La “ Pazienza” DI Giacomo Leopardi, A. Vigorelli PDF

Title La “ Pazienza” DI Giacomo Leopardi, A. Vigorelli
Course Filosofia morale
Institution Università degli Studi di Milano
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La “pazienza” di Giacomo Leopardi: Agire e patire: analisi del sistema dello Zibaldone...


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LA “PAZIENZA” DI GIACOMO LEOPARDI, A. VIGORELLI CAPITOLO PRIMO - LEOPARDI E SCHOPENHAUER Il significato della parola pessimismo può essere descritto in due modi differenti: uno psicologico e uno metafisico, ossia di visione del mondo;  Il pessimismo è inteso come stato d’animo o di umore negativo, a una tendenza caratteriale idiosincratica ad accentuare gli eventi negativi rispetto a quelli positivi. Speranza e paura sono due sentimenti che portano spesso a commettere errori di giudizio. L’errore di giudizio del pessimista è rappresentare il futuro peggiore di come sarà davvero, senza aver concretamente qualche dato rilevante che lo dimostri. Mentre è la paura a generare questo pessimismo, la speranza genera ottimismo. Sia chi spera sia chi teme deve considerare reale il presente, non il futuro, con fermezza d’animo. Solo così si può evitare di commettere un errore di valutazione. Leopardi è un pessimista ma non invita gli altri ad esserlo, senza persuaderli di ciò. Leopardi non giudica in maniera negativa chi è ottimista;  Schopenhauer concepisce il mondo secondo la “weltanschauung”, ossia una concezione pessimistica. La sua visione infatti si contrappone all’800 caratterizzato dal progresso e dall’ottimismo. Gli allievi diretti di Schopenhauer formeranno il “pessimismus”, ossia una posizione filosofica simile a quella del loro maestro. Schopenhauer diventa famoso solo in tarda età con i libri “Aforismi sulla vita”; ciò valorizza anche le sue opere giovanili, soprattutto quella magna, ossia “Il mondo come volontà e come rappresentazione”. Il successo è dovuto anche grazie allo studioso Eduard Von Hartmann. Durante il pessimismus, sviluppatosi a fine 800, anche l’idealismo venne criticato. Nietzsche ribalterà il pessimismo schopenaueriano in futuro. Reuvier in Francia sviluppa un pessimismo religioso, non ateo come quello tedesco. Martinetti in Italia rappresenta la figura del filosofo pessimista. Il pessimismo filosofico di questi autori è metafisico; il mondo esistente non può essere giudicato, presenta inoltre numerose contraddizioni. Schopenhauer si considera, ancora più di Kant, un filosofo che rompe con l’ottimistica tradizione protestante, la quale concezione prevede che noi viviamo nel migliore dei mondi possibili, in quanto è l’unico che Dio poteva scegliere. Kant ruppe con la tradizione, dimostrando come la metafisica non possa essere costituita come scienza, svuotando le idee di anima, mondo e Dio. Viene in seguito criticato da Schopenhauer in quanto, in tarda età, tornerà a modificare i termini nella critica della ragion pura pratica, dando di nuovo valore alla metafisica. Nello Zibaldone, Giacomo Leopardi cita solo una volta la parola pessimismo con significato metafisico, ed è per prenderne le distanze. Influenzato da d’Holbach, rovescia la teodicea religiosa. Pur non prendendo una posizione su Dio, viene considerato ateo. Leopardi considera il mondo, l’universo, l’esistenza, il fine e l’ordine come male, come se fosse un inno ad Arimane, una figura di somma malvagità. Leopardi si professa dunque pessimista perché il pessimismo ha più argomenti, sebbene non lo estenda a Dio, in modo da non sostituire il pessimismo all’ottimismo e farli coesistere. Assume un atteggiamento neutrale. Difatti Leopardi non si uniforma totalmente al pessimismo; mostra una preferenza per i filosofi inglesi empiristi e, in secondo luogo, per i francesi, rispetto agli idealisti tedeschi, ignorando anche Kant. Leopardi considera la filosofia tedesca come un fantasioso romanzo filosofico; prova dunque, anche verso Schopenhauer, una forte idiosincrasia. Diversamente, Schopenhauer apprezza Leopardi, così come Byron. Verso la fine dell’800, si visse in un clima fortemente positivista, ossia con forte fiducia nelle scienze e una svalutazione della metafisica. Affianco a questa corrente, si sviluppò il pessimismus schopenaueriano che confutò l’ottimismo pre kantiano. Per Schopenhauer, difatti, questo sarebbe il

