Libro IL Legame Adottivo - Clinica psicologica in sindromi rare. Aspetti genetici e riabilitativi PDF

Title Libro IL Legame Adottivo - Clinica psicologica in sindromi rare. Aspetti genetici e riabilitativi
Author Silvia Dell Orto
Course Psicologia dell'affido, adozione e enrichment familiare
Institution Università Cattolica del Sacro Cuore
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Riassunto completo del libro, utile per sostenere l'esame....


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IL LEGAME ADOTTIVO: UNA FORMA RADICALE DI GENITORIALITÀ CAP. 1 - APPUNTI 18-22/10

L’ADOZIONE NELLA STORIA L’adozione è una forma di genitorialità antichissima e che rappresenta una risposta comunitaria al problema della sterilità. Non è quindi una modalità di fare famiglia nuova, anzi esiste da sempre ed è nata con la storia dell’umanità. Il primo riferimento storico relativo all’atto adottivo è rintracciabile nel codice di Hammurabi del XVIII secolo a.C. in Mesopotamia. Nell’antico Egitto, in Grecia e nella Roma imperiale, l’adozione era molto praticava e svolgeva principalmente una funzione patrimoniale, ovvero assicurava il diritto di eredità ai figli nati al di fuori del matrimonio e risolveva i problemi di successione nelle famiglie senza discendenza. Nell’antica Roma l’adozione prevedeva anche un cerimoniale, chiamato “emancipatio”, che consisteva in una sorta di finta vendita tramite la quale si interrompeva la potestà del pater familias da cui l’adottato proveniva e si sanciva il nuovo vincolo tra adottato e adottante, in cui il primo diventava erede. È però importante sottolineare che questa forma di adozione coinvolgeva solo individui che avessero raggiunto la maggiore età (quindi non si adottavano bambini ma adulti!) e non prevedeva una netta interruzione dei rapporti con la famiglia d’origine. NB: questa valenza patrimoniale esiste ancora oggi perché con l’adozione il bambino diventa figlio legittimo e quindi erede (il figlio prende il cognome della famiglia e dal punto di vista psicologico il cognome è simbolo dell’appartenenza all’albero genealogico della famiglia). In età ellenistica sono emerse forme di adozione di carattere privato: divenne infatti frequente nelle classi medio-inferiore l’adozione dei cosiddetti “bambini esposti”, specie in sostituzione di quelli perduti. La pratica dell’adozione ha assunto nuove connotazioni con l’avvento del cristianesimo, il quale considera l’adozione una forma di charis verso il prossimo (-> la cura degli orfani diventa espressione della carità cristiana). È quindi possibile rintracciare molti riferimenti alla pratica adottiva nella Bibbia (un esempio è Mosè). Con il passare del tempo, l’adozione ha cominciato ad essere vista sempre di più come simile alla relazione familiare biologica. Quindi, alla funzione patrimoniale e legittimante dell’adozione, si affianca anche l’aspetto di “riparazione affettiva” del bambino a seguito di abbandono, di gravi carenze vissute o per la morte dei genitori. Più recentemente, si è accostata la funzione legittimante. (…)

L’ADOZIONE OGGI L’adozione è vista oggi come simile alla relazione familiare biologica. Quindi, alla funzione patrimoniale e legittimante dell’adozione viene nel tempo ad affiancarsi l’aspetto di riparazione affettiva del bambino a seguito di abbandono, di gravi carenze vissute o per la morte dei genitori. La peculiarità dell’adozione è propria quella di stabilire una relazione genitoriale in assenza di un legame di consanguineità. Il registro biologico viene così assorbito in quello simbolico-culturale.

LA DOPPIA MANCANZA L’adozione nasce sempre da una doppia mancanza. La coppia vive la mancanza della realizzazione della maternità/paternità (= infertilità). Infatti, nella maggior parte dei casi, le famiglie adottive sono costituite da una coppia che per svariate ragione non riescono a mettere al mondo figli propri (o comunque c’è la spinta ad allargare la famiglia). Il bambino invece vice la mancanza di una famiglia. Quindi l’adozione è in risposta ad una condizione di abbandono, in cui il bambino è privo del legame affettivo fondamentale per la sua crescita. È però importante sottolineare che l’adozione non si limita semplicemente a colmare questi vuoti/lacune, bensì assume questa doppia mancanza per rilanciare un legame generativo. Quindi solo dall’incontro di queste due mancanze può scaturire un progetto generativo.

