Riassunto \"Breve Storia del divismo cinematografico\" - C. Jandelli PDF

Title Riassunto \"Breve Storia del divismo cinematografico\" - C. Jandelli
Author Randy Starchild
Course Dams
Institution Università degli Studi di Udine
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Riassunto completo, creato ai fini dell'esame di "Storia del Cinema" in programma nell'a.a. 2016/2017...


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BREVE STORIA DEL DIVISMO CINEMATOGRAFICO di Cristina Jandelli Riassunto a cura di Riccardo Pappadà LA NASCITA DELL’ATTORE CINEMATOGRAFICO Il primo vero attore di cui si conosca il nome è Fred Ott, assistente di Thomas Edison, che nel 1894 registra sé stesso mentre starnutisce, in un piccolo filmato realizzato per il Kinetoscopio. Mentre ciò accade, alcuni attori teatrali, in Europa e America, sono già dei divi. In quell’anno, Eleonora Duse fa tournée di successo e viene disegnato il primo poster per Sarah Bernhardt dei panni di Gismonda di Sardou. Secondo Benjamin McArthur, lo star system sarebbe sorto in America, proprio in ambito teatrale. L’industria dello spettacolo si sarebbe costruita affiancando al divismo degli interpreti teatrali, il divismo dei comici e dei cantanti. Era il 1896 quando Edison bussò alla porta delle star di Broadway May Irvin e il marito John Rice, chiedendo di poterli filmare col Kinetoscopio un breve estratto della loro commedia. Il film May Irvin Kiss provocò una reazione inversa a quella prevista, tanto che il film venne addirittura accusato di volgarità da una rivista nel 1896, poiché l’atto del bacio veniva ripreso da molto vicino e ripetuto 3 volte. Il problema era che i due attori non risultavano fisicamente attraenti. Il disgusto sarebbe svanito se invece lo fossero stati? Edison allora propone lo stesso film, con una coppia sconosciuta ma più attraente. Si passa da un primo piano a una mezza figura. Gli attori sono illuminati bene e sono consapevoli di essere davanti alla macchina da presa. IL CASO MAX LINDER – IL PRIMO “DIVO” DEL CINEMA In Italia si gira il primo film, La Presa di Roma, che impiega due attori di teatro, Carlo Rosaspina ed Eleonora Duse. In Francia, Max Linder gioca nell’ambito comico. Egli è il primo attore seriale della storia del cinema, trasposizione del ruolo teatrale più amato dal pubblico teatrale parigino: il brillante, in francese “premier comique”. Un primo piano in Trouble of a Grass Widower (1908) rivela la mobilissima mimica facciale dell’attore, sapientemente controllata. Il personaggio è un giovane salottiero, calato in avventure comiche, che aspira a essere un borghese impeccabile. In Max et la Doctoresse (1909), sussulta in una maniera molto simile a Chaplin. In Vive la vie de garcon, vorrebbe sembrare un damerino, ma è una frana. La Pathè offre comiche settimanali con Linder protagonista fra il 1905 e il 1910, mantenendo il pubblico fedele e attendente di nuove uscite. Grazie alla casa francese, che punta più stabilmente sul suo personaggio, Max Linder raggiunge una popolarità smisurata, non rendendosi conto del suo valore commerciale. Infatti, il suo compenso rimane invariato dall’inizio della sua carriera, finché, nel 1911, un impresario gli offre 50 volte la sua paga per esibirsi a Barcellona in uno sketch con Stacia de Napierkowska. I due, arrivati alla stazione, trovano migliaia di persone ad accoglierli. Al ritorno a Parigi, Linder chiede a Pathè 150 mila franchi l’anno. Pathè accettò senza batter ciglio, con un contratto triennale, ma poco dopo, l’attore si convinse di aver chiesto troppo poco e chiese il rinnovamento, ottenendo 350 mila l’anno. Dopo alcune avanche da parte di una compagnia di Berlino, la Pathè riuscì a tenersi Linder con un contratto di 1 milione di franchi l’anno. Linder, nel 1912, parte per un tour in Europa e Russia, proponendo uno spettacolo misto, tra teatro e cinema, sketch dal vivo intervallati da proiezioni. L’immagine divistica di Max Linder è forte, solida, favorita da film realizzati (fin dal 1909) con la stessa troupe, rafforzata da performance che identificano l’attore con un unico personaggio, stereotipo.

