Riassunto famiglia sostantivo plurale pdf PDF

Title Riassunto famiglia sostantivo plurale pdf
Author Laura Zerman
Course Politiche sociali e della famiglia
Institution Università degli Studi di Verona
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FAMIGLIA: SOSTANTIVO PLURALE CAPITOLO 1 LA FAMIGLIA IN ITALIA: LE TENDENZE AL CAMBIAMENTO NEL LUNGO PERIODO Nelle famiglie italiane le strutture si semplificano, anche se si moltiplicano le tipologie. In Italia ci si sposa, oggi, di meno e sempre più tardi, si generano meno figli e sempre più tardi; i figli tendono a rimanere in casa con i genitori ben oltre l’emancipazione sociale; gli anziani, anche se soli, tendono a formare nucleo familiare a sé e per lassi di tempo sempre più lunghi (visto l’allungamento della vita media). Dal punto di vista strutturale, quindi, la realtà familiare tende a polarizzarsi su base generazionale:

- da una parte famiglie composte da anziani soli o ancora in coppia - dall’altra parte adulti e giovani che danno origine a famiglie nucleari classiche (coppia coniugale+figli). Cambiano i modi, i rapporti, i legami di coloro che vivono sotto lo stesso tetto; si è modificato il senso, il valore, il significato che gli attori sociali danno alle relazioni familiari, sono cambiate le motivazioni e le aspettative che sono alla base di scelte importanti (quali sposarsi, uscire di casa, generare figli). Anche nel passato vi erano molteplici forme familiari, ma ognuno viveva la “sua” famiglia come l’unica possibile. La famiglia come istituzione era un contenitore che accoglieva al suo interno uomini e donne, generazioni diverse scandendo e segnando i ritmi e le fasi delle biografie individuali. Oggi sono le biografie individuali di uomini e donne che scandiscono i ritmi e le fasi del ciclo di vita delle famiglie. Le famiglie, in Italia, si caratterizzano per: • una semplificazione delle strutture: un basso numero di componenti (i single, la coppia coniugale, un solo genitore con figli) • pluralizzazione delle forme: nascono nuove forme familiari (convivenze, nuclei monogenitoriali, famiglie ricostituite). Alcuni dati:

- l’ampiezza media di una famiglia è inferiore alle 3 unità, dal momento che single e famiglie di coppia raccolgono più del 50% delle diverse forme familiari;

-

coppie con 1 figlio: 45,8%; coppie con 2 figli 42,9%; coppie con 3 figli: l’11,3%; famiglie monogenitoriali: 12,3%; le famiglie con più di 5 componenti: 6,5% famiglie con due o più nuclei familiari: 5,1%.

Si assiste dunque ad un processo di:

- “esplosione” delle diverse modalità del vivere sotto lo stesso tetto - “implosione”: sempre più famiglie e, contemporaneamente, famiglie sempre più piccole.

Processo che alcuni autori tendono a leggere come la fase matura del declino della famiglia italiana, iniziato nella seconda metà degli anni ‘70 del secolo passato. Privatizzazione, de-istituzionalizzazione, individualizzazione sono espressioni che suggeriscono l’esistenza di un lento spostamento della famiglia da istituzione a gruppo, da sottoinsieme sociale specializzato nell’assolvimento di funzioni socialmente rilevanti ad affare “privato”, unità di affetti. Famiglie, dunque, che sempre più frequentemente sono viste e definite come “unità degli affetti” e che si muovono prevalentemente nell’area del consumo, piuttosto che come agenzie impegnate e specializzate nell’assolvimento di compiti e funzioni a forte rilevanza sociale. Tali processi sono più forti ed accentuati nel Nord Italia. L’acceso dibattito che si è aperto in Italia sulla necessità di promuovere politiche sociali a sostegno dei carichi familiari dimostra che il depotenziamento della famiglia (trasferimento delle funzioni di cura alle istituzioni di welfare) è stato più apparente che reale e che quando le famiglie smettono di tessere le connessioni tra il dentro e il fuori, quando smettono di produrre legami sociali, quando incontrano difficoltà crescenti a svolgere il proprio lavoro di accudimento, di cura, i costi sociali diventano elevati. Al di là delle apparenze, la famiglia pur essendo un nucleo privato di affetti, continua a svolgere spesso in silenzio funzioni socialmente rilevanti, sintetizzabili nella parola “mediazione”: tra dentro e fuori della famiglia. Quella che un tempo era considerata fonte per eccellenza di sicurezza e tranquillità, è diventata per molti aspetti fonte di stress, di insicurezza, di incertezza, di vulnerabilità. Il matrimonio non è più per la vita; essere sposati, avere figli è spesso causa di povertà, di esposizione a maggiori rischi sociali. Questo senso crescente di incertezza, insicurezza e vulnerabilità riguarda sia la relazione coniugale che quella di filiazione, ma si inserisce entro una cornice sociale più ampia che si può definire “società del rischio” e della scelta. A causa di fattori sociali, culturali ed economici l’immagine che emerge è quella di una famiglia sempre più gruppo e sempre meno istituzione, percepita ed “agita” socialmente come sfera privata, più produttrice di gratificazioni affettive e psicologiche che non di risorse. Tali fattori sono:

