Perseverazione E Anosognosie PDF

Title Perseverazione E Anosognosie
Author Lella Scodella
Course Psicologia Generale
Institution Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli
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Sintesi...


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PERSEVERAZIONE  ripetuta produzione involontaria di una precedente risposta (verbale o motoria) che non risulta più adeguata allo stimolo attuale. LIPMANN fa una prima classificazione:  



Perseverazioni di tipo tonico: ad esempio difficoltà del pz. a rilasciare la mano dell’esaminatore dopo averla stretta, rimanendo, così, contratto nella presa (presa coatta). Perseverazione di tipo clonico: continua a ripetere l’azione che gli viene richiesta, mostrando incapacità nel fermarsi. (es: un pz. che deve eseguire un compito motorio, come stringere un nodo, continua nella stessa azione, nonostante sia invitato a smettere) Perseverazione intenzionale: ripetizione involontario di un comportamento precedente, anche quando è richiesta una nuova risposta.

SANDSON E ALBERT (maggior punto di riferimento). Distinguono tre tipi di perseverazione in base al livello di complessità del comportamento interessato al fenomeno: 





Il livello più alto consiste nella capacità di modificare una strategia di risposta (set-shifting), in funzione delle richieste di un compito. Un deficit a questo livello determina la perseverazione stuck-in-set (bloccato nel compito) che si manifesta con il mantenimento inappropriato di uno schema di risposta dopo l’introduzione di un nuovo compito. Ad un livello intermedio di complessità vi è la capacità di modificare la risposta a stimoli diversi nell’ambito di uno stesso compito. Un deficit a questo livello provoca la perseverazione ricorrente che, durante una serie continua di stimoli, consiste nella produzione ripetuta di una risposta già emessa. (es. si può manifestare con la produzione della stessa parola in un compito di fluenza verbale o nelle ripetizioni di uno stesso disegno). Il livello più basso si riferisce al controllo delle sequenze motorie elementari, come quelle che si devono attivare, ad esempio, per disegnare una figura semplice come un cerchio. Un deficit a questo livello si manifesta come una produzione reiterata, ininterrotta, di una risposta: perseverazione continua. (La si può notare nelle prove grafiche – nel copiare lo stimolo proposto, il fenomeno si manifesta con la produzione di un numero di elementi superiore a quello presente nel modello).

Sandon e Albert sottolineano che questa classificazione è stata derivata da un precedente schema proposto da Goldber e Tucker, secondo i quali la perseverazione era fatta in questo modo:   

Perseverazione ipocinetica di tipo motorio (comparabile a quella continua) Perseverazione di elementi e di caratteri (riconducibile alla perseverazione ricorrente) Perseverazione di attività (stuck-in-set)

Nella pratica clinica si possono notare anche altre elementi perseverativi come la perseverazione confabulata (quando arrichisce la produzione con elementi estranei allo stimolo presentato), o anche fenomeni come il closing-in.

LA PERSEVERAZIONE NEI DISTURBI NEUROPSICOLOGICI Sebbene la perseverazione sia in genere associata ad altri disturbi cognitivi, alcuni studi hanno evidenziato tale fenomeno anche in soggetti normali. È utile ricordare che in condizioni di sovraccarico di memoria di lavoro anche i soggetti normali possono presentare un incremento della produzione di fenomeni perseverativi, suggerendo che essi possono essere determinati da una riduzione delle risorse attentive controllare dai LOBI FRONTALI. 1

