Riassunto- L\'enigma Gesù PDF

Title Riassunto- L\'enigma Gesù
Course Cristianesimo e culture del mediterraneo
Institution Università degli Studi di Catania
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Riassunto “L’enigma Gesù- Fonti e metodi della ricerca storica” (Gianotto, Norelli, Pesce, a cura di Emanuela Prinzivalli) Introduzione (Prinzivalli): Gesù, predicatore itinerante e maestro, non ha lasciato nulla di scritto e il suo insegnamento è stato memorizzato, ridetto e trasmesso dai suoi seguaci oralmente – d’altronde questa è una situazione molto comune nel mondo antico, in cui l’oralità era dominante, anche se vi erano opere scritte. Chi ha scritto i vangeli si è servito di raccolte di detti e fatti di Gesù, scritte e orali, variamente rielaborate e assemblate, di cui non si è in grado di determinare l’entità e la diffusione. Quasi in nessun caso si può arrivare a stabilire la forma “letterale” in cui Gesù ha pronunciato i suoi detti, prima di tutto perché parlava in aramaico e poi anche perché è possibile che la loro forma letteraria sia stata modificata per facilitarne la memorizzazione, o anche perché egli stesso può aver espresso più volte e con variazioni uno stesso concetto. Però il contenuto dei suoi insegnamenti e i fatti della sua vita in molti casi possono essere ricostruiti su base storica chiedendosi: in base a quale criterio è possibile distinguere il materiale effettivamente risalente a Gesù? Secondo Kasemann manca una visione complessiva dello stadio più antico della cristianità primitiva; lui enuncia il criterio della dissomiglianza. Questo criterio corre però il rischio di strappare Gesù dal suo contesto storico giudaico, rendendolo un isolato senza radici; bisogna perciò utilizzarlo in positivo, per stabilire l’autenticità di una tradizione, e accompagnarlo con altri criteri grazie ai quali ricostruire un quadro d’insieme. Tra questi criteri: 1) il c. della molteplice attestazione: viene ritenuto autentico un detto o un fatto di Gesù trasmesso almeno da due fonti letterariamente indipendenti l’una dall’altra (ad es. Paolo e Marco); 2) il c. dell’imbarazzo: sono ritenute autentiche le parole o gli atti di Gesù che, per vari motivi, hanno creato difficoltà alle comunità primitive; 3) il già citato c. della dissomiglianza: ad es. ha buona probabilità di essere autentico l’imperativo “lascia che i morti seppelliscano i morti” (Lc 9,60) che non ha paralleli; 4) il c. della plausibilità storica: bisogna tener conto del nesso fra Gesù e il contesto giudaico e di quello fra Gesù e i suoi effetti, cioè la differenziazione di Gesù può essere nata solo all’interno del contesto giudaico e i suoi atteggiamenti devono essere stati tali da spiegare l’evoluzione successiva; 5)il c. della coerenza: una volta stabilito in base ai precedenti criteri il materiale che ha alta probabilità di risalire a Gesù, e una volta individuate le costanti del suo comportamento, si possono integrare nel quadro elementi che appaiono coerenti con esso. Naturalmente non bisogna aspettarsi un’univocità di risultati dall’applicazione di questi criteri dato che il mestiere dello storico non equivale alla semplice applicazione di una tecnica ma coinvolge la sensibilità e l’intelligenza umane. Prima parte - Considerazioni di metodo sull’uso delle fonti per la ricostruzione della figura storica di Gesù (Enrico Norelli) La storia di Gesù non va trattata diversamente da ogni altra storia: Come dice James Dunn, il Gesù storico è il Gesù costruito dalla ricerca storica, anche se spesso l’espressione viene usata in senso generico per indicare il Gesù di Nazaret, cioè il Gesù reale. Spesso si decide previamente, attraverso criteri molto dubbi dal punto di vista del metodo storico, qual è la sola