I COMPITI DEI GENITORI Secondo BRODZINSLY (1990), le famiglie adottive possono utilizzare diverse strategie per affrontare il tema dell’adozione. Queste strategie sono riconducibili a un continuum che ha ai due estremi (1) il rifiuto della differenza e (2) l’insistenza sulla differenza. Al centro del continuum si colloca l’area positiva del riconoscimento delle differenze, le quali vengono accettate, assunte e ricomprese all’interno della storia familiare. Uno dei compiti dei genitori adottivi è quindi quello di trovare un equilibrio dinamico tra questi due poli (entrambi rischiosi). (1) rifiuto della differenza = la differenza viene bandita dalla famiglia e strenuamente negata = assimilazione in termini affettivi e cognitivi del figlio adotta al figlio biologico. (2) insistenza sulla differenza = accentuazione della differenza = le famiglie manifestano la tendenza a ricondurre all’origine biologica altra tutte le difficoltà e i problemi che via via insorgono (sia nel rapporto genitori-figli, sia con i pari di età e nel rendimento scolastico).

L’ADOZIONE NELLA RICERCA CAP. 2 - APPUNTI 23/10 L’adozione è un evento NON-normativo. Questo è dovuto a due diversi aspetti: 1) i genitori crescono figli che non sono quelli biologici; 2) i bambini adottati entrano a far parte della famiglia adottiva in seguito a esperienze di vita traumatiche (-> esempio: abuso, abbandono, istituzionalizzazione ecc.). L’adozione è diventato un terreno fecondo per la ricerca psicologica, la quale ha cercatori di esplorare una serie di argomenti interessanti dal punto di vista della psicologia dello sviluppo e della psicopatologia. Nel campo delle ricerche psicologiche sull’adozione si possono individuare 3 filoni, guidati da differenti interessi e interrogativi. Il primo filone cerca di rispondere all’interrogativo se i bambini adottati sono a rischio. Il secondo filone focalizza la sua attenzione sul recupero delle esperienze avverse precoci. Il terzo filone analizza i possibili fattori protettivi che facilitano questo recupero, partendo dall’evidenza che alcuni bambini recuperano più di altri. Quindi abbandona l’ottica comparativa del primo filone per capire più nello specifico quali sono i processi di sviluppo del bambino adottato e della sua famiglia adottiva. I primi due filoni di ricerca implicano studi di comparazione: il primo sulle differenze tra bambini adottati e non, il secondo sul livello di sviluppo al momento dell’arrivo nella famiglia adottiva e dopo un certo periodo di tempo.

IL 1° FILONE DI RICERCA: I BAMBINI ADOTTATI SONO SOGGETTI A RISCHIO? Questo primo filone di ricerca ha avuto inizio intorno agli anni 50/60, con un apice nelle pubblicazioni degli anni ‘90. Si è poi concluso nell’anno 1995. Si tratta di un filone essenzialmente descrittivo, non guidato da teorie formali. Esso usava campioni non rappresentativi e di modeste dimensioni. Quindi esso presentava molteplici limiti metodologici. Le ricerche che si inseriscono in questo filone sono guidate sostanzialmente da tre interrogativi principali: 1. i bambini adottati sono sovrarappresentati nei servizi clinici di salute mentale? 2. quali sono i problemi psicologici e i sintomi clinici peculiari che i bambini adottati comunemente manifestano, e questi sono differenti rispetto a quelli presenti in bambini non adottati? 3. i bambini adottati sono più rischio per lo sviluppo di problemi psicologici e scolastici rispetto a un gruppo di pari non adottati? Le prime ricerche si basano sul confronto tra campioni clinici di soggetti, ovvero soggetti con problemi di rilevanza clinica. Dall’analisi dei dati di studi condotti negli USA, in Canada e in Gran Bretagna, è emerso che la percentuale media di bambini adottati seguiti dai servizi di salute mentale si stima intorno al 4-5%. Questa percentuale è approssimativamente il doppio del valore che si potrebbe attendere nella popolazione generale, stimata negli USA intorno al 2,5%. Inoltre è

