Linguaggio Burocratico PDF

Title Linguaggio Burocratico
Author Elena elena
Course Linguistica italiana
Institution Università degli Studi di Milano
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lezione sul libro linguaggio burocratico....


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LINGUAGGIO BUROCRATICO 26/03/2019 Si usa in determinate situazioni ma non è una lingua specialistica. Oltre ad essere utilizzato in vari contesti d’uso, è utuilizzato con vari pubblici e ci fa tornare alla dimensione verticale, quindi la possibilità per questo linguaggio di essere utilizzato tra specialisti e anche tra specialisti e non specialisti. Il contesto d’uso è un contesto pubblico e risponde alla struttura informativa top-down: informazione che proviene dall’alto degli uffici e va al basso del pubblico, dei cittadini, degli utenti. Si può trovare anche la struttura informativa bottom-up, pensando ai ricorsi redatti dai cittadini e rivolti a enti e istituzioni. Questa volta è il basso che in un linguaggio amministrativo si rivolge all’alto degli uffici. Questi messaggi sono sia interni da burocrate a burocrate ed esterna ovvero da burocrate a privato. Il caso più tipico è dall’ente al cittadino. Vari i contesti d’uso, vari i pubblici, cioè gli interlocutori che partecipano allo scambio comunicativo dei testi burocratici e varie sono le realizzazione testuali di questo linguaggio. Sono testi prevalentemente scritti ma non solo, orale: negli uffici per le relazioni con il pubblico, alle poste ecc. vanno dalla modulistica alle informazioni trasmesse nei siti delle amministrazioni e alle circolari ministeriali, scolastiche, sempre esempi di linguaggio burocratico. Diversi sono anche i sottotemi di cui si può parlare nel linguaggio burocratico: per esempio ci sono testi burocratici con maggiori infiltrazioni giuridiche, economiche, sanitarie ecc… in base all’ambito in cui il linguaggio burocratico c’è. Il maggiore è quello del linguaggio giuridico. Il linguaggio burocratica è una degradazione dei linguaggio giuridico. Il linguaggio burocratica è l’anello di congiunzione degradato tra legge e cittadino, livello intermedio che dovrebbe rendere più comprensibile al cittadino le leggi. È un linguaggio diversificato anche per il supporto o canale che lo trasmette. Linguaggio burocratico trasmesso dagli ipertesti digitali, modulistica, multe, nelle voci di risposta automatica nelle segreterie. È difficile precisare i confini di questo linguaggio. Possiamo dire che per accomunare realizzazioni diverse è un registro elevato, che nella sua forma più caratteristica è tortuoso nella sintassi e ricercato nelle scelte lessicali e morfologiche. Queste caratteristiche di ricercatezza e il fatto che il linguaggio burocratico è espressione del potere e istituzioni, si è posto come modello linguistico in virtù del suo prestigio intrinseco (conservatività nei tratti sintattici e lessicale) ed estrinseci (manifestazione di diritto e potere). Il linguaggio burocratico è anche l’unico esempio di registro formale con il quale vengono in contatto le persone di medio o basso registro. Il linguaggio burocratico viene spesso anche decontestualizzato. Questo modello per i semi colti è da sempre stata riscontrata per l’italiano popolare e da alcuni studiosi è stato visto positivamente. Gli studiosi di linguaggio burocratico hanno affiancato una analisi di questo linguaggio una analisi negativa. Studiosi come Luca Serianni hanno visto positivamente questo linguaggio e la sua conservatività perché può avere un ruolo di contrappeso rispetto al mutamente dell’italiano contemporaneo così veloce. Il linguaggio burocratico è un modello di freno e quidi positivo per Luca Serianni. La sua opinione non è isolata ma Massimo Arcangeli vede anche lui positivamente il linguaggio burocratico e lo vede come modello di educazione linguistica “un buon linguaggio burocratico lontano da aberrazioni può essere per gli italiani un modello di educazione linguistica permanente, a cui gli italiani sono esposti e che può migliorare le loro competenze nell’italiano.”