peggiore dei mondi possibili, con una natura non armoniosa e pieno di contraddizioni. Leopardi assunse una posizione contro la metafisica, a tratti teologica. Difatti, in giovane età, mal digerì la educazione cattolica impostagli dal padre. Scrisse difatti i “Paraliponomi della Batracomiomachia”. In questo poemetto satirico, si raffigurano i liberali come dei topi che vengono sconfitti dalle rane cattoliche e dai granchi austriaci. In questa opera Leopardi ridicolizza la figura dell’intellettuale ottimista topocentrico, che si conforma ai luoghi comuni della società. Da sempre è stato effettuato un paragone tra la filosofia leopardiana e quella di Schopenhauer all’insegna di un condiviso pessimismo. Il pessimismo trova accoglienza nell’Italia postrisorgimentale da parte di coloro che avevano intenzione di costruire un profilo nazionale della filosofia capace di competere con la scienza europea, specialmente quella tedesca. Ciò ebbe una duplice declinazione: da una parte coloro che percepivano una diversa qualità morale nel pessimismo dei due autori, dall’altra parte coloro che desideravano ricollegare il tutto alla lettura biografica. De Sanctis fu esponente della prima categoria. Egli dedicò al tema un articolo contenuto nella “Rivista contemporanea”, del dicembre del 1858. Per De Sanctis, Schopenhauer e Leopardi furono caratterizzati dallo stesso antiintellettualismo. La vita, difatti, non appartiene all’intelletto ma alla volontà. L’intelletto scopre la vanità della vita ma il cuore ri-assembla ciò l’intelletto distrugge. La principale differenza tra i due consiste nel fatto che il pessimismo di Schopenhauer non abbia una ricaduta sulla vita, contrariamente al pessimismo di Leopardi che si fonda sulla vita in tutte le sue forme. Leopardi appare dunque materialista. De Sanctis, uomo liberale, esalta Leopardi, ponendolo al di sopra degli idealisti tedeschi. Si deve al critico il paragone che Leopardi sia lo Schopenhauer italiano. Esponente della seconda categoria è Croce, autore di “Poesia e non poesia “, in cui si riferisce a Leopardi attraverso l’espressione “vita strozzata “e inaugura un intero filone critico. Croce lega all’antitesi tra ottimismo e pessimismo il significato teoretico, al fine di stroncare le due teorie che hanno radice storica nel Romanticismo europeo. Egli non approfondisce la questione metafisica che è capace di allontanare Leopardi dal pessimismo. Croce richiama l’epoca dell’illuminismo e del romanticismo. Il romanticismo pessimistico era una reazione all’ottimismo illuminato. Ecco che Benedetto Croce critica Leopardi, affermando che il suo è un modo di sentire, non di pensare. Il poeta è accusato di avere questo spirito doloroso che è in grado solo di contrapporre banalmente i due periodi storici. Croce stronca il Leopardi poeta, salvando solo alcuni idilli che esprimono dolore, senza ricavarne una morale filosofica pessimista. Il critico afferma che la fama di Leopardi sia dovuto al messaggio che veicola la sua poesia, ossia il “werterschmelz”, un dolore mondiale, un atteggiamento nostalgico e pessimista, che agisce come valvola di sfogo per molte persone. Leopardi viene dipinto come un pessimista reazionario, pronto a reagire, a incitare contro le difficoltà. Schopenhauer invece preferisce una morale rinunciataria, dell’astensione e della non violenza. Dunque, la qualità morale del pessimismo è diversa. Il pessimismo visto e descritto da Croce è di tipo psicologico. Il critico collega il pessimismo con la biografia dell’autore. Nella “Filosofia dello spirito”, Croce distingue due ambiti dello spirito, visto come sinonimo di cultura. Lo spirito teoretico comprende gli ambiti di arte e filosofia, quello pratico comprende l’economia e la morale. Ogni ambito è autonomo e separato dagli altri. Lo spirito, durante la vita, attraversa ognuna di queste fasi; la vita viene vista come processo circolare, dove i valori si rendono indipendenti, ma alla fine si ricongiungono. I valori sono quelli del bello, del vero, dell’utile e del buono. Il rapporto tra i primi due momenti, arte e filosofia, sono autonomi. L’arte e la bellezza sono visti come intuizione del particolare, mentre la filosofia è vista come concetto universale. Croce afferma infatti che un uomo o è un artista o è un filosofo. Per Croce, quella di Leopardi è una vita strozzata. La vita è il processo spirituale dove

