Manuale di Diritto amministrativo (Fracchia, Casetta) Edizioni Giuffrè - RIASSUNTI PDF

Title Manuale di Diritto amministrativo (Fracchia, Casetta) Edizioni Giuffrè - RIASSUNTI
Author Alessandro Paparella
Course Diritto Amministrativo 
Institution Università degli Studi di Bari Aldo Moro
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Riassunto del libro...


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Riassunti del testo:

Manuale di Diritto amministrativo (Fracchia, Casetta) Edizioni Giuffrè

A cura di Paparella Alessandro Università degli studi di Bari

CAPITOLO I - L’AMMINISTRAZIONE E IL SUO DIRITTO 1. La nozione di pubblica amministrazione Il termine “amministrazione” indica la cura degli interessi, cioè l’attività rivolta alla soddisfazione di interessi correlati ai fini che il soggetto (persona giuridica, pubblica o privata) si propone di perseguire. Noi analizzeremo l’amministrazione-attività, nota come “amministrazione in senso oggettivo”, cioè l’amministrazione regolata da norme giuridiche e finalizzata alla soddisfazione di interessi pubblici. Questa attività, si collega imprescindibilmente alla nozione di “amministrazione in senso soggettivo”, in quanto trattasi di attività amministrativa posta in essere dalle persone giuridiche pubbliche e dagli organi a cui compete la cura degli interessi dei soggetti pubblici. In base a quanto previsto dalla Costituzione, l’attività amministrativa viene svolta anche da organi a cui tale attività non competerebbe, così come l’amministrazione in senso soggettivo esercita funzioni diverse da quelle istituzionalmente previste. Nell’era feudale le funzioni amministrative venivano espletate soprattutto sulla base di un diritto ereditario e gli interessi privati si intrecciavano strettamente con quelli pubblici; quanto al periodo successivo, riferendoci alla formazione degli Stati modernamente intesi, ed in particolare alla fase storica pre Rivoluzione francese, il principio della separazione dei poteri risultava, seppur già intravedibile, ancora inattuato. Dopo la Rivoluzione francese, vi fu l’aumento delle dimensioni dell’amministrazione, lo Stato doveva infatti soddisfare le nuove richieste avanzate da classi sociali a cui si riconobbe finalmente un ruolo politico. Amministrazione in senso soggettivo, dunque, equivale a dire organizzazione amministrativa ed in materia di pubblica amministrazione, è proprio all’organizzazione che la Costituzione, pur senza darne alcuna definizione, dedica la sua lacunosa disciplina. Si tratta di stabilire se esista una definizione legislativa di amministrazione pubblica; in sostanza, non si dovrebbe parlare di «pubblica amministrazione» bensì di «pubbliche amministrazioni», in quanto il concetto dovrebbe diversificarsi a seconda dei fini in vista dei quali esso dovrebbe essere utilizzato. La nozione di Pubbliche Amministrazioni più attendibile pare essere quella presente normativa sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche di cui al d.lgs. 165/2001, che come da art. 1 , c. 2 considera pubbliche: «tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende e amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni, le comunità montane e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari ecc.». 2. La pubblica amministrazione dopo l’entrata in vigore della Costituzione, i suoi mali recenti e i rimedi posti in atto. In particolare: il problema della riforma della pubblica amministrazione Il numero degli enti pubblici è mutevole nel tempo, quindi l’ambito della P.A. può estendersi o a contrarsi. Inoltre, anche all’interno della stessa amministrazione si verificano mutamenti di grande rilievo. La riforma dell’amministrazione è una questione costantemente oggetto di analisi e di preoccupazioni, ciò non è confortante in quanto la riforma figura sempre come la necessità di risolvere i problemi di una amministrazione che non funziona bene. Il legislatore ha perseguito l’attuazione di norme e principi costituzionali, si pensi alla legge sul procedimento amministrativo (241/1990) e alla legge sulle autonomie locali (142/1990, modificata con l. 265/1999, ora riunite in testo unico) ed ha inoltre, introdotto una distinzione marcata tra indirizzo politico e gestione, che emerge con evidenza sia nel d.lgs. 165/2001, sia nella normativa sugli enti locali e dunque con riferimento all’organizzazione intesa in senso tradizionale.

