Platone e Senofonte a confronto per l\'interpretazione socratica + Interpretazione di Socrate da parte di Aristotele PDF

Title Platone e Senofonte a confronto per l\'interpretazione socratica + Interpretazione di Socrate da parte di Aristotele
Author Elisabetta D'alessandro
Course Filosofia
Institution Università Vita-Salute San Raffaele
Pages 32
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Confronto tra Platone e Senofonte, analizzando L'Economico. Successivamente analizzo come Aristotele ha interpretato Socrate citando diversi passi delle sue opere....


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25/11 9-13

L’economico di Senofonte 1. PLATONE E SENOFONTE A CONFRONTO

 Abbiamo messo a confronto i due testi di Platone e Senofonte che portano lo stesso titolo, ossia Il simposio. Oggi mettiamo a confronto gli altri approcci dei due filosofi a Socrate, in dialogo con i suoi concittadini, amici e allievi. Senofonte lo fa in altre due opere, una è L’economico, dove Socrate è in dialogo con Cretobulo, figlio di Critone; poi lo fa nei 4 libri intitolati “I Memorabili Socratici”, che poi sono di fatto i dialoghi socratici, in cui Socrate viene presentato in dialogo con i suoi allievi, politici del tempo, con artigiani di varia estrazione.  È chiaro che L’Economico e i memorabili di Senofonte devono essere messi a confronto con tutti quei dialoghi di Platone in cui Socrate compare come protagonista. L’unico dialogo in cui compare il nome di Socrate nel titolo è “L’apologia di Socrate”, invece, in tutti gli altri dialoghi il titolo è dato quasi sempre dal deuteragonista, dal secondo, che può essere un sofista come Gorgia, oppure un allievo di Socrate come Fedone, può essere un altro filosofo importante come Parmenide, oppure personaggi che fanno una professione, come Eutrifone che è un sacerdote, Ione che è un rapsodo, Lachete che è un comandante, e così via. Questo ha un senso che è stato evidenziato da Thomas Alexander Slezak, uno dei filologi della scuola di Tubinga, che ha scritto un libro dal nome “Platone e la scrittura della filosofia”, in cui ha spiegato che il nome del deuteragonista è importante in Platone, nel modo in cui Platone scrive, poiché il deuteragonista offre l’ampiezza del discorso e anche il contenuto di cui si tratta. Platone ha elaborato una teoria della comunicazione non solo di tipo retorico ma anche di tipo dialettico, lo ha fatto nel Fedro, e questa comunicazione si basa sul fatto che il messaggio comunicato è comunicato sempre in proporzione al destinatario, per cui se Socrate sta discutendo con Parmenide allora è chiaro che il messaggio, e quindi l’ampiezza dei contenuti trattati, sarà massimo, di

tipo metafisico ecc. Quando invece l’interlocutore è uno sciocco sacerdote come Eutrifone è chiaro che l’ampiezza del discorso si riduce.  Tutto questo mette in discussione la tradizionale scansione dei dialoghi platonici, che vengono classificati in: Dialoghi giovanili, ossia quelli socratici, aporetici (come L’Eutrifone, il Carmide, Il Lachete). Essi sono dialoghi in cui Socrate interloquisce con uno di questi personaggi, pone un problema che riguarda il tipo di ergon che il suo interlocutore svolge, e prova a mettere in crisi le convenzioni, l’opinione, la Doxa, che quel singolo personaggio possiede sul suo lavoro (ergon), per arrivare a una possibil definizione dell’argomento e della particolare tecnhe che quel personaggio ricopre. Per esempio Eutrifone è un sacerdote e quindi il suo problema è che cosa sia la santità, cosa sia il santo, L’ausiotes. Quindi partendo da ciò che Eutrifone ritiene santo, come il fare preghiera agli dei, fare sacrifici, cercare di ottenere benevolenza ecc. Socrate prova a mettere in crisi questa opinione per arrivare a una definizione di santità che però mediatamente nei dialoghi cosiddetti aporetici non c’è, infatti, aporia significa dubbio. La stessa cosa accade nel Lachete, in cui quest’ultimo era un generale, militare. Il problema nel Lachete era che cosa sia il coraggio, il coraggio di un militare in guerra e anche lì Socrate prova a chiedersi che cos’è questa virtù militare del coraggio. Parallelamente nel Carmide il problema è la moderazione, temperanza, poiché Carmide era anche un dissoluto. Ma in questi dialoghi Socrate pone la domanda, metti in crisi l’opinione del suo interlocutore, e però la risposta non c’è, il dialogo rimane aperto.