IL CASO ANDRE DEED – IL “CRETINETTI” Nel 1908, la Itala Film di Torino strappa alla Pathè l’attore Andre Deed, che interpretava Boireau, il “comique maison”. In Italia, diventa “Cretinetti”. Tornato poi alla Pathè, Deed si accorge che la sua fama è stata presto oscurata dal Linder. Anche Deed, come Linder, era regista dei suoi film, ma per l’Itala, dando vita a 2 personaggi. Deed proviene dal varietà, è un acrobata e un cantante da sala parigina. La sua è una comicità burlesca e acrobatica, con trucchi alla George Melies, per stupire lo spettatore. Sebbene, come Linder, Cretinetti si vesta maldestramente e inadeguato, compete alle situazioni, uscendone vittorioso in ogni circostanza, anche come seduttore in Cretinetti, che bello! (1909). Diversamente da Deed, Max Linder era riuscito a fondere perfettamente personaggio e persona. Il pubblico era convinto di saperne molto sul suo conto. Max si era fatto riprendere durante una convalescenza in Max en sa famille (1911), risultando la stessa persona sia sul palcoscenico che sullo schermo. Per il pubblico internazionale, Linder era una persona VERA. IL CASO FLORENCE LAWRENCE – MORTE E RESURREZIONE MEDIATICA Nel periodo di nascita degli studios, la IMP di Laemmle promette all’attore la menzione nei titoli di testa e di coda (ancora rarissimi nei film) e si incarica di diffonderne l’immagine attraverso fotografie. E’ così che il produttore si accaparra la “Biograph Girl”: Laemmle diffonde sul quotidiano americano “St. Louis” una notizia falsa: Florence Lawrence è stata uccisa da un’auto pirata a New York. Immediatamente dopo, manda un comunicato stampa smentendo la notizia, annunciando che l’attrice è viva, sta infatti per girare un film: la voce sulla sua morte vengono da “suoi nemici”. Laemmle fa apparire la Lawrence in carne e ossa a una conferenza del St. Louis. Lei dichiarerà “la ‘ragazza della Biograph’ è ora della IMP”. Laemmle aveva compreso che il mezzo principale per prevedere la popolarità di un film erano i suoi attori. Nel 1910, si afferma nel cinema americano il sistema del narratore, che porta alla creazione di personaggi psicologicamente sviluppati. L’attore supera la distanza dei 12 piedi dalla macchina, per raggiungere i 9 piedi: può mostrarsi molto più da vicino allo spettatore, può essere riconosciuto, identificati al punto da comprendere ciò che passa nella loro mente. L’attore è assente fisicamente ma al tempo stesso più vicino. La nuova arte del divo è rappresentare un personaggio significativo dentro e fuori dallo schermo, ottenere e mantenere il consenso del pubblico. Nel 1912 appare la prima rubrica dedicata alle curiosità sugli attori più discussi, “Photoplay”. Le “fanzine” erano finanziate dalle case di distribuzione, così da poter verificare il gradimento dei singoli attori e diffonderne l’immagine, di cui ne detengono il controllo. Il pubblico ama Florence Lawrence, ma anche Florence Turner, e, sopra tutte, Mary Pickford, soprannominata Little Mary, nota per i suoi ruoli drammatici per la Biograph. Laemmle conquisterò anche lei e la porterà alla IMP. Mentre Max Linder in Europa conquista il suo successo, in America le attrici protagoniste iniziano a essere notate. I personaggi femminili appaiono “innocenti perseguitate”, ma anche ribelli, come la Pickford. Escono nuovi film ogni settimana, i vecchi restano a lungo in programmazione, così che gli spettatori familiarizzino con l’immagine degli attori, non limitandosi a riconoscerla, ma in alcuni casi anche a desiderarla o imitarla. La Lawrence era canadese, bionda, notata da Griffith e portata alla Biograph. Anche la Pickford era canadese e bionda, e anch’essa era inizialmente alla Biograph. Nel 1909, Griffith gira alternativamente con le due attrici, ma un anno dopo le perde entrambe, sostituendole con Blanche Sweet e Mae Marsh, finché la Pickford non le presenta un’amica d’infanzia, Lillian Gish, il tipo di donna ideale per le narrazioni vittoriane del regista.

