Natalia Ginzburg - Riassunto vita e opere (varie fonti) PDF

Title Natalia Ginzburg - Riassunto vita e opere (varie fonti)
Author Geltrude Poggi
Course Letteratura italiana
Institution Università di Bologna
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Riassunto vita e opere (varie fonti)...


Description

Natalia Ginzburg (Palermo, 1916 – Roma, 1991) Convinta antifascista, parlamentare del Partito Comunista Italiano e madrina della casa editrice Einaudi: Natalia Ginzburg non è solo l’autrice di un capolavoro letterario che tira le fila di un’intera generazione. Per cominciare, è stata fra i primi collaboratori della casa editrice torinese, parte di un circolo intellettuale fra cui figurano l’amico Cesare Pavese, di cui traccia un ritratto memorabile (Le piccole virtù), e il primo marito, Leone Ginzburg, da cui prende il cognome con cui tutti la conosciamo. Ripercorrere la vita di Natalia Ginzburg e delle sue due famiglie, quella Levi e quella Einaudi, significa scavare nella storia del nostro Paese, dal regime alla resistenza torinese, dalle prime vittorie alle inesorabili sconfitte della sinistra italiana. Come a completare un ciclo storico, Natalia Ginzburg muore a Roma il 7 ottobre del 1991, agli albori del crollo dell’Unione Sovietica. Vita_ Natalia Ginzburg (nata con il nome Natalia Levi) nasce a Palermo il 14 luglio 1916. Il padre è il celebre scienziato (biologo) triestino di origine ebraica Giuseppe Levi e la madre è la milanese Lidia Tanzi sorella di Drusilla Tanzi (“la mosca” di Montale) e amica di Filippo Turati e Anna Kuliscioff. I fratelli Gino, Mario e Alberto fanno parte del nucleo più forte della resistenza antifascista torinese; la sorella Paola, moglie di Adriano Olivetti e amante di Carlo Levi. Il padre, oltre a essere un grande scienziato (tra i suoi allievi illustri ricordiamo Rita Levi-Montalcini), è anche un professore universitario che condivide gli ideali antifascisti. Per la loro opposizione al regime fascista, Giuseppe Levi e i suoi tre figli maschi, vengono arrestati e processati. La casa torinese, dove abitavano i Levi, vive in un rapporto osmotico con quanto di meglio potesse nascere e passare per la città, ed è aperta alle visite dei più importanti rappresentanti della cultura e della politica italiana degli anni Trenta e Quaranta. Una famiglia che, al contrario di quanto voglia farci credere l’incipit di Lessico Famigliare, è tutt’altro che convenzionale. Filippo Turati, Margherita Sarfatti, Giacomo Debenedetti: sono solo alcuni dei personaggi che frequentavano casa Levi. Questa è la prima casa di Natalia: un ambiente familiare in cui gli stimoli intellettuali non mancano. La vita di Natalia attraversa eventi storici difficili e pesantissime tragedie personali. Una vita tra amori perduti, lotte politiche, sofferenze familiari, affermazioni in un mondo non ancora pronto a recepire le donne. Cresce a Torino in un ambiente intellettuale e antifascista: continui controlli della polizia, la prigione che tocca diversi membri della sua famiglia, tra cui il padre e alcuni dei fratelli. Sono anni che sintetizzerà bene, in seguito, nel suo Lessico famigliare (1963). Timida, riservata, con un pessimo rendimento scolastico, continua costantemente a chiedersi perché doveva indossare abiti dalle linee severe mentre le sue compagne potevano sfoggiare vestiti femminili e colorati. Inizia, tra una famiglia troppo severa e un suo temperamento molto rigido a delinearsi quella Natalia, tenace con sé stessa ma profondamente empatica rispetto le cause sociali. Una personalità determinate nella vita Natalia è quella di Adriano Olivetti che nel 1927 sposa la sorella Paola, donna esuberante e femminile. Con Adriano, Natalia stabilisce subito grande intesa soprattutto in episodi quale il coinvolgimento della fuga di Turati che li vede protagonisti entrambi.

