Riassunto capitol \'attenzione e coscienza\'- psicologia generale PDF

Title Riassunto capitol \'attenzione e coscienza\'- psicologia generale
Course Psicologia generale
Institution Università degli Studi di Catania
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riassunto capitolo 6 'attenzione e coscienza'- psicologia generale, mc grawhill...


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Cap. 6

Attenzione e coscienza 1.La coscienza Lo psicologo Melvin Goodale ha reso noto il caso di DF, paziente che perse la conoscenza e riportò danni alla corteccia occipitale laterale per un avvelenamento da monossido di carbonio. La patologia di DF si chiama agnosia visiva, e consiste nell’ incapacità di riconoscere visivamente gli oggetti che vengono però riconosciuti attraverso altre modalità sensoriali; questa patologia però non ha alcuna relazione con la cecità. Una TAC rivelò che la sua corteccia visiva primaria era rimasta illesa, ma altre regioni danneggiate, secondo Goodale, avrebbero privato il soggetto della capacità di percepire dimensione, forma ed orientamento spaziale degli oggetti. Nonostante i gravissimi deficit nel riconoscimento di forme ed oggetti il paziente con agnosia appercettiva presentava una buona coordinazione visuomotoria; una prova ulteriore del fatto che la percezione finalizzata al RICONOSCIMENTO degli OGGETTI e quella destinata alla GUIDA dell’AZIONE sono mediate da sistemi di elaborazione separati. Alla fine dell’Ottocento, quando nacque la psicologia, il “grande progetto” era quello di risolvere alcuni dei misteri della coscienza. La rinascita delle prospettive di tipo cognitiviste e di natura biologica ha portato a pensare a concetti che riguardano la mente; la complessità di questi concetti ha spinto gli psicologi ad affrontare l’enigma della coscienza in modi diversi. La coscienza viene definita come la consapevolezza di sé e del mondo esterno. La coscienza si presenta come: • fenomeno soggettivo, la cui esistenza è un dato certo per ogni singolo individuo e che viene supposta come esistente anche negli altri individui; • fenomeno dinamico, in quanto la coscienza tende al cambiamento, è una funzione cognitiva in continuo divenire; • fenomeno autoriflessivo e centrale per il senso del sé, in quanto la mente è consapevole della sua coscienza; perciò, strettamente legata all’oggetto a cui si rivolge e direzionata dall’individuo. • fenomeno selettivo: date le limitazioni cognitive della mente umana, la coscienza ha la capacità di includere alcuni oggetti escludendone altri. Questa caratteristica della coscienza è strettamente collegata con il processo di attenzione selettiva. L’attenzione selettiva è il processo che focalizza l’interesse su alcuni stimoli escludendone altri. L’informazione a cui si presta attenzione viene selezionata ed elaborata in maniera più efficiente, ha accesso alla coscienza e guida la risposta. Gli scienziati che studiano la coscienza devono definire operativamente gli stati interiori privati in termini di risposte misurabili. Le misure di autovalutazione (o self-reports) chiedono alle persone di descrivere le proprie esperienze interiori. Offrono le indicazioni più dirette sulle esperienze soggettive di una persona ma non sempre sono verificabili. Le misure comportamentali registrano, tra l’altro, la performance su determinate attività. Nel caso di DF, ad esempio, i ricercatori arrivarono alla conclusione che nonostante l’incapacità di percepire consciamente gli stimoli, elaborava comunque le informazioni. Le misure comportamentali sono oggettive, ma richiedono di desumere lo stato mentale della persona. Le misure fisiologiche stabiliscono la corrispondenza tra processi fisici e stati mentali. Con gli elettrodi attaccati al cuoio capelluto, l’elettroencefalogramma misura le onde cerebrali che riflettono l’attività elettrica continuativa di vasti gruppi di neuroni. I diversi andamenti corrispondono a diversi stati di coscienza, come la veglia, il rilassamento, il sonno leggero e profondo. Le tecniche di imaging cerebrale permettono di esaminare l’attività delle regioni cerebrali che supportano i vari stati psichici. Il problema della coscienza è che non si può vedere ed è difficile da descrivere, così come il passaggio da un pensiero all’altro o l’impatto emotivo di un’immagine o uno stimolo.