Secondo uno studio di Head e colleghi, l’incremento delle perseverazioni in soggetti anziani è meglio è mediato dalla ridotta velocità di elaborazione e da deficit di memoria di lavoro e del controllo inibitorio. Tali modificazioni del funzionamento esecutivo sono a loro volta riconducibili ad una riduzione del volume delle aree prefrontali. Perseverazione nelle demenze Nei pz. affetti da demenza una particolare perseverazione motorio è il segno dell’applauso che si rileva chiedendo ad un pz. di applaudire rapidamente tre volte dopo che l’esaminatore ha dimostrato la prova: se è presente perseverazione il paziente continua ad applaudire oltre le tre volte richieste. (Tale prova si riscontra soprattutto nei pazienti con Parkinson o altre patologie degenerative extrapiramidali come la paralisi sopranucleare progressiva o degenerazione corticobasale ed è correlato a difficoltà di controllo inibitorio, ma è riscontrato anche in altra demenze come nell’Alzheimer o quelle che coinvolgono il circuito inibitorio di origine frontale. Tra i test neuropsicologici, molte delle prove specifiche per le abilità esecutive dorsolaterali (fluenza verbale, fluenza grafica, ragionamento logico-astrattivo, copia di disegni complessi) sono in grado di elicitare comportamenti perseverativi. I pz. con demenze frontali commettono tipicamente perseverazioni del tipo stuck-in-set. Questi dati sono coerenti con le osservazioni condotte in corso di demenza vascolare, in cui un elevato numero di perseverazioni è associato a prestazioni deficitarie in compiti di tipo frontale. Altri studi hanno dimostrato che i pazienti con demenza vascolare tendono a perseverare soprattutto al WCST, ma non alla prova di fluenza semantica, a differenza dell’Alzheimer dove sarebbero implicato maggiormente deficit di tipo semantico. La presenza di perseverazioni in un pz. demente in fase iniziale sembra indirizzare la diagnosi verso forme di demenza a prevalente coinvolgimento frontale. (Nell’AD le perseverazioni sembra che siano presenti più nelle fasi avanzate). Questo sembra essere confermato da uno studio in cui sono stati confrontati pz.con AD e corpi di Lewy e quest’ultimo, ad interessamento frontosottocorticale, hanno dimostrato una maggiore presenza di perseverazioni. Un carico di memoria di lavoro, però, può incrementare perseverazioni ricorrenti in pz. con AD rispetto a soggetti normali anziani. In particolare, una difficoltà ad aggiornare le informazioni contenute nella working memory, sopprimendo l’attivazione di informazioni che non sono più utili per risolvere un compito sembra essere il meccanismo alla base delle perseverazioni, soprattutto nelle fasi iniziali della malattia. Secondo alcuni studi nei pz. con AD le perseverazioni aumentano con il peggioramento della malattia: nella fase iniziale si osservano solo perseverazioni ricorrenti, mentre nella fase moderata compaiono per la prima volta le stuck-in-set. Questa sembra riflettere laprogressiva compromissione dei lobi frontali. Perseverazione nelle afasie Molti compiti verbali possono evidenziare la tendenza a produrre la stessa risposta in più occasioni, in presenza di stimoli diversi (perseverazione ricorrente). Le perseverazioni verbali (non costantemente presenti ed alquanto diversificate) devono essere distinte dal comportamento verbale stereotipato (persistente riproduzione di un numero estremamente limitato di elementi verbali). Le perseverazioni ricorrenti (più presenti negli afasici) possono consistere nella ripetizione di un’intera parola oppure di parti di singole parole o disegni. In alcuni casi si può osservare una relazione di tipo semantico tra la risposta perseverativa e lo stimolo che l’ha provocata o, in altri casi, vi può essere una somiglia fonologica, o talvolta né l’una, né l’altra. 2

Oltre ai fattori di natura semantica e fonologica anche la lunghezza e frequenza lessicale possono influire sul comportamento perseverativo dei pz. afasici. L’effetto della velocità di presentazione degli stimoli, invece, ha un effetto controverso sulla produzione degli errori perseverativi. La variabilità degli errori può essere spiegata anche dalle differenze dei paradigmi sperimentali impiegati per spiegare il fenomeno. Perseverazione nell’eminegligenza Nel caso dell’eminegligenza parliamo di perseverazioni come fenomeni positivi, poiché prevede la produzione di una risposta comportamentale iterativa in assenza dello stimolo appropriato o di appropriate richieste esterne. Pz. con lesione emisferica dx e neglect tendono a commettere perseverazioni di tipo continuo, quando sono sottoposti a compiti grafici (prove di cancellazione). Rusconi e colleghi, invece, sostenevano che i pz. eminattenti con maggior numero di perseverazione erano quelli colpiti da lesioni frontali e sottocorticali. In pz. con neglet, le lesioni frontali generebbero il rilascio di comportamenti di approccio di tipo perseverativo verso gli stimoli localizzati nello spazio ipsilaterale alla lesione. (Rusconi et all.) Questa interpretazione è in linea con gli studi che dimostrano una maggiore frequenza delle perseverazioni in compiti di cancellazione nel pz. con neglect più grave, soprattutto quando le lesioni dell’emisfero destro coinvolgono anche aree frontali o frontoparietali e non solo le regioni posteriori. Secondo altri studi, le perseverazioni possono essere considerate come un disturbo in quei compiti che richiedono una risposta grafica. Recentemente, Ronchi e colleghi hanno dimostrato che le perseverazioni negli eminattenti è un comportamento non correlato ad un deficit dell’attenzione (divisa)e indicano come possibile correlato neurale della perseverazione le lesioni della corteccia insulare di destra.