-

invecchiamento della popolazione; riduzione dei tassi di fecondità e di nuzialità; cambiamento del ruolo sociale della donna; sviluppo di nuove agenzie extra-familiari, che coprono ambiti della riproduzione sociale un tempo di competenza quasi esclusiva della famiglia;

- famiglia come un affare privato (un ambito di vita e di relazioni “personali”, esclusive, cementate da una solidarietà regolata da codici interni e prodotti dalle stesse relazioni familiari);

- forti investimenti sui figli, la cui “qualità” di vita è fortemente correlata alla riduzione del loro numero. Il fare famiglia non è più visto e vissuto come una tappa per l’ingresso nella vita adulta. L’aumento delle convivenze, delle separazioni e dei divorzi, la crescita dei nuclei composti da un solo genitore con figli e dei nuclei ricostituiti (composti da soggetti provenienti da un precedente vincolo matrimoniale) dimostrano quanto oggi i percorsi di vita siano diventati discontinui e non prevedibili.

La piccola grande rivoluzione degli anni ‘70 del secolo scorso Alla fine della seconda guerra mondiale, la famiglia italiana era una famiglia rurale e tradizionale negli stili di vita e di consumo, i cui membri erano ordinati, gerarchicamente, per età e sesso lungo l’asse del potere. La famiglia negli anni ‘70 compì la sua prima rivoluzione. Televisione, frigorifero, lavatrice e telefono sono entrati in ogni casa a sottolineare l’esistenza di un nucleo (famiglia nucleare) che svolge la funzione riproduttiva senza più legami di dipendenza e di interscambio con la parentela, il vicinato, la comunità. Il “fare famiglia” non è più visto e vissuto come passaggio per poter entrare nella vita adulta, per poter accedere ai diritti di cittadinanza, ma diventa una scelta personale. La famiglia non è più considerata come “sistemazione“. Anni ‘70:

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livelli più elevati e diffusi di benessere; crescita scolarizzazione; allungamento della durata della formazione; aumento dei tassi di occupazione tra le donne coniugate; consolidamento di una rete di protezione sociale che tutela il cittadino in quanto tale; rivoluzione sessuale.

Tutto ciò da origine a una famiglia che presenta i caratteri di un’unità solidale di due adulti che, per il miglioramento della qualità della vita, sia materiale che relazionale, possono permettersi il “lusso” di curare le relazioni affettive interne. Il matrimonio è visto come l’unione affettiva e sessuale di sue soggetti di pari dignità e valore; unione, le cui regole devono essere quotidianamente costruite, corrette; unione di due adulti che molto investono sui figli, sempre più spesso voluti e programmati. La procreazione perde il carattere dell’obbligatorietà e diventa un “valore”. Il figlio diviene un bene che si sceglie e per il quale si è disposti a riorganizzare e modificare tempi e modi della vita di coppia. La coppia coniugale è sostenuta da un insieme di servizi che nascono (nidi) e/o si rinnovano (scuola materna ed elementare) negli anni ‘70, con l’obiettivo di creare un sistema di opportunità, al cui interno il bambino possa realizzare tutte le sue potenzialità. 1970: superamento dell’indissolubilità del vincolo matrimoniale (divorzio) 1975: riforma del diritto di famiglia che introduce:

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depenalizzazione del reato di adulterio, eliminazione dell’istituto dell’autorità maritale, eliminazione del delitto d’onore, abrogazione delle norme che vietano l’uso e la vendita di contraccettivi, eliminazione dell’istituto della dote, introduzione del divorzio, sancisce, per la donna, il diritto a mantenere, dopo il matrimonio, il proprio cognome.

