Riassunto Manuale di Diritto penale (Marinucci, Dolcini, Gatta) PDF

Title Riassunto Manuale di Diritto penale (Marinucci, Dolcini, Gatta)
Author Kevin Motta
Course Diritto penale
Institution Università degli Studi di Milano
Pages 250
File Size 4.1 MB
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Summary

Riassunto Manuale di diritto penale (Marinucci, Dolcini, Gatta) ed. 2018. Nonostante il riassunto sia della vecchia edizione può essere studiato con profitto integrandolo con le recenti novità legislative e giurisprudenziali rinvenibili su internet....


Description

Riassunti Diritto Penale Parte Generale Manuale Marinucci Dolcini (ed. 2018) Diritto Penale I Università degli Studi di Milano 249 pag.

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Riassunti e schemi MANUALE DI DIRITTO PENALE PARTE GENERALE AUTORI Giorgio Marinucci Emilio Dolcini Gian Luigi Gatta Giuffrè Editore Anno 2018 Il presente documento contiene i riassunti e gli schemi rielaborati del Manuale di Diritto Penale Parte Generale (Autori Marinucci, Dolcini, Gatta, Anno 2018). Si ricorda che schemi e riassunti possono, al più, fornire un ausilio per lo studio del testo di riferimento, non potendo in nessun caso essere considerati sostitutivi del medesimo, essendo quest’ultimo imprescindibile per un’adeguata comprensione ed assimilazione dei concetti ivi illustrati. Ogni inesattezza o imprecisione, formale o sostanziale, nonché qualsiasi refuso eventualmente riscontrabile nel testo, sono imputabili esclusivamente a chi ha redatto gli schemi/riassunti in parola. Si segnalano inoltre, per uno studio aggiornato della materia, le seguenti novità legislative: -

L. 19 luglio 2019 n. 69 (c.d. codice rosso: misure penali e procedurali di contrasto alla violenza di genere);

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L. 17 luglio 2019;

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D.l. 14 giugno 2019 n. 53;

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L. 21 maggio 2019 n. 43;

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L. 26 aprile 2019 n. 36 (modifiche al c.p. e altre disposizioni in materia di legittima difesa)

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L. 12 aprile 2019 n. 33

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L. 9 gennaio 2019 n. 3 (c.d. spazzacorrotti)

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Riforma della prescrizione (attualmente in discussione)

Lo studio di tali novità potrà essere condotto su materiali e supporti ulteriori rispetto ai presenti schemi. (gennaio 2020)

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SCHEMI DIRITTO PENALE PARTE GENERALE Manuale Marinucci-Dolcini

CAPITOLO I. LEGITTIMAZIONE E COMPITI DEL DIRITTO PENALE

1. Teoria della pena e tipo di Stato I presupposti e gli scopi che giustificano il ricorso dello Stato allo strumento della pena sono visti differentemente dalle tre principali teorie che si sono formate sul punto: 1) Teoria retributiva: la pena statuale si legittima come un male inflitto dallo Stato per compensare (retribuire) Il male che un uomo ha inflitto ad un altro uomo o alla società. Nella sua forma più pura, trova espressione nella legge del taglione. Trattasi di teoria assoluta, ovvero svincolata da qualsivoglia fine da raggiungere, in quanto si disinteressa degli effetti della pena 2) Teoria generalpreventiva: la pena statuale rappresenta un mezzo per orientare le scelte di comportamento della generalità dei destinatari, facendo leva: a) a breve termine, sulla forza intimidatrice del contenuto afflittivo della pena; b) a lungo termine, sulla capacità di orientamento culturale della pena, il quale comporta una spontanea adesione ai valori espressi nella legge penale 3) Teoria specialpreventiva: la pena statuale è concepita come un mezzo per prevenire che l’autore di un fatto di reato compia altri reati; tale funzione si realizza in tre forme, poste in rapporto di sussidiarietà fra loro: a) risocializzazione del reo; b) intimidazione del reo; c) neutralizzazione del reo. Nessuna delle tre teorie è valida in modo assoluto, in quanto la bontà di ciascuna teoria, e dunque la legittimazione della pena, varia a seconda del tipo di Stato in cui si pone il problema (ad es., stato teocratico/teoria retributiva; Stato totalitario teoria generalpreventiva). La legittimazione della pena nello stato italiano va individuata sull’uso della stessa all’interno di ciascun potere statale (legislativo, giudiziario, esecutivo). 1.A La legittimazione della pena da parte del potere legislativo La natura laica, secolarizzata e pluralista dello Stato Italiano: 1) Impedisce al legislatore di far ricorso alla pena per fini trascendenti o etici, con funzione retributiva 2) Consente al legislatore il ricorso alla pena nella sua funzione generalpreventiva, limitata dalla funzione di prevenzione speciale dalla Costituzione (art. 27 co.3): in altre parole, l’effetto deterrente nei confronti dei consociati non potrà essere indiscriminato (come in uno stato autoritario), ma dovrà sempre assolvere anche ad una funzione risocializzante. In questo senso, i profili di incostituzionalità dell’ergastolo sono stati ritenuti superabili dalla presenza di istituti (quali la liberazione condizionale) che permettono di reintegrarvi una pur minima componente specialpreventiva.

