Riassunto di non luoghi di marc auge PDF

Title Riassunto di non luoghi di marc auge
Course Antropologia Medica
Institution Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro
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appunti non luoghi di M. Augè. Fornisce una definizione di ciò che si intende per luogo e non luogo....


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Riassunto di Non luoghi di Marc Augé

Antropologia (Università di Pisa)

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NONLUOGHI – M. Augè Introduzione ad una antropologia della surmodernità Introduzione Oggi le megalopoli si estendono anche lungo le coste, lungo i fiumi e lungo le vie di comunicazione, e così i filamenti urbani saldano fra loro le grandi agglomerazioni, accogliendo buona parte dei suoi abitanti e del tessuto industriale e commerciale. Le grandi città si misurano innanzi tutto per la capacità di importare o esportare gli esseri umani, i prodotti, le immagini e i messaggi. Sono più importanti quanto più sviluppate sono le reti autostradali, ferroviarie e aeroportuali, che dimostrano la loro capacità di relazionarsi con l’esterno, una capacità che è anche frutto dei centri storici sempre più oggetto d’attrazione per i turisti del mondo intero. Gli ellenisti ci hanno insegnato che sulle case greche vigilavano due divinità: Estia, dea del focolare, ed Hermes, dio della soglia. Ora al posto del focolare c’è il computer e la televisone, Hermes ha prso il posto di Estia. L’individuo, comodamente seduto sul sofà si dota di strumenti che lo mettono in contatto con il mondo intero, anche quello più remoto, e singolarmente può vivere in un ambiente indipendente al suo ambiente fisico immediato. L’ideale di un mondo senza frontiere è sempre apparso agli umanisti come l’ideale di un mondo in cui non c’è posto per l’esclusione. Ma quando si evoca l’ideale di un mondo senza senza barriere e senza esclusioni, non è detto certo che sia il concetto di frontiera ad essere messoin discussione. Questo perché il concetto stesso di frontiera segna la distanza minima che dovrebbe sussistere fra gli individui affinché siano liberi di comunicare fra loro come desiderano. La lingua nonè una barriera insuperabile, èuna frontiera, apprendere la lingua dell’altro significa stabilire con lui una relazione simbolica elementare, rispettarloe raggiungerlo, attraverso la frontiera. Come dimostra quest’esempio la frontiera non è un muro che impedisce il passaggio , ma una soglia che in un certo senso invita al passaggio, e che può essere attraversata nei due sensi. Anche il passaggio dalla vita alla morte è stato inteso come una frontiera. Le culture dell’immanenza e la metempsicosi. Il nostro ideale non dovrebbe perciò essere quello di un mondo senza frontiere, ma di un mondo nel quale tutte le frontiere siano riconosciute, rispettate e attraversabili. Il mondo di oggi ci viene proposto come un mondo in cui le antiche frontiere sono state cancellate. E’ 1