. chi si è occupato di linguaggio burocratico lo ha fatto senza evitare un giudizio negativo. Questa negatività si riscontra nel termine burocrazia che è un composto colto fatto dal francesismo Buro + crazia (potere) ed è un termine che ha delle sfumature negative in quanto indiica un potere esercitato dall’alto (da qui crazia, potere) dall’alto degli uffici verso il basso dei cittadini. Nel 1781 è comparsa questa parola e l’italiano l’aveva tratta dal francese, attesta nel 1759 in francese. Rientra in quei francesismi entrati in italiano nella seconda metà dell’800 come calco dal francese. Il termine burocrazia è di antica data, mentre un altro termine che viene usato per la lingua della burocrazia, ovvero burocratese, è un termine più recente, del 1779, e anch’esso ha una sfumatura negativa proprio indicando un’oscurità e un’opacità di questo linguaggio, come per esempio politichese o sinistrese (lingua oscura della politica e

della sinistra politica). De Mauro nel suo dizionario “italiano dell’uso” il burocratese è una lingua incomprensibile perché infarcita di termini difficili e inutili neologismi, tipica dell’amministrazione pubblica. Tra l’altro il termine burocratese è un termine che ha altre parole come burocratichese o burolingua (1890). Quando nasce il linguaggio burocratico? Nasce come conseguenza del declino del latino come lingua d’uso e nasce insieme alla lingua italiana (nel 1300) con gli statuti comunali nei quali già dal 1300 si tendeva a volgarizzare il latino. Quindi gli statuti comunali che venivano redatti in latino potevano essere volgarizzati per acquisire un bacino d’utenza più ampo. Il 1300 e il 1400 sono secoli di declino del latino ed emersione dei volgari italiani. Uno dei primi volgarizzamenti è lo statuto della città di Siena (tra 1309 e 1310). È un volgarizzamento di quasi 1000 pagine ed ha una motivazione socioculturale molto forte: attenzione della dirigenza per le classi popolari e ha un valore etico e politico: ieri come oggi l’accesso diretto alle norme favorisce una partecipazione del cittadino alla vita della comunità. Un forte valore etico: esigenze di semplificazione del linguaggio burocratico, come oggi. In questo statuto c’era una sensibilità moderna per gli aspetti formali. La commissione incaricata di redigerlo disse che questo testo doveva essere scritto con lettere grosse e su una carta resistente per andare incontro a esigenze di maggiore fruibilità. Questo linguaggio viene maturando nel 1400 nelle coinè 400esche che via via sostituiscono il latino nella redazione di testi normativi direttamente nei vari volgari italiani. Si tratta di una lingua cancelleresca che tende a esiliare i tratti locali, dialettali, ricorrendo al bacino del latino e al bacino del tosco-fiorentino sull’esempio delle 3 corone. Questa lingua cancelleresca se da un lato è un fatto positivo, dall’altro ha portato un allontanamento di questa lingua dagli usi comuni che invece continuavano ad essere orientati sugli usi dialettali. In questa maturazione progressiva degli usi delle cancelleria è fondamentale una data: 1560, nella quale il duca Emanuele Filiberto emana un editto con cui rende obbligatorio l’uso del volgare per lo stato sabaudo (Piemonte) in tutte le forme di scrittura istituzionale e in tutti gli atti notarili. Mentre prima c’era un naturale passaggio dal latino alla consuetudine dell’uso del volgare, con questo editto lo rende obbligatorio (il volgare) negli usi amminstrativi e nella redazione di atti notarili. Questa lingua procede il suo percorso e in particolare nel 1700 questa lingua viene interferita dal francese anche per motivi politici (i francesi erano in Italia) e quindi questo francesismo con la fine del 1700 venne a sommarsi con la lingua burocratica tradizionale fatta da latinismi, tecnicismi e neologismi. Nel 1700 il linguaggio burocratico appare come un composto molto ibrido, variegato e questa particolare conformazione della lingua usata negli uffici l’aveva fatto molto criticare da letterati e linguisti dell’epoca come Vincenzo Monti, che a inizio 800 parlava del linguaggio burocratico come “un barbaro dialetto miseramente introdotto nelle pubbliche amministrazioni”, cita anche