Metrica del Canzoniere PDF

Title Metrica del Canzoniere
Course italiano (letteratura)
Institution Liceo (Italia)
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METRICA DEL CANZONIERE SONETTO La poesia nasce assieme alla musica, e la metrica era all'origine un battito, che poteva nascere per motivi bellici (poesia militare dell'antica Grecia, dove il ritmo corrispondeva a un preciso passo di marcia) o per motivi legati all'eros, o per altre ragioni. Nei secoli poi musica e poesia hanno preso strade diverse. I poeti non si preoccupano quindi solo di trasmettere dei contenuti, ma di veicolarli con un significante, che in molti casi ha un valore suo proprio e simbolico. Nel passaggio dal latino ai vari volgari, la metrica è cambiata (nella lingua latina, la distinzione delle vocali era tra brevi e lunghi → metrica di tipo quantitativo), la lingua stessa quotidiana fa passare ad un tipo di accentuazione sillabico, in cui l’accento è dinamico o percussivo. La sillaba accentata è detta tonica, le altre sono atone. Gli accenti si distinguono in principali e secondari. Nella metrica, gli accenti principali sono quelli la cui presenza indica la correttezza o meno del verso, ci sono quindi degli accenti obbligatori. L’ultima sillaba tonica è quella che determina la natura del verso (10a per l’endecasillabo; 6a per il settenario, ecc.). Il sonetto è un componimento composto solo da endecasillabi. La decima sillaba tonica ne determina la natura. Gli accenti principali sono il 4° e/o il 6° (una delle due sillabe deve essere accentata, altrimenti l’endecasillabo è sbagliato). Si chiama endecasillabo a minore quello che ha la 4a sillaba tonica- si chiama endecasillabo a maiore quello che ha la 6a tonica. Nella tradizione metrica italiana si sono imposti due modelli: 1. modello dantesco: endecasillabo a maiore con accenti di 2a o 3a, 6a e 10a, 2. modello petrarchesco: a minore con accenti di 4a, 8a, 10a o 4a, 7a, 10a. Fenomeni sillabici: - dieresi: nesso di due vocali corrispondente a due sillabe, - sineresi: nessuno di due vocali corrispondente a una sillaba, - dialefe: vocale finale di parola e vocale iniziale della parola seguente corrispondono 2 sillabe, - sinalefe: vocale finale e vocale iniziale corrispondono a una sillaba. Sonetto, forma già standard al tempo di Petrarca (genere metrico inventato molto probabilmente da Giacomo Da Lentini, diventato il genere più utilizzato dai poeti europei). - 14 endecasillabi - è diviso in 2 parti (8+6): * 1a parte (fronte): divisa in due quartine (4+4) * 2a parte (sirma): divisa in due terzine (3+3=. Fronte: - Schema più antico a rime alternate: ABAB ABAB - Schema più frequenta a rime incrociate: ABBA ABBA - Rare ma possibili altre soluzioni: ABBB-BAAA; ABAB-BABA; ABABBAAB. Sirma: - Schema più comune: CDE CDE - Schema abbastanza frequente: CDC DCD - Altri schemi possibili: CDE EDC; CDC CDC; CDD DCC. BALLATA Oltre a contenere gli endecasillabi, contiene quasi sempre anche il settenario (l’ultima sillaba tonica è la 6a, la posizione degli altri accenti è libera; solo l’accento di 5a è considerato eccezionale; può essere considerato come la prima parte di un endecasillabo a maiore o come la seconda parte di un endecasillabo a minore). È ignorata dai Siciliana e si sviluppa in Toscana soprattutto con Guido Cavalcanti. È un genere in strofe o stanze (la stanza è una sequenza di versi caratterizzata da uno stesso numero di versi che seguono un preciso schema metrico). La caratteristica essenziale è la presenza di un ritornello o ripresa, che precede il testo e, nell’esecuzione musicale, viene cantato tra una stanza e l’altra e alla fine. La ballata si può dividere in piccola (2 versi della ripresa), mediana (3 versi della ripresa), grande (4 versi della ripresa). In Petrarca le ballate sono mono strofiche e tutte grandi. La ballata si chiama così perché nasce come genere musicale o da ballo, e la ripresa era solitamente cantata da un coro, mentre il resto delle strofe era cantano da un solo musicista generalmente accompagnato da uno strumento a corde. a stanza è divisa in due parti: 1) due mutazioni o piedi (2, 3 o 4 versi); 2) volta (stesso numero di versi, stesso ordine e schema di