La maggior responsabilizzazione della dirigenza si riflette altresì sulla riforma del bilancio oggi articolato a livello statale per programmi, aggregati di risorse finanziarie destinate al perseguimento di obiettivi strategici. Le leggi 59/1997, 127/1997 e 191/1998 (anche note rispettivamente come «legge Bassanini uno», «legge Bassanini-bis» e «legge Bassanini-ter») sono tre esempi di una riforma che ha determinato rilevanti modifiche dell’attività e dell’organizzazione amministrativa. Con questa riforma, molte funzioni statali sono state conferite alle regioni e agli enti locali, riservando soltanto alcune e fondamentali materie allo Stato e introducendo il principio di sussidiarietà. Un’altra riforma costituzionale con ripercussioni sull’amministrazione è stata anche la legge cost. 3/2001, oltre al d.lgs. 104/2010 che ha introdotto il codice del processo amministrativo, e alle numerose manovre per far fronte alla crisi economico-finanziaria che spesso hanno avuto impatti sull’organizzazione e sull’attività amministrativa. Inoltre la crisi delle istituzioni è stata fronteggiata dalla disciplina per la lotta alla corruzione e all’illegalità (l. 190/2012). L’impiego della tecnologia dovrebbe provocare un radicale mutamento dell’azione amministrativa, potenziando il c.d. e-government nell’ambito dei rapporti con cittadini e imprese. Il codice dell’amministrazione digitale prevede l’individuazione di un responsabile unico delle attività relative alla digitalizzazione, ciò attribuisce numerosi diritti ai cittadini, tra cui quello di usare le tecnologie nei rapporti con l’amministrazione, come ad esempio la PEC (autorizzata dall’Agenzia per l’Italia Digitale) che tutte le amministrazioni devono avere. Il cittadino può inoltre avvalersi di firma digitale, documenti informatici, siti internet, carta di identità elettronica e carta nazionale dei servizi. Il d.l. 179/2012, convertito nella l. 221/2012, promuove l’agenda digitale italiana (A.D.I.) come misura essenziale per la crescita del Paese, disciplinando anche la cartella medica digitale, la giustizia digitale e apportando numerose modifiche al codice dell’amministrazione digitale. Per realizzare l’A.D.I, la stessa legge istituisce “L’agenzia per l’Italia digitale”. Di rilievo sono sia l’istituto del domicilio digitale, cioè la PEC sostituisce il domicilio reale, sia il concetto di “Amministrazione trasparente”, cioè l’obbligo per ogni amministrazione di pubblicare sul proprio sito istituzionale i dati, le informazioni e i documenti da esso pubblicati. 3. La nozione di diritto amministrativo Il diritto amministrativo è la disciplina giuridica della pubblica amministrazione in tutte le sue peculiarità, (organizzazione, beni, attività, rapporti con gli altri soggetti). Gli Stati in cui esiste un corpo di regole amministrative ad hoc, viene definito come Stato a regime amministrativo. In genere si ritiene che la nascita del diritto amministrativo corrisponda alla Costituzione francese del 1799 ottenuta grazie alla rivoluzione ma in realtà, il diritto amministrativo nasce come somma di più eventi riconducibili a periodi ed esperienze statali anche molto diverse. Per quanto attiene più in particolare all’Italia, già nel 1859 si era completata la legislazione amministrativa piemontese, dopo l’unità (nel 1865) si uniformò la legislazione relativa ai territori annessi ad opera delle c.d. leggi di unificazione. Anche se comunemente accettato, non è giustificabile l’inclusione nel diritto amministrativo per l’attività giurisdizionale svolta da organi indipendenti (art. 108 Cost.) che formalmente non appartengono alla P.A. L’attività amministrativa può essere esercitata dai soggetti pubblici tanto nelle forme del diritto pubblico, quanto nelle forme del diritto privato, tant’è che l’ art. l, c. l-bis, l. 241/1990, dispone che «la pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente». La norma sembra:  Consentire che l’azione amministrativa sia retta da «norme» di diritto privato; nei rapporti di lavoro, ad esempio, l’ente agisce come datore di lavoro privato nei confronti dei dipendenti.