Lubello. Una lingua molto criticata e che porta anche alla pubblicazione di repertori lessicali con voci da evitare in particolare nelle scritture amministrative. Il più importante di questi repertori lessicografici citato in Lubello è quello di Bernardoni, pubblica un elenco di alcune parole in uso che non sono nei vocabolari italiani. (vedi slide numero 3). Bernardoni pubblica un elenco di parole in uso nelle quali prende di mira ed esprime preoccupazione nei confronti di parole che allora erano parole nuove. Se la prende con il composto di latinismi “locatore”, di forestierismi neologici. Bernardoni lo scrisse nel 1712. Funzionario e interinale sono foresterismi perché fatti da un modello francese. Tecnicismi come “vidimazione” del 1768 o “deverbali a suffisso zero”, nomi fatti apponendo una desinenza alla radice del nome: “confisca” o “ratifica”, al posto di “ratificazione”, sono parole nuove del 1788 e 1786, dialettismi come la parola “calmiere”, con alla base modelli di milanese e veneziano. Queste parole usate negli uffici venivano proscritte e indicate come da evitare perché creavano un calderone oscuro. Bernardoni consiglia di evitare ove possibile queste parole mentre altri lessicografi come Gherardini (linguista del 1800): allo stesso anno pubblica un elenco di parole ammissibile anche se proscritte da Bernardoni. Già nell’1800 si discuteva sul linguaggio burocratico. La vetta di maggior asprezza è della fine del 1800 di Fanfani e Arlìa “lessico dell’infima e corrotta italianità” dove il linguaggio burocratico è uno dei bersagli polemici più sfruttati. Nel 1800 viene citato un singolare manuale del 1830, manuale ossia guida per migliorare lo stile di cancelleria, pubblicato nel 1830 da Giuseppe Demb

Shar ed è un manualetto interessante perché risulta oggi per molti versi ancora attuale proprio perché indica delle direzioni di semplificazione per i testi amministrativi. Lui era funzionario amministrativo e con grande anticipo sui tempi sottolineava il diritto dei cittadini e il dovere dei burocrati alla chiarezza che andava raggiunta nel lessico (evitate tecnicismi, forestierismi) ma anche (e qui è la novità) dal punto di vista della sintassi con periodi più snelli e con un’articolazione del testo interna nella direzione della perspicuità. “Manuale, ossia guida per migliorare lo stile di cancelleria”. Il 1800 è il secolo dell’unità d’Italia e la burocrazia è uno dei fattori che ha concorso all’unificazione linguistica per lo spostamento interno dei burocrati sia per la redazione di documenti e di atti che fossero validi su tutto il territorio, quindi un’attenzione affinchè questi documenti fossero chiari, validi, senza concessione ai dialetti locali: attenzione maggiore per il linguaggio burocratico dai burocrati. Il linguaggio burocratico si riversa nei giornali a fine 1800, in cui i quotidiani hanno maggior diffusione e il linguaggio burocratico si riversa nei giornali, nella cronaca cittadina (uffici, norme, verbali di polizia: vengono usati dai giornali e per i tempi affrettati del giornalismi la lingua ricade nella lingua giornalistica stessa). Il giornale per scrivere ha varie fonti, per la cronaca (omicidio) il giornalisti ha testi burocratici come il verbale della polizia. Per i tempi ridotti fa sì che il linguaggio burocratico si riversi nella lingua dei giornali. Un’altra tappa storica importante per il linguaggio burocratico è il fascismo che con la sua politica linguistica mette una pezza sui burocratismi: sostituzione di “sportello” ai francesismi che prima concorrevano con “sportello”. Alcune sostituzioni si devono al fascismo. Nella seconda metà del 1900 sale agli altari delle cronache e dei giornali all’interno della nuova questione della lingua. In particolare si occupa di linguaggio burocratico e lo chiama in causa Italo Calvino e lo fa (vedere slide numero 4) in un articolo comparso nel quotidiano “il giorno” nel 1965, in risposta alla testi pasoliniana sulla nascita di un nuovo italiano di stoffa tecnologica. Calvino risponde a questi testi con questo articolo nel quale esplicita le sue riflessioni sulla lingua a lui coeva che in molte sue