Teorie esplicative dei comportamenti perseverativi TEORIE COGNITIVE Le interpretazioni cognitive dei fenomeni perseverativi sono differenziate in funzione della tipologia del fenomeno e soprattutto della sindrome neuropsicologica in cui il fenomeno si manifesta. 





Goldberg e Tucker proponevano di attribuire tutte le diverse manifestazioni di questo fenomeno ad un unico meccanismo: UN’INERZIA PATOLOGICA OPERANTE A DIFFERENTI LIVELLI DI CONTROLLO DEL COMPORTAMENTO. Successivamente, invece, è stato suggerito che distinti deficit potessero sottendere l diverse forme di perseverazioni. La perseverazione continua sarebbe casata da un disturbo di controllo attenzionale e motorio, caratterizzato da un’incapacità ad allontanare l’attenzione da uno stimolo o da una risposta precedente. (pz. con lesione emisferica destra). La perseverazione ricorrente (caratteristica dei pz. afatici) deriverebbe da una forma di rivocazione involontaria di informazioni precedenti; in questo caso sarebbero deficitari i meccanismi inibitori e di controllo localizzati prevalentemente nell’emisfero sinistro. Nella perseverazione Stuck-in-set sarebbe implicato un deficit delle funzioni esecutive ed in particolare un’incapacità a cambiare una strategia di risposta in funzione della richiesta del compito (in seguito a lesioni frontali). Teorie interpretative più recenti prendono in esame le singole forme di perseverazione nei diversi gruppi di pz. cerebrolesi. Un’ipotesi per spiegare la perseverazione ricorrente nei 3





pazienti afasici si rifà all’effetto Priming osservato anche nei soggetti normali. Una versione di tale teoria prevede che l’attivazione di una data rappresentazione cognitiva tende a persistere per un certo periodo di tempo dopo la sua attivazione iniziale. L’elaborazione di un’informazione successiva può beneficiare dell’attivazione precedente nel caso in cui due stimoli siano simili o identici; se al contrario il secondo stimolo è differente dal precedente la nuova informazione compete con la precedente e la disattiva. In caso di danno celebrale, in misura minore anche nei sogg. normali, l’informazione nuova non riesce ad inibire la precedente che persiste in forma attiva determinando una perseverazione ricorrente. (vedi es. p.165). Martin e Dell suggeriscono che le perseverazioni verbali derivino dal fallimento ad accedere alla rappresentazione di una nuova parola ed anche dalla persistente attivazione della rappresentazione dello stimolo precedente. Pertanto, la probabilità che si verifichi un errore perseverativo è incrementata sia dai fattori che rafforzano l’attivazione residua di una rappresentazione precedente, sia da variabili che interferiscono con la formazione della rappresentazione di un nuovo stimolo (tale modello ha comunque bisogno di ulteriori conferme). Una possibile interpretazione delle perseverazioni continue in pazienti affetti da neglect prevede che esse siano fenomeni di trasposizione spaziale. La tendenza a cancellare ripetutamente stimoli localizzati nello spazio ipsilesionale potrebbe essere determinata da una trasposizione ipsilesionale dell’azione finalizzata alla cancellazione di stimoli in realtà presenti a sx. Un recente filone attribuisce ad un disturbo della memoria di lavoro spaziale la tendenza di pz. con neglect a ritornare con lo sguardo (o con la matita) sugli stimoli già esplorati. Secondo queste ipotesi, le perseverazioni in un compito di cancellazione sarebbero determinate dall’associazione di un deficit lateralizzato della capacità di esplorazione visiva con un disturbo non lateralizzato della WM spaziale. Ne deriva che il paziente esplora solo una parte dello spazio e che torna più volte sugli stimoli già barrati perché non riesce a tenere traccia delle locazioni già visitate.