eredità di un personaggio storico che si vuole prendere in considerazione per comprendere la traccia che ha lasciato, ritenendo irrilevante tutto il resto; dato che Gesù è rimasto nella storia come iniziatore del cristianesimo, il criterio appena menzionato implica che le fonti utilizzate siano tutte ispirate dalla fede in lui, quindi è come se l’unico Gesù che possiamo raggiungere sia quello “della fede”. Dunn ritiene che la frattura tra storia e fede si possa superare perché nei momenti storici della creazione della tradizione di Gesù si è davanti a una fede storica, cioè la massima parte della memoria relativa a Gesù di cui disponiamo, è stata composta da persone che credevano in lui e che volevano perpetuare la fede in lui. Ma ciò non può voler dire che una corretta conoscenza storica di Gesù è possibile solo a partire da una posizione di fede in lui. Secondo Norelli, è come se siano esistiti solo dei “Gesù recepiti”, di cui fanno parte i ritratti del “Gesù storico”. E’ importantissimo però distinguere la ricezione di Gesù nella fede, che presuppone la convinzione che egli sia colui che mette in relazione con Dio per trasmettere il vero senso dell’esistenza umana, e la ricezione di Gesù nel processo di ricostruzione storica, che parte dalla consapevolezza che la maggior parte delle testimonianze che ci permettono di conoscere Gesù erano caratterizzate dalla fede in lui ma non assume come propria questa fede. A Norelli sembra che la fede storica menzionata da Dunn resti aperta a questo equivoco. Dunque secondo Dunn le fonti veramente pertinenti su Gesù sono quelle nate dalla fede dei suoi discepoli, ma è vero che non ci sono testimonianze non nate dalla fede in lui? Spesso, l’unica testimonianza di origine non cristiana che quasi tutti considerano interessante il Testimonium Flavianum, un passo delle Antichità giudaiche dello storico ebreo Flavio Giuseppe in cui viene presentata la persona di Gesù, e che ha suscitato molte discussioni dato che non sembra scritta da un ebreo che non credeva in lui, infatti si parla di Gesù come uomo sapiente che operò azioni straordinarie, si dice che era Cristo, che Pilato lo fece crocifiggere, che quanti prima lo avevano amato continuarono a farlo e che apparve loro il terzo giorno di nuovo in vita, come avevano predetto i profeti. Alcuni considerano l’intero passo come un’interpolazione (alterazione) cristiana, altri cercano d’interpretarlo in modo da renderlo plausibile come enunciato da una persona non credente in Gesù, la maggioranza ritiene che provenga da F. Giuseppe ma che alcune espressioni siano interpolazioni cristiane. La terza opzione è probabilmente la più ragionevole: F. Giuseppe nato a Gerusalemme da una famiglia di stirpe sacerdotale pochi anni dopo la morte di Gesù (37-38), molto ben informato sui gruppi religiosi della terra d’Israele e capo militare della Galilea nel 66-67 durante la rivolta contro Roma, aveva avuto ogni possibilità di sentir parlare di Gesù da credenti in lui, ma anche da altri. Dunque, una testimonianza non redatta da una prospettiva di fede ma comunque non meno pertinente di quelle prodotte da credenti in Gesù. Le altre testimonianze di parte ebrea su Gesù (contenute soprattutto nel Talmudin) sono più tardive e talmente leggendarie che non se ne può trarre nulla di affidabile dal punto di vista storico, infatti anche qualora si riferissero davvero a Gesù, dipendono certamente dalla tradizione cristiana, che rileggono e trasformano a fini polemici. Sono state esaminate innumerevoli volte anche le testimonianze su Gesù provenienti da autori non credenti in lui né ebrei, che da un lato confermano (come i passi di F. Giuseppe) l’esistenza storica di Gesù, dall’altro dipendono dalla tradizione cristiana e quindi

non sono fonti indipendenti per la conoscenza del personaggio. Dunque, abbiamo la conferma che esistono anche fonti che derivano da non credenti. Il punto comunque è che non è corretto dedurre, dal fatto che abbiamo testimonianze dettate dalla fede, il principio che il Gesù storico non può che essere identico al Cristo della fede, e non vale obiettare che se abbiamo fonti su Gesù è perché c’è stata la fede in lui, il carattere credente di queste fonti, infatti, non è contingente ma necessario. Lo storico, quindi, deve certamente tener conto del fatto che la maggior parte delle fonti su Gesù nasce dalla fede, ma questo non deve impedirgli di provare a ricostruire il personaggio storico. L’importante è sapere che nessuna ricostruzione storiografica potrà mai essere