Cap. 6 Oggi come oggi nemmeno le tecniche di brain imaging funzionale però sono in grado di arrivare a questi punti. Gran parte di ciò che avviene nel nostro cervello va al di là dell’accesso alla coscienza, due sono i punti di vista più importanti a riguardo. •Il punto di vista freudiano Nello sviluppo della sua teoria psicoanalitica, centrali sono allora i concetti di "coscienza", "preconscio" ed "inconscio" che vanno a dare forma e sostanza alle diverse forze che agiscono e operano dentro e fuori di noi, contribuendo alla nostra vita psichica. 1.Il pensiero conscio è razionale e funziona seguendo leggi logiche, è alla base dei pensieri e delle percezioni di cui siamo consapevoli in un dato momento. 2. I contenuti del pensiero preconscio sono tutte le idee e i sentimenti che possono essere portati facilmente alla coscienza. Il preconscio può essere considerato un serbatoio di pensieri e ricordi accessibili interposto tra il sistema inconscio e sistema conscio. 3. L’inconscio si caratterizza come il territorio più “libero”, dove l’energia psichica conosce meno vincoli e barriere. L’inconscio rifiuta i principi logici su cui si basa la nostra vita, tanto da essere estraneo al tempo e alla realtà stessa. Secondo Freud l’inconscio basa la propria natura sui desideri repressi (pulsioni sessuali, ricordi traumatici) estranei alla coscienza; questi desideri possono poi “riemergere” come eventi onirici (ansia, sensi di colpa ed emozioni negative) o come manifestazioni sintomatiche di un disagio psichico. Come osserva lo psicologo psicodinamico Drew Western, “molti aspetti della teoria freudiana sono superati”, anche se studiosi come Grṻ nbaum sono convinti che le affermazioni di Freud sul potere della psicanalisi si prestano molto bene alla sperimentazione pratica e ai tentativi di confutazione. Silverman ha usato un metodo denominato SPA (attivazione psicodinamica subliminale) per analizzare la teoria psicanalitica. Si presenta subliminalmente una frase al soggetto e si misura la sua performance su un determinato compito. Silverman e Weinberger hanno scoperto che il desiderio inconscio di unirsi alla propria madre o di riuscire nella competizione con il proprio padre scaturirebbe dal riemergere inconscio del complesso edipico, e potrebbe influenzare in qualche modo la persona. • Il punto di vista cognitivo Gli psicologi cognitivi rifiutano l’idea di una mente inconscia guidata da bisogni istintivi e conflitti repressi. Considerano invece la vita mentale conscia e la vita mentale inconscia due forme complementari di elaborazione delle informazioni, che operano in armonia. Molte attività richiedono un’elaborazione controllata (conscia ed esplicita), caratterizzata da un uso consapevole dell’attenzione e dell’impegno. Altre attività richiedono invece un’elaborazione automatica (inconscia ed implicita) e si possono svolgere senza l’uso consapevole dell’attenzione e dell’impegno. L’elaborazione automatica avviene il più delle volte quando compaiono azioni routinarie o svolgiamo compiti a noi ben noti; all’inizio occorre una profonda attenzione conscia, con la pratica e l’esecuzione di quei compiti aree del cervello coinvolte nel pensiero conscio diventano via via meno attive. L’elaborazione automatica, tuttavia, ha un grandissimo svantaggio, perché può ridurre la probabilità di scoprire nuovi approcci alla soluzione dei problemi. L’elaborazione controllata è più lenta dell’elaborazione automatica, ma più flessibile e più aperta al cambiamento. Eppure, molti comportamenti appresi da tempo sembrano più rapidi ed efficaci quando la nostra mente va in “modalità automatica” e l’elaborazione controllata finisce in secondo piano. Gli esperimenti dimostrano che in tantissimi compiti, un pensiero eccessivamente autofocalizzato può danneggiare l’esecuzione del compito e indurre le persone q commettere errori perché sotto pressione. L’elaborazione automatica è facilitata anche dall’attenzione divisa, la capacità di seguire e svolgere diverse attività contemporaneamente. Oggi il concetto di elaborazione inconscia delle informazioni è largamente accettato dagli psicologi, ma non sempre è stato così. Ci sono volute ricerche accurate per dimostrare che gli stimoli si possono percepire senza una consapevolezza conscia e che possono influenzare a loro volta il nostro comportamento o il nostro sentire.