Teorie neuroatomiche e neurofunzionali Sandson e Albert hanno sottolineato le correlazioni anatomo-cliniche dei tre diversi tipi di perseverazione.   

La perseverazione continua associata a lesioni sottocorticali e anche se , raramente, a danno all’emisfero dx, sarebbe raro in pz. affetti da afasia e schizofrenia. La perseverazione di tipo ricorrente correlata a lesioni temporoparietali dell’emisfero sx (riscontrata soprattutto in pz. afasici, in prove verbali e non verbali ed anche in pz. AD). Le perseverazioni stuck-in-set rilevata spesso in pz. con lesioni frontali e sottocorticali (difficoltà infatti nelle prove che richiedono attenzione e flessibilità cognitiva, es. WCST). Alcuni autori sostengono che le perseverazioni stuck-in-set rappresentino un fenomeno indicativo di una sofferenza cognitiva generale. Alcuni, infatti, hanno osservato che i pz. celebrolesi, soprattutto con danno celebrale recente, commettevano più errori perseverativi rispetto alla popolazione normale ed, inoltre, che il numero di perseverazioni non mostrava alcuna relazione con una specifica sede lesionale.

Teorie neurobiologiche 4



 

Perseverazione ricorrente relazione con alterazioni COLINERGICHE (fondata sul ruolo dell’acetilcolina nella modulazione dei meccanismi neuronale implicati nell’ APPRENDIMENTO. Le perseverazioni deriverebbero da una ridotta capacità delle nuove info di inibire l’attività corticale residua associata all’elaborazione di stimoli precedenti) Perseverazione stuck-in- set correlata con deficit dopaminergico. Perseverazione continua correlata con deficit noradrenergico.

ANOSOGNOSIA  è caratterizzata dall’incapacità di notare o di riconoscere l’esistenza di un deficit anche grave. Tale disturbo può assumere una forte rilevanza clinica, in quanto il riconoscimento consapevole della malattia costituisce il requisito necessario per una partecipazione efficacie al trattamento riabilitativo. ANOSOGNOSIA SELETTIVA (il deficit di consapevolezza riguarda un solo dominio) Agnosia per l’emiplegia Si presenta una netta negazione per la paralisi, anche a dispetto di chiare prove del contrario fornite dall’esaminatore. Possono presentarsi anche anosodiaforia, somatoparafrenia. In alcuni casi i pz. arrivano a mostrare comportamenti aggressivi verso l’arto non riconosciuto come proprio  misoplegia. L’anosognosia per l’emiplegia è frequentemente associata all’ emisomatoanognosia (neglect personale), in cui il pz. non è consapevole dell’esistenza delle proprie parti corporee controlesionali, tanto da non riuscire a toccarle con il braccio ipsilesionale su richiesta dell’esaminatore. Tuttavia, emisomatoagnosia e anosognosia possono presentarsi in forma isolata. (Alcuni pz ignorano la metà controlesionale dello spazio e sono pienamente consapevoli del proprio disturbo motorio, mentre altri negano il deficit motorio pur essendo capaci di prestrare attenzione allo spazio controlesionale. CORRELATI NEUROANATOMICI: anosognosia per l’emiplegia è un disturbo specifico dell’emisfero dx, ma la sede della lesione è variabile. Sembra ugualmente presente dopo lesioni ristrette al lobo parietale, temporale o frontale, tuttavia l’incidenza del disturbo è maggiore quando il danno coinvolge insieme le aree frontali (motoria e premotoria) e parietali. Tali dati suggeriscono una stretta relazione tra la consapevolezza motoria ed il funzionamento del circuito frontoparietale implicato nella pianificazione di movimenti nello spazio. Anosognosia per i disturbi visivi Pazienti con una lesione delle aree occipitali primarie (aree striate) sono ciechi per la porzione del campo visivo rappresentata dalla corteccia danneggiata. Ciò avviene sia in caso di lesioni bilaterali (cecità corticale), sia in caso di lesioni unilaterali (emianopsia= perdita di una metà del campo visivo). Di frequente, i pz. non sono consapevoli del proprio disturbo e affermano di vedere perfettamente fornendo spiegazioni di natura confabulatoria se messi di fronte alle loro difficoltà (SINDROME DI ANTON). Alcuni autori, però, suggeriscono che una disfunzione dei processi cognitivi regolati dai lobi frontali, piuttosto che da deficit cognitivi diffusi, contribuisca alle genesi della sindrome di Anton. Gli autori suggerivano che una lesione delle arre frontali potesse spiegare l’insorgenza del disturbo di consapevolezza. 5