IL DIVISMO ITALIANO DEL PRIMO DECENNIO Il cinema americano, dal 1910, passa da un codice istrionico, tipicamente latino, proveniente dal melodramma e dalla pantomima, a un codice verosimile, imponendo una nuova “grammatica” all’espressione del volto. Quello istrionico è un codice molto esagerato, mentre quello verosimile è facciale, contenuto, emotivamente controllato. Lo stile latino si impose nel cinema italiano degli anni 10. L’attore Paolo Azzurri fu uno dei primi fondatori di una scuola di recitazione in Italia. Azzurri chiede ai suoi allievi di instaurare, in primis, un rapporto con l’obiettivo della macchina. In assenza di un pubblico, l’attore deve accettare la macchina da presa come giudice della sua performance. Azzurri riformula anche la gestualità: nel cinema, i gesti devono essere calmi, più calmi che nella realtà. LYDA BORELLI E LE DIVE ITALIANE Il “diva film” nasce come genere costruito sulla centralità dell’interprete femminile, nel 1913 con Ma l’amor mio non muore! di Mario Caserini, con protagonista Lyda Borelli. La centralità è all’attrice, non al personaggio, che è opportunatamente creato per dare rilievo alla performance. Le dive italiane si calano quindi in personaggi che rispecchiano la loro stessa personalità. Nel 1910, un film danese, Abisso, di Urban Gad, con protagonista Asta Nielsen, fu modello per diverse giovani attrici italiane sconosciute, come Francesca Bertini. La Bertini era apparsa in degli spettacoli dialettali del teatro di Napoli, ma fu presto notata e scritturata per i drammi di una casa romana, la Cines. Alla Cines transitarono anche la stessa Borelli, Leda Gys, e tante altre. Francesca Bertini passò poi alla Caesar Film e strinse sodalizi con l’attore Gustavo Serena, con cui poi fece Assunta Spina nel 1915. A differenza di altre attrici di cinema, le dive italiane scelsero la “maniera grande”: delinearono l’esistenza di una nuova figura di donna, bellezze particolarmente fotogeniche, emancipate poiché amiche di figure intellettuali. I loro personaggi sono spesso donne adultere, che affrontano il partner corpo a corpo e dettano le leggi in amore. Il diva film italiano limita però di molto l’aspetto narrativo, sottomesso alla rappresentazione della figura femminile. I momenti più suggestivi sono i climax passionali. BARTOLOMEO PAGANO – IL MACISTE In Cabiria (1914), nei panni dello schiavo Maciste, è incarnato lo scaricatore di porto genovese Bartolomeo Pagano, letteralmente un attore preso dalla strada. Pagano si offre alla macchina da presa con il mento elevato e il torso nudo. Maciste è al pari di Ercole, un semi-dio, forte fisicamente ma partecipe della natura umana per via della servitù. Le prime proiezioni di Cabiria rivelano un interesse e un’acclamazione del pubblico nei confronti di Maciste, ma anche del suo interprete. La Itala Film, notato l’interesse del pubblico, fa apparire Pagano alle proiezioni del film, annunciandolo tramite il Corriere della Sera. La recitazione di Pagano è percepita come “portata per le azioni fisiche”, egli è elegante e composto nelle scene di azione, i suoi movimenti sono sinuosi, seppur erculei. A un mese dalle proiezioni, come fece in Francia Max Linder, Pagano appare in pubblico con un perfetto connubio tra personaggio e persona. Egli compare truccato, come sul set, stringe le mani in segno di forza e gli viene raccomandato di non parlare. I film successivi a Cabiria, dove compare il personaggio, portano tutti il nome di Maciste a pieno titolo. L’uomo, però è catapultato in situazioni meta-cinematografiche, dalla Cartagine del III° secolo alla Torino del

XX°. Maciste, storicamente comparso in Cabiria, compare negli altri suoi film come il personaggio che non si stacca dall’interprete, tanto che in Maciste in vacanza (1921), l’eroe viene riconosciuto in villeggiatura. Sebbene Pastrone, regista del primo film del 1914, lo volle identificare come maestro di boxe, Maciste altro non fa che l’attore cinematografico, nelle storie di cui è protagonista. Un’autoreferenzialità che lo identifica semplicemente come divo del cinema. Pagano non riuscirà a separarsi dal suo personaggio nemmeno nelle ultime apparizioni, tra il ’27 e il ’28. Se le dive femminili venivano riconosciute prima dal loro nome e poi da quello del loro personaggio, per Maciste era l’esatto opposto. IL CASO EMILIO GHIONE – IL CASCATORE Nel 1910, il pittore Emilio Ghione trovò impiego come cascatore nel cinema di Torino. Nel 1914 viene scritturato per il suo primo personaggio, Za La Mort, insieme alla Bertini in Nelly la Gigolette, che si scatena nella danza di Asta Nielsen che l’aveva ispirata nel 1910. Za La Mort era felino, molto fotogenico, ladro romantico e gentiluomo. Compare come protagonista in una serie di film, I Topi Grigi, per poi recitare in Germania dal 1924. Nel 1929, l’attore cade in disgrazia, si ammala di tisi e scompare qualche anno dopo, nel ricordo di chi lo apprezzò sullo schermo.