Cap. 6 Studi effettuati su persone che hanno riportato danni al cervello possono fornire ai ricercatori indicazioni importanti su come funziona la mente. Come DF ,che soffriva di agnosia visiva, non poteva percepire consapevolmente la forma, le dimensioni e l’orientamento spaziale degli oggetti, ma presentava una buona coordinazione visuomotoria; evidentemente pur non mostrando alcuna consapevolezza conscia, l’elaborazione delle informazioni avveniva a livello inconscio. In alcuni tipi di agnosia visiva, come la prosopagnosia, i soggetti affetti possono riconoscere visivamente gli oggetti ma non le facce. Nonostante questa mancanza di consapevolezza conscia, nei test, i pazienti mostrano diverse forme di attività cerebrale, attivazione fisiologica e movimento degli occhi quando vedono volti familiari. Nel 1987, Glyn Humphreys e Jean Ridoch, hanno pubblicato un caso studio importante sul loro paziente “John”. L’agnosia visiva del paziente è stata determinata da ictus, in ragione del quale gli oggetti con cui aveva avuto da sempre una grande familiarità gli sembravano ignoti. Ciò che rende particolarmente interessante questo caso è che il paziente era in grado di riconoscere gli oggetti al tatto e al suono. Sembrava che la perdita della componente visiva di un oggetto attenuasse il suo problema. Anche se non riconosceva le cose riusciva a copiare l’oggetto; dunque il suo ricordo degli oggetti era impregiudicato. Ci sono tuttavia delle situazioni in cui l’elaborazione degli oggetti è parzialmente disponibile anche se non si possono vedere. È quello che accade nel caso della visione cieca. Le persone affette da agnosia non sono cieche, mentre quelle affette da una patologia chiamata visione cieca non riescono più a vedere una parte del loro campo visivo, eppure in appositi test rispondono agli stimoli introdotti in quella parte del campo visivo. Per esempio, a causa di un danno all’emisfero sinistro, chi soffre di visione cieca potrebbe essere privato della visione della metà destra del campo visivo. Uno stimolo visivo viene proiettato sullo schermo in modo che appaia in uno dei punti sul campo visivo cieco del paziente. In tutti gli esperimenti, il paziente riesce a non vedere nulla, ma prova comunque a indicare la posizione dello stimolo. In altri esperimenti, si proiettano sul campo visivo cieco diversi colori, diverse fotografie o espressioni facciali. E pur dicendo di non riuscire a vedere nulla, i pazienti “individuano” il colore o l’espressione proposta con una percentuale di successo che può arrivare dall’80 al 100%. Il primo studio riguardava un paziente identificato da Weiskrantz come DB, a cui era stata asportata la corteccia occipitale per un tumore. Curiosamente il soggetto distingueva benissimo gli oggetti che apparivano nel suo campo visivo. Poteva distinguerne il diverso orientamento spaziale, e specificare se fossero o non in movimento. La visione cieca è stata ulteriormente differenziata in un tipo1 e tipo 2. Nel tipo 1 la persona è in grado di discriminare gli oggetti presentati nell’area cieca, ma non ne ha alcuna consapevolezza, per cui riferisce di non percepire nulla. Nel tipo 2, il paziente ha una vaga idea dei movimenti rapidi e dei cambiamenti di orientamento spaziale degli oggetti che attraversano l’area cieca. Il lavoro di Treverthan e altri ricercatori su DB mira a capire se le proprietà della visione “normale”. Le loro ricerche hanno dimostrato che in realtà DB distingue gli oggetti e le immagini proiettate nel suo campo visivo cieco persino meglio di quanto non lo faccia con gli oggetti e le immagini che vengono proiettati nel campo visivo funzionante. Nel 1988, Marshall e Halligan descrissero il caso di PS, donna di 49 anni che, in seguito alla rottura di un aneurisma dell’arteria basilare, presentava emiparesi ed emianopia sinistra oltre che un neglect sinistro, una sindrome neuropsicologica per cui la metà spazio controlaterale alla lesione perde completamente di significato e l’esperienza fenomenica sembra esaurirsi nella metà spazio ipsilaterale alla lesione