stato notato che la percentuale media di bambini adottati sale notevolmente fino al 9-11% nel caso di centri residenziali e servizi psichiatrici. Quindi si è giunti alla conclusione che i bambini adottati (anche quelli inseriti da neonati o in tenera età) sono esposti a un rischio maggiore di sviluppare una serie di problemi psicologici (= sintomatologia clinica) rispetto ai loro pari non adottati. NB: la sovrarappresentazione dei bambini seguiti nei servizi psichiatrici non è dovuta soltanto a una maggior incidenza di problemi psicologici, ma anche alla maggior propensione dei genitori adottivi a rivolgersi più facilmente a servizi di salute mentale (anche quando i problemi emotivi e comportamentali sono ancora di modesta entità). I dati a cui le prime ricerche sono giunte si basano però essenzialmente su campioni clinici e, pertanto, non possono essere considerati rappresentativi dell’andamento degli adottati appartenenti alla popolazione generali. Per ovviare a questo limite, le ricerche successive iniziano a esaminare l’adattamento dei bambini adottati e non adottati nella popolazione generale (-> queste ricerche prendono in esame campioni non clinici). Queste ricerche rivelano che i ragazzi adottati hanno più probabilità rispetto ai pari non adottati di manifestare problemi legati all’apprendimento e soprattutto di manifestare comportamenti esternalizzanti (= disturbi dell’attenzione, iperattività, comportamenti oppositivi/provocatori, iperaggressività, abuso di sostanze ecc.). È però necessario sottolineare che esistono differenze di genere e età. In questo primo filone di ricerca, in inserisce perfettamente il lavoro di meta-analisi svolto da FEMMIE JUFFER. La meta-analisi è un lavoro scientifico di review delle ricerche pubblicate su un determinato argomento che consente una confrontabilità dei risultati a cui esse sono giunte. IN SINTESI: i bambini adottati hanno una probabilità maggiore di essere segnalati ai servizi di salute mentale e di manifestare problemi psicologici e scolastici rispetto ai soggetti non adottati! Si registra quindi una difficoltà di adattamento dei bambini adottati!

IL 2° FILONE DI RICERCA: IL RECUPERO DOPO PRECOCI ESPERIENZE NEGATIVE Il primo filone di ricerca ha evidenziato che i bambini in adozione accumulano uno “svantaggio” nella crescita, probabilmente dovuto esperienze negative vissute prima dell’adozione (-> esempio: abbandono, trascuratezza, istituzionalizzazione, abusi, maltrattamenti ecc). Partendo da questa evidenza, il secondo filone di ricerca studia arte se è possibile un recupero a seguito di queste precoci esperienze negative (e nel caso sia possibile, in che misura e con che caratteristiche). La ricerca più rilevante che si inserisce in questo filone è lo studio ERA (UK). Si tratta di uno studio longitudinale perché segue i bambini nel tempo, raccogliendo i dati all’età di 4, 6 e 11. Infatti questo studio ha fornito informazioni al momento dell'arrivo e sui successivi cambiamenti in un campione di 150 bambini romeni che avevano subito deprivazioni a causa dell’istituzionalizzazione (durata fino a 42 mesi) e che furono in seguito adottati in Inghilterra. Questi bambini furono confrontati con un gruppo di controllo costituito da bambini adottati all’interno del proprio paese. L’attenzione dello studio è focalizzata sui parametri iniziali dell’adattamento e sul recupero successivo per quanto riguarda la crescita, lo sviluppo dell’intelligenza e del linguaggio, il comportamento sociale e i problemi legati alla condotta. Partendo dall’evidenza che i bambini romeni adottati presentavano all’arrivo in famiglia un grave ritardo nella crescita fisica e nello sviluppo psicologico, si è notato che in generale, a sei anni, il recupero era completo per il pero e l’altezza, non altrettanto per la circonferenza cranica.

