RIASSUNTO Breve storia della scrittura e del libro Carocci Editore ESAME ISTITUZIONI DI FILOLOGIA PDF

Title RIASSUNTO Breve storia della scrittura e del libro Carocci Editore ESAME ISTITUZIONI DI FILOLOGIA
Author Eleonora Giudice
Course Istituzioni Di Filologia
Institution Università Ca' Foscari Venezia
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Summary

Riassunto completo del libro...


Description

IL LIBRO MANOSCRITTO Il papiro Sulle sponde del Nilo cresceva abbondantemente la pianta cyperus papyrus, dalle cui fibre si ricavava il supporto preferito di scrittura in ambito mediterraneo. Pianta dagli usi molteplici e variati, fu utilizzata per produrre cesti, ghirlande da dedicare agli dei, indumenti, cordami, unguenti e utensili; inoltre, in quanto dotata di proprietà terapeutiche, veniva sfruttata per la cura degli occhi e per le cauterizzazioni. La pianta raggiungeva dimensioni fino a 5 metri e il fusto costituiva il materiale di base per la preparazione dei fogli destinati alla scrittura; liberato e scortecciato, lo stelo veniva tagliato ancora fresco e si ricavavano sottili strisce longitudinali, da 18 a 25 strisce per fusto. Le strisce venivano poi disposte l’una accanto all’altra su un piano duro e incollate, sfruttando come colla la mucillagine vischiosa che esse producevano, mischiata con l’acqua del Nilo. L’insieme delle strisce veniva poi battuto e pressato. I fogli ottenuti, detti plagulae, avevano una larghezza che variava, secondo Plinio, tra gli 11 e i 30 cm, e una altezza che oscillava tra i 16 e i 24 cm. La maggiore o minore vicinanza al midollo dello stelo provocava differenze di consistenza e bianchezza; tali rotoli, solitamente di venti fogli, venivano confezionati incollandoli lateralmente con una pasta di farina e aceto a formare una striscia di più o meno 4 metri. Il rotolo Tagliando un rotolo commerciale, o incollandone insieme più di uno, si producevano rotoli librari tra i 2,5 e i 12 metri. Il rotolo, o volumen, costituisce il libro per antomasia dell’antichità classica sia nel mondo greco che nel mondo romano. All’interno del rotolo la scrittura correva parallela alle fibre orizzontali che agevolavano il tracciato del calamo (cannuccia vegetale con fessura centrale attraverso cui passava l’inchiostro). Il testo era diviso in colonne che non tenevano conto delle giunture dei fogli e dello spazio della scrittura; alla fine della copia, attraverso il computo delle linee trascritte ( sticometria), si calcolava il compenso dovuto allo scriba. Tale computo era annotato nel fondo del rotolo stesso oppure sul lato sinistro delle colonne alla fine della copia; in questa fase il rotolo veniva imbevuto di essenze profumate per proteggerlo da umidità e insetti e avvolto attorno all’ umbilicus (bastoncino di legno per facilitarne l’arrotondamento). Il volumen poteva mostrare, sulla faccia esterna del foglio iniziale (Protocollo), il nome dell’autore e il titolo dell’opera contenuta; tale protocollo fungeva anche da portezione del testo. La biblioteca di Ercolano Oltre due secoli fa furono ritrovati i rotoli greci e latini che costituiscono il giacimento di libri di antichità più cospicuo e omogeneo: oltre mille papiri portati alla luce dal 1752 al 1754. Tra questi papiri furono trovati testi dell’epicureismo, tra cui dello stesso Epicuro, e di Filodemo di Gadara. Quest’ultimo aveva cominciato ad organizzarsi una raccolta libraria di testi dei maestri, che sistemò in volumina, ma organizzò anche una sorta di laboratorio funzionale alla sua attività di filosofo o di editore. Tra i volumina ritrovati sopravvivono rotoli che si presentano come veri e propri brogliacci d’autore; tra i papiri latini spicca il frammento contenente un carme sulla battaglia di Azio (31 a.C.), recuperati in ambiente diverso da quelli del ritrovamenti dei manufatti greci.

I volumina ercolanesi erano i primi libri dell’antichità classica a tornare alla luce e grande fu l’emozione che suscitarono nell’Europa del tempo.