manifestazioni che appare più che una lingua, una anti-lingua (pensiero di Calvino). L’anti-lingua di Calvino è il linguaggio burocratici tipico degli uffici e dell’amminstrazione, diffuso anche nella stampa e nella tv. Questo articolo è molto noto ed è un articolo che parte da un racconto di un episodio finzionale ma non troppo nel quale Calvino immagine che una persona comune riferisca a un brigadiere di un furto avvenuto in una cantina. Questa persona comune è dal commissariato e racconta il furto al brigadiere. È emozionato ma vuole raccontare tutto per filo e per segno. È un resoconto chiaro. La dichiarazione di questa persona e poi c’è la trascrizione del brigadiere. Il brigadiere dice le stesse cose traducendo con un sintassi e scelte lessicale che alzano il registro: sottoscritto, andavo che diventa essendomi recato, stamattina che diventa nelle prime ore antimeridiane, per accendere la stufa che diventa eseguire l’avviamento dell’impianto termico, quindi una traduzione parola per parola. Una traduzione di una lingua astratta (quello dell’interrogato è lingua concreta) ed autoreferenziale, che non tiene conto delle esigenze di chi dovrà leggere l’atto. Modo di parlare più semplice e preciso è censurato. Quindi il brigadiere che trascrive la dichiarazione dell’interrogato è come se si distaccasse e si elevasse, prendendo le distanze elevando il linguaggio. Il fattore negativo visto da Pasolini (apertura verso tecnica e scienza) viene visto positivamente da Calvino perché così la lingua è più chiara e precisa. (vedere slide numero 5): letteratura di episodi e racconti sul linguaggio burocratico: esempio di un libro di Cammilleri “la setta degli angeli” che prende spunto da un fatto di cronaca realmente accaduto nel palermitano: preti che abusavano del loro potere sacerdotale per portare giovani donne ad atti a loro compiacenti. Da notare l’impasto italo-siciliano tipico dei romanzi di Cammilleri. Prima c’è il burocratese e poi nella traduzione in una lingua italo-siciliana. Il linguaggio burocratico è stato molto preso di mira finchè tra fine anni 80 e iizio anni 90 sono sorte una serie di iniziative volte alla semplificazione e all’ammodernamento del linguaggio burocratico. Anche nel nostro paese ci si è dati da fare per ammodernare il linguaggio burocratico, in lieve ritardo rispetto agli Stati Uniti (primi anni 70) e lo stesso era accaduto in Gran Bretagna dove si era promosso un progetto di un inglese piano da utilizzare nelle leggi e nei documenti pubblici per rendere chiara la comunicazione per risparmiare in tempo e denaro. Lo stesso

accade in altri paesi europei come Francia, Germania, spagna, Portogallo e Svezia dove si aprono delle strategie per semplificare il linguaggio burocratico che ricadono e vengono prese dall’unione europea con la campagna fight the fog per limitare l’opacità del linguaggio burocratico. In questa prospettiva interlinguistica c’è il confronto tra la nostra lingua tradizionalmente più complessa e involuta rispetto ad altre lingue, per esempio l’inglese (vedi slide numero 6): esempi di segnali esposti in pubblico con il confronto tra l’italiano e la sinteticità e la chiarezza dell’inglese. Anche in Italia si opera nella direzione della chiarezza del linguaggio burocratico con una serie di leggi a inizio degli anni 90, 97, 2000 (istituisce all’interno delle amministrazioni la figura del comunicatore che si occupa di comunicare), 2002 (fornite delle regole per la scrittura amministrativa, non ci sono più raccomandazioni ma regole divulgate dagli organi ministeriali affinchè il linguaggio burocratico venga esemplato secondo principi di chiarezza, trasparenza e semplicità). Questo iter legislativo è stato accompagnato da una serie di testi e strumenti per orientare gli operatori del settore amministrativo. I manuali più significativi sono “un codice di stile” del 1993, che presenta in appendice un vocabolario di base che contiene 7000 vocaboli che sono il nucleo fondamentale dell’italiano che gli operatori dell’amministrazione sono invitati ad attenersi perché sono le parole più comprese dai cittadini. Questo codice di stile fu continuato