Riassunto - L\'artificio e l\'emozione PDF

Title Riassunto - L\'artificio e l\'emozione
Author Carolina Pallini
Course Teorie e tecniche del teatro contemporaneo
Institution Università degli Studi di Parma
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Riassunto - L'artificio e l'emozione, Luigi Allegri - Teorie e tecniche del teatro contemporaneo...


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Premessa

L’artificio e l’emozione

PREMESSA I personaggi sono fatti della materia d cui sono fatti i sogni, mentre gli attori sono fatti della materia di cui è fatta la realtà e agiscono nello spazio e nel tempo. Personaggio e attore appartengono a due mondi separati, eppure devono trovare un luogo in cui incontrarsi. Il luogo è il palcoscenico, in cui gli attori agiscono e agli spettatori appare come la casa abitata dai personaggi. Il modo è stato per secoli il comune accesso all’universo delle emozioni e dei sentimenti, immateriali come i personaggi ma resi visibili dai comportamenti degli attori. Come dare fluidità allo scambio tra l’universo immateriale dei personaggi e il mondo reale degli attori? Questo approccio ha assunto forme sempre differenti, ma spesso si è tradotta in una ricerca di “naturalezza” che guardava ai comportamenti della vita quotidiana come modello. Nella cultura teatrale del Novecento si produce la prima frattura, perché le teorie e le pratiche d’attore tendono a eliminare il riferimento alla quotidianità come parametro per costruire la performance. Nel 1907, Craig annuncia che “dobbiamo abbandonare l’idea che esistono azioni naturali o innaturali, e suddividere invece le azioni in necessarie e inutili. Se un’azione è necessaria si può dire che in quel momento è naturale”. La nozione di “naturalità” perde ogni riferimento alla quotidianità e diventa attributo intrinseco del gesto che si produce in scena. L’azione è naturale se è utile, giusta, vera, bella, efficace indipendentemente dalla realtà quotidiana. Nel 1933 Brook definisce il gesto “naturale” esclusivamente dalla grazia e dalla padronanza con cui viene prodotto: “naturale significa che nel momento in cui qualcosa accade non ci sono né analisi né commenti, suona semplicemente vero”. Vero in sé, come gesto scenico, non perché verosimile o psicologicamente credibile. L’ulteriore frattura del Novecento sta nell’abbandonare il tema tradizionale del rapporto tra attore e personaggio, per passare all’attore come performer, come portatore di azioni sceniche che hanno in sé il proprio significato. La teatralità novecentesca vede la scena come luogo dell’artificio, luogo di azione dell’attore e delle sue tecniche. il pensiero del Novecento è sempre radicale, e compie scelte nette: o la simbiosi totale o la separatezza non mediabile, o la verità assoluta delle passioni o l’artificialità dichiarata.