l’uomo esprime e configura il proprio pensiero. Per il critico, Leopardi rimane eternamente un adolescente malaticcio, a differenza di Foscolo che visse e si svolse. Croce evidenzia come la poesia leopardiana conduce al pessimismo che riflette un risentimento nei confronti di una vita che con Leopardi è stata dura. Leopardi non prende una posizione ottimista o pessimista in realtà. Difatti, nelle operette morali non c’è dolore. Leopardi è considerabile un poeta filosofo. Per Croce, il sentimento di Leopardi non è filosofico, è una disperazione estrema che si riversa nel pensiero e ne determina i giudizi. Il Leopardi filosoficamente interessante viene quindi rifiutato. Croce apprezza invece l’aspetto satirico, come quello delle Paraliponomi della Batracomiomachia. Leopardi riesce a trasfigurare il dolore in immagini di bellezza universale negli idilli, solo però quelli senza un rimando filosofico. Bisogna appuntare il fatto che Croce non lesse l’inedito Leopardi, lo descrisse dall’esterno. È nello Zibaldone, quindi dall’interno, che Leopardi si mostra come filosofo, tanto che l’autore era in procinto di pubblicarlo come manuale di filosofia pratica. Posizione intermedia tra Croce e De Sanctis è assunta da Gentile. Egli avversa le teorie di Leopardi per via degli influssi sensistici e materialistici e per la teoria del piacere. Per Gentile il piacere è limitato. Gentile apprezza la teoria delle illusioni di Leopardi, la quale denuncia la miseria naturale dell’alienazione sociale dell’uomo. Leopardi può essere accostato a Pascal al cui spirito di finezza avvicina il senso dell’animo che gli consente di trasformare la filosofia negativa, prodotto dell’intelletto, in ultrafilosofia, risultato di intelletto e sentimento. La nascita della metafisica del pessimismo avviene nella Germania di fine Ottocento grazie a Schopenhauer e non è né una deriva irrazionalistica della filosofia tardo ottocentesca ne è un effetto della malattia morale del romanticismo, come sostenuto da Croce. Si tratta di un tentativo di elaborare una metafisica empirica in accordo con i risultati del positivismo scientifico di cui Schopenhauer era stato precursore. Tali sviluppi non possono avere influenzato Leopardi, la cui cultura era tutta settecentesca. Egli, inoltre, disprezzava i sistemi filosofici tedeschi, considerati dei poemi della ragione. In “supplemento al mondo come volontà e rappresentazione “, Schopenhauer tenta di confutare la logica dell’ottimismo di Leibniz. L’ottimismo deve essere respinto poiché in contrasto con il principio di ragion sufficiente. Questo non può essere il migliore dei mondi possibili poiché ciò non viene dimostrato logicamente dall’affermazione secondo cui niente è privo di ragione poiché potrebbe essere ciò che non è. Leopardi avrebbe considerato anche queste affermazioni dei poemi della ragione. La questione relativa alla perfezione metafisica del mondo naturale non può essere risolta sul filo della logica poiché impegna una presa di posizione preliminare circa la teodicea religiosa. Si pensi all’espressione “a me la vita è male “preferita del pastore errante dell’Asia. È nelle pagine dello Zibaldone che si esplicita un’anti-teodicea di Leopardi, che la visione tragica si separa dalla teodicea pessimistica. Si avverte l’esigenza di confutare Leibniz per ristabilire la verità del pessimismo. Leopardi prende le distanze dall’idea di un fatto cristiano e formula una professione di fede morale in nome dell’aspirazione alla felicità e al bene comune a tutti gli esseri umani. Secondo Leopardi il suo sistema sarebbe più sostenibile rispetto a quello di Leibniz per il quale tutto è bene. L’universo esistente è il peggiore dei mondi possibili. Questa forma di teodicea contiene un’eco di antropocentrismo. Così come ogni morale, che identifica il bene con Dio, denuncia l’eudemonismo teologico. Leopardi è distante da entrambe le prospettive. Egli trova uno spazio di affermazioni vitale e associa la potenza creativa di Dio al nulla. Nell’affermazione ateistica c’è un residuo di aspirazione morale religiosa poiché essa si lega all’idea di abbandono del mondo creato da parte di Dio.