né completamente oggettiva, né definitiva e che tutte devono essere costantemente soggette a critica, anche se questo deve avvenire attraverso gli strumenti adatti e non lasciandosi condizionare dalla “memoria” di individui o gruppi che fanno riferimento al personaggio in questione. Storia e memoria devono quindi rimanere ben distinte, anche perché la storia è una, universale e imparziale, mentre la memoria collettiva non può essere universale, è tipica di un gruppo. Identificare il Gesù che la critica storica può ricostruire con il “Jesus remembered” significa confondere storia e memoria. E’ chiaro che l’indagine storica non conduce a una conoscenza totale, obiettiva e definitiva del passato; il fatto storico stesso è una costruzione, e la conoscenza storica è il risultato di un complesso di operazioni culturalmente condizionate, così che essa non smetterà mai di evolversi. Ciò non è però un argomento a favore della confusione tra storia e memoria perché, anche se entrambe sono costruzioni, la prima, a differenza della seconda, deve costantemente rendere dei propri procedimenti in un dibattito continuo fondato su una critica delle fonti. Cercare una conoscenza “vera” abbracciando il punto di vista della fede che ha ispirato le testimonianze è, quand’anche fosse possibile (e Norelli non crede lo sia), una scorciatoia falsa e pericolosa. Dire che si può ricostruire solo il “Gesù della fede”, che questo è l’unico Gesù veramente storico perché così è attestato, che la sola ricostruzione legittima del personaggio storico di Gesù è quella che lo identifica con il Gesù “remembered” dai suoi seguaci, è l’atteggiamento di chi crede che le sole fonti attendibili per tentare tale ricostruzione siano quelle diventate canoniche, cioè i quattro vangeli del Nuovo Testamento. Naturalmente, si ammette che le immagini di Gesù nei quattro vangeli non sono identiche, ma le loro differenze sono limitate e si è cercato di armonizzarle; insomma, si privilegia la memoria e ci si prende pure la libertà di scegliere solo alcune tra le varie memorie di Gesù attestate nel primo cristianesimo, affermando di compiere tale scelta sulla base di criteri storiografici. In tal modo si arriva al massimo della confusione perché si pretende di applicare i metodi adeguati al lavoro storiografico al fine di poter selezionare alcune memorie su cui basarsi, tradendo lo spirito stesso del metodo storico che si è affermato di voler applicare. E ciò avviene una volta posto il criterio che le fonti capaci di far comprendere il “Gesù storico” sono quelle appartenenti alle istituzioni che a lui si richiamano. Ecco che il ciclo si chiude: 1. Il metodo storico permette di concludere che le uniche fonti affidabili per una conoscenza storica di Gesù sono i Vangeli canonici; 2. Gli stessi testi contengono anche il Gesù a cui si riferisce la fede della comunità cristiana; 3. Si afferma il principio che questo Gesù presentato dalla fede degli

evangelisti alla fede della comunità s’identifica con il Gesù della storia o comunque con il solo “Gesù storico” che abbia un senso; 4. Si ricostruisce allora il Gesù storico dalle immagini contenute nei quattro Vangeli e accettate come sostanzialmente coerenti. Un simile procedimento non consentirà mai, per ipotesi, di ricostruire un Gesù storico che non sia in accordo con il Gesù presente alla fede della comunità cristiana. Insomma, la finalità di una tale operazione è quella di mettere al sicuro quest’ultimo Gesù dimostrando che esso corrisponde perfettamente a quel personaggio storico Gesù dal quale la Chiesa non potrebbe separarsi senza perdere la propria legittimità. Si è appena ricordato che il lavoro storico non può mai pretendere di essere assolutamente obiettivo; esso è condizionato dalle esperienze concrete e dagli orizzonti dei soggetti che lo praticano, che influenzano le domande da essi poste al passato umano e le tecniche usate per trovare delle risposte; ma si è anche osservato che tale lavoro deve costantemente sottoporre a verifica i propri presupposti e procedimenti. Esso deve sicuramente orientarsi in direzione opposta al condizionamento da parte della