  

Individuare nel carattere dell’autoritatività la linea di demarcazione tra attività amministrativa retta dal diritto amministrativo e attività retta dal diritto privato. Limitare l’area dell’applicazione del diritto privato al settore degli atti non autoritativi e al contrario riservare l’applicazione di norme di diritto pubblico agli atti autoritativi. Riconoscere il diritto privato come la «regola» per tutto quanto concerne atti non autoritativi.

5. L’amministrazione europea e il diritto amministrativo dell’Unione europea Le organizzazioni internazionali sono dotate di una propria struttura amministrativa che spesso si relaziona con le amministrazioni nazionali. Sono molto importanti le relazioni tra le amministrazioni italiane e quelle dell’Unione europea, tant’è che si usa l’espressione diritto amministrativo dell’Unione europea per fare riferimento ad esse. Ad esempio vi è tutta la normativa sugli aiuti di Stato, sugli appalti pubblici e sui servizi pubblici che è chiaramente di matrice comunitaria. La disciplina europea ha introdotto un nuovo modello di potere pubblico (le autorità indipendenti), una nuova funzione (quella regolativa dei mercati) e ha accentuato la rilevanza del mercato e della tutela dei consumatori. Un importante passo avanti è stato compiuto con il Trattato di Nizza del 21 febbraio 2001, ratificato dall’Italia con l. 102/2002. Tra i protocolli allegati sono di particolare rilievo quello attinente all’allargamento dell’Unione e i provvedimenti conseguenti. A Nizza è stata pure proclamata la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che riafferma diritti già riconosciuti dalla giurisprudenza comunitaria. La Conferenza intergovernativa del 18 giugno 2004 a Bruxelles ha approvato un testo finale di Costituzione europea. Il relativo processo di ratifica da parte degli Stati membri ha però avuto una rilevante battuta d’arresto a seguito del rifiuto espresso nel giugno 2005 da Francia e Olanda. Si è allora adottato il successivo Trattato di Lisbona (dicembre 2007), che, entrato in vigore il 1° dicembre 2009: esso disegna l’Unione come un ordinamento unitario e riconosce efficacia giuridicamente vincolante alla Carta dei diritti fondamentali e dà impulso all’adesione dell’Unione europea nel suo complesso alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Tornando al piano interno, si noti che un’influenza crescente con riferimento ad alcuni settori del diritto amministrativo è destinata a produrre la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. La Corte cost., con due decisioni in tema di occupazione acquisitiva e di espropriazione (nn. 348 e 349/2007) si è pronunciata sulla “posizione” della CEDU: in caso di contrasto tra una norma interna e una disposizione della CEDU, il giudice comune non può disapplicare la prima, ma deve sottoporla a scrutinio di costituzionalità per violazione dell’art. 117, c. 1, Cost., ribadendo così il modello dualistico. Il diritto amministrativo comunitario (o dell’Unione) in senso proprio è soltanto quello avente ad oggetto l’amministrazione comunitaria. Per amministrazione comunitaria si intende l’insieme degli organismi e delle istituzioni dell’Unione europea cui è affidato il compito di svolgere attività sostanzialmente amministrativa e di emanare atti amministrativi. Nell’ambito del diritto comunitario, di estremo rilievo è il principio di sussidiarietà. Esso presenta in realtà due facce. Una garantista a favore del decentramento e dei poteri locali, ai quali sono riservate le competenze salvo che non siano in grado di assicurare la realizzazione degli obiettivi che debbono perseguire. L’altra che viceversa può agevolare processi di accentramento a favore del livello di governo superiore, consentendo a quest’ultimo di agire anche al di là delle competenze ad esso attribuite formalmente, ogni qual volta l’azione comunitaria si presenti come la più efficace. Introdotto anche nel nostro ordinamento dalla l. 59/1997 e dall’art. 3, c. 5, T.U. enti locali, per essere costituzionalizzato con la l. cost. 3/2001, questo principio costituisce una vera e propria regola di riparto delle competenze tra Stati membri e Unione nei settori di competenza non esclusiva dell’Unione. Più in particolare, esso pare salvaguardare le attribuzioni degli Stati stessi consentendo alla prima di intervenire «soltanto se e nella misura in cui» gli obiettivi dell’azione prevista non possano essere sufficientemente