 Già qui noi vediamo la differenza tra l’impostazione di Platone e l’impostazione di Senofonte. La situazione di partenza è simile, ossia Socrate che va in giro nelle botteghe, nelle piazze, nei ginnasi, nelle palestre, e discute, dialoga facendo domande dove, come abbiamo visto nell’Apologia, lui si presenta come colui che non sa quello che fa l’altro, e interroga sulla presunta sapienza del suo interlocutore.

Si parte dall’opinione comune, la doxa che ha l’interlocutore, che viene messa in crisi anche con il metodo dell’ironia, dove Socrate fa finta di aderire alla posizione del suo interlocutore ma poi con le domande pone in contraddizione le varie posizioni fino ad arrivare a una sorta di elenchos, ossia di confutazione di quell’opinione. Qui si aprono due strade, quella Senofontea e quella Platonica: I.

In Senofonte, l’interrogazione Socratica, e quindi la messa in crisi tramite il dialogo dell’opinione che ha l’interlocutore è sempre diretta a trovare l’utile in quella tecnhe, l’utile nel senso del vantaggioso , cioè tu fai il pittore, tu fai lo scultore, tu fai il politico ecc. l’interrogazione socratica è “ ti sei posto il problema dello scopo, del telos, del fine per cui tu fai quel determinato ergon, tu sei convinto che ti serva a questo, che il tuo ophelimon (utile) sia questo. Ma è veramente questo?” L’interrogazione socratica è diretta a scoprire l’utilità, il vantaggioso in ogni pratica svolta dall’interlocutore. Questa è la funzione di Socrate. Ciò è abbastanza evidente nell’Economico, ossia colui che amministra la casa, dove Socrate discutendo con Cretobulo e poi con Iscomaco, si presenta il prefetto teorico di una buona amministrazione della casa e quindi anche delle ricchezza, dei beni, dei possedimenti, della famiglia, in modo da cercare sempre l’utile e puntare a quello. Senofonte lo fa anche in maniera apologetica, per dimostrare che l’attività di Socrate, lungi dal corrompere i giovani, è sempre stata diretta all’utile, dove il bene si traduce nell’utilità di quello che tu stai facendo, in quanto è lo scopo per cui tu fai quello. Aristotele lo dirà in maniera molto più ampia, all’inizio dell’etica Nicomachea sostenendo che il bene è ciò a cui ogni cosa tende, ovviamente per natura, il fine è il bene, naturalmente ogni cosa è diversa, ogni cosa ha una natura diversa, per cui l’essere razionale che è l’uomo avrà uno scopo che è determinata dalla ragione, quindi da un bene che gli si presenta come utile, come vantaggioso e degno di essere perseguito.

Questa è anche la differenza tra la concezione utilitaristica, per cui il bene è l’utile, e la concezione edonistica, per cui il bene è il piacevole, che ti dà una soddisfazione soggettiva, che ritroviamo nei due dialoghi riportati da Senofonte tra Socrate e il suo allievo Aristippo, fondatore della scuola cirenaica, che identificava il bene con il piacere. Dunque da un lato, soprattutto nell’Economico, ma in tutti I Memorabili, Senofonte ci presenta un Socrate che identifica il bene con l’utile, dove l’utile è lo scopo, il telos, per cui fai una determinata azione, quello a cui miri, per cui è bene in quanto ti è utile, ti è di vantaggio. Naturalmente la critica al suo allievo Aristippo che, invece, sostiene che il bene è il piacere, ma Socrate dimostra ad Aristippo che a volte perseguire il proprio piacere diventa dannoso, diventa svantaggioso, mentre bisogna sempre perseguire l’utile. Qui tra Senofonte e Aristippo, entrambi allievi di Socrate, abbiamo già due tipi di etiche, una utilitarista e una edonistica. II.