rime della ripresa. Il primo verso della volta può avere anche la rima dell’ultimo verso della seconda mutazione). CANZONE È una forma che attraversa tutta la storia della poesia italiana, ed è il metro di maggior prestigio nella poesia dei primi secoli e oltre. Viene elaborata nel ’200 e codificata da Dante, che ne parla nel De vulgari eloquentia. La struttura che compone la strofa è detta stanza (ripetuta più volte; generalmente 5, anche se questo non è un dogma); la conclusione è una stanza ridotta detta congedo, in cui generalmente il poeta si rivolge alla sua canzone e le comunica quale sia il destinatario a cui l poesia stessa personificata dovrà rivolgersi. La stanza non ha uno schema fisso, ma spesso i poeti hanno imitato gli schemi di Dante e Petrarca in quanto particolarmente autorevoli. La stanza si divide in due parti: 1. 2 piedi: due serie di versi dello stesso tipo (settenari o endecasillabi) e ordine metrico; la loro lunghezza può variare da 2 a 4 (Petrarca) o da 3 a 6 (Dante), 2. sirma: o “coda”, non divisibile in due parti uguali e dunque indivisibile, in quanto la disposizione dei versi è libera; quando il primo verso ha la stessa rima dell’ultimo verso dei piedi si parla di concatenatio o chiave; 3. il congedo riprende la forma degli ultimi 3 versi della stanza (possibile, ma raro, un congedo con struttura propria). MAGRIDALE Componimento poetico di origine popolare che nasce in Italia almeno dal XIV sec., che consisteva all’inizio in un breve quadretto di vita campagnola o pastorale, talvolta tendente all’epigramma, con uno schema metrico fisso (due o tre terzine di endecasillabi variamente rimati, seguiti da un distico a rima baciata). FIGURE RETORICHE Allitterazione: ripetizione della stessa consonante all’inizio di parole limitrofe o poco distanti. Si tratta di un caso particolare, ancor più generalizzato della rima, del parallelismo come struttura inerente l’artificio poetico. Le origini di questa figura retorica vanno ritrovate nella liturgia (preghiere), nelle formule apotropaiche (scongiuri) e nel folklore (proverbi e litanie). Esempio. RVF, 1 v. 11: «di me medesmo meco mi vergogno». La figura retorica dell’allitterazione dà a questo verso il carattere di una litania, di un ‘atto penitenziale’ che termina nella presa di coscienza che la vita dell’uomo è un «breve sogno» (v. 14). Paronomasia: figura retorica ‘di parola’ o di ‘suono’ per variazione di forma, prodotta mediante l’accostamento di due termini affini per suono ma diversi di significato. Es. RVF, 90, v. 1: «Erano i capei d’oro a l’aura sparsi». Es. 2 RVF, 134, vv. 1-4 «Pace non trovo, et non ò da far guerra; e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio; et volo sopra ’l cielo, et giaccio in terra; et nulla stringo, et tutto ’l mondo abbraccio». Zeugma: figura di parola in cui un membro della frase ne soggioga altri. Per verbi, aggettivi e preposizioni che richiederebbero reggenze diverse, si adotta un’unica costruzione, in cui le parti mancanti vanno reintegrate a senso dal lettore. Lo zeugma rientra dunque nell’ambito delle figure ellittiche, che qui si esplicitano mediante l’omissione di parti del discorso normalmente necessarie alla sua compiutezza logica e sintattica. Es. RVF, 34, v. 8: «ove tu prima, et poi fu’ invescato io». «fu’ invescato» si riferisce sintatticamente solo a «io», ma a senso il lettore comprende che esso va riferito anche al «tu» della prima parte del verso. Adynaton: descrizione di eventi di impossibile realizzazione in natura e che dunque risulta – proprio per l’entità miracolosa e soprannaturale che le è propria – addirittura paradossale. Es. RVF, 66, vv. 22-24: «ch’allor fia un dí madonna senza ’l ghiacciodentro, et di for senza l'usata nebbia, ch'i' vedrò secco il mare, e' laghi, e i fiumi». Hysteron proteron: locuzione greca che significa ‘posteriore anteriore’, ovvero ‘ciò che viene per ultimo messo per primo. È una ‘figura di pensiero’ che consiste nel sovvertimento dell’ordine logico e cronologico nel disporre gli eventi e gli stati d’animo riportati nel testo. Es. RVF, 83, vv. 34: «securo non sarò, bench’io m’arrischi talor ov’Amor l’arco tira et empie»....


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