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Individuata la funzione, occorre individuare i contenuti dei precetti presidiabili attraverso la sanzione penale. I criteri guida per la selezione dei fatti penalmente rilevanti sono: 1) Il principio di offensività: non vi può essere reato senza offesa a un bene giuridico, una situazione di fatto o giuridica, offendibile mediante il comportamento dell’uomo. Il principio è stato elevato a rango costituzionale dalla Consulta (C. Cost.109/2016): verso il legislatore esso opera in astratto (verso il giudice invece opera in concreto), precludendogli di tutelare con la sanzione penale qualsivoglia bene o interesse. Tale principio riguarda inoltre le circostanze aggravanti (C. Cost. 249/2010) e tutti gli istituti che incidono sulla individuazione e determinazione della pena (C. Cost. 251/2012). L’offensività è principio generale e di duplice natura anche per le SS UU Cass n. 40354/2013) 2) Il principio di colpevolezza: il ricorso alla pena si giustifica non in relazione ad ogni offesa a beni giuridici meritevoli di protezione, ma solo a quelle offese recate colpevolmente, ovvero ad offese personalmente rimproverabili all’autore del fatto (C. Cost. 364/1988). Tale principio è dotato di rango costituzionale (attraverso il principio di personalità della responsabilità penale, cfr. art. 27 co. 1 Cost.), ed è connesso alla funzione generalpreventiva e specialpreventiva: infatti: a) presupposto della dissuasione generalpreventiva è la libera scelta dell’agente o l’evitabilità mediante ordinaria diligenza; b) nessuna funzione rieducativa e risocializzante ha senso se chi ha commesso il fatto non è (almeno) in colpa e dunque non deve essere rieducato. 3) Il principio di proporzione: esso esprime una logica costi benefici e sancisce l’esigenza che i vantaggi derivanti dalla pena siano confrontati con i costi immanenti alla previsione della stessa: a) un fatto di reato può legittimarsi come tale solo se supera una certa soglia di gravità: solo offese gravi arrecate a beni giuridici importanti meritano il ricorso alla pena (cfr. principio di meritevolezza della pena); b) la repressione mediante pena può rappresentare un vantaggio solo se è in grado di produrre un reale effetto generalpreventivo (ad esempio, la repressione penale dell’aborto risultava criminogena, ossia incentivante la commissione dell’aborto stesso). Tale principio ha rango costituzionale (C. Cost. 409/1989), rappresentando un prius logico rispetto alla funzione specialpreventiva: nessuna pena sproporzionata, in quanto incomprensibile agli occhi di colui che la subisce, può assolvere correttamente a tale funzione. Il principio di proporzione è altresì riconosciuto anche nel diritto dell’UE: cfr. art. 49 co. 3 C. Nizza 4) Il principio di sussidiarietà: esso postula che la pena venga utilizzata come extrema ratio, ovvero quando nessun altro strumento sia in grado di assicurare al bene giuridico una tutela altrettanto efficace. Anche il principio di sussidiarietà ha carattere costituzionale, derivando direttamente dall’art. 13 Cost. che sancisce l’inviolabilità della libertà personale. 1. B La legittimazione dell’inflizione da parte del giudice Nella fase giudiziale, lo scopo che legittima la pena e che devono orientare le scelte del giudice nella commisurazione della stessa può essere ravvisato: 1) Fase di scelta e commisurazione della pena: funzione specialpreventiva di rieducazione del condannato, desumibile direttamente dall’art. 27 co.3 Cost., limitata dal principio di colpevolezza:

