canto sono evidenti i riferimenti al suo stato d'animo come egli scriveva in diverse lettere del periodo ad i suoi amici. In particolare si possono ricordare la lettera a Brighenti del 28 agosto 1820, quella a Giordani del 6 marzo 1820 e anche la riflessione scritta nello Zibaldone nella pagine 1673 e 1674 dell'11 settembre 1821 nelle quali il poeta esprime tutto il suo profondo dolore per la sua vita infelice. Il canto, comunque, rivela un agro malanimo verso la vita della città e verso una illusoria giovinezza. La lexis della poesia.

La lexis della poesia è molto ricca di figure retoriche: molti enjambements, un chiasmo, la dislocazione a sinistra del complemento oggetto, la dislocazione a destra del soggetto, molti latinismi e molti riferimenti letterari ad opere italiane e latine di autori come Virgilio e Petrarca. La bellezza della poesia. La bellezza della poesia non è molto evidente e vistosa: anzi molti critici hanno messo in luce la mancanza di unitarietà del canto e molti altri hanno riscontrato una scarsa unità tonale dell'idillio diviso in quattro stanze poco omogenee tra loro anche se Contini ha messo in luce una rigorosa partitura fonica. Io credo che il canto sia importante perché rappresenta un momento riflessivo del percorso giovanile di Leopardi che afferma di avere fiducia nella vita solitaria. Il canto è importante, secondo

me, soprattutto perché credo che il suo errare finale dentro la natura, solo e muto, sia solo un'illusione giovanile del poeta; sarebbe stato, per il giovane Leopardi, un errore relegarsi nella vita solitaria ma per fortuna la sua combattività lo porterà fuori, prima a Roma e a Bologna, poi a Pisa, a Firenze e infine a Napoli. Io credo che la vita solitaria sarebbe stata per lui una illusione e uno sbaglio giovanile. Per fortuna Leopardi aveva una forte indole sociale combattiva che lo portò prima a Firenze dove conobbe Fanny Targioni Tozzetti per la quale provò un fortissimo sentimento d'amore che poetò nel ciclo di Aspasia; successivamente la sua forte indole socievole lo portò a Napoli con il suo amico Antonio Ranieri dove, ancora una volta, espresse la sua alta voce poetica contro la natura, indifferente al dolore umano e creatrice di ingiustizie irrisolvibili. Infatti, la natura, nella sua lenta evoluzione genera figli e figliastri creando negli uni una vita sopportabile e a volte felice e negli altri una vita insopportabile e molte volte infelice. UN ALTRO COMMENTO Leopardi propone un rapporto fra uomo (poeta) e Natura dominato da una fortissima contraddizione: non si tratta di una contrapposizione assoluta; la Natura non è semplicemente la matrigna ostile o la nemica. Sicuramente la Natura condanna l’uomo al dolore, ma al tempo stesso gli offre rifugio, quiete e anche un po’ di felicità. Il carattere contraddittorio del rapporto fra uomo e Natura è reso in maniera drammaticamente efficace attraverso inserimenti improvvisi del dolore in situazioni di serenità, che, comunque, non si fanno sopraffare e anzi lo sovrastano, per cedergli poi, però, di nuovo il campo. Il Sole del mattino scopre una Natura piena dolcezza: è una Natura che il poeta addirittura benedice. Ma quel dolce risveglio porta alla luce anche l’odio e il dolore presenti fra gli uomini. Il canto procede quindi con l’alternarsi incalzante di questi due aspetti del legame uomo-Natura. La Luna, che mostra con il suo raggio “infesto” i briganti e gli assassini che popolano la notte, svela al poeta anche la dolcezza della campagna, suscita in lui il ricordo piacevole e lo spinge al proposito di continuare a godere della Natura. Per sconfiggere il dolore e la morte Leopardi usa lo strumento del ricordo (fondamentale come quello dell’illusione): è possibile non soltanto cogliere la dolcezza del presente, ma anche far rivivere, sottraendola al passato, la dolcezza dell’amore, della giovinezza, della vita come danza e gioco: la morte, infatti, non è solo l’annichilimento che verrà, ma anche le cose che non sono piú, che sono diventate Nulla. È possibile cosí sconfiggere anche la morte interiore dell’uomo, e sciogliere di nuovo un cuore che sembrava diventato di sasso. La condizione che rende possibile il ricordo e l’illusione è la solitudine, perché ricordare e produrre illusioni sono due facoltà individuali della mente. La condanna alla solitudine è il prezzo che l’uomo deve pagare per la sua liberazione (momentanea) dalla paura del Nulla. TEMA Il tema di questa opera è la “solitudine”che ha un effetto benefico per gli uomini perché riconcilia i loro sentimenti con la semplicità e la bellezza della natura. Infatti, come dice Leopardi, siamo ormai sopraffatti dalla scienza e dalla civiltà, e siamo diventati troppo aridi e distanti dalla vita felice.

MESSAGGIO Leopardi in questo canto afferma di apprezzare la vita solitaria delle campagne e preferisce la solitudine del lago al dolore e alla tristezza della vita della città. Il poeta si immerge nel silenzio assoluto della natura che scorre silenziosamente nella vita agreste. Al poeta sembra quasi che il suo corpo si liberi dalla sua anima e che lui si identifichi con il silenzio del luogo. La poesia dà una immagine positiva della natura e della luna che illumina la terra abitata da gente piena di dolore; esprime poi la fiducia e la speranza, nella vita e nella natura...


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