L’incontro con la letteratura avviene in maniera graduale, come forma intimistica di evasione da spazi che non sentiva propri. Il suo primo racconto è del 1933, I bambini, è già qui troviamo lo spazio “familiare” che è tipico delle opere maggiore di Natalia. Nel 1938 si sposa con Leone Ginzburg, che nel 1940 viene mandato al confino in un piccolo paese dell’Abruzzo, e con lui vivranno Natalia e i tre figli (Carlo, Andrea, Alessandra) fino al 1943. Ricorderà quel momento in un testo delle Piccole virtù (1962), un tempo vissuto come un passaggio scomodo e che si rivelerà essere invece il più felice. Tra il 1943 e il 1944, i Ginzburg presero parte a diverse attività di editoria clandestina. Nel 1942 pubblica, con lo pseudonimo di Alessandra Tornimparte, il primo romanzo, dal titolo La strada che va in città. Il secondo sarà pubblicato nel 1947 col titolo È stato così, vincitore del premio Il Tempo. Al loro ritorno a Roma, Leone viene arrestato e condotto in prigione, dove muore per tortura, senza poter rivedere la moglie ed i tre figli. Dopo la morte del marito segue un periodo di inquietudine che rispecchia una topografia dell’anima completamente dissestata: Roma, poi di nuovo Torino. Ma senza trovarne alcun giovamento. Accanto a lei gli amici di sempre: Croce, Salvatorelli, Bobbio, Giulio Enaudi, Carocci, Pavese e Adriano Olivetti quasi tutti variamente impegnati nella lotta antifascista. La scrittrice torna a Torino e, al termine della guerra, inizia a collaborare alla casa editrice Einaudi. Traduzioni, romanzi, saggi, opere di teatro: la sua attività di scrittrice riempie i decenni successivi. Nel 1950 Natalia sposa Gabriele Baldini, docente di letteratura inglese con il quale ha due figli: la figlia Susanna (1954 –2002) e il figlio Antonio (1959 –1960), entrambi portatori di handicap. Nella primavera del 1959 Natalia Ginzburg si trasferisce a Londra, dove il marito, l’anglista Gabriele Baldini, è stato chiamato a dirigere l’Istituto italiano di cultura. Si stabiliscono al numero 13 di South Terrace, un’elegante strada di Kensington, a pochi passi dal museo Victoria and Albert. Durante il suo soggiorno nella capitale britannica, riceve la visita di alcuni amici italiani, come Delio Cantimori e Lalla Romano, e si tiene in corrispondenza con altri, fra cui Italo Calvino e Luciano Foà. Sul piano della creazione letteraria, è un periodo fecondo. Scrive alcuni reportage per «Il Mondo» (La Maison Volpè, Elogio e compianto dell’Inghilterra), un saggio per «Nuovi Argomenti» (Le piccole virtù) e uno dei suoi romanzi più famosi (Le voci della sera), che Calvino loda per il senso delle storie familiari, il rigore della narrazione e l’approfondimento geografico: «Questo Piemonte, ora che ne sei lontana – le scrive il 12 maggio 1961 –, mentre prima sempre lo sfumavi e lo genericizzavi, ora ti esce fuori da tutti i pori». Sono anni di intensa attività letteraria e di relazioni con altri intellettuali dell’epoca. Continua a scrivere rispetto a temi psicologici, introspettivi e familiari. Fondamentale l’impegno politico nella vita di “Nat”: nel 1983 viene eletta al Parlamento (1983 e 1987) nelle liste del PCI. Eletta nella Sinistra Indipendente, attiva in iniziative per la difesa dei diritti e contro il razzismo. Muore a Roma tra il 6 e il 7 ottobre del 1991. Le spoglie si trovano ora al cimitero del Verano.