IL DIVISMO HOLLYWOODIANO DEGLI ANNI 20 Con la comparsa di star come Charlie Chaplin, Greta Garbo o Rodolfo Valentino o Sessue Hayakawa, si accentua una nuova forma del divismo. Il primo piano gioca un ruolo cruciale. Lo spettatore è avvinto dalla bellezza dell’attore, il valore estetico è quello fondamentale. Il volto umano è il centro della dialettica, si possono ingrandire e stringere le espressioni del volto, composte anche dal muscolo più piccolo. La star è centrale nel processo di identificazione. Come da teorie di Metz, lo spettatore si identifica nel punto di vista della macchina da presa, ma ciò è più efficace se a essere inquadrato, o guardato, è il divo, anziché un semplice attore. Nell’epoca d’oro di Hollywood, il divo è sempre “più” dello spettatore: La Garbo è più bella, Valentino è più desiderabile, Chaplin è più abile, tutte virtù tipiche del divo. Se l’attore medio, incapace di incarnare le sue qualità di personaggio nella sua persona, è destinato al tramonto, il divo, l’attore duraturo e predisposto al successo, si destreggia perfettamente in ciò: Greta Garbo non appare in pubblico, si avvolge di mistero. Rodolfo Valentino muore giovane, mentre Chaplin si presenta al pubblico come capro espiatorio, facendo emergere la natura da vittima del suo personaggio, Charlot. Un altro caso è Marlene Dietrich, che duplica la sua immagine filmica, rendendola perfettamente speculare. In The Immigrant (1917), Chaplin presenta il suo alter ego, Charlot, imbarcarsi verso la sognata America, con un primo piano rivolto alla macchina, come ad ammiccare allo spettatore che sta intraprendendo un viaggio di immigrazione, tema molto attuale e sensibile nell’America di quel periodo. Chaplin decide di far ridere su un dramma collettivo, trasformando l’immigrante in un personaggio positivo, degno di attenzione e rispetto, tramite la sua immagine di attore famoso. In Camille (1921), Rodolfo Valentino interpreta Armand Duvall, innamorato di Camille. Lei è malata, ma lui si propone lo stesso. Lo spettatore legge sul volto di lui i suoi sentimenti repressi e la sua timidezza. Valentino incarna l’uomo ideale per il pubblico femminile, elegante, raffinato e sentimentale. In La Donna del Mistero (1928), Greta Garbo folgora col suo primo piano, di profilo. Abbassa le ciglia, poi le rialza, ma non del tutto, un gesto di seduzione definitivo. La seduzione è uno strumento per rubare i piani militari a un altro personaggio: lei è infatti una spia russa. Greta rimarrà sempre una “creatura doppia”, romantica e fredda calcolatrice.

IL CASO MARLENE DIETRICH – UNA DONNA DOPPIA Se Greta Garbo è dotata di una spirituale androginia, la Dietrich è androgina eroticamente. Se la Garbo nasconde la sua omosessualità, la Dietrich la esplicita spavaldamente. Conquistata da Sternberg alla fine degli anni 20, la Dietrich farà fatica a separarsene. Nel 1930, la Paramount le offre un contratto, ma per non perdere il suo “patrigno”, l’attrice farà aggiungere una clausola per cui sarà lei stessa a decidere i suoi registi. Marlene è un’ottima cantante, cosa che la spingerà a entrare nel cinema sonoro con Marocco (1930). Nel film, Marlene indossa i pantaloni e bacia una donna. La cosa crea parecchio scalpore, ma la Paramount ribatte, diffondendo sue foto con la frase “La donna che perfino le donne possono adorare!”. Il rapporto Dietrich-Sternberg è una continua sfida all’ottenere la perfezione nell’inquadratura. Lei sembra obbedirgli minuziosamente sul set. Quando lei crea il suo personaggio, lui si pone al suo servizio. Quando è lui a ideare le soluzioni, lei pretende da se stessa un’esecuzione perfetta. Dopo Capriccio Spagnolo (1935), Marlene rinuncerà a creare un’immagine diversa, perpetuando in quella plasmatagli da Sternberg, dopo il suo abbandono. Se prima lo avrebbe evitato, ora Marlene si getta nella mondanità hollywoodiana. Chiede al suo costumista degli abiti per le sue apparizioni, non per il set. Instaurerà un modello di femme fatale dietrichiana, che appare allusiva, dominatrice, fredda e fiera di esercitare la seduzione su entrambi i sessi, gratificando il proprio narcisismo.