Esiste anche il fenomeno dell’ESTINZIONE VISIVA. Questo consiste in un’incapacità ad elaborare in modo consapevole uno stimolo nello spazio controlesionale, in presenza di un contemporaneo stimolo ipsilesionale. Quando uno stimolo viene estinto si registra un’attività solo nella corteccia visiva primaria, mentre quando lo stimolo è rilevato in modo cosciente sono attivate anche le aree occipito-temporali ed occipito-parietali. Questi favoriscono l’idea che l’attività della corteccia visiva primaria non sia sufficiente a consentire una visione cosciente. Ulteriori conferme in questa direzione provengono dalle osservazioni sul fenomeno della visione cieca (blindsight) in pazienti con deficit del campo visivo. Tali pazienti, infatto, possono mostrare una conservata capacità di rilevare, localizzare e discriminare stimoli visivi, sebbene non ne siano coscienti. Secondo uno studio si è notato come la corteccia prefrontale dorsolaterale risultava attivata solo nelle prove in cui il pz. elaborava consapevolmente lo stimolo. ANOSOGNOSIA GENERALIZZATA (deficit della consapevolezza riguarda vari aspetti della malattia o dei disturbi di cui il pz. può essere affetto). Anche in queste forme generalizzate si possono osservare delle dissociazioni tra domini, anche se raramente l’anosognosia coinvolge completamente un dominio, risparmiandone altri. In questo caso, il diverso grado di compromissione nei singoli domini non è evidente all’osservazione clinica, ma deve essere rilevato attraverso specifici strumenti o accorgimenti sperimentali. Anosognosia nelle demenze degenerative L’anosognosia è comune anche nell’Alzheimer: nei casi di lieve deficit di consapevolezza, il pz. riconosce i disturbi di memoria, ma ne sottostima le implicazioni, mentre nei casi gravi è convinto della piena integrità dei suoi processi cognitivi. In genere, i pz. con AD nelle prime fasi sono consapevoli, andando poi man ma no a peggiorare. Questa progressione sintomatologica è considerata un elemento utile per porr diagnosi differenziale tra AD ed altre forme di demenza a precoce coinvolgimento frontale, come la demenza frontotemporale in cui l’anosognosia sarebbe più precoce. Tuttavia, altre osservazioni cliniche hanno evidenziato una perdita di consapevolezza già nelle prime fasi della malattia. Le discrepanti opinioni potrebbero essere spiegati dall’etereogenità del disturbo, sono state descritte dissociazioni, per esempio, tra consapevolezza dei deficit cognitivi e dei disturbi comportamentali e neuropsichiatrici. In uno studio successivo, condotto da Barret e colleghi, hanno esteso il tutto anche alle abilità visuo-spaziali. I risultati hanno evidenziato una tendenza dei pz. a sovrastimare le proprie abilità spaziali prima di essere sottoposti a prove specifiche, suggerendo che la valutazione dell’anosognosia nell’AD debba riguardare non solo la memoria, ma anche le abilità spaziali. GLI STUDI NEUROFUNZIONALI hanno fornito dati a soste...


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