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chiaro che non è così semplice. Oggi esiste un’ideologia della globalità senza frontiere che si manifesta nei settori più disparati dell’attività umana, esiste certamente una globalità in rete che produce effetti di omologazione ma anche di esclusione, e anche per questo il concetto di frontiera rimane ricco e complesso, è non può essere ridotto al significato di divisone o separazione. Le cose non sono così semplici neanche quando affrontiamo il fenomeno della mondializzazione. Esso da un lato rimanda a quello che chiamiamo globalizzazione, ma dall’altro anche alla creazione di una sorta di coscienza planetaria. Quest’ultima ci permette di essere giorno dopo giorno più coscienti di abitare un unico pianeta, tale coscienza si presenta ecologica e inquieta: condividiamo tutti uno spazio finito e lo trattiamo male, condividiamo tutti uno spazio comune ma non condividiamo la medesima situazione: nel mondo esistono marcate discriminazioni e disuguaglianze: ricchi\poveri, alfabetizzatti\analfabeti L’immagine che della terra ci viene offerta è di unità ed armonia, ma le cose non stanno così. 1 parte L’antropologia è sempre stata un’antropologia del qui e dell’ora. L’etnologo è colui che si trova da qualche parte (il suo qui del momento) e descrive ciò che osserva e che ascolta in quello stesso momento; ogni etnologia suppone l’esistenza di un testimone diretto di un’attualità presente mentre tutto ciò che allontana dall’osservazione diretta allontana dall’antropologia. L’antropologo teorico che fa appello ad altre testimonianze e a campi diversi dai suoi, ricorre a testimonianze di etnologi e non a fonti indirette da interpretare. Dunque gli storici che hanno interessi antropologici non fanno dell’antropologia perché essi riguardano il passato e passano attraverso lo studio di documenti. Questo riguardo all’ora , passando al qui vediamo che: Il qui europeo, occidentale, acquista il suo senso in rapporto all’altrove lontano (una volta coloniale, oggi sottosviluppato) che gli antropologi inglesi e francesi hanno privilegiato. L’opposizione del qui e dell’altrove (Europa - resto del mondo che ricorda gli incontri di calcio organizzati tra nazionali) non può servire come punto di partenza per opporre due antropologie se non 2

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presupponendo ciò che ci siamo proposti di smentire e cioè che esistono due antropologie distinte. È sbagliato affermare che gli etnologi tendono a ripiegare sull’Europa a causa dell’esaurirsi delle realtà antropologiche lontane; in Africa, in America, in Asia esistono ancora oggi possibilità di studio concrete; esistono molti buoni motivi per lavorare sull’Europa il cui esame ci può condurre a mettere in discussione l’opposizione Europa - altrove dalla quale siamo partiti. Dietro la questione dell’etnologia vicina si profila un doppio interrogativo: oggi l’etnologia dell’Europa può aspirare allo stesso grado di sofisticazione e complessità di concettualizzazione proprio dell’etnologia delle società lontane? I fatti, le istituzioni, le modalità di raggruppamento (lavoro, tempo libero, residenza), i modi di circolare specifici del mondo contemporaneo sono passibili di uno sguardo antropologico? La risposta alla prima domanda è affermativa, almeno da parte di etnologi europeisti e in una prospettiva a venire anche se posta in questi termini la domanda è fuorviante: dovremmo interrogarci tanto su una insufficiente capacità di simbolizzazione delle società europee quanto su di una insufficiente capacità degli etnologi europeisti ad analizzarla. Per quanto riguarda il secondo interrogativo bisogna innanzitutto sottolineare il fatto che esso non si pone unicamente a proposito dell’Europa: ogni approccio antropologico globale deve prendere in considerazione una miriade di elementi tra loro interagenti, indotti dall’attualità immediata: vita sociale, lavoro salariato, impresa, sport-spettacolo, media… che svolgono su tutti i continenti un ruolo ogni giorno più importante. Tali osservazioni spostano il centro del discorso: non è l’Europa ad essere in ballo ma la contemporaneità come tale, nei suoi svariati aspetti. L’inchiesta etnologica ha i suoi vincoli (che sono anche le sue mobilità) e l’etnologo ha bisogno di circoscrivere, anche in modo approssimativo, i limiti di un gruppo che conoscerà e che lo riconoscerà. Noi, inteso noi etnologi, sapremo solo quello che coloro con cui parliamo e che vediamo ci dicono di coloro con cui non parliamo e non vediamo. L’attività dell’etnologo sul campo è un’attività di geometra del sociale, di manipolatore di scale: egli fa da sé un universo significativo, esplorando se necessario universi intermedi o 3