L’EPOCA D’ORO DELLO STAR SYSTEM Il 10 ottobre 1929, crolla Wall Street, inizia la Grande Depressione. Le elezioni del 1932 fanno salire alla presidenza dello stato Franklin Roosevelt. La Grande Depressione, cinematograficamente, coincide con uno sviluppo straordinario, con l’introduzione del sonoro che definisce una nuova fase storica per il cinema. Nel 1927 esce il primo film sonoro, The Jazz Singer. Per gli attori, il passaggio al sonoro significava un nuovo approccio recitativo da sviluppare; ora i principali elementi attoriali erano il canto e la voce. Il timbro metallico della voce di John Gilbert (compagno di Greta Garbo) lo portò a compromessi col suo contratto con la MGM, che lo lasciò senza soldi per via della sua pessima prova canora. Si ricominciò presto a riformare il parco divistico di Hollywood, che già nel 1931 comprendeva 26 star del sonoro e 3 del muto. Questi sono anche gli anni dell’entrata in voga del codice Hays, su cui la nuova formazione divistica si plasmerà, creando divi conformati, professionalmente disciplinati e cantanti talentuosi. Nel maggio del 1937, l’associazione dei proprietari di sale fa pubblicare un annuncio secondo cui attori come Marlene Dietrich, Greta Garbo e Katharine Hepburn fossero responsabili del flop di alcuni film. In seguito all’annuncio, la Dietrich venne scaricata dalla Paramount e la Garbo, dopo due film, dalla MGM. Le dive femminili, maggiormente pagate rispetto a quelli maschili, erano le star più pagate al mondo. Cary Grant sciolse volontariamente il suo contratto con la Paramount nel 1935, facendosi ricordare come il primo divo indipendente di Hollywood. I contratti delle star, ossia gli attori investiti in produzioni a largo budget, li legavano a uno studio per la durata di 7 anni, senza poter recitare con altre produzioni, mentre gli studi potevano cederle a terzi liberamente.

L’apparato promozionale di creazione delle star scritturavano l’artista, oltre che il personaggio: a Buster Keaton era vietato ridere in pubblico, Sydney Greenstreet non doveva superare un certo peso. La coerenza dell’immagine divistica, inclusi gli attributi fra personaggio dello schermo e personaggio pubblico, era sancita per contratto. Lo studio si prendeva cura di assicurarsi il buon esito delle riprese, definendo per le star norme su indisposizioni, vacanze, guardaroba, ritardi assenze e sedute fotografiche. Era la star, invece, a dettare il suo controllo sull’ideazione dei costumi, sull’apparizione del proprio nome sui titoli di testa e di coda, e precisando il numero di primi piani spettanti. Una strategia, detta miscasting, utilizzata da Jack Warner (della Warner Bros.), faceva assegnare a un attore un ruolo “sbagliato”, che lui avrebbe spontaneamente rifiutato, in modo da prolungare la durata del contratto. Ciò non era propriamente legale. Difatti, Olivia de Havilland (la Melania di Via col Vento) fece causa alla Warner per questo motivo, vincendo poiché il suo contratto era stato esteso a 9 anni. In questi anni emerge anche il diritto d’immagine: una star cedeva i diritti sulla sua immagine allo studio, che poteva usarla a fini promozionali o pubblicitari, detenendone i diritti di riproduzione fotografica. Simmetricamente al miscasting, viene anche adottato il type casting, ossia un casting fatto per corrispondenza fisica tra star e personaggio. John Wayne incarna perfettamente il pioniere del West, così come Humphrey Bogart incarna il good-bad boy, la Hepburn è la perfetta good-bad girl, grintosa, sfacciata ma romanticamente fragile. Nel 1934 nasce il merchandising cinematografico, con cui la FOX e la Ideal Toy producono una bambola con le fattezze di Shirley Temple. In breve tempo, le s...


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