La scrittura _ Il suo linguaggio è “umile”; lo sono i titoli dei romanzi, ci sono le “piccole cose”, la “vita quotidiana”. I personaggi, che nella sua scrittura arriviamo a conoscere come se davvero li avessimo incontrati, per quanto ci sono messi vicino, nei gesti semplici, nelle parole e anche in quello che non dicono, vivono negli anni del fascismo, delle leggi contro gli ebrei, di Mussolini e dell’Asse Roma-Berlino, della guerra. Nello scrivere, il compagno più fedele della Ginzburg è uno stile autentico e onesto. Intervistata da Oriana Fallaci nel 1963, racconta: “Una donna deve scrivere come una donna, però con le qualità di un uomo”, parlare di sentimenti senza scadere nel patetismo. Nella sua vastità, che include racconti, romanzi, commedie e saggi, l’opera letteraria di Natalia Ginzburg colpisce per l’eccezionale forza comunicativa del linguaggio. Molti dei suoi libri sono costruiti attraverso lo sguardo di donne. C’è la vita di bambine (Natalia, in Lessico Famigliare), di giovani ragazze incinte, di vecchie (la «signora Maria»), di donne adulte con i loro figli (Lucrezia, La città e la casa) le contadine, le borghesi. E gli uomini: quelli in guerra, lontani per mesi e per anni; quelli di cui si sapeva solo che erano “in Russia”. Cenzo Rena e Franz che si consegnano ai tedeschi per salvare la vita di dieci ostaggi innocenti, e vengono fucilati: sono le ultime pagine dei “nostri ieri”. La strada che va in città (1942) _ Costretta sotto lo pseudonimo di Alessandra Tornimparte per non rivelare la sua origine ebraica, Natalia pubblica il suo primo romanzo, La strada che va in città, incentrato sulla vita familiare di una sedicenne. È stato così (1947) _ Vincitore del premio letterario Tempo nel 1947. Anche qui è al centro l’esistenza femminile. Tutti i nostri ieri (1952) _ la descrizione del momento in cui si sparge la notizia della caduta del fascismo, si parla dell’armistizio, e si spera che sia tutto finito. Ma poi arrivano i tedeschi, e invece «gli inglesi non arrivano mai». L’invenzione di mettere insieme le lettere di persone, familiari, amici, che si tengono in contatto o si ritrovano (e cambiamenti, sofferenze, il passare del tempo). Il tono, le parole sono quelle della vita di ogni giorno e delle “piccole cose”, che però sono parte di vicende storiche complesse, pesanti. Valentino (1957) _ Investiti di un valore poetico, gli oggetti hanno un ruolo determinante. Così avviene per gli abiti di Valentino, romanzo breve del 1957. Sagittario (1957) _ Una lingua diretta o onesta, fra malinconia e divertimento, caratterizza il romanzo Cinque romanzi brevi _ Nel 1964, questi primi romanzi vengono riuniti e pubblicati in un volume unico. Le voci della sera (1961) _ Scritto in uno stile asciutto e antiletterario, che è il diretto antecedente di Lessico Famigliare, i dialoghi sono i veri protagonisti del romanzo. Le piccole virtù (1962) _ un testo saggistico di straordinaria bellezza che racconta dall’esilio abruzzese con il marito Leone al ritratto dell’amico Pavese, dagli aneddoti sull’Inghilterra alla descrizione del suo lavoro come consulente editoriale, fino al saggio conclusivo che dà il nome alla raccolta, in cui si rivolge ai genitori con preziose riflessioni sul tema dell’educazione. Nella prefazione a Le piccole virtù, si legge: “L’artista non scrive una frase perché è bella, ma perché è