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consultando i documenti utilizzabili. Nulla impone che questi tipi di problemi si pongano in modo differente in africa o in una fabbrica parigina. Tutte le grandi strade dell’antropologia hanno teso a elaborare un certo numero di ipotesi generali che trovavano la loro ispirazione iniziale nell’esplorazione di un caso singolo ma che sfociano nell’elaborazione di configurazioni problematiche che andavano oltre quel caso specifico. La loro esistenza deve essere considerata come parte costituente della letteratura etnologica mentre l’argomento delle dimensioni, quando se ne parla a proposito di società non esotiche, concerne solo ad un particolare aspetto dell’inchiesta ossia il metodo (non l’oggetto). Non bisogna confondere metodo e oggetto poichè l’oggetto dell’antropologia non è mai stato la descrizione esaustiva di una porzione di villaggio o di un villaggio intero. La questione principale che si pone a proposito della contemporaneità vicina non è di sapere se e come si possa condurre un’inchiesta su un insediamento periurbano, un’impresa o un club vacanze ma di sapere se ci sono aspetti della vita sociale contemporanea che appaiano idonei a una ricerca antropologica proprio come le questioni della parentela, del matrimonio, del dono o dello scambio si sono imposte in un primo tempo all’attenzione (come oggetti empirici), poi alla riflessione (come oggetti intellettuali) degli antropologi dell’altrove. La ricerca antropologica si occupa, nel presente (cosa che basta a distinguerla dalla storia) della questione dell’altro (tutti gli altri: l’altro esotico, definito in rapporto ad un noi che si suppone identico, l’altro degli altri cioè l’altro etico o culturale che si definisce in rapporto a un insieme di altri ritenuti identici; l’altro sociale in rapporto al quale si istituisce un sistema di differenze familiari, politiche, economiche…), unico suo oggetto intellettuale, a partire dal quale sono definibili differenti campi di investigazione. L’individuo interessa l’antropologia non soltanto perché è una costruzione sociale ma anche perché ogni rappresentazione dell’individuo è necessariamente una rappresentazione del legame sociale che gli è consustanziale: il sociale comincia con l’individuo e dunque questo diventa oggetto di osservazione antropologica. Marcel Mauss poneva serie limitazioni alla definizione dell’individualità possibile di osservazione etnologica e non ritiene inoltre possibile che la società moderna possa costituire un oggetto etnologico veramente padroneggiabile (oggetto 4

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dell’etnologo sono per lui società ben localizzate nel tempo e nello spazio). Egli ritiene che l’uomo studiato dai sociologi non è l’uomo composito e controllato delle moderne classi alte ma l’uomo ordinario o arcaico che si lascia definire come una totalità. Il concetto di totalità però limita e mutila quello di individualità pensata come rappresentativa della cultura, come individualitàtipo, espressione di una cultura essa stessa considerata come un tutto.. Bisogna però imparare a dubitare delle identità assolute tanto sul piano collettivo che su quello individuale. Le culture lavorano senza mai costruire delle totalità compiute e gli individui, per quanto semplici li si immagini non lo sono mai abbastanza da non situarsi in rapporto all’ordine che assegna loro un posto: essi esprimono la totalità solo da una certa angolatura. Qualunque sia il livello al quale si applica la ricerca antropologica, essa ha per oggetto l’interpretazione dell’interpretazione che altri danno alla categoria dell’altro ai vari livelli spaziali e sociali. L’antropologia non tende a lasciare terreni esotici per rivolgersi ad orizzonti un po’ più familiari ma è il mondo contemporaneo stesso che, a causa delle sue trasformazioni accelerate, richiama lo sguardo antropologico, una riflessione metodica e rinnovata sulla categoria dell’alterità. Augè pone l’accento su tre di queste trasformazioni: La prima riguarda il tempo, la nostra percezione del tempo, ma anche l’uso che ne facciamo. L’idea di progresso che implicava , l’idea che il dopo potesse spiegarsi in funzione del prima, si è in qualche modo arenata sugli scogli del XX sec., con la scomparsa delle speranze o delle illusioni che avevano accompagnato la grande traversata del XIX sec. Scomparsa dovuta: alle atrocità delle guerre mondiali, dei totalitarismo e delle politiche di genocidio, ma anche alla fine delle grandi narrazioni, ovvero dei sistemici interpretazione che pretendevano di rendere conto dell’evoluzione dell’umanità in quanto insieme, e che in ciò hanno fallito a causa della distorsione e della scomparsa dei sistemi politici che si ispiravano ufficialmente ad alcuni di essi; e al dubbio sulla storia come portatrice di senso. Noi constatiamo quotidianamente che la storia accelera , ci insegue, come un ombra come la nostra morte. La storia, ovvero una serie di avvenimenti riconosciuti da molti come tali. L’avvenimento è sempre stato un problema per gli storiciche intendevano annegarlo nel grande movimento della storia e che lo concepivano come puro pleonasma fra 5