Palacios (2010) ha condotto una ricerca che gli ha permesso di giungere alla conclusione che la maggior parte dei cambiamenti fisici e psicologici in bambini adottati si verifica nei primi 2-3 anni dopo l’adozione, con progressi inferiori nel periodo successivo. In particolare, come già evidenziato dallo studio ERA, l’aumento del peso e dell’altezza sono più completi e vengono raggiunti in misura maggiore rispetto all’aumento della circonferenza cranica e dello sviluppo psicologico. IN SINTESI: partendo da importanti ritardi, c’è un recupero notevole sotto tutti gli aspetti. In particolare, il recupero del perso è quello che avviene più rapidamente ed è più completo (tanto che sembra completarsi nei primi due anni dall’arrivo in famiglia); invece, il recupero dell'altezza continua dopo i primi due anni e successivamente tende a normalizzarsi. Quindi i bambini adottati, che hanno vissuto un’ampia serie di eventi sfavorevoli, traggono un grande vantaggio dal marcato cambiamento delle condizioni di vita! Essi mostrano una straordinaria capacità di recupero!

IL 3° FILONE DI RICERCA: PROCESSI E FATTORI FONDAMENTALI NELL’ADATTAMENTO ALL’ADOZIONE Il terzo filone di ricerca analizza i fattori e i processi fondamentali che intervengono nei soggetti adottati e/o nelle famiglie adottive e che incidono sulla variabilità dell'adattamento all’adozione (e che quindi possono favorire o meno l’adattamento psicosociale dei bambini adottati). Quindi l’obiettivo principale di questo filone consiste nel delineare i fattori neurobiologici, evolutivi e relazionali implicati nell’esperienza adottiva, così da spiegare le differenze individuali nell’adattamento dei soggetti adottati. All’interno di questo filone possono essere rintracciati tre diverse aree di studi empirici: 1) ricerche che si occupano di processi interpersonali nel funzionamento delle famiglie adottive; 2) ricerche sui problemi legati all'attaccamento nelle famiglie adottive; 3) ricerche empiriche sul ruolo dei diversi fattori genetici nell'adattamento dei bambini adottati. Le ricerche sull’attaccamento partono dall’osservazione che generalmente i bambini adottati presentano inizialmente un attaccamento insicuro. Tuttavia tali ricerche hanno messo in luce che i bambini adottati vanno incontro ad un processo di cambiamento nei modelli operativi interni d’attaccamento: i pattern di attaccamento sicuro crescono considerevolmente nel tempo quando i bambini entrano nella famiglia adottiva. Questi dati mostrano come nuove relazioni emotive positive sperimentate nelle famiglie adottive modificano le rappresentazioni legate all’attaccamento. Le ricerche indicano inoltre che nei bambini i benefici derivanti dall’adozione non cancellano completamente l’impatto delle prime esperienze negative: i pattern di attaccamento sicuro non sostituiscono in modo automatico quelli preesistenti, bensì si sviluppano in antagonismo a essi. Quindi in un bambino adotto possono coesistere diversi pattern di attaccamento (tra cui l’attaccamento indifferenziato, per il quale il bambino risulta socievole e aperto con tutti). IN SINTESI: si assiste a una crescita dell’attaccamento sicuro nel periodo post-adottivo, anche se l’impatto delle prime esperienze negative non può essere cancellato completamente.

ORIENTAMENTI PER LA RICERCA FUTURA Poiché il terzo orientamento è in una fase iniziale, la ricerca futura dovrà approfondire i risultati acquisiti dalla prima ondata di studi (soprattutto quelli legati ai processi di attaccamento, alla comunicazione, all’openness, alla ricerca e al congiungimento con i genitori biologici e ai meccanismi neurobiologici che sono alla base del comportamento e dell’adattamento dei soggetti adottati). Quindi tutte le direzioni percorse dal terzo filone di ricerca sono cariche di prospettive promettenti per la comprensione della psicologia dell’adozione!

Lo sviluppo nella ricerca sull’adozione non chiede soltanto di approfondire alcune delle line di studio già esistenti, ma anche sforzi in altre direzioni. Per esempio, la ricerca dovrà approfondire lo studio dei soggetti adottati in età adulta. Un’altra area della ricerca che necessita di ulteriori sviluppi è l’analisi del contesto in cui si colloca l’esperienza dell’adozione. Dal momento che il significato dell’adozione è costruito socialmente, è ragionevole supporre che l’esperienza dell’esser stati adottati possa essere differente nei diversi paesi. Un’ultima area di ricerca da approfondire riguarda le basi contestuale dell’integrazione sociale dei bambini adottati all’interno del gruppo di pari, della scuola e della comunità.