Il frammento di Posidippo Ancora un storia di oggi è il ritrovamento del frammento di Posidippo di Pella (312-240 a.C.), contenente oltre 100 epigrammi. Databile agli ultimi decenni del III secolo, il frammento reca, in oltre 16 colonne di scrittura, oltre 600 versi (tutti distici elegiaci) divisi in 10 sezioni tematiche. Più che l’alta qualità del volumen va sottolineata la modalità particolare di recupero, usuale per i papiri greci ma non per gli ercolanensi: il cartonnage. I frammenti hanno infatti guadagnato l’immortalità nascosti nel pettorale di un cadavere e dal 1992 sono tornate alla vita e alla storia. I rotoli di Exultet Gli exultet sono rotoli liturgici contenenti la preghiera per la benedizione del cero pasquale; evocati in forma libraria antica, sono rotoli molto speciali per varie ragioni:  per l’ambito geostorico, che vide la fioritura limitato alla Longobardia minore (terra di incontro tra culture e popoli)  per l’originalità del ciclo iconografico, a differenza dei testi greci che mostrano una decorazione limitata  per la forte valenza simbolica, in quanto diventarono veicolo di messaggi ideologico-politici espliciti nei casi commitenza vescovile  per le profonde modifiche nella forma adottata, che conferiva solennità alla cerimonia  per la geniale disposizione di testo e immagine Riguardo a quest’ultimo punto, il testo è infatti collocato in senso inverso rispetto alle illustrazioni in modo tale che il diacono potesse leggere le scritture e contemporaneamente i fedeli vedere le immagini scorrere man mano che si svolgeva il rotolo. Il codice e la sua affermazione I libri lignei, sia tavolette di cera si graffiavano con un apposito strumento di metallo, avorio e osso sia nella forma di sottilissime lamine di legni facili da lavorare (betulla, tiglio), si diffondono nel mondo romano con il termine di codex, traslitterato poi nel lessico greco. A chiarirci forma e funzioni non intervengono solo Varrone (De vita populi romani) e Seneca (De Brevitate Vitae); se torniamo a Pompei ci troviamo nell’ambiente che ha restituito uno dei più cospicui corpora di tavolette dell’antichità. Documenti sono anche quelli trovati a Napoli nel 1959: le varie tavole, riunite a formare dittici, trittici e polittici scavate al centro per raccogliere la cera, si voltavano come pagine di un libro; presentano la struttura che sarà destinata a influenzare la forma di libro. Fortemente originale fu la struttura delle tavolette trovate nel 1973 a Vindolanda (Chesterholm), in Britannia; si tratta di sottilissime lamine ricavate dal legno giovane di alberi di ontano o di betulla, di forma rettangolare con il testo ad inchiostro. La sottile incisione che le attraversa orizzontalmente da l’idea che le lamine venissero legate una dopo l’altra accostando la parte terminale della prima alla iniziale della seconda e così via, a formare un soffietto che nascondeva la scrittura al suo interno. Nonostante l’affermarsi del rotolo, le tavolette rimasero il supporto preferito per scritturazioni provvisorie o negli ambienti meno colti (ex. Marziale scriveva gli epigrammi in piccole tabelle in pergamena).

