Patrizi e plebei - Lotte sociali nella roma repubblicana PDF

Title Patrizi e plebei - Lotte sociali nella roma repubblicana
Course Storia Secondo Liceo Scientifico
Institution Liceo (Italia)
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Lotte sociali nella roma repubblicana...


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Geostoria, IQ – 31 marzo 2021

I CONTRASTI INTERNI ALLA REPUBBLICA RO ROMANA: MANA: PATR PATRIZI IZI CONTRO PLEBEI La prima fase delle tensioni: la secessione dell’Aventino Prima di procedere con la spiegazione, ricordiamo una cosa importante: a Roma sono definiti “plebei” tutti quelli che non discendono da famiglie di “patres” di estrazione senatoria. Dunque un plebeo non è per forza un nullatenente: può essere un allevatore di bestiame, un fabbricante di gioielli, un mercante: gente che col sudore della propria fronte stava costruendosi un discreto tenore di vita. Nel VI secolo a.C., i Re etruschi che governarono Roma ave avevano vano cercato di favorire le classi popolari popolari, composte da bottegai, artigiani, negozianti, incrementando i commerci con i popoli vicini (soprattutto con gli Etruschi ovviamente) e dando lavoro a molti manovali con una fitta campagna di opere pubbliche. Tutto ciò, come forse già sappiamo, aveva provocato il malcontento del ceto aristocratico (i Senatori erano in massima parte proprietari terrieri), che stava perdendo sia la sua egemonia politica sia l’egemonia economica in Roma. Dunque, quando vengono cacciati i re, la Repubblica romana, per come nasce, può essere definita una “f “figlia iglia dell’aristocrazia”, in quanto il Senato, in età repubblicana repubblicana,, era investito di poteri enormemente rilevanti rilevanti: nominare un dittatore, approvare un decreto, concedere poteri straordinari al console, etc. Questo strapotere dei patrizi all’inizio dell’età Repubblica Repubblicana na finì per suscitare lo scontento della plebe plebe, che si sentiva messa da parte per una serie di motivazioni: - I plebei, all’inizio, non avevano diritto a candidarsi al consolato , dunque non avevano modo di approvare delle riforme per migliorare la loro condizione; - durante i comizi centuriati, i plebei avevano pochissime centurie per votare le leggi, mentre la nobiltà ne aveva molte di più; - quando un plebeo, per sopravvivere, era costretto a indebitarsi chiedendo un prestito ad un cittadino patrizio, se non avesse potuto pagare entro i termini stabiliti, sarebbe scattato il “nexum nexum nexum”, ossia la messa in schiavitù del debitore, che diventava servo del patrizio; - infine, a Roma non esi esistevano stevano ancora leggi scritte , il che vuol dire che le aristocrazie potevano manomettere il diritto a loro piacimento per tenere il popolo sotto scacco. Per questa serie di motivi, nel 494 a.C. i plebei di Roma organizzarono una sorta di “sciopero”, ritirandosi sul colle Aventino Aventino, fuori dalle mura della città (un luogo simbolico, dal momento che proprio qui Remo aveva scrutato il cielo per osservare il volo degli uccelli). Usciti da Roma, i plebei minacciavano di non tornare più in città, a meno che il Senato non accordasse loro le seguenti condizioni: l’abolizione del nexum (schiavitù causa debiti); una più equa redistribuzione delle terre, per non far morire di fame i più poveri; la codificazione di un corpus di leggi scritte; la creazione di una nuova carica repubblicana, per la quale potevano candidarsi solo i plebei. La leggenda vuole che i plebei si siano convinti di tornare a Roma per mezzo di un discorso pronunciato dall’aristocratico Menenio Agrippa Agrippa, il quale disse:

Accadde un giorno che le braccia dell’uomo, constatando che lo stomaco se ne stava ozioso ad attendere cibo, ruppero con lui gli accordi e cospirarono tra loro, decidendo di non portare più il cibo alla bocca: ma, nella speranza di soggiogare lo stomaco, anche loro si indebolivano, e l’intero corpo umano stava ormai andando incontro a sicuro deperimento. Di qui compresero che lo stomaco non ha l’indole oziosa, ma che distribuisce i cibi per tutte le membra, dopo averle accolte. E quindi le braccia tornarono in amicizia con lui. Così senato e popolo, come fossero un unico corpo, con la discordia periscono, con la concordia rimangono in salute. Non sappiamo se questo discorso sia mai stato pronunciato davvero: ma sappiamo per certo che il Senato promise di rispettare le istanze della plebe romana, che rientrò nell’Urbe. Fu così che venne istituita una nuova carica repubblicana: il tribunato della ple plebe be. I tribuni della plebe erano eletti in coppia ogni anno, e potevano essere scelti solo tra plebei (dunque i patrizi non potevano partecipare a tale magistratura): i tribuni della plebe avevano un potere molto significativo, detto in latino ius intercessionis: questo potere gli consentiva di op opporre porre il veto , vale a dire di bloccare un decreto degli altri magistrati romani, qualora questo decreto avesse leso i diritti della plebe. Inoltre, i tribuni della plebe godevano della sacrosanctitas, ossia l’inviolabilità personale: chiunque avesse anche solo tentato di aggredire un tribuno della plebe, avrebbe rischiato di essere dichiarato hostis publicus e condannato a morte all’istante. Appio Claudio e le 12 tavole Il Senato aveva dato l’approvazione per la creazione del tribunato della plebe, ma le altre richieste della classe popolare non erano state esaudite. Nel 451 a.C., dal momento che i plebei minacciavano una nuova rivolta se a Roma non fossero state adottate delle leggi scritte, il Senato creò una commissione di 10 uomini , per tale motivo detta “commissione dei Decemviri ” (decem viri: 10 uomini) , che avrebbero mettere per iscritto le leggi della repubblica: ognuno di questi 10 cittadini aveva il compito di redigere una tavola di leggi leggi: quindi, in teoria, si sarebbero dovute ottenere 10 tavole in tutto. A presiedere questa commissione c’era il console Appio Claudio, che era aristocratico, ma di origine Sabina : era dunque una figura meno rigida rispetto ad altri aristocratici romani ultraconservatori. Anche in questo caso, però , il Senato aveva cercato di soffocare i diritti della plebe, facendo sì che in questo gruppo tutt tuttii i decemviri fossero di nascita patrizia patrizia. Allora il popolo chiese che, dopo un anno di lavori, anc anche he i rappresentanti della plebe potessero entra entrare re a far parte della commis commissione sione dei Decemviri Decemviri: così si decise per aggiungere due nuovi membri (di rango plebeo) al gruppo decemvirale. Alle prime dieci tavole di leggi, dunque, si andarono ad aggiungere così altre due tavole tavole, opera di questa seconda commissione, nelle quali erano state riportate anche le leggi a tutela della plebe: nacquero così le Leggi delle 12 tavole tavole. Queste leggi regolavano il diritto pubblico, quello privato, i rapporti familiari, le prescrizioni religiose, le modalità di dichiarazione di guerra e delle trattative di pace o di alleanza: insomma, lo potremmo definire come un “campione di DNA della civiltà romana”. Le tavole, che erano e sposte nel centro politico e cult culturale urale di Roma (il Foro), furono purtroppo distrutte da un esercito gallico qualche tem tempo po dopo dopo, ma i giuristi ne trascrissero il