Questo suscita nell’uomo un desiderio di auto redenzione e di rivolta. Leopardi, contrariamente a Pascal che auspica alla deviazione ascetica, cerca una via di fuga nella ricreazione poetica immaginativa dell’infinito. Ogni luogo può diventare paterno ostello e centro in cui si alimenta una disperata speranza (prospettiva molto distante dal sentimento vista antropico, di genialità incompresa di Schopenhauer). Punto di contatto tra Leopardi e Schopenhauer potrebbero essere i debiti contratti nei confronti delle tradizioni spirituali. Schopenhauer apprezza le religioni indiane e avversa le tradizioni giudaico cristiane, Leopardi pensa alla tradizione teologica. Centrale è la meditazione sul significato etico- religioso del dolore, del tempo, della noia come sentimento del venire dell’esistenza individuale e universale. Interpretazioni che riservano alle tradizioni spirituali di oriente e Occidente. Entrambi criticano il cristianesimo, ma mentre Leopardi ha un atteggiamento attivo, Schopenhauer è una presa di posizione di quiete. Secondo Benedetto Croce, il pessimismo non è una posizione filosofica, ma psicologica. Dunque, Leopardi non poteva essere un filosofo. Lo Zibaldone è l’opera essenziale per capire la filosofia di Leopardi, ed è proprio questa che Croce non tiene in considerazione. Lo Zibaldone può essere paragonato a un messaggio in bottiglia, non destinato a qualcuno. Leopardi, con questa opera di impronta diaristica, è andato vicino all’essere il Dante della prosa filosofica. Leopardi si fa portavoce di uno scetticismo “ragionato e dimostrato”; secondo l’autore, la ragione umana non potrà mai spogliarsi di questo scetticismo, nel quale risiede il vero. Leopardi si scopre quindi in parte cartesiano; non si può trovare il vero se non dubitando. Ma a differenza di Cartesio, che crea un dubitare artificiale, per poi sfociare in un dogma, Leopardi rimane nel suo dubbio. Solo il dubbio è vero, e le conclusioni che derivano dal dubbio sono false. Questo è un forte richiamo al pirronismo antico che si chiude in una sorta di afasia. La natura, secondo Leopardi, ci ha già fatti saggi tanto che il saggio opera usando le massime, mentre noi usiamo l’istinto. L’apice del sapere umano consiste nel riconoscere l’inutilità del sapere troppo. Se l’uomo fosse ancora ciò che era in principio, non avrebbe avuto questa sete di conoscenza. La filosofia serve a superare i danni che questa brama ha provocato, in quanto ci libera e ci disinganna. Questo è un atteggiamento anti intellettualistico, tipico di Rosseau, benché non sappiamo quanto Leopardi conoscesse l’autore. Leopardi distingue le parole primitivo e barbaro. La prima ha una connotazione positiva, e rimanda al selvaggio, al primitivo. La seconda richiama uno stato dell’uomo, anche civile. I grandi “se” della filosofia sono tre per Leopardi:  Leopardi afferma che l’uomo deve rientrare nello stato di natura immaginario, benché si renda conto che il processo di evoluzione delle civiltà sia irreversibile. L’autore divide anche la “grande” natura dalla “piccola” ragione. L’uscita dell’uomo dallo stato naturale selvaggio allo stato civile è considerato un regresso, benché, anche secondo Rosseau, lo stato di natura non è mai esistito se non in uno scenario ideale;  Il ruolo della filosofia è farci capire l’errore commesso in origine dall’uomo e correggerlo. Questo errore è il voler sapere troppo, e ciò ha fatto perdere la felicità all’uomo. Ecco che l’identificazione tra il dubbio e il vero inizia a delinearsi come un passo indietro che il filosofo deve fare per porsi nella condizione originaria, a priori di ogni volontà di conoscere in modo esatto ogni cosa;  Rimettere l’uomo nella condizione in cui sarebbe sempre stato. La filosofia è utile quando ci libera da sé stessa, quando si auto supera in una direzione pratica. Ecco quindi che si parla di ultra filosofia, un allontanamento dallo stato naturale inteso come civile che permette all’istinto e alla ragione di coincidere;