stessa. Il paziente affetto da neglect finisce per non considerare ogni stimolo proveniente dallo spazio controlesionale, provando un’attrazione verso quanto è presente nello spazio ipsilaterale; il tutto in assenza di una compromissione intellettiva. Dal punto di vista comportamentale i pazienti affetti da neglect agiscono come se lo spazio controlesionale non esistesse (1. Neglect da lesione dell’emisfero minore delegato alle funzioni visuo-spaziali; 2. Neglect da lesione dell’emisfero dominante delegato per il linguaggio. La maggior parte dei casi di neglect da lesione dell’emisfero dominante tende a risolversi spontaneamente in

Cap. 6 qualche settimana per cui è certo che il coinvolgimento dell’emisfero non dominante sia l’evento responsabile della maggioranza dei casi. Dato che l’emisfero dominante nella maggior parte della popolazione corrisponde all’emisfero sinistro, la comparsa di neglect è riconducibile alla lesione dell’emisfero destro. In ragione di ciò, i termini “sinistro” e “destro” corrispondono a sinonimi per contro e ipsilaterale. L’esperimento cruciale fu condotto 21 giorni dopo l’intervento utilizzando 4 disegni in verde scuro diversi tra loro, ma tutti raffiguranti una casa; in due disegni proposti era chiaramente possibile notare, ai lati (destro e sinistro) delle fiamme rosse. Lo studio si articolò in tre fasi: 1) Alla paziente venne chiesto di descrivere quanto rappresentato nel disegno; 2) Alla paziente venne chiesto di giudicare come uguali o diversi i disegni raffiguranti le due case. Ella confermò trattarsi di due disegni identici, negando che uno dei due presentasse anomalie o stranezze. 3) Nella terza fase, per undici volte, casa in fiamme e casa indenne furono presentate allineate in verticale e alla paziente venne chiesto in quale avrebbe preferito vivere. In 9 casi su 11 e poi in 5 su 6 casi, la paziente indicò la casa priva di fiamme. Dunque, benché la paziente giudicasse identici due stimoli pur evidentemente differenti, esprimeva poi preferenze corrette e plausibili, frutto di un’elaborazione inconsapevole. Il Priming è una forma di riconoscimento mnemonico non cosciente che consente a uno stimolo, al quale si è stati esposti una prima volta, di essere identificato durante le successive esposizioni senza averne consapevolezza. Questa capacità evolutiva dell’essere umano provoca notevoli effetti sull’interpretazione e sulla valutazione dell’informazione. Il concetto di priming deriva dalla psicologia cognitiva e consiste in una situazione di tipo stimolo sensoriale, che potrebbe essere verbale, uditivo, visivo, al quale si è stati esposti in passato, che influenza la percezione delle successive esposizioni allo stesso stimolo in futuro. L’effetto priming, ampiamente studiato in vari ambiti della psicologia cognitiva, e usato in diversi studi di neuroscienze, consiste in un effetto di preparazione dell’esposizione allo stimolo. Gli stimoli subliminali possono indurre anche risposte di altro genere. (es=quando si mostrano ai partecipanti le fotografie di una persona, la valutazione positiva o negativa è data dall’esposizione o dalla mancata esposizione subliminale a immagini piacevoli o spiacevoli.) Anche i processi emotivi e motivazionali operano inconsciamente e influenzano il comportamento. In una ricerca, a un gruppo di studenti universitari sono stati presentati subliminalmente dei nomi fortemente positivi (amici, musica), moderatamente positivi (sfilata, clown), moderatamente negativi (lunedì, verme) e fortemente negativi (cancro, scarafaggio) con la conseguente valutazione dell’umore con test psicologici. Gli studenti ai quali erano state presentate le parole fortemente positive, definivano eccellente il proprio umore; analogamente gli studenti ai quali erano state presentate le parole fortemente negative definivano pessimo il proprio umore. Christof Koch (2004) osserva che “l’evoluzione ha dato origine a organismi che provano sensazioni soggettive”. Queste sensazioni creano vantaggi significativi per la sopravvivenza, perché la coscienza è correlata