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un prima e un dopo concepito come lo sviluppo di quel prima. E l’accelerazione della storia corrisponde infatti ad un moltiplicazione degli avvenimenti il più delle volte non previsti da economisti, storici o sociologi. La sovrabbondanza degli avvenimenti è un problema e un problema di natura antropologica. Oggi noi sentiamo il bisogno di dare un senso al presente e al passato prossimo, e ciò costituisce il riscatto a questa sovrabbondanza di eventi e corrisponde a una situazione di sur modernità per render conto della sua modalità eccezionale: l’eccesso. L’eccesso di eventi estende la memoria collettiva, genealogica e storica, moltiplica per ogni individuo le occasioni in cui egli può avere la sensazione che la sua storia incroci la Storia e che questa interessi quella. E’ dunque attraverso l’eccesso, l’eccesso di tempo (allungamento delle aspettative di vita, la coesistenza abituale di quattro generazioni, )che si può iniziare a definire la condizione di sur modernità. La surmodernità, intesa come ulteriore evoluzione del postmodernismo, fa riferimento ai fenomeni sociali, culturali, intellettuali ed economici connessi allo sviluppo delle società complesse alla fine del XX secolo, con particolare riferimento al superamento della fase postindustriale e alla diffusione della globalizzazione. La condizione di surmodernità, a causa delle sue stesse contraddizioni, offre un ottimo terreno di osservazione e un ottimo oggetto alla ricerca antropologica. La surmodernità è caratterizzata da tre figure dell’eccesso (o sovrabbondanza) Sovrabbondanza di avvenimenti (eccesso di tempo) Sovrabbondanza di spazio (eccesso di spazio) Individualizzazione dei riferimenti (eccesso di ego) La difficoltà di pensare il tempo deriva dalla sovrabbondanza di avvenimenti del mondo contemporaneo. L’accelerazione della storia corrisponde a una moltiplicazione di avvenimenti il più delle volte non previsti da economisti, storici o sociologi. La sovrabbondanza spaziale è strettamente correlata al restringimento del pianeta nel senso che oggi, grazie ai mezzi di trasporto rapido, siamo in grado di raggiungere in poche ore qualsiasi parte del mondo; inoltre nella nostre case siamo continuamente bombardati da immagini che ci danno una visione 6