LO STUDIO DI META-ANALISI DI JUFFER: “ADOPTION MAP” CAP. 3 - APPUNTI 23/10

L’OBIETTIVO Rispetto ai bambini non adottati, i bambini adottati hanno sperimentato nella prima infanzia un maggior numero di situazioni di rischio: in primis la separazione/abbandono/perdita dei genitori biologici, a cui segue l’inserimento in istituto (in cui trascorrono un periodo più o meno lungo prima di essere adottati). Spesso questi istituti non garantiscono cure/attenzioni/stimolazioni adeguate, ciò può causare nei bambini che vi trascorrono un periodo considerevole gravi ritardi relativamente alla crescita fisica, all’attaccamento e allo sviluppo cognitivo. Lo studio di meta-analisi condotto da FEMMIE JUFFER parte da questo presupposto e analizza le opportunità di recupero dei bambini adottati per quanto concerne la crescita fisica, l’attaccamento e lo sviluppo cognitivo. Lo studio infatti cerca di rispondere alla seguente domanda: “i bambini adottati possono recuperare i ritardi causati dall’istituzionalizzazione e migliorare la loro situazione rispetto ai loro pari che non sono stati adottati?

GLI ASPETTI METODOLOGICI La ricerca ha adottato il metodo della meta-analisi, in cui tutti gli studi empirici disponibili su un determinato tema vengono riuniti sistematicamente, analizzati e confrontati. In questo caso sono stati inseriti nel data-base più di 270 studi empirici che riguardavano lo sviluppo dei bambini adottati (effettuati tra il 1950 e il 2005), per un totale di 230.000 soggetti. In questi studi empirici sono stati coinvolti bambini adottati a diverse età (sia quelli adottati nella primissima infanzia che quelli adottati più avanti) e secondo diversi canali (sia quelli adottati mediante adozione internazionale sia quelli in adozione internazionale). In questa ricerca si sono svolti due tipi di confronti. Inizialmente (1) si è confrontato il funzionamento dei bambini adottati con quello dei loro pari attuali non adottati (= present peers). Poi (2) l’adattamento dei bambini adottati è stato comparato con quello di altri bambini che sono rimasti in istituto, ovvero i loro pari del passato (= past peers). I risultati vengono interpretati attraverso la d di Cohen (che indica la grandezza dell’effetto): la differenza media standardizzata tra il gruppo di adottati e il gruppo normativo.

I RISULTATI ▪ confronto con i PRESENT PEERS I bambini adottati, quando arrivano nella famiglia adottiva, presentano generalmente consistenti ritardi nello sviluppo per quanto concerne la statura, il peso e la misura della circonferenza cranica. Circa 8 anni dopo aver vissuto nella famiglia adottiva, i bambini adottati mostrano un notevole recupero dall’iniziale svantaggio sia nella statura che nel peso (relativamente alla circonferenza cranica il recupero c’è ma più inferiore). Quindi i bambini adottati sono più minuti dei loro pari. I bambini adottati sono esposti maggiormente al rischio di sviluppare un attaccamento disorganizzato/insicuro (che costituisce un predittore di probabili futuri sviluppi psicopatologici o problemi comportamentali). Infatti i bambini adottati mostrano un attaccamento disorganizzato circa nel doppio dei casi (31%) rispetto a quelli del gruppo normativo di controllo (15%).

Il QI dei bambini non adottati non differisce in modo significativo da quello dei loro attuali pari. Rispetto alla riuscita scolastica e allo sviluppo linguistico, sono stati invece riscontrati ritardi lievi ma significativi: i bambini adottati manifestano molti più problemi di apprendimento rispetto ai loro pari non adottati e ricorrono al sostegno scolastico circa il doppio delle volte. Quindi i bambini adottati in media raggiungono un successo scolastico leggermente inferiore rispetto ai pari non adottati (nonostante il QI non differisca considerevolmente). I bambini adottati mostrano più problemi di comportamento esternalizzante, più problemi di internalizzazione e più problemi comportamentali in generale, anche se gli effetti sono di modesta...


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