realizzati dagli Stati membri e possano dunque essere meglio conseguiti a livello dell’Unione a motivo delle dimensioni o degli effetti dell’azione stessa. La presenza dell’amministrazione dell’Unione determina, infine, un mutamento del ruolo delle amministrazioni nazionali, le quali sono spesso chiamate a svolgere compiti esecutivi delle decisioni adottate dall’amministrazione comunitaria. Alcune volte il ruolo delle amministrazioni italiane è istruttorio o preparatorio nell’ambito di procedimenti che si svolgono in due fasi, una nazionale e l’altra comunitaria, come accade nel caso dei finanziamenti erogati dal Fondo Sociale Europeo; nel corso di tali procedimenti all’amministrazione nazionale spettano funzioni di controllo e compiti preparatori, quali l’inoltro di domande presentate dagli interessati. Ciò determina una complicazione del procedimento amministrativo, nel senso che si assiste alla partecipazione ad esso sia delle amministrazioni italiane, sia dell’amministrazione comunitaria, che emana l’atto finale destinato a produrre effetti per i cittadini; situazione che crea altresì dubbi e incertezze in ordine al giudice (nazionale o comunitario) al quale deve rivolgersi il privato che si ritenga leso dall’azione procedimentale. L’analisi dei rapporti tra amministrazione nazionale e amministrazione dell’Unione consente di individuare ulteriori problemi: in particolare deve essere chiarito che cosa si intende per esecuzione nel diritto comunitario; occorre poi indicare a quali atti l’amministrazione comunitaria è chiamata a dare esecuzione e, soprattutto, è necessario individuare l’organo titolare della funzione esecutiva comunitaria. In primo luogo, si tenga presente che l’attuazione riguarda sia gli atti comunitari puntuali e concreti, sia gli atti normativi. L’esecuzione di molte decisioni spetta alle amministrazioni nazionali, sicché, mancando una funzione esecutiva-attuativa comunitaria, non è nemmeno possibile individuare il potere comunitario (intendendo qui il termine come complesso organizzatorio) competente a svolgere quella funzione. Anche l’attuazione di regolamenti e direttive spetta agli Stati membri che agiscono adottando atti legislativi e amministrativi. In realtà si deve distinguere tra esecuzione in via diretta ed esecuzione in via indiretta, che avviene cioè avvalendosi della collaborazione degli Stati membri. Occorre individuare con maggior precisione che cosa si debba intendere, sotto il profilo soggettivo, per amministrazione dell’Unione. Trattasi di un problema di non facile soluzione, giacché l’individuazione di un potere esecutivo si scontra con la difficoltà di separare nettamente i compiti del Consiglio da quelli della Commissione o, in altri termini, di operare una netta individuazione dei soggetti che svolgono in via esclusiva funzioni normative e amministrative. In questo contesto assume certamente un ruolo centrale la Commissione; si può affermare che la funzione esecutiva è esercitata dalla Commissione, essendo distribuite le funzioni normative e amministrative tra Consiglio e Commissione. Infine va aggiunto che il diritto sovranazionale gioca un crescente ruolo all’interno del nostro contesto giuridico: a tacere dell’influenza rilevante della CEDU, si ricordi la vicenda del Fiscal Compact e della sua influenza sulla modifica dell’art. 81 Cost., sia il fatto che la recente legge anticorruzione (l. 190/2012) è stata emanata in attuazione dell’art. 6 della Convenzione dell’ONU contro la corruzione siglata il 31 ottobre 2003 e ratificata dalla l. 116/2009 e dagli artt. 20 e 21 della Convenzione penale sulla corruzione, fatta a Strasburgo il 27 gennaio 1999.