In Platone Socrate non si preoccupa tanto di andare ala ricerca dello scopo per cui il suo interlocutore fa quello, ma si preoccupa di arrivare a una definizione, orismos, del concetto generale, per esempio la santità, la bellezza, la giustizia, che deve essere universale e deve valere per tutti. Dunque in entrambi, sia in Platone che in Senofonte, abbiamo Socrate che dialoga, ossia Socrate all’opera nella dialettica, ma questa dialettica è simile nella pars destruens, ossia mettere in crisi l’interlocutore, dove in Platone c’è molto di più in uso dell’ironia, nel Socrate senofonteo l’ironia c’è ma è più presente il ragionamento, non solo dialogare ma ragionare, fare sillogismi che arrivino allo scopo. Questo telos in Senofonte è raggiungere l’utile di ciascuno, in Platone, invece, raggiungere la definizione e il concetto di cui si parla. Nel simposio Senofonteo tutta la discussione sull’eros e sulla bellezza deve concludersi nel legame familiare, nel matrimonio e nella generazione dei figli, quello è lo scopo per Senofonte. Lo scopo della sessualità non può essere il semplice piacere, come pensa Aristippo, ma

deve essere utile, quindi l’utilità dell’eros è proprio quella di cementificare una comunità, un oikia, ossia una casa, una famiglia. Nel simposio Platonico, nel discorso della sacerdotessa di Otima, eros viene definito aoikos, ossia un eros senza casa, che ti porta a sfuggire dalla tua casa, non è un eros che si cementifica nel legame familiare. Anche nel simposio di Platone si va alla ricerca della definizione dell’eros, che cos’è l’amore e che cos’è la bellezza. Anche quando si parla della cura dell’anima, della cura di sé, si vede come in Senofonte è sempre un atteggiamento pratico, ossia prendersi cura dell’animo vuol dire sviluppare questa virtù sviluppare questo talento, invece in Platone, prendersi cura dell’anima significa innanzitutto conoscere se stessi, capire qual è la natura dell’anima, provare a definire le sue facoltà o addirittura a dimostrare la sua immortalità, come avviene nel Fedone (Nella drammaturgia platonica dovrebbe essere l’ultimo discorso di Socrate, fatto poco prima di morire, poco prima di bere la cicuta, insieme ai suoi allievi pitagorici. Per questo viene presentato da Platone come il canto del cigno di Socrate, poiché quando i cigni stanno per morire cantano il loro canto più bello; e così ha fatto Socrate, che ha fatto il suo discorso filosofico più bello, cioè quello dell’immortalità dell’anima).

2. Interpretazioni di Socrate nell’800-900’  Di fronte questa situazione si apre una disputa, chi ha ragione? Il vero Socrate chi è? Tesi ottocentesche e novecentesche:  Secondo Hegel il vero Socrate è quello di Senofonte, che essendo uno storico ci ha restituito la vera immagine di Socrate, politico, ben impiantato nella sua città, in conflitto con le leggi della sua città, un Socrate fondatore nella stori Politica di Atene.  Il suo collega Friedrich Schleiermacher tradusse in tedesco tutti i dialoghi di Platone, invece, sostenne che il Socrate di Senofonte fosse un po' troppo riduttivo e quello di Platone un po' troppo ampio, dunque bisogna fare la

medietà, ingrandire Senofonte e rimpicciolire Platone. Per avere un’immagine corretta di Socrate bisogna fare la medietà.  Nel 1861 Kierkegaard si laurea, fa la tesi di laurea sull’ironia di Socrate e sostiene l’esatto opposto rispetto ad Hegel, cioè sostiene che il nucleo del pensiero socratico è l’ironia, quell’ironia che consente a Socrate di mettere in crisi l’opinione comune e di ribaltarla verso una dimensione ulteriore, bene questo è in Paltone per lui. L’ironia socratica che significa anche sapere di non sapere, ma poi passare a un livello superiore di sapienza, far finta di essere innamorato ma poi invece sei l’amato. Platone è quello che ha capito l’ironia di Socrate e che l’ha saputa restituire nel dialogo, a differenza di Senofonte che, secondo Kierkegaard, non ha capito davvero chi fosse il vero Socrate.

I.