con la capacità di pianificare, riflettere e scegliere diversi piani d’azione. Koch ipotizza che la coscienza abbia una funzione sintetizzatrice. In qualunque istante, il cervello elabora svariati stimoli esterni ed interni. La consapevolezza conscia mette a disposizione una sintesi di ciò che accade in ogni momento nel mondo circostante e le mette a disposizione di regioni cerebrali coinvolte nella pianificazione e nel processo decisionale. Altri studiosi riconoscono concordemente che la coscienza facilita la distribuzione delle informazioni a molte aree del cervello. I neuroni e le sinapsi si formano molto presto e aumentano progressivamente dopo la nascita fino ad arrivare al numero massimo intorno all’età di sei mesi. Da questo punto in avanti avviene la cosiddetta “potatura delle sinapsi” in cui le connessioni non utilizzate vengono eliminate, e rimangono solo quelle necessarie. L’espressione “darwinismo neurale” di Edelman spiega perché il

Cap. 6 cervello perde le connessioni più deboli o meno utilizzate e conserva le più forti e utili. Qui ritorna quindi il concetto di “sopravvivenza” di Darwin. Alcuni ricercatori hanno esaminato la funzionalità cerebrale di persone affette da agnosia visiva, visione cieca o altri disturbi che limitano la percezione inconscia. Analizzando ancora il DF l’imaging cerebrale ha rivelato che la sua corteccia visiva primaria era rimasta illesa dopo l’esposizione al monossido di carbonio. Allora come mai era in grado di riconoscere consapevolmente volti e oggetti? La risposta viene da ricerche precedenti in cui gli psicologi hanno scoperto più vie utilizzate dal cervello per elaborare le informazioni visive. Una di queste vie, si estende dalla corteccia visiva primaria al lobo parietale e trasporta informazioni relative al movimento e alla posizione degli stimoli nello spazio (via del Where); una seconda via si estende dalla corteccia visiva primaria al lobo temporale e trasporta informazioni che supportano il riconoscimento consapevole degli oggetti (via del What). In linea con questa teoria, le scansioni di brain imaging del cervello di DF hanno rivelato che alcune parti di questa seconda via visiva erano gravemente danneggiate. Quindi, DF non era in grado di riconoscere consapevolmente gli oggetti ma era in grado di riconoscere inconsapevolmente l’orientamento spaziale di uno stimolo. Gli scienziati hanno studiato la base neurale della coscienza anche esaminando le percezioni inconsce che si creano quando determinate aree del cervello vengono stimolate elettricamente, mentre altri hanno tentato di stabilire come si perde la coscienza quando i pazienti sono sottoposti ad anestesia. Altri ancora hanno usato una procedura denominata masking per stabilire se le persone percepiscono uno stimolo consapevolmente o inconsapevolmente. Negli esperimenti, i partecipanti vengono sottoposti all’imaging cerebrale mentre ricevono stimoli masked e unmasked. Ciò consente agli studiosi di stabilire come differisce l’attività cerebrale se gli stessi stimoli vengono percepiti consciamente o inconsciamente. I neuroscienziati hanno così scoperto che gli stimoli emotivamente minacciosi vengono elaborati consciamente e inconsciamente da due percorsi neurali. Quello che produce il riconoscimento conscio coinvolge la corteccia prefrontale e altre aree del cervello che invece vengono tralasciate durante l’elaborazione inconscia. Le ricerche effettuate hanno fatto arrivare molti studiosi alla conclusione che non esiste un punto specifico del cervello che dà origine alla coscienza. La mente, semmai, si può rappresentare come un insieme di moduli di elaborazione delle informazioni sostanzialmente separati ma interconnessi, che presiedono alla sensazione, alla percezione, alla memoria, al movimento, al problemsolving, alle emozioni, ecc. I moduli processano le informazioni in parallelo, ma c’è anche un dialogo incrociato tra essi, come quando l’output di un modulo viene trasportato dai circuiti neuronali per fornire l’inp...


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