contenuto nei loro trattati, e tutti i cittadini le avevano imparat imparatee a memoria, tramandandole a voce ai loro figli e nipoti (ancora Cicerone, che vive circa 400 anni dopo questi avvenimenti, scrive che i bambini della sua epoca sanno a memoria le leggi delle 12 tavole). C’erano ancora delle questioni in sospeso, come il divieto di matrimoni misti tra patrizi e plebei, che era ancora in vigore, ma questo divieto abrogato qualche anno dopo (445 a.C.), per mezzo della Lex Canuleia. Le leggi Licinie Sestie Le aristocrazie non tollerarono a lungo le conquiste politiche della plebe, e per un lungo periodo (dal 444 al 367 a.C.) il Senato tentò di imporre la sua volontà alla plebe di Roma Roma,, tentando di anno in anno di pilotare le elezioni dei consoli consoli, facendo eleggere figure “di comodo” amiche del Senato, oppure addirittura bloccandole del tutto, con vari espedienti (tra cui il “Senatus Consultum Ultimum”), affidando gli incarichi di governo a senatori dotati di “potestà consolare”. La situazione che determinò un punto di svolta nei rapporti tra patrizi e plebei cambiò nel 366 a.C a.C., ., allorquando i due consoli (eletti regolarmente), Gaio Licinio e Sestio Laterano Laterano, si prodigarono per varare delle leggi importantissime, passate alla storia con il nome di “le le leges ges Licin Liciniae iae Sextiae Sextiae”, che rimisero ordine a Roma e pacificarono il turbolento rapporto tra patriziato e plebe. Tali leggi stabilivano: - Che ogni anno, in occasione dell’elezione dei due consoli, almeno un candidato doveva essere di origine plebea; - Che i debiti dei plebei più poveri venissero totalmente o comunque largamente cancellati cancellati; - Che nessun uomo, né patrizio né plebeo, potesse possedere una porzione di terra superiore a 500 iugeri (circa 125 ettari), così da evitare eccessivi squilibri di ricchezza tra le classi sociali. Come si giustifica la scelta dei consoli Gaio Licinio e Sestio Laterano di dare più diritti e più poteri politici alla plebe? I motivi principali sono due due: innanzitutto, dobbiamo ricordare che la plebe non era fatta solo di cittadini poveri: ne facevano parte anche ricchi commercianti, imprenditori, artigiani cche, he, se possedevano un discreto reddito, avevano il dovere di pagarsi un armamento e partire per la guerra guerra, se necessario: il grosso dell’esercito romano era fatto dunque da cittadini plebei di condizione mediamente agiata (un esercito stanziale e permanente, fatto da professionisti delle armi, si verrà a formare abbastanza tardi, solo verso il II-I secolo a.C.); se il Senato avesse continuato ad estromettere costoro dalla vita pubblica, certo questi uomini non si sarebbero sentiti molto motivati nel ser servire vire la patria rischiando la vita e spendendo ingenti somme in armi e armature. Pertanto i consoli, che avevano anche il potere militare, si erano resi conto che ad un popolo scontento poteva corrispondere anche un esercito scontento, e Roma sarebbe diventata più vulnerabile agli occhi dei nemici; inoltre, c’era anche una motivazione di carattere socioeconomico: nel corso del tempo, Roma stava attirando cittadini dalle terre vicine, immigrati che venivano in città a portare lavoro e che gradualmente si integravano, ingrandendo la città e favorendo la circolazione di ricchezze attraverso commerci e affari: ma se non ci fossero state adeguate politiche a sostegno di questi gruppi, che ormai erano la maggioranza, Roma ben presto avrebbe smesso di essere una meta appetibile, e la città si sarebbe gradualmente svuotata e impoverita....


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