Socrate di Senofonte: Lo presenta come un buon sapiente, dà buoni consigli, utile, credente, faceva sacrifici e offerte. Un Socrate che viene accusato ingiustamente di non rispettare le leggi, invece era un perfetto cittadino. Dunque se stiamo all’Apologia di Senofonte, ai Memorabili di Senofonte, Socrate era una specie di buon uomo, saggio, sapiente, mite, che none era quell’insolente che viene presentato da Platone. Senofonte spiega la condanna per motivi politici, ossia sarebbe stato vittima delle vendette politiche dei democratici radicali contro gli oligarchici filo spartani. In particolare Socrate fu maestro di Crizia, capo dei trenta tiranni, di Senofonte, filo spartano, di Alcibiade, democratico e traditore della democrazia di Atene. Proprio per queste ragioni sarebbero state addossate a Socrate tutte le colpe dei suoi allievi, che in realtà nel 399 erano già morti, perché sia Crizia e sia Carmide, morirono nella battaglia di Munichia, una sorta di guerra civile ateniese, in cui i democratici fecero cadere il regime dei 30, e nella battaglia di Munichia morirono sia Crizia che Carmide nel 430. Poi in un’altra imboscata era morto anche Alcibiade. Dunque era rimasto solo Socrate, quindi su di lui caddero le responsabilità della vendetta politica dei democratici. Senofonte, quando era in esilio a Sparta, prova a difendere Socrate in questo modo, ossia Socrate politico che paga per le colpe degli altri.

II.

Invece la difesa di Platone è tutt’altro, infatti veramente Socrate non credeva agli dei in quel modo, però questo non significa che fosse un ateo ma che il suo dio, andava su un piano superiore, interiore e non esteriore. Socrate in un certo senso davvero metteva i figli contro i padri, quindi corrompeva i giovani, ma nel senso che voleva fondare una nuova paideia, un nuovo modello di società, di città. È abbastanza chiaro che Senofonte è una sorta di conservatore, se non addirittura reazionario filo spartano, come lo è anche Aristofane, nostalgico dell’Atene che fu. Invece Platone NO, lui immagina una nuova paideia, una nuova politeia, una nuova città, guarda avanti, è un rivoluzionario in questo senso, dunque presenta Socrate come l’artefice, non solo filosofico, ma anche politico di questa trasformazione.

 Nietzsche nel 1872 con la nascita della tragedia, sostiene che ha ragione Aristofane. Ossia Socrate è stato veramente il corruttore della gioventù, è stato il corruttore di tutto lo spirito greco, è l’espressione della decadenza di Atene, ma anche della rabbia e dell’invidia, dei democratici, degli uomini plebei e volgari, che sono invidiosi degli eccellenti, dei belli, degli antichi aristocratici, quindi in qualche modo Socrate si prende la vendetta su quest’Atene che viene distrutta dalla guerra di Sparta e quindi giustamente è stato condannato, in quanto lui era espressione di una erersione decadente. È la stessa accusa che poi Nietzsche rivolge al cristianesimo, cioè la morale dei deboli che sono risentiti contro i belli, contro i forti, contro gli eccellenti, contro gli atleti e quindi vogliono prendersi la vendetta.

 Gregory Vlastos, autore greco americanizzato del 900, ha reinterpretato il discorso dell’ironia socratica, partendo da Kierkegaard, in maniera molto più approfondita, la definita ironia complessa quella di Socrate, poiché non è solo un ironia orizzontale, cioè uno stratagemma per mettere in crisi, deridendolo, l’avversario, ma è anche un ironia verticale, che consente a Socrate di dare un nuovo significato alle parole.  Questo lo dice anche un altro autore inglese, John Burnet, l’editore di tutti i dialoghi di Platone ad Oxford all’inizio del 900. Egli sosteneva che Socrate ha