vera. E non è un artista chi sacrifica la propria verità per amore di una bella frase o una bella parola”. Due brevi periodi riassumono anni di assidua scrittura: onesta, tagliente e mai inutilmente retorica. Nella raccolta, la scrittrice Natalia Ginzburg affida a un breve racconto, intitolato “Ritratto d’un amico “, il ricordo di Cesare Pavese, morto suicida sette anni prima, il 27 agosto 1950. Natalia Ginzburg, pur parlando da un punto di vista soggettivo, nella scrittura del testo utilizza costantemente il plurale, si riferisce a Pavese come al “nostro amico”, attribuendo il ricordo non solo a una memoria condivisa anni prima con il marito, l’intellettuale antifascista Leone Ginzburg morto per mano dei nazisti nel 1944, ma anche con tutto il loro gruppo di amici. Natalia Ginzburg conosce Pavese proprio grazie al marito, con il quale lo scrittore ha frequentato a Torino il liceo classico D’Azeglio. Questo istituto è il luogo di incontro dei grandi esponenti della classe intellettuale piemontese del secolo scorso: lì fanno amicizia Ginzburg, Pavese, Tullio Pinelli, Norberto Bobbio, Vittorio Foa e Giulio Einaudi. Quest’ultimo, tra l’altro, lasciati i banchi di scuola, fonderà poi l’omonima casa editrice avvalendosi proprio della collaborazione dei suoi compagni. Ginzburg non scrive il racconto “Ritratto d’un amico” per affidare ai posteri gli innegabili meriti della figura pubblica di uno dei più grandi autori italiani del Novecento, ma per elaborare il lutto di un gruppo di amici che ha perso troppo presto un compagno. Lo scritto è un ricordo commosso, colmo di pietà e dolore, sebbene espressi con il riserbo che caratterizza le opere di Ginzburg. Ciò che colpisce più di tutto il lettore, però, è che non si tratta di un testo indulgente. Ginzburg e gli altri rimproverano a Pavese alcuni suoi comportamenti: “Non riuscivamo a dirgli che vedevamo bene dove sbagliava: nel non volersi piegare ad amare il corso quotidiano dell’esistenza che procede uniforme, e apparentemente senza segreti”. Il ricordo di Ginzburg appare ancora più intimo perché il nome di Pavese non è mai citato, come se la scrittrice abbia voluto seguire il filo di un dialogo interiore in cui non c’è bisogno di dare un nome all’oggetto del suo tormento. La figura di Pavese, in questo racconto, emerge con tutta la sua imperscrutabile personalità, dai tratti cangianti e imprevedibili: Ginzburg racconta dei suoi silenzi, incomprensibili anche a chi gli era più vicino, narra i suoi slanci di generosità rivolti a chi gli era estraneo, gli sgarbi che tanto fanno soffrire gli amici, alternati a momenti di dedizione quasi materna quando uno di loro ha bisogno di aiuto. Il racconto non prescinde dalla città di Torino, dove tutto ha avuto inizio, e comincia con la descrizione del capoluogo piemontese, utilizzata, con una similitudine, per raccontare il carattere dello scrittore: “La nostra città rassomiglia, noi adesso ce ne accorgiamo, all’amico che abbiamo perduto e che l’aveva cara; è, come era lui, laboriosa, aggrondata in una sua operosità febbrile e testarda; ed è nello stesso tempo svogliata e disposta a oziare e a sognare”, scrive Ginzburg. “Nella città che gli rassomiglia, noi sentiamo rivivere il nostro amico dovunque andiamo; in ogni angolo e ad ogni svolta ci sembra che possa a un tratto apparire la sua alta figura dal cappotto scuro a martingala, la faccia nascosta nel bavero, il cappello calato sugli occhi”. Il racconto “Ritratto d’un amico”, al di là della valenza storica in quanto testimonianza della morte di uno degli autori più celebri e apprezzati dell’epoca contemporanea, riveste una grande importanza sociale perché tratta di un tema poco affrontato nella società italiana, in parte per pudore e in parte per retaggi religiosi: il suicidio. Il suicidio è un tema che per molto tempo è stato considerato un tabù, – e lo è tuttora, escluse rare eccezioni – anche a causa dell’influenza della cultura cattolica che lo considera un peccato mortale. Basti pensare che solo nel 1983, con la modifica del Codice di diritto canonico, la Chiesa ha annullato le “pene per il suicidio”, tra cui il divieto dei funerali e della sepoltura ecclesiastica.