Verso la fine del III secolo il codice conquisterà stabilmente territori d’Occidente (V in Oriente), fino ad allora dominati dal rotolo. Pergamenaceo, piccolissimo ma, di straordinaria importanza è il frammento del De bellis, che accompagna codici di Senofonte, Platone, Pindaro ecc. Si tratta di un fascicolo di 36 carte di una sola facciata, simile a taccuini pergamenacei, dove la parte bianca serviva per aggiunte o modifiche. I numeri di codici aumentano se accostiamo a quelli letterari quelli che tramandano letteratura di livello più modesto come romanzi, materiali scolastici ecc. E’ al pubblico cristiano che si deve maggiormente la prima massiccia adozione della nuova forma di libro; il codice strutturale divenne infatti il principale strumento di diffusione del messaggio divino. Per la gente di scarse possibilità economiche e modesta formazione intellettuale il codice rappresentava un mezzo assai più conveniente del papiro, in quanto il costo si riduceva di un terzo poiché non richiedeva materiale d’importazione. Ragioni pratiche, economiche e ideologiche contribuivano insomma alla transizione dal libro-rotolo al libro-codice che si concluderà nel IV secolo. La pergamena La diffusione del codice fu accompagnata dalla prevalenza della pergamena su papiro; d’altronde era un materiale facilmente reperibile, meno costoso, più sfruttabile e che permetteva un allestimento del codice migliore rispetto al continuum del papiro. Le pelli presentavano infatti una predisposizione naturale ad essere piegate e trasformate in fascicoli. La preparazione iniziava immergendo le pelli in un bagno di calce spenta diluita in acqua, che permetteva di liberarle con facilità dai peli e dai residui grassi. Una volta depilate venivano scarnificate con una lama a forma di mezzaluna (novacula), sfregate con la pietra pomice e tese a essiccare su appositi telai. Quest’ultima operazione consentiva alle fibre di collagene di impedire all’inchiostro di trapassare da una parte all’altra o spandersi sulle superfici. Staccata dal telaio, squadrata e sagomata, era pronta per diventare fascicolo. I difetti del tipo diverso di animale, come ad esempio i residui dell’impianto pilifero che segnalavano una qualità scadente, potevano rivelarsi utili a indicare il tipo di pelle e il dimorsfismo poteva indicare se la produzione era italiana o di un altro paese d’Europa. La preoccupazione costante di chi confezionava manoscritti era che il codice presentasse carte del medesimo aspetto; nei manoscritti papiracei si aveva cura di disporre i fogli sovrapponendoli in modo tale che le facce transfibrali e perfibrali combaciassero alternativamente, e ugualmente nei menbranacei che il lato carne (convesso) e il lato pelo (concavo) si alternassero.

Il fascicolo Molto frequente nel III secolo fu la diffusione dei fascicoli-libro o codici a fascicolo unico, di consistenza più o meno corposa ( da uno a 10 fogli); rari quelli costituiti da un foglio solo, struttura non accolta dal codice membranaceo. E’ il numero dei fogli, il “cardinale del fascicolo”, a dare il nome al fascicolo stesso: binione, ternione, quaternione, quinione ecc. Solitamente all’interno di uno stesso codice si tendeva a conservare un’unica struttura fascicolare, cioè il cardinale maggioritario.

La carta La sostituzione del supporto animale con quello vegetale, costituito dalla carta, non avvenne ovunque in Europa con uguale celerità. Si tratta di una lunga tradizione che partì dalla Cina, nel 751 venne conosciuta dagli arabi e raggiunse la Spagna nel 1056. Fondamentale nella fase dell’Europa occidentale fu Fabriano, destinata a divenire il centro di produzione quantitativamente e qualitativamente più importante. (fra Trecento e Quattrocento si contano 40 cartiere da cui partono i maestri cartai per diffondere la tecnica ovunque. Nel Trecento la carta costa quattro volte meno della pergamena; materia per la carta erano gli stracci, o meglio la polpa di cellulosa, che si ricavava dopo un lungo processo di macerazione e decomposizione. Nella polpa, contenuta in un recipiente (tina) e scaldata da un fuoco sottostante, l’operaio immerge il telaio ligneo, costituito da una cornice e da colonnelli e vergelle, ossia bacchette di legno, i primi, e fili di rame e ottone, le seconde. Sollevata dalla tina e sgrondata dall’acqua in eccesso, la “forma” (stabiliva il formato del foglio) passata di mano ad un altro operaio viene rovesciata con il suo carico di polpa su un feltro. L’operazione ripetuta più volte da luogo a una pila di fogli intervallati da feltri, che elimineranno l’acqua facilitando il distacco. Seccati all’ombra e levigati per rendere la superficie liscia e impermeabile, diventavano il materiale destinato a contrastare vivacemente l’esistenza della pergamena. Tipologia del fascicolo e tipologia testuale Le città divennero centri di produzione e diffusione della cultura e il libro divenne anche strumento di merce e studio; ciò consentì la diffusione della scrittura in maniera più vasta e diversificata e la moltiplicazione dei “contenitori” della cultura. Il libro divenne un compagno di lavoro insostituibile sia in ambito religioso (la Bibbia trovò alloggio in volumi di piccolo formato), sia in ambito universitario. E’ il XIII secolo e iniziano ad apparire le prime oscillazioni relative all’allestimento dei fascicoli, in quanto il quaternione perde egemonia e iniziano a diffondersi quinioni e senioni per preferenze pratiche e di ordine squisitamente materiale, come ad esempio la dimensione del codice o le tipologie testuali dei codici universitari. Confezione del fascicolo Il sistema di confezionamento del fascicolo fu quello di inserire l’uno sull’altro una serie di fogli piegati a metà ( in folio) in modo tale che la prima carta facesse riscontro all’ultima, la seconda alla penultima e così via. Uniformi o meno che fossero le due superfici della pelle, due erano anche le alternative: disporre all’esterno la carne o il pelo del foglio stesso. E diversi furono i procedimenti adottati: nel mondo greco l’abitudine fu di disporre all’esterno il lato carne del primo foglio, mentre nel mondo latino la situazione è meno lineare. Se molti codici della tarda antichità presentano il lato carne all’esterno, in altri avveniva il contrario (ex. i fascicoli di Terenzio Bembino); sarà proprio quest’ultimo procedimento che trionferà nel mondo latino. Perché il fascicolo potesse svolgere la funzione per cui era nato doveva subire due operazioni: la foratura e la rigatura. Per foratura si intende la presenza di minuscoli fori nella trasparenza della pergamena o della carta, destinati a trasformare in pagina la superficie guidando il tracciato del complesso reticolo di linee che delimitava la scrittura.