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Introduzione

L’artificio e l’emozione

PRELIMINARI E PERIMETRI Il prontuario delle pose sceniche di Morelli (1854) condensa i precetti della recitazione ottocentesca in formule semplici e lapidarie, utili ad atteggiare mimica facciale e pose del corpo secondo le diverse passioni dell ’animo. Il presupposto teorico è che fare l'attore vuol dire soprattutto trovare gli strumenti per esprimere verosimilmente i sentimenti e gli stati d'animo del personaggio. Oggi e per tutta la cultura teatrale del Novecento, al nodo problematico che lì viene affrontato, l'attore novecentesco è sostanzialmente estraneo e indifferente. Perché quella concezione è fondata su un presupposto, quello che nel lavoro dell'attore la centralità stia nel rapporto tra attore e personaggio, rispetto al quale il teatro del Novecento segna una radicale frattura. Nel corso della storia l'attore ha avuto talvolta altre modalità di espressione, anche diversissime da questa. L'idea che alberga nella coscienza comune prevede che un attore sia un individuo che usa il bagaglio delle sue tecniche e il patrimonio della sua sensibilità in gran parte per rendere verosimile e appassionante la rappresentazione del personaggio, entità fittizia che grazie a lui si materializza davanti agli occhi degli spettatori. Nelle culture teatrali del Novecento è proprio questo rapporto attore-personaggio che entra in crisi. Anche nel Novecento l'attore si pensa spesso come interprete di personaggi, ma raramente investe sulla verosimiglianza psicologica delle sue azioni e delle sue espressioni, perché non è più lì che individua il centro e il fulcro del proprio operare artistico. Nel pensiero teatrale novecentesco vi è il rifiuto e la condanna del modello d’attore ricevuto in eredità dalla cultura ottocentesca. L'età contemporanea non presenta i caratteri di unitarietà che sono appartenuti a molte delle epoche precedenti, la cultura si frammenta, non trova e non ricerca un centro e una uniformità. il Novecento sperimenta e mette in campo tante idee di teatro, diverse e anche divergenti, senza che nessuna mai riesca a raggiungere quel grado di condivisione sufficiente a farla diventare patrimonio comune. Sono innumerevoli anche le teorie e le prassi d ’attore. Gli insegnamenti ottocenteschi sono tutti rivolti alla capacità di modulare la voce e di esprimere con la mimica facciale e con le pose del corpo le passioni e i sentimenti del personaggio, oppure alle tecniche per appassionare gli spettatori con quel sovraccarico di emozionalità che il teatro dell'epoca esige. Per un autore romantico o del teatro borghese di fine Ottocento, ciò che è essenziale è la capacità di rappresentare il personaggio e di affascinare lo spettatore attraverso la voce, la gestualità, l'emozione. Il corpo è uno strumento secondario, da atteggiare in pose plastiche e da vestire con abiti adeguati alla situazione, chiamato a esprimere una gestualità codificata. Questo perché la forma di quel teatro guarda ai significati che nascono dai dialoghi e dalle situazioni e non investe l'attore in quanto corporeità. La scissione tra corpo e parola è ben rappresentata dalla divaricazione tra danza e teatro di prosa: l’espressività del corpo appartiene alla danza, non al teatro. Se dovessimo indicare da un lato un tratto che accomuna molte teorie e pratiche dell’attore novecentesco, e dall'altro segna la sua “differenza” rispetto alle tradizioni ottocentesche, potremmo individuare proprio il riscatto della corporeità dell'attore, che è invece il grande rimosso della cultura teatrale sette-ottocentesca. Non è la prima volta che l'attore pone il proprio corpo al centro dell’azione spettacolare, anche le esperienze precedenti, dal giullare medievale all’attore della Commedia dell'Arte, sono sempre state considerate poco omogenee alla tradizione dell’attore occidentale, tanto che in alcuni casi è stata loro spesso negata la denominazione stessa di attore. Perché quelle pratiche sfuggivano alla missione che la civiltà occidentale generalmente ha assegnato all'attore, quella di rendere credibile il personaggio da rappresentare, nelle diverse maniere con cui le varie epoche hanno affron tato il problema della credibilità. Il Novecento assegna all’attore questo compito in modo molto più marginale che nel passato, si trova nella necessità di ripensare la nozione stessa di attore. Il Novecento è l'epoca delle teorie e degli estremismi, gli attori e ancor più i teorici contemporanei affrontano questa operazione di ridefinizione con una radicalità prima sconosciuta. Se etimologicamente l'attore è un individuo che agisce, culturalmente è invece diventato, nel comune sentire della nostra società, un individuo che soprattutto interpreta e che dunque ha nella voce il