in un “manuale di stile”, pubblicato nel 1997 per le cure di Alfredo Fioritto. In questo manuale di stile che è stato promosso dal dipartimento dell’amministrazione pubblico e redatto da Fioritto veniva eliminato il vocabolario di base e inserito un glossario con i termini della pubblica amministrazione (vedi slide numero 19): è il manuale di stile: evitare l’uso delle doppie negazioni. C’erano proprio proposte di sostituzioni. In entrambi i casi, sia nel codice che nel manuale di stile, come in altri manuali “manuale dell’agenzia amministrativa” del 2003, in tutti questi manuali una degli aspetti sottolineati per prima è l’attenzione al destinatario: il burocrate deve pensare che la sua scrittura non è autoreferenziale ma destinata a un pubblico. In entrambi i casi si raccomandava di usare frasi breve e lineari, usare i tempi dell’indicativo, lessico chiaro e perspicuo, una decisa attenzione era riservata agli aspetti grafici: caratteri particolari come neretto o sottolineato e all’articolazione del testo, fattori paralinguistici che concorrono alla chiarezza del testo stesso. Ci sono altri manuali e progetti “progetto chiaro” del 2002 o altri che si devono per esempio a Cortelazzo, studioso italiano che più si è occupato di questo linguaggio: vedi slide numero 8: riscrittura di testi burocratici. Gli autori presentano un testo reale così come è stato colto e poi una proposta di riscrittura: avviso esposto fuori un asilo nido nella slide numero 8. Una mamma davanti a questo cartello si potrebbe perdere, è pieno di informazioni superflue. Gli autori propongono una riscrittura: dice le stesse cose in modo più chiaro con maggiore economia e rispetto di chi legge. Non bisogna abusare della pazienza. Tutti questi manuali di semplificazione dei primi anni 90 hanno raggiunto il loro scopo in parte perchè gli studiosi del linguaggio burocratico hanno detto che questo linguaggio ha compiuto passi in avanti ma comunque non è ancora arrivato alla semplicità. Il linguaggio burocratico è stato travasato sul web e ciò ha portato una sua semplificazione. 3 principali caratteristiche del linguaggio burocratico indicate da Alfredo Fioritto (studioso del linguaggio burocratico): Fioritto indica nella vastità, nella circolarità e nella … le 3 principali macrocaratteristiche del linguaggio burocratico. La vastità è perché ha una molteplicità di usi davvero importante, perché è vasto il pubblico a cui si riferisce. Vastità di usi, di generi testuali e di pubblico. Tutti hanno a che fare con il linguaggio burocratico. Vastità anche nel senso che il linguaggio burocratico predilige la quantità linguistica e verbale nella sua preferenza per le parole lunghe, per esempio “nominativo” nel linguaggio burocratico è preferito a “nome, “tematica” è preferito a “tema” e le frasi sono lunghe. È inoltre un linguaggio circolare perché spesso è autoreferenziale: il burocrate quando scrive non ha presente l’utente finale ma ha presente se stesso o i suoi pari, scrive senza preoccuparsi di chi leggerà:

aforisma di Carl Craus: il pubblico è una istituzione creata per dar fastidio alla burocrazia. Se fosse per la burocrazia, ne farebbe a meno del pubblico. Questa circolarità si trova nello stesso modo in cui i burocrati vengono addestrati perché è raro che i burocrati vengano avviati a pratiche di buona scrittura ma è frequente che vengono insegnati a scrivere a partire da elementi burocratici che già esistono. Il loro insegnamento avviene a partire dal vecchio e non dal nuovo. L’ultima caratteristica è la formalità che si ritrova negli atti, che è garanzia del valore giuridico degli atti stessi, quindi si tratta di testi formali, la cui formalità viene rispettata dal burocrate per timore di perdere il valore giuridico. Il linguaggio burocratico è l’anello di congiunzione tra legge e cittadino. Il linguaggio burocratico dovrebbe rendfere chiara e comprensibile la legge al cittadino ma non sempre accade perché il burocrate ha timore di sbagliare nel scrivere in maniera semplificata e quindi mantiene l’alto grado sempre, è una formalità inerziale....


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