I fori potevano essere eseguiti in diverse modalità, ma la più frequente era la foratura simultanea dei fogli piegati dell’intero fascicolo, soluzione economica ed ergonomicamente vantaggiosa. Era funzionali alla rigatura e potevano scomparire durante la rifilatura dei margini al momento della legatura. Per rigatura si intende solo dei manoscritti membranacei e cartacei, in quanto nel caso dei papiracei erano le fibre stesse a guidare la mano dello scriba. Il metodo più diffuso fu la “rigatura a secco”, eseguita da uno strumento appuntito che non lasciava nessuna traccia sul foglio se non un solco leggero su un lato e un rilievo nell’opposto. Ciò permetteva di rigare simultaneamente due facce e fu economicamente vantaggioso. Oltre a questo strumento poteva essere utilizzata una tavola lignea dotata di trama di cordicelle che imprimeva direttamente le linee sull’intera pagina. Dalla fine del IX sec. alla rigatura a secco si affiancò la “rigatura di piombo”, eseguita cioè con l’aiuto di una sostanza tracciante (mina di piombo o inchiostro nero). Problema antico fu assicurare la giusta sequenza dei fascicoli, risolto inzialmente nel XIII con la diffusione del “richiamo”, cioè l’indicazione della prima parola di ogni fascicolo in fondo alla carta finale del fascicolo precedente. Il richiamo però non garantiva da possibili inversioni o perdite ed è anche per questo che si diffusero nuovi sistemi di organizzazione e reperimento dei fogli come la “numerazione a registro”, che associava al segno distintivo della posizione del fascicolo nel libro quello del foglio all’interno del fascicolo.

LA SCRITTURA LATINA

Premessa La paleografia insegna innanzitutto a riconoscere i diversi segni alfabetici e a sciogliere i compendi che ad essi si accompagnano; permette, inoltre, di individuare le diverse scritture e di collocarle nello spazio e nel tempo assegnandole a una determinata regione-epoca. Infine, illustra il cammino percorso dal sistema grafico nel suo complesso. Essa si occupa di tutte le testimonianze scritte indipendentemente dal tipo di supporto e dalle loro finalità.

Terminologia Oltre ai concetti già analizzati in classe, vanno ricordati i concetti di:  forma, ossia l’aspetto esteriore della lettera  tratteggio, ossia ciò con cui si indica il numero, la successione e i tratti costitutivi di una singola lettera  modulo, ossia le dimensioni/il formato delle singole lettere

Le origini della scrittura latina Si è molto dibattuto sull’origine dell’alfabeto romano, che porta ancora le tracce visibili dell’influenza di greco ed etrusco. La successione dei segni alfabetici è sostanzialmente quella dell’alfabeto greco, con alcune varianti che caratterizzano anche quello delle colonie occidentali. D’altro canto l’intermediazione etrusca è necessaria a spiegare il sistema delle velari latine, più articolato rispetto alla lingua greca.