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Introduzione

L’artificio e l’emozione

principale mezzo per esprimersi. Ancora oggi l'attore è una persona capace di imitare credibilmente comportamenti e sentimenti non suoi, smuovendo le emotività di chi assiste attraverso le passioni che esprime, servendosi di una voce educata e modulata. Il termine performer significa persona che, a prescindere da ogni volontà rappresentativa, si produce in azioni particolari in favore di qualcuno che guarda . La particolarità di queste azioni consisterà prevalentemente nella loro non quotidianità, nel loro essere espressione di una qualche abilità. Performer è qualsiasi attore in grado di suscitare l'interesse di uno spettatore, tutti usano strumenti performativi, ossia che hanno a che fare con l’azione e dunque il corpo, la voce, le abilità, i costumi, l'occupazione intenzionale dello spazio. In linea teorica l'attore del Novecento rivendica a sé questa definizione ampia del proprio operare. L’attore contemporaneo si pensa prima di tutto come performer e solo dopo si attribuisce altre definizioni e altre funzioni più specifiche. Sembra anche voler recuperare quel dato dell’artificialità che è intimamente connesso con la nozione di teatro e che l'ossessione per il realismo e la mimesi della quotidianità mirava tendenzialmente a nascondere. I teorici del primo Novecento sono spesso individuati come i “riteatralizzatori”, come se il canone della verosimiglianza della quotidianità avesse tolto teatralità al teatro e fosse loro compito reintrodurla. Più di quanto avviene con le altre arti, col teatro si assiste a un vistoso fenomeno di scissione tra la teorizzazione e la prassi concreta del palcoscenico, fenomeno che si accentua di molto in epoca contemporanea. Balzano in primo piano le teorie, le pratiche realizzative di persone e di movimenti che poi hanno spesso inciso poco o pochissimo nei meccanismi della produzione teatrale corrente e nelle abitudini di fruizione degli spettatori. Mentre la teorizzazione novecentesca frequenta spess o parametri antinaturalistici, il sistema di attese di giudizio, implicito o esplicito, degli spettatori è spesso dentro quei parametri. Analizziamo pure le teorie e le realizzazioni di Craig e di Copeau, perché lì sta la novità del pensiero teatrale novecentesco, ma con la consapevolezza che è necessario relativizzare questi fenomeni, se l’intenzione è quella di restituire con sufficiente obiettività la situazione reale della produzione teatrale del XX secolo. Nel corso della sua storia l'attore ha sempre dovuto misurarsi con una forma che pur scontando diversità anche radicali, presupponeva sempre i medesimi strumenti espressivi: la presenza scenica, il corpo, la voce, l'emozione, la capacità di emozionare e di affascinare, ma sempre in un rapporto diretto con lo spettatore, in presenza l'uno dell'altro. L'attore del Novecento invece ha dovuto misurarsi anche con altri strumenti di comunicazione come il cinema e poi la televisione , che hanno imposto la ricerca di tecniche diverse e specifiche ma hanno anche influito sulla stessa forma dell’azione teatrale, e soprattutto sulle abitudini di fruizione degli spettatori. È pur vero che l'orizzonte di attesa dello spettatore discende dalla straordinaria forza del modello teatrale che con approssimazione chiamiamo “naturalistico”, ma è altrettanto vero che i nuovi strumenti di comunicazione di massa, a partire dal cinema, che non a caso nasce nel medesimo periodo in cui si afferma il naturalismo, hanno alimentato e irrigidito quell’orizzonte di attese. Il cinema nel giro di qualche decennio ha prima affiancato e poi ha iniziato a sostituire il teatro in alcune delle funzioni che storicamente al teatro erano sempre appartenute. Lo ha sostituito perché si è dimostrato uno strumento più adatto, sia dal punto di vista industriale che da quello comunicativo, perché in grado di espletare quelle funzioni in modo più realisticamente credibile, e dunque più affascinante per lo spettatore. In questa prospettiva il cinema va allora nella stessa direzione del teatro naturalista e ne condivide i presupposti comunicativi, rafforzando di conseguenza le abitudini di fruizione del pubblico. Se il parametro decisivo deve essere quell’impressione di realtà inseguita dalla cultura naturalistica, il cinema arriva subito dove il teatro non è mai riuscito ad arrivare, se non parzialmente nel realismo cruento degli spettacoli della Roma imperiale o in alcuni esperimenti della spettacolarità seicentesca. Se il cinema va in quella direzione e riesce molto meglio a soddisfare le esigenze del pubblico, ai teatranti non resta che cambiare direzione, lavorare sui linguaggi, trovare altri strumenti di espressione cui affidare le proprie necessità estetiche e operative, è naturale che questa ricerca li conduca