Dal diritto di famiglia del 1975 scaturiscono diritti e doveri caratterizzati da reciprocità e simmetria. Prima: la famiglia era vista come una realtà esterna all’individuo, come fatto sociale (= modo di agire, di pensare, di sentire esterno all’individuo, appartenente alla comunità, che costituisce

comunque un punto di riferimento per l’individuo, che su di esso modella la propria identitàDurkheim) con una propria normatività interna che s’impone ai suoi membri, riconducendo motivazioni, vocazioni e desideri individuali ad un’unità familiare. Dopo: la famiglia è un’unità solidale di due soggetti che “si scelgono” e “scelgono di vivere insieme” più per affetto e amore che per interesse materiale. Sono molti e radicali i cambiamenti introdotti con il nuovo diritto di famiglia (legge n. 151/1975): 1. innalzamento a 18 anni dell’età per contrarre matrimonio, a conferma dell’importanza di una scelta che deve essere compiuta senza la mediazione di altri, che non siano i due nubendi, dai quali ci si aspetta maturità, consapevolezza e capacità di assunzione di responsabilità (prima decidevano i genitori; così si evita il fenomeno delle spose bambine); 2. trasferimento dal padre al magistrato della facoltà di concedere o meno l’autorizzazione a contrarre matrimonio ai figli minori (tutela del minore); 3. attribuzione dell’esercizio della patria potestà sui figli ad ambedue i genitori (rivalutazione del ruolo della donna); 4. possibilità, per la coppia, di scegliere tra la comunione o separazione dei beni; 5. riconoscimento della centralità del lavoro casalingo; 6. il coniuge viene posto prima dei figli (50% del coniuge morto va al coniuge vivo, il restante diviso tra i figli); 7. allineamento dei figli naturali riconosciuti con i figli nati dentro il matrimonio, per ribadire la centralità dell’interesse del minore rispetto all’interesse patrimoniale della famiglia 8. obbligo dei genitori di educare i figli nel rispetto delle loro inclinazioni e non più nel rispetto della morale corrente. Famiglia, dunque, quella degli anni ‘70: • sempre più gruppo e sempre meno istituzione; • puerocentrica e non più adultocentrica; • “affare privato” più che snodo fondamentale del controllo sociale; • “cameratesca” nella gestione del quotidiano e non più cellula gerarchicamente ordinata al suo interno; • unità di soggetti interagenti che “costruiscono” socialmente, attraverso le interazioni quotidiane, la loro famiglia, più che sistema coeso e ordinato di regole e norme alle quali gli attori devono attenersi. Le famiglie sono sempre più piccole, liberate dagli oneri di riproduzione e si permettono il lusso di curare le relazioni interne. Ci sono ancora delle asimmetrie non del tutto superate (sovraccarico funzionale della donna). La famiglia comincia successivamente a doversi confrontare con nuove sfide come: contingenza, negoziazione, flessibilità che mettono sotto stress la capacità dei componenti di giungere ad una costruzione condivisa delle regole e delle norme del vivere sotto lo stesso tetto. Da realtà sociale che scandiva con i suoi tempi e modi delle biografie individuali, oggi sono i tempi ed i modi delle strategie di vita individuali che scandiscono i tempi della famiglia.