Come scritto da Domenico Scarpa nella prefazione al libro Le piccole virtù, il suicidio improvviso di Pavese lasciò una traccia profonda nei libri di Natalia Ginzburg e fu forse all’origine di tutte le morti repentine dei suoi personaggi, come in Tutti i nostri ieri, scritto a soli due anni dalla morte dell’amico, e in Caro Michele e La città e la casa. Lessico famigliare (1963) _ «parlato» sui ritmi colloquiali dei discorsi in famiglia. Molto interessante, nel libro, risulta la ricostruzione dell’Italia e di Torino al tempo del fascismo e dell’antifascismo militante. Un linguaggio piano, concreto, realistico, talora dimesso e quotidiano. Romanzo autobiografico di Natalia Ginzburg, che narra le vicende di una famiglia borghese partendo da quei vocaboli e modi espressivi, che acquistano significati particolari e sono validi all’interno di quella cerchia ristretta. In teoria, il titolo avrebbe dovuto suonare Vocabolario famigliare, ma il libro è così bello, e la Ginzburg è una scrittrice così brava, da giustificare pienamente tale libertà. Essa si riverbera anche nell’aggettivo famigliare in luogo del più comune, ma meno elegante, familiare. Come lascia intendere il titolo, il quadro domestico di Lessico Famigliare è tenuto insieme dalle sole parole che sembrano più importanti e, a volte, quasi più vere dei fatti. Come spiega il critico Cesare Garboli, l’ambiguità del romanzo si svela nella rappresentazione della vita famigliare dei Levi di cui Natalia è sia protagonista che narratrice. L’inattendibilità delle memorie è massima: nel testo si susseguono un’infilata di aneddoti disposti uno dopo l’altro, senza criteri o gerarchie, fra omissioni e salti temporali. Scritto di getto in pochi mesi, il romanzo, vincitore del Premio Strega nel 1963, ripercorre un arco temporale che va dagli anni ’20 agli anni ’50, tenendo insieme, senza mai eccedere, l’intimità domestica dei Levi con i grandi eventi che scuotono il Paese. In Lessico Famigliare, la memoria sceglie il gergo familiare come fil rouge che orienta il susseguirsi dei ricordi della prima famiglia dell’autrice: i Levi. “Quelle frasi sono il fondamento della nostra unità familiare, che sussisterà finché saremo al mondo, ricreandosi e risuscitando nei punti più diversi della terra”. Dalla famiglia, che sceglie come luogo privilegiato di osservazione, lo sguardo mira al macro tema dei rapporti umani. La profondità del suo lavoro ha fatto in modo che, da Lessico Famigliare in avanti, non si possa più scrivere di relazioni umane senza pensare ai Levi. La prospettiva collettiva dei suoi libri è il motivo per cui oggi, a distanza di tanti anni dalla morte della scrittrice, hanno ancora qualcosa da dirci. Ti ho sposato per allegria (1964) _ commedia che ottiene successo anche all’estero, da cui Luciano Salce prende spunto l’omonimo film del 1967. Ironica e scritta con un linguaggio quotidiano, racconta i retroscena di un classico matrimonio borghese. Paese di mare e altre commedie (1971) _ ritenta la strada della drammaturgia. Caro Michele (1973) _ Dopo il successo di Lessico Famigliare, qualcosa cambia e la prospettiva si inverte. “Non si amano soltanto le memorie felici. A un certo punto della vita, ci si accorge che si amano le memorie”, scrive nel romanzo epistolare del 1973. Caro Michele mette in prosa il crollo della famiglia, lo sgretolarsi del matrimonio in favore di unioni libere, nomadi e balorde.

La famiglia Manzoni _ Frutto della medesima consapevolezza è il successivo, La famiglia Manzoni, che racconta, partendo dai diari e dalla corrispondenza privata, la biografia dell’autore dei Promessi Sposi, focalizzandosi sul suo ruolo di membro di una famiglia. La città e la casa (1984) _ All’apice della disillusione si arriva con La città e la casa, romanzo epistolare del 1984, con cui si conclude il racconto del decadimento della serenità domestica, iniziato con Caro Michele. Un amore sconfinato per Proust _ In parallelo alla scrittura e al lavoro in casa editrice, ancora giovanissima si immerge in un progetto di immensa difficoltà: “Nel ’37, Leone Ginzburg e Giulio Einaudi mi proposero di tradurre À la recherche du temps perdu. Accettai. Era folle propormelo e folle fu da parte mia accettare. Fu anche, da parte mia, un atto di estrema superbia. Avevo vent’anni”. Un duro lavoro fra i faticosissimi periodi proustiani dà vita a una delle più belle versioni italiane della Recherche. Particolarmente nota, è la sua traduzione del primo volume: Du côté de chez Swann....


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