fatto un’operazione concettuale della storia greca fondamentale, ossia ha cambiato il senso alle parole. Per esempio la parola psiche aveva un senso in epoca omerica, in cui significava l’ombra, il fantasma, privo di conoscenza e memoria, invece Socrate attribuisce al termine psiche il senso che gli diamo noi, ossia un duplice senso di coscienza, coscienza come consapevolezza, quindi la conoscenza di sé, ma anche il senso di coscienza morale, ti indica la via del bene impedendoti di fare il male, il demone di Socrate, il prendersi cura dell’anima, di se stessi. I due termine psiché e Areté, ossia il risultato della cura dell’anima, della virtù cambiano senso, da Socrate in poi. Quindi con l’ironia Socrate è riuscito a cambiare il senso delle parole, questo discorso si deve affrontare dal punto di vista ermeneutico, tenendo presente la storia delle idee, dei concetti, poiché se noi non chiariamo il significato con cui usiamo le parole, la parola eironeia, che prima di Socrate significa menzogna, ma Socrate attribuisce a questa parla un altro senso. La parola psiché significa o il fantasma che è nell’ade, privo di mente e memoria, pensiamo all’Odissea o all’Iliade, quando Ulisse evoca le anime psichà dei morti ma sono ombre, parvenze che non si ricordano nulla, non hanno vita. Nella filosofia della natura, ossia nella filosofia ionica, con Talete, Anassimene, Eraclito, aveva assunto il senso di principio vitale. Psiché è ciò che dà vita, l’animale è animato, possiede l’anima in quanto principio di vita e, per la filosofia ionica l’anima è quel particolare elemento della physis che lega la vita alla natura. Per esempio Talete spiegava il termine psiche come derivante da psiucrom, che significa umido e freddo, quindi l’umido e il freddo sono quel particolare elemento dell’acqua da cui nasce la vita. Anassimene collega il termine psiché al verbo psucro che significa respiro, quindi psiché come quel particolare elemento dell’aria da cui ha origine la vita, la vita nel soffio vitale, quando si nasce si fa il primo respiro, quando si muore si esala l’ultimo respiro. Questo è uno dei sensi di psiche delle Nuvole anche. Socrate ha in mente un altro concetto di psiche, ossia non psiche come principio di vita ma come principio di pensiero, e conseguentemente principio di azione, quindi principio conoscitivo e principio morale, coscienza come coscienza di sé (motto delfico “conosci te stesso”) e coscienza morale (prenditi cura della tua anima, epimeleia tes psiuchés ), sono strettamente collegati l’uno all’altro nella misura in cui conoscendo te stesso tu conosci la tua anima,

conosci il tuo vero io, e conoscendo te stesso conosci anche i tuoi limiti, talenti, così potrai metterli in atto, così da raggiungere la virtù, e ti prendi cura di te stesso e degli altri (questo è il Socrate di Platone).  La filosofia del 900’ sul discorso della cura dell’anima socratica e della cura di sé si è divisa. Ci sono stati tre filosofi novecenteschi, ossia Michel Foucault, Pierre Hadot e Patočka, che hanno teorizzato che il cuore del socratismo è la cura dell’anima ma l’hanno declinata in modo diverso: Jan Patočka (patokccia) fenomenologo, sostiene che la cura dell’anima di Socrate è inizialmente un progetto conoscitivo, ossia conoscere se stessi, ma conoscere se stessi significa anche conoscere gli altri e conoscere il mondo, per cui la cura dell’anima è anzitutto la filosofia come impulso conoscitivo, filosofia che parte dalla conoscenza di sé, per poi passare alla conoscenza degli altri e anche del mondo, quindi un progetto gnoseologico filosofico, che in quanto tale, come primo gradino porta alla filosofia, ma come secondo gradino porta all’etica, perché la conoscenza di sé porta alla virtù, quindi la cura dell’anima porta ad essere virtuosi, quindi questo progetto etico, ossia il raggiungimento della virtù, si traduce in una dimensione poi politica, cioè la grande virtù che porta alla fondazione della città buona. Come terzo livello questa cura dell’anima si traduce in un progetto religioso, come servizio al Dio, la ricerca dell’immortalità, della salvezza, che poi viene ereditata dal cristianesimo, quindi sono questi tre momenti della cura dell’anima, la filosofia, la virtù e la politica, la religione e la salvezza dell’anima che Patočka identifica e che ritieen essere la base di tutta la storia dell’Europa, la filosofia l’etica e la politica e il cristianesimo. Viceversa Michel Foucault ha interpretato la cura di sé socratica con un atteggiamento terapeutico individuale volto al recupero della mancanza di soggettività e personalità dell’interlocutore. Ossia la cura di sé, che è anche cura dell’altro, è una pratica di soggettivazione, cioè di acquisizione della consapevolezza di sé e della propria autostima, del proprio posto nel mondo, soprattutto quando questo è smarrito. Non è un caso che Michel Foucault abbia fondato la bio politica anche nella pratica del dialogo con pazienti, quindi negli ospedali, quindi la cura del malato che non è solo la cura del corpo ma è anche cura della mente, quindi negli ospedali psichiatrici, nei manicomi, dove la cura dell’anima diventa psichiatria, psicoanalisi, cioè cura di un soggetto psicopatico, con una malattia nella mente.

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