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Introduzione

L’artificio e l’emozione

sostanzialmente dalla parte opposta, lontano dalla credibilità naturalistica . Dullin nel 1927 inCe sont les dieux

qu’il nous faut dice che “il cinema, con la sua verità, ha ucciso il naturalismo” a teatro. È anche da lì che parte il distacco del teatro contemporaneo dai paradigmi della verosimiglianza e della rappresentazione della quotidianità. Contestualmente anche da lì nasce la scissione tra le teorie dei teatranti e l'orizzonte di attesa degli spettatori, che il successo del nuovo strumento cinematografico contribuisce a rafforzare e a esaltare. Il panorama si complica con l'arrivo della televisione, che si inserisce nel medesimo percorso di restituzione della realtà quotidiana e di “impressione di realtà”. Anzi, il compito della televisione è addirittura quello di catturare la realtà nel suo farsi e di trasmetterla in tempo reale, senza manipolazioni o interventi di ricostruzione. Indipendentemente da ogni modificazione di linguaggi e di funzione sociale, quest’aura originaria di autenticità documentaria, di realtà colta in flagrante, non ha mai abbandonato del tutto la televisione. Al di fuori delle situazioni in cui la televisione abdica al proprio linguaggio e alla propria fruizione per assumere quelli del teatro o del cinema, il presupposto per lo spettatore è che chi appare in video non “reciti” ma sia sempre “se stesso”. Questa percezione di realtà si è poi non poco accentuata negli ultimi tempi, col fenomeno dei programmi in cui intervengono le persone comuni. La percezione dello spettatore è, che vede o crede di vedere un evento che diverte, affascina e commuove attraverso attori che “non recitano” ma sono persone “vere”, “reali”. L'attore teatrale si colloca agli antipodi di queste pratiche e di questi contesti , ma è proprio questo suo collocarsi agli antipodi che va indagato, perché proprio lì sta la novità e la specificità dell’attore novecentesco. Egli sembra sostanzialmente abbandonare questo valore della naturalità a vantaggio semmai del valore della “verità”, intesa in un senso molto diverso da quello della corrispondenza alla realtà quotidiana. La “verità” che ricerca il teatro contemporaneo è di natura più alt a o più profonda. È la verità che sta sotto la crosta di apparenza della quotidianità, è la ricerca di un'autenticità che la realtà quotidiana tende a nascondere. Questo è sostanzialmente il compito che il teatro contemporaneo si è assegnato. La ricerca teatrale dei nostri tempi finisce spesso con l’approfondire quel solco che la separa dall’orizzonte di attesa della grande maggioranza del pubblico. Ma insieme arriva a costituirsi come un luogo di resistenza all’appiattimento e alla omogeneizzazione culturale e sociale del vivere contemporaneo ; un luogo che si nega alla velocità e alla compressione del senso e del tempo, perché la durata teatro non è comprimibile; un luogo che non offre la fruizione di simulacri, ma che vive della compresenza dell'uomo all'uomo; un luogo che ricerca la complessità e non la semplificazione, la profondità e non la superficie, le emozioni e non le sensazioni. Tutto questo grazie alla centralità dell'attore, uomo di fronte ad altri uomini, che si offre come motore e garante di questa ricerca di autenticità.