Lo scetticismo ragionato e dimostrato di Leopardi deriva da un’analisi storica della filosofia, non nella sfiducia verso la conoscenza. La filosofia, nel suo percorso, ha sempre dimostrato un carattere nichilista e scettico, denotato dal compiacimento che i filosofi hanno a dimostrare la falsità delle tesi precedenti. Questa tendenza critica distruttiva è in Leopardi vista positivamente, ma fino a Kant è considerata in modo negativo. L’autore tedesco fu accusato di essere scettico e di distruggere le convinzioni morali. Leopardi definisce il susseguirsi delle civiltà non come un progresso, ma percorsi irreversibili senza una linea guida. La civiltà è un punto di vista necessario, ma lontano dalla perfezione. Per lo scrittore, l’antichità è infatti ciò che ci porta più vicino alla natura primitiva dell’uomo. Questo non in senso nostalgico, perché è consapevole dell’irreversibilità del tempo storico. Vi è un determinismo naturale che il corso storico non può controllare; questa posizione antistoricista porta Leopardi vicino a Schopenhauer. Leopardi paragona la filosofia classica e quella moderna, affermando che quest’ultima sia la migliore. In epoca classica i filosofi costruivano il sapere, mentre i filosofi moderni disincantano. Mentre i classici negavano la tesi precedente ma la sostituivano con una nuova, i moderni tolgono quella precedente senza sostituirla; è questo, per Leopardi, il vero modo di filosofare. Ma questo atteggiamento non è da considerarsi pessimista; l’autore infatti afferma che questo è il modo giusto non perché l’intelletto non sia capace di trovare il vero, ma perché il vero è spogliarsi degli errori e rimuovere le qualità appartenenti alle cose che esse in realtà non hanno. La natura si spiega vera e nuda di fronte ai nostri occhi, a cui vanno rimossi gli impedimenti creati dal raziocinio. In questo senso, i fanciullini superano in saggezza i più dotti. L’immagine di ingenuità di un fanciullo non è da vedere come ignoranza, ma è recuperare uno stato che ci consente di vedere ciò che le nostre convinzioni ci precludono. La funzione correttiva della filosofia è quindi quella di liberare l’uomo da queste convinzioni. Leopardi non ha una visione pessimistica ma malinconica. Definisce la noia come il più sublime dei sentimenti umani in quanto l’essere umano tende all’infinito. Volendo esplorare innumerevoli mondi, questo universo finito lo limita e la noia appare; questa dunque è un sentimento nobile, dalla quale non si ricavano conseguenze filosofiche come invece è accaduto in Schopenhauer. CAPITOLO SECONDO – PORTARE LA VITA PAZIENTEMENTE: LEOPARDI E IL LIBRO MORALE PARTE PRIMA – METAFISICO O FILOSOFO DI SOCIETÀ? Il passaggio da “poeta” a “filosofo” avviene nel 1820, con una cognizione personale del dolore. Egli, consciamente, abbandona le illusioni e si autoinganna: l’arido vero filosofico gli si impone come sentimento. Vi è quindi un passaggio dallo “stato antico” a quello “moderno”, dalla “immaginazione” alla “ragione”. Leopardi cerca tuttavia di reagire mettendo in piedi un sistema basato sullo scetticismo “ragionato e dimostrato”, dove il vero coincide con il dubbio. La filosofia, secondo Leopardi, prima di costruire distrugge le verità: la filosofia di Leopardi appartiene al suo tempo ed è consapevole di sé. Deve essere pratica, a partire dall’esperienza secondo il modello di Galileo. La filosofia del vero si contrappone inoltre alla poesia del diletto dell’immaginazione e inoltre il filosofo deve necessariamente avere un sistema; apprezzati sono quelli che partono dal dubitare, come quelli di Cartesio e Galileo. “La natura è grande, la ragione è piccola”: questo è alla base della teoria delle illusioni. L’arcana sapienza della natura, ripresa ne “Storia del genere umano”, ha mescolato fantasia e razionalità.

Dimostrando le illusioni come errori, la ragione ha reso l’uomo infelice: è questo il peccato dell’uomo, la troppa volontà di s...


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