Periodizzazione La paleografia latina va dall’inizio del VI secolo a.C. ai primi decenni del XVI secolo. All’interno di questi circa venti secoli di storia possiamo riconoscere 4 diversi periodi:

Primo periodo: fase unitaria I fattori più importanti di questa fase furono la regolarità di allineamento e di impaginazione e l’uniformità di modulo e di disegno, con progressiva geometrizzazione delle forme, tendenza a privilegiare angoli retti e sezioni di cerchio, chiaroscuri costanti e modulo e disegni uniformi dei segni grafici. La scrittura ufficiale tese infatti a canonizzarsi secondo le norme dell’epigrafia greca: è un processo che giunge al termine solo nel I sec. d.C. Le testimonianze mostrano un alfabeto vicino a quello arcaico, in particolare la lettera A obliqua. Mentre la maiuscola corsiva veniva utilizzata per gli usi quotidiani, nei testi letterari venne usata la capitale libraria, con andamento verticale, uniformità del modulo e totale assenza di andamenti corsivi. Dopo il VI secolo la capitale cessò di essere utilizzata per la stesura di interi codici, e si mantenne solo per evidenziare parti distintive nei testi (implicit, explicit ecc.). Tra il II e il III sec avviene la nascita del sistema minuscolo, e tale processo ebbe inizio probabilmente con il passaggio dal rotolo al codice, che avrebbe indotto (secondo la scuola Francese) una rotazione naturale del foglio che causava un orientamento diverso dei tratti più grossi e di quelli sottili, contribuendo a rendere minuscole le forme precedentemente maiuscole. La scuola Italiana non condivise tale teoria, ritenendo che l’uso di lettere minuscole nella scrittura libraria e non in quella usuale fosse comportato da un insegnamento a livello elementare che veniva impartito indifferentemente in tutte le parti dell’impero tra II e III secolo. L’adattamento totale della minuscola avviene con la nascita della nuova corsiva, una minuscola che si differenzia rispetto alla libraria per l’assenza quasi totale di chiaroscuri. Verso la fine del IV secolo la corsiva nuova è impiegata in maniera generalizzata in tutte le zone dell’impero, accentuandosi in questo modo la tendenza generale della scrittura ad inclinarsi verso destra, a divenire più serrata e regolare. In ambito librario, a partire dal IV secolo, s’incontra una nuova scrittura dalle forme rotondeggianti, chiamata onciale. Tale scrittura andò già verso la fine del V sec a sostituire la capitale ormai in fase di declino; l’onciale fu usata fino all’VIII secolo, ma subì profondi cambiamenti di stile verso la seconda metà del VI. Tra la fine del V e l’inizio del VI secolo si diffonde l’esigenza di una scrittura calligrafica per uso librario che non fosse così spaziosa ed elegante come l’onciale: la semionciale. E’ una scrittura che si presenta elegante e assicura un chiaroscuro non accentuato ma visibile, diritta e tondeggiante allo stesso tempo. I primi secoli della scrittura latina sono caratterizzati dall’assenza quasi totale di partizioni del testo; a cominciare dal II sec. a.C. vengono individuate le diverse sezioni di testo, compaiono le prime litterae notabiliores (più collocate alla sinistra della linea che determina lo spazio scrittorio). Ma bisogna attendere il I sec. d.C. per avere nei manoscritti latini parole separate da punti divisori. Tale pratica cessò del tutto con la scriptio continua in cui lo stesso spazio è lasciato tra le lettere e le parole; ciò garantiva neutralità al testo. Al pare di una prassi d’interpunzione ormai avviata, il mondo tardoantico trasmise all’alto Medioevo una vera e propria tecnica abbreviativa; la più antica raccolta di abbreviature fu

composta da Valerio Probo, ma è soltanto a partire dal III-IV sec che si può cominciare a parlare di “sistema”. All’inizio fu utilizzato solo il principio di troncamento, in seguito si arrivò a scrivere intere catene di sigle per espressioni ricorrenti. Si passò poi ai troncamenti di prole composte o che suonavano tali, e quest’ultimo ...


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