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Capitolo 1

L’artificio e l’emozione

LE FORME DELLA TRADIZIONE Il Grande Attore dell’Ottocento In una sorta di recensione che Flaubert scrive in occasione del passaggio a Rouen di Elizabeth Rachel Felix detta Rachel disegna in lei quella figura che la critica ha definito come il “Grande Attore” del teatro ottocentesco (Kean, Modena, Salvini, Rossi, Ristori). L’attore-divo è visto come una sorta di essere sovrannaturale, ciò dipende dal ruolo che la società francese ed europea di metà Ottocento affida al teatro, quando i furori del romanticismo nascente si sono attenuati ma la cultura ha assorbito lo spirito romantico di esaltazione dell ’arte come espressione di una sensibilità particolare e luogo di manifestazione esasperata delle passioni. Il teatro il paradigma di questa atmosfera, oltre che luogo fisico in cui più che altrove queste tensioni si addensano, perché nell’azione teatrale le passioni si esibiscono e si amplificano, fino ad assumere dimensioni non ordinarie. E al centro di questo universo il Grande Attore è il vero “signore delle passioni”, perché è capace di modularle, di evocarle a sé ma anche di provocarle nello spettatore. Diviene il motore di un particolare processo di coinvolgimento emotivo da parte dello spettatore. In questo rapporto di sottomissione volontaria al fascino del Grande Attore, lo spettatore gli chiede un percorso che è quasi di esperienza esistenziale, il lasciapassare per un mondo che sia oltre quello della quotidianità. Nelle parole di Flaubert vi è un’ambivalenza nel giudizio di Rachel, le prime considerazioni parlano di uno stile che è il prodotto della tecnica, mentre le seconde spingono verso il riconoscimento di una recitazione professionale, che deve venire direttamente dall’interiorità della persona: testa e cuore, tecnica e sentimento. Sono proprio queste le due polarità entro cui si svolge il dibattito sulla recitazione lungo quasi tutto l'Ottocento, e fungono anche da parametro per giudicare le prove degli attori. Polarità perché l’eccesso di tecnica può essere giudicato come freddezza , e l’esasperazione della passione può sfociare nel disordine e nell’approssimazione. Il dibattito era stato impostato in questi termini già nel corso del Settecento, ma è soprattutto l'Ottocento che lo sente acutamente come problema. Da un lato la cultura romantica e melodrammatica vuole vedere nell’attore l’esaltazione assoluta della passionalità, dall'altro l'attenzione alla forma, che viene alla cultura ottocentesca dal riferimento costante all'arte greca, esige studio, misura, perfezione, e dunque tecnica. Non è un caso che in questo periodo sia così continu o il paragone con le altre arti, dalla statuaria alla pittura, nel giudizio sugli attori come nella didattica della recitazione. Tutte queste indicazioni hanno a che fare con la forma e dunque con la tecnica, la tecnica del gesto e della composizione del corpo, ma pari o maggiore importanza ha la tecnica della modulazione della voce. Il dato della fascinazione resta la cifra fondamentale del Grande Attore ottocentesco, che a questo subordina anche la propria funzione di interprete, nel senso che quale che sia il personaggio che deve interpretare, questo attore è soprattutto preoccupato di porgere se stesso, la propria immagine . È come se l'attore si collocasse davanti al proprio personaggio, come se si servisse del personaggio per offrire in realtà se stesso alla contemplazione del pubblico. L'attore fa di se stesso e della propria presenza scenica il perno dell’operazione teatrale , e per questo tende a ridurre a sé ogni elemento dello spettacolo. Il Grande Attore protagonista subordina alla propria centralità tutti gli altri interpreti, adattando il testo a se stesso, anziché adattarsi a esso. Adelaide Ristori per dare centralità al proprio personaggio arriva ad esempio a sbilanciare a favore della protagonista fe mminile la stessa struttura della tragedia Shakespeariana, e mette in scena un Lady Macbeth. Le ragioni storiche e i modelli culturali che la determinano nascono in Francia, che per gran parte del secolo è il luogo in cui più che altrove nascono e poi si diffondono i movimenti culturali e soprattutto quelli teatrali. È del 1830 laBattaglia di Ernani , cioè la rappresentazione dell’opera di Victor Hugo alla Comédie Française, che diviene il luogo dello scontro tra i sostenitori della vecchia drammaturgia classicista e i fautori del nascente dramma romantico. È da lì che il nuovo stile inizia a diventare di condivisione generale in tutta Europa. Per quanto riguarda la recitazione

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Capitolo 1

L’artificio e l’emozione

risultano molto più importanti quei teatri che, proprio per le disposizioni regionali che consentivano solo alla Comédie Française il privilegio di mettere in scena i testi, avevano dovuto inventare nuove modalità di spettacolo, in cui alla centralità della parola si era sostituita quella dell’apparato spettacolare e della musica. Quando con la rivoluzione cade que...


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