CAPITOLO II - ORDINAMENTO GIURIDICO E AMMINISTRAZIONE: LA DISCIPLINA COSTITUZIONALE 1. Diritto amministrativo e nozione di ordinamento giuridico Con il termine ordinamento giuridico generale si indica l’assetto giuridico e l’insieme delle norme relative ad un gruppo sociale. Giuridicamente si pone attenzione su quelle organizzazioni stabili alle quali è riconducibile la produzione di una particolare categoria di norme vincolanti, in grado di prevalere sulle altre regole di comportamento. Soprattutto nello studio diritto amministrativo, è importante l’analisi e lo studio dell’organizzazione di un ente sociale piuttosto che l’analisi di una particolare norma giuridica. Questo approccio è doveroso per un ordinamento, come quello amministrativo, caratterizzato dalla disorganicità del panorama legislativo e dalla presenza di principi non scritti che disciplinano l’azione amministrativa. 2. L’amministrazione nella Costituzione: in particolare, il “modello” di amministrazione emergente dagli artt. 5, 95, 97 e 98 La Costituzione si occupa dell’amministrazione nella parte seconda, titolo III, sezione II (artt. 97-98). Dal quadro normativo costituzionale emergono diversi modelli di amministrazione, nessuno di questi può però essere considerato come «modello» principale.  Art. 98 Cost., l’amministrazione è intesa come la collettività nazionale, al cui servizio i suoi impiegati sono posti (“I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”).  Art. 5 Cost. + Titolo V della parte seconda, il modello dell’amministrazione è caratterizzato dal decentramento amministrativo e dalla promozione delle autonomie locali, capaci di esprimere un proprio indirizzo politico-amministrativo.  Art. 97 Cost., che contiene una riserva di legge e mira a sottrarre l’amministrazione, regolata dalla legge, al controllo politico del governo tipico del periodo storico che ha preceduto l’entrata in vigore della Costituzione: un’amministrazione, dunque, indipendente dal governo e che si legittima per la sua imparzialità ed efficienza.  Art. 95 Cost., da cui potrebbe emergere l’idea di una amministrazione che dipende dal governo, il precetto costituzionale dispone infatti che il Presidente del Consiglio dei ministri deve dirigere la politica generale del governo essendone il responsabile ed è inoltre incaricato di mantenere l’unità di indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri. Sempre secondo tale articolo, ciascun ministro è a capo di un settore dell’amministrazione ed è responsabile degli atti del proprio dicastero: sembra prefigurarsi l’idea di un’amministrazione quale organizzazione strumentale rispetto al governo. Il governo, assieme al Parlamento, esprime un indirizzo che è allo stesso tempo politico e amministrativo, ciò è avallato appunto dall’articolo 95. L’indirizzo politico può definirsi come la direzione politica dello Stato e, quindi, come quel complesso di manifestazioni di volontà in funzione del conseguimento di un fine unico, le quali comportano la determinazione di un impulso unitario e di coordinazione affinché i vari compiti statali si svolgano in modo armonico, mentre l’indirizzo amministrativo, che deve comunque essere stabilito nel rispetto dell’indirizzo politico, consiste nella prefissione di obiettivi dell’azione amministrativa. Ma come si pone la scienza del diritto nel rapporto tra politica ed amministrazioni? Dalle lezioni introduttive del diritto di Vittorio Emanuele Orlando a fine ‘800, il tema della politica è stato eliminato dalla pubblicistica in quanto elemento contaminatore del metodo giuridico, il



metodo giuridico deve infatti occuparsi soltanto della disciplina che è stata posta in essere dal potere politico, e non del potere politico stesso; la conseguenza di questo approccio sta nel rischio neutralità delle categor...


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