preoccupazione di confermare invalidare delle posizioni teologiche. Norelli ritiene che bisognerebbe analizzare le fonti una per una, eventualmente in ordine cronologico o per genere letterario o come si voglia, ma non nell’ordine dettato da una collezione canonica, e che bisognerebbe sottoporle tutte agli stessi criteri, per poi trarre conclusioni che stabiliscano gradi diversi di attendibilità e di utilizzabilità delle fonti. L’applicazione a testi non canonici di criteri usati nella ricerca del Gesù storico Il criterio di attestazione multipla: In generale, ciò che avviene negli studi sul Gesù storico è che si elimina dapprima il materiale considerato non pertinente e poi si applicano i criteri di autenticità. Uno dei criteri più applicati è quello dell’attestazione multipla, cioè della presenza di uno stesso detto, o motivo, in fonti su Gesù che possiamo considerare indipendenti tra loro. Se tale criterio è usato con discernimento e insieme con altri, ha sicuramente un valore. Un caso classico è quello del regno di Dio: che tale idea costituisse un elemento importante della predicazione di Gesù viene considerato certo perché risulta da Marco, da Q (una serie di detti privi di cornice narrativa, come il Vangelo di Tommaso, che, scoperto successivamente, dimostrò l’effettiva esistenza di raccolte di questo tipo; questa fonte fu denominata Q da Weiss nel 1890 perché Q è l’iniziale della parola Quelle che in tedesco significa appunto “fonte”) da Paolo, dai materiali propri a Matteo e Luca; il problema poi è capire in che modo Gesù ne abbia parlato, perché le varie fonti lo interpretano diversamente e in parecchie di esse si parla sia di un regno futuro che di un regno presente. Questo criterio non implica che una parola di Gesù trasmessa anche da una sola fonte non abbia probabilità di risalire a lui, infatti l’ampia attestazione di una parola non ne garantisce l’autenticità, perché può capitare che si attribuisca a Gesù una parola che ha avuto fortuna successivamente. Comunque sia, quando vi è un’attestazione multipla bisogna sicuramente fare un esame serio. Un’applicazione “non canonica” del criterio: Ci sono parole che hanno un’attestazione multipla anche abbondante ma interamente al di fuori del canone, e ciò finisce per penalizzarle quando si ricerca il Gesù storico perché gli scritti che le trasmettono sono stati preliminarmente scartati come inaffidabili. Un caso evidente è quello di un detto che Clemente di Alessandria cita da

uno scritto di un autore encratita (cioè appartenente alla setta eretica degli encratiti, che praticavano la continenza, essendo ostili alla sessualità, e vietavano il matrimonio) del II secolo, Giulio Cassiano, precisando poi che lo si ritrova nel Vangelo degli egiziani: Chiedendo Salomè quando sarebbero state conosciute le cose di cui aveva domandato, il Signore disse: “Quando calpesterete l’abito della vergogna e quando i due diventeranno uno e il maschio con la femmina né maschio né femmina”. Del Vangelo degli egiziani possediamo solo pochi frammenti conservati da Clemente, tutti relativi a un dialogo tra Gesù e una donna di nome Salomè e ispirati a una concezione encratita. In quanto tale, il dialogo in questione non ha alcuna probabilità di essere storico e non è verosimile (vista la contraddizione con le altre fonti antiche) che si possa attribuire a Gesù un atteggiamento propriamente encratita. Ma la stessa parola appare, sotto forme diverse, in altri testi del II secolo e successivi, come nel Vangelo secondo Tommaso, nella Seconda lettera di Clemente Romano ai Corinzi, negli Atti di Tommaso, nel Vangelo secondo Filippo, negli Atti di Filippo. Ognuno di questi scritti contestualizza e interpreta il detto a suo modo, ma sembra chiaro che alla radice c’è un unico logos, che circolava largamente come parola di Gesù nella prima metà del II secolo, e non era affatto considerato di origine “eretica”. Si tratta di un caso tipico di attestazione multipla, che in generale non viene preso in considerazione per il Gesù storico; ciò dipende dal fatto che è attestato solo al di fuori del Nuovo Testamento, non prima del II secolo, e