L’onda lunga degli anni ‘90 Il “fare famiglia” diventa una scelta sempre più procrastinata nel tempo e sempre più improbabile. Tramonta per i giovani il modello del matrimonio come sodalizio di due adulti che si scelgono; c'è la tendenza a rimanere attaccati alla sfera genitoriale in quanto fornisce sicurezza, anche materiale che aiuta ad affrontare un futuro, i cui contorni sono sempre più sfumati ed incerti. Ci sono bassi tassi di nuzialità: aumenta l'età in cui si contrae il primo matrimonio (m+34, f+32), aumenta la percentuale di celibi/nubili 18-34 che vivono con i genitori (67%) e quasi 1 matrimonio su 3 finisce con una separazione. Prima: se due soggetti sentivano di avere gli stessi diritti/doveri puntavano a trovare un modus vivendi, cioè coniugare il massimo della libertà con il massimo della sicurezza. Oggi: spesso la coppia non giunge ad alcuna forma di mediazione-negoziazione, preferendo la risoluzione della relazione ad una costruzione e/o ricostruzione discorsiva di un legame problematico, attraverso il confronto e, a volte, attraverso il conflitto (che spesso viene evitato). Rapporto genitori-figli:

- Prima: genitore visto nel ruolo attivo e propositivo di chi aiuta, favorisce, asseconda i processi di crescita del figlio

- Oggi: crescente incapacità di fronteggiare la sfida della crescita delle nuove generazioni, diffuso senso di inadeguatezza che i genitori sperimentano nel quotidiano e faticoso lavoro di cura ed accudimento dei figli. Oggi le relazioni familiari stanno vivendo una fase di profondo cambiamento. Le crescenti difficoltà relazionali (sintetizzabili in una più marcata fragilità delle relazioni coniugali e di coppia e in una diffusa percezione dell’elevata contingenza legata ai legami genitori-figli) trovano un loro terreno di coltura in un affievolimento dell’etica della responsabilità, in un’accentuazione delle spinte individualistiche e narcisiste. Fragilità, insicurezza e incertezza caratterizzano la modernità riflessiva. Cioè c'è un sistema simbolico e culturale all'interno del quale l'attore sociale si muove operando scelte, valutando i pro e contro, le conseguenze potenziali delle sue opzioni, non affidandosi più al sapere tradizionale. In questo senso l’attore sociale svolge un’azione meta-riflessiva su quello che fa o non fa nelle sue relazioni affettive, nei suoi legami sociali: l’attivazione, il mantenimento e la costruzione delle relazioni familiari diventano azioni “consapevoli” che richiedono un elevato impegno personale. Sul versante interno delle relazioni familiari, insicurezza e incertezza non sono in sé elementi di debolezza, ma possono diventare punti di forza, nella misura in cui hanno liberato i legami familiari dalla routine, dalla dipendenza reciproca e dall'accettazione di norme piuttosto che dalla condivisione. La decisione di generare un figlio necessita di un tempo lungo: almeno la durata di una generazione (30-32 anni); anche se la relazione coniugale non è più per la vita, rimane il fatto che la vita di coppia ha potenzialmente una durata di 45-50 anni. Ad allungare i tempi della famiglia ci sono anche altre componenti: una crescente frammentarietà, discontinuità e accorciamento dei tempi delle altre sfere di vita, in particolare di quella lavorativa. Infatti il lavoro nei primi anni è

caratterizzato da discontinuità cicliche (contratti di formazione, lavoro rinnovabili) e ricorrenti (flessibilità/precarietà). Tutto ciò porta a insicurezza, incertezza e vulnerabilità nella biografia di vita individuale. I tempi della famiglia diventano "anacronistici". C'è un delicato equilibrio tra sicurezza e libertà che va cercato nel confine tra il dentro (dinamiche familiari) e il fuori (dinamiche sociali).