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istantanea di avvenimenti in atto all’altro capo del pianeta. La sovrabbondanza spaziale del presente si esprime in mutamenti di scala, nella moltiplicazione dei riferimenti immaginifici e immaginari e nelle accelerazioni dei mezzi di trasporto. Tutto ciò comporta modificazioni fisiche considerevoli: concentrazioni urbane, trasferimenti di popolazione e moltiplicazione dei “nonluoghi” (in opposizione alla nozione sociologica di luogo, associata da Marcell Mauss e da tutta una tradizione etnologica a quella della cultura localizzata nel tempo e nello spazio). La terza figura dell’eccesso è la figura dell’ego, dell’individuo. Quanto meno nelle società occidentali l’individuo si considera un mondo in sé, egli si propone di interpretare da se stesso per se stesso le informazioni che gli vengono date o che percepisce dall’esterno. Mai come oggi le storie individuali sono state così esplicitamente implicate nella storia collettiva ma allo stesso tempo mai i riferimenti dell’identificazione collettiva sono stati così fluttuanti; la produzione individuale di senso è dunque oggi più che mai necessaria. Agli antropologi si pone dunque dinnanzi una nuova questione: comprendere come integrare nella loro analisi la soggettività di coloro che osservano e come ridefinire le condizioni della rappresentatività. Le tre figure dell’eccesso con le quali Augè ha tentato di caratterizzare la condizione di surmodernità (sovrabbondanza di avvenimenti, sovrabbondanza spaziale e l’individualizzazione dei riferimenti) permettono di comprenderla senza ignorare le complessità e le contraddizioni, ma senza farne nemmeno l’orizzonte insuperabile di una modernità perduta di cui non avremmo più che da rilevare le tracce. Il XXI secolo sarà antropologico, non solo perché le tre figure dell’eccesso sono solo la forma attuale di una materia prima perenne che è la materia stessa dell’antropologia, ma anche perché nelle situazioni di surmodernità le componenti si sommano senza elidersi. 2 parte Sarebbe comodo per l’antropologo, analizzare le culture a compartimenti stagni, dividendo in maniera netta e lineare una cultura dall’altra, come se fossero sviluppate su isole senza nessun contatto con l’esterno. In questo modo 7

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si tralascerebbe però la naturale complessità della trama sociale. Il lavoro di schematizzazione dell’etnologo è quindi sostanzialmente culturale: mettendo in evidenza i segni maggiormente visibili (concreti, socialmente riconosciuti o simbolici) crea il luogo comune o antropologico. A questo luogo comune fanno riferimento poi tutti coloro che hanno un posto al suo interno. Il luogo comune risponde quindi ad una doppia esigenza: da un senso a chi lo abita e ne permette il riconoscimento all’osservatore. Il luogo è il prodotto di una società sufficientemente localizzata nel tempo e nello spazio. Il luogo antropologico è una costruzione simbolica e concreta dello spazio che da sola non può rendere conto delle problematiche e delle contraddizioni della vita sociale alla quale però si riferiscono tutti coloro ai quali essa assegna un posto; poiché l’antropologia è antropologia dell’antropologia degli altri, il luogo antropologico è allo stesso tempo un principio di senso per coloro che lo abitano e un principio di intelligibilità per colui che lo osserva. I luoghi antropologici possiedono tre principali caratteristiche:  IDENTITARI  RELAZIONALI  STORICI La mappa della casa, le regole di residenza, i quartieri di un villaggio, gli altari, i posti pubblici, la divisione del territorio corrispondono per ciascun uomo ad un insieme di possibilità, prescrizioni e interdetti il cui contenuto è allo stesso tempo spaziale e sociale. Nascere significa nascere in un luogo, essere assegnato a una residenza. In tal senso il luogo di nascita è costitutivo dell’identità individuale. In generale il dispositivo spaziale è ciò che esprime l’identità del gruppo (le origini del gruppo sono spesso diverse ma è l’identità del luogo che lo fonda, lo raccoglie e lo unifica) ma è allo stesso tempo ciò che il gruppo deve difendere contro le minacce esterne e interne perché il linguaggio dell’identità conservi un senso (identità). In uno stesso luogo possono coesistere elementi distinti e singoli ma di cui è impossibile negare le relazioni reciproche e l’identità condivisa che conferisce loro l’occupazione di uno stesso luogo comune. Così, per esempio, le regole di residenza che in molti villaggi assegnano un posto al bambino lo situano in una configurazione di insieme in cui egli condivide con altri “l’iscrizione” al suolo (relazione). Storico il luogo lo è necessariamente dal momento in cui, 8

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coniugando identità e relazione, esso si definisce da una stabilità minima; lo è nella misura in cui coloro che vi vivono possono riconoscervi dei riferimenti che non devono essere oggetti di conoscenza. Il luogo antropologico è storico per coloro che lo vivono in quanto sfugge alla storia come scienza (storicità). Il luogo antropologic...


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