anche dal suo carattere misterioso e dalle interpretazioni fortemente encratite che ne sono state date. Ma, in primo luogo, è evidente che esso circolava come parola di Gesù al più tardi nei primi decenni del II secolo; in secondo luogo, si tratterebbe proprio di stabilire qual è la forma più antica del detto, o, se non si riesce a ricostruirne una sola, almeno capire quali sono le prime a cui si può risalire; in terzo luogo, ci si dovrebbe chiedere in che misura l’encratismo lo avrebbe caratterizzato sin dall’origine e in che misura appartiene ad alcune delle sue amplificazioni e interpretazioni. Ciò che sappiamo è che Clemente di Alessandria lo ha trovato fortemente interpretato in questo senso nel Vangelo degli egiziani, ma è interessante che si sia sforzato di provare che la vera interpretazione doveva essere un’altra. Tuttavia, una delle citazioni più antiche (quella della Seconda lettera di Clemente di Roma) va in tutt’altro senso, e ci si chiede perché quest’autore avrebbe dovuto complicarsi la vita riprendendo un detto di Gesù che sarebbe stato già compreso in un senso ben diverso e imbarazzante per l’autore in questione, per niente encratita, per piegarlo a una lettura tutta diversa. Insomma, Norelli non sta cercando di suggerire che dietro tutto questo ci sia una parola che risale a Gesù, egli dice solo che sarebbe corretto valutare questo detto in maniera totalmente aperta, prendendo sul serio la questione sollevata dalla sua ampia e non troppo tardiva attestazione. Pare che la prudenza nell’ammettere l’autenticità delle parole non canoniche di Gesù sia aumentata negli ultimi 120 anni, sintomo che si sia poco inclini a offrire nuove possibilità ai detti conservati in testi apocrifi. Tuttavia, si dovrebbe mantenere il principio che lo stesso esame critico va applicato a tutta la tradizione su Gesù, indipendentemente dal fatto che una parte degli scritti in cui essa è depositata sia diventata canonica per i cristiani, e gli altri invece no; alcune testimonianze potranno essere rapidamente messe da parte, altre invece necessiteranno di uno studio

severo, e non è affatto scontato che le prime appartengano tutte a scritti non canonizzati, e le seconde a scritti canonizzati. Per Norelli è comunque chiara l’inammissibilità dell’identificazione del Gesù storico con il Gesù di cui si fa memoria in una tradizione religiosa. Tre vangeli apocrifi e la loro diversa utilità per la ricostruzione del Gesù storico L’insieme che si designa come “gli apocrifi” è costituito da scritti le cui epoche e luoghi di composizione, generi letterari e idee, sono diversissimi fra loro. Ora, più che domandarsi se gli apocrifi contribuiscano o meno alla conoscenza del Gesù storico, o se esista materiale utile per la ricostruzione della figura storica di Gesù che non sia tramandato in testi canonizzati, bisognerebbe chiedersi - per ogni testo del primo cristianesimo che pretende di trasmettere tradizione relativa a Gesù – semplicemente se ci fornisca informazioni utilizzabili, canonico o apocrifo che sia. Ad esempio, in “A marginal view” Jhon P. Meier sostiene che dal Protoevangelo di Giacomo e dal Vangelo dell’infanzia di Tommaso non c’è nulla da ricavare per una ricostruzione storica della figura di Gesù; su questo Norelli è d’accordo e aggiunge che però non c’è nulla da ricavare nemmeno dalle narrazioni riguarda alla nascita di Gesù in Matteo e Luca, che spesso ricevono un trattamento molto più rispettoso dei primi due libri citati; poi Meier passa a considerare quelli che vengono abitualmente designati come vangeli giudeocristiani (cioè i frammenti che i moderni distribuiscono tra i vangeli degli ebioniti, dei nazareni e degli ebrei. Norelli fa notare che anche se questi frammenti sono riuniti dagli studiosi sotto una sola etichetta, essi non sono omogenei. Ad esempio, alcuni studiosi hanno riferito le testimonianze a un solo vangelo (idea oggi abbandonata), altri a due, altri ancora a tre, quello dei ebioniti, dei nazareni (o nazorei) e degli ebrei (quest’ultima è la tesi dominante oggi ma la ripartizione dei frammenti ...


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