La famiglia tra incertezza, vulnerabilità e nuove istanze di istituzionalizzazione Mentre nella società tradizionale si nasceva con determinati vantaggi, per es. di ceto o di religione, per ottenere i nuovi vantaggi nella società contemporanea bisogna fare qualcosa, impegnarsi attivamente, qui i vantaggi vanno conquistati. Questa necessità di impegnarsi attivamente diventa l’imperativo che regola anche le relazioni affettive tra uomo e donna. Dal momento che, oggi, uomini e donne non sono più legati, dentro il matrimonio, da forti vincoli di dipendenza reciproca, la relazione coniugale deve essere costruita, confermata e riconfermata giorno per giorno, in quanto nulla tiene più unita la coppia se non il desiderio-volontà di stare insieme, le aspettative di auto realizzazione e di realizzazione di progetti di vita condivisi, la responsabilità reciproca alla cura e all’accudimento. Le regole vengono "soggettivizzate" in base alle coppie, ma la relazione è anche fonte di stress: richiede un continuo processo di "manutenzione", non è più data per scontata ma dev'essere coltivata. Diventare madre/padre è una scelta libera che va soppesata; è l’attore sociale che “deve” scegliere se generare o non generare, che deve essere in grado di valutare le conseguenze che questa scelta comporta per la sua vita. I costi individuali e sociali delle relazioni familiari cominciano a farsi sentire:

- permane elevatissima la conflittualità che accompagna la coppia prima, durante e dopo una separazione;

- con le separazioni e i divorzi cresce la schiera di uomini che allentano i legami con i figli; - il lavoro di cura, ambito privato e femminile per eccellenza, non è più un fattore protettivo per la donna, ma fattore di rischio povertà e di discriminazioni sia nel mondo del lavoro, che nella ripartizione delle responsabilità familiari;

- i tassi di fecondità sono tanto bassi da avere innescato una irreversibile crisi demografica. E' quindi necessario attivare " politiche amichevoli verso le nascite" (familiy friendly) tese a valorizzare il lavoro di cura e renderlo meno oneroso per l'attore sociale nella gestione del suo budget quotidiano.

Capitolo 2 L’IDENTITÀ PATERNA E MATERNA NELLA FAMIGLIA CONTEMPORANEA L’identità nella prospettiva sociologica La famiglia trova nello stretto connubio tra sessualità e procreazione il fattore distintivo, rispetto ad altre relazioni. L’identità riveste un ruolo di mediazione tra individuo e società, in quanto consente all’individuo di situarsi nel sistema sociale e di essere a sua volta individuato socialmente. L’identità è caratterizzata da due componenti: relazionale e processuale. L’identità è, infatti, un “set di attributi” del quale l’attore sociale acquista coscienza solo attraverso le relazioni con l’altro da sé, divenendo consapevole delle aspettative di comportamento che gli altri maturano nei suoi confronti per il fatto che possiede o non possiede l’insieme degli attributi che caratterizzano e definiscono la sua identità. La sociologia assume che vi sia un buon grado di sovrapposizione tra identità individuale e identità sociale, e che quindi il comportamento dell’attore sociale, in quanto espressione di una intenzionalità dotata di senso, sia riconducibile al complesso delle aspettative di comportamento che su di lui ricadono per il fatto che sia collocato in una determinata posizione sociale. Per la sociologia, l’identità dell’attore sociale assume senso e significato solo se è riconducibile al concetto di conformità ai ruoli sociali. L’identità, inoltre, è data da un “set di attributi” che l’attore sociale riferisce a se stesso e acquisisce nel tempo, attraverso i processi di socializzazione mediati dalle relazioni reiterate e ripetute nel tempo con altri da sé. L’identità, dunque, si costruisce nel tempo attraverso relazioni di identificazione e di differenziazione, ma anche di conferme e disconferme. Ma tende anche a modificarsi nel tempo. Il ruolo sociale, inteso come modello di comportamento socialmente normato e legittimo, può essere visto come una risposta pre-ordinata ai problemi di costruzione dell’identità e delle biografie di vita, in quanto offre risposte date alle domande esistenziali fondamentali: chi sono, dove sono, come devo vivere? Società tradizionali: la costruzione dell’identità si configurava come un percorso già ampiamente e profondamente tracciato e delineato, con poche possibilità di deviazioni Modernità: i percorsi si moltiplicano e all’attore sociale è data la possibilità di scegliere tra più strade da percorrere, con possibilità anche di “ripensamenti”. L’appartenenza esclusiva ad alcune cerchie sociali si allenta, l’identità è il risultato di un lento processo di costruzione che avviene tramite il contatto/inclusione in cerchie sociali sempre più numerose, nessuna ...


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