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nella scelta e commisurazione della pena il giudice dovrà optare per quella più idonea a prevenire il rischio di nuova delinquenza, entro i limiti della rimproverabilità del fatto al suo autore 2) (sola) Fase di scelta (inflizione): funzione generalpreventiva di intimidazione e orientamento culturale: tale funzione legittima l’inflizione della pena (nessuna generalprevenzione è possibile se le pene minacciate non vengono poi applicate). La funzione generalpreventiva tuttavia non può operare nella ulteriore fase della commisurazione della pena: il giudice non può quantificare la pena al fine di statuire un esempio verso terzi, in quanto ciò contrasta con il principio di personalità della responsabilità penale (art 27 co. 1 Cost) e con quello di dignità dell’uomo (art. 3 co. 1 Cost). 3) Fase (eventuale) di sostituzione: unicamente finalità specialpreventiva, che permette nei reati di media e bassa gravità di sospendere o sostituire la pena individuata (istituti della sospensione condizionale, cfr. art. 163 co. 1 c.p.; sostituzione della pena detentiva breve: cfr. art. 53 ss. l 689/1981). In tal modo il giudice può evitare che l’applicazione della pena detentiva, anziché risocializzare il reo, lo desocializzi, producendo l’effetto opposto. 1.C) La legittimazione ed esecuzione della pena da parte dell’esecutivo L’esecuzione della pena, spettante all’esecutivo (amministrazione penitenziaria, polizia penitenziaria, cancellerie del giudice dell’esecuzione, organi del Ministero della Giustizia), risponde all’esigenza di: 1) Prevenzione generale: nessuna pena minacciata e inflitta può orientare o dissuadere se poi non è anche applicata; 2) Prevenzione speciale: in particolare, la pena detentiva deve essere orientata verso finalità specialpreventive: la pena deve essere orientata allo scopo di rendere possibile la rieducazione del condannato, proponendosi di aumentare le chanches di reinserirsi nella società libera nel rispetto delle sue regole. In quest’ottica si pone l’intera lege dell’ordinamento penitenziario (ad es. nella eliminazione di elementi mortificanti, nella implementazione degli strumenti di apertura alla socialità del condannato; nell’apertura del carcere all’esterno. I limiti alla funzione specialpreventiva in fase esecutiva sono rappresentati: a) dalla impossibilità di attuare la rieducazione in via coattiva: essa è offerta di aiuto, non trasformazione coattiva della personalità; b) dalla necessità di sostituire la rieducazione nella intimidazione e infine nella neutralizzazione del condannato. Tale logica trova piena espressione nella disciplina degli artt. 4 bis e 41 bis ord. penitenziario (peraltro oggetti di una parziale revisione di rotta da parte della consulta, C. Cost. 143/2013; 239/2014; 76/2017). 2. I rapporti tra diritto penale ed altri rami dell’ordinamento Può accadere che nelle società contemporanee vi siano situazioni conflittuali che reclamano una pluralità di interventi sanzionatori, con misure tratte da vari sistemi dell’ordinamento (ad es. civile, amministrativo, penale). Occorre pertanto in primo luogo precisare se l’inflizione delle sanzioni penali vincoli o meno gli organi preposti all’applicazione delle sanzioni extra-penali. In questo senso, la disciplina del giudicato penale prevede: 1) Nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno nei confronti del condannato e del responsabile civile, a) la condanna irrevocabile pronunciata a seguito di dibattimento, b) quella resa nel giudizio abbreviato ex art. 442 c.p.p. (a meno che non si opponga la parte civile che non abbia accettato il rito abbreviato, cfr. 651 co. 1 c.p.p.), c) quella di

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proscioglimento per particolare tenuità del fatto ex 131 bis c.p. (cfr. art. 651 bis c.p.p.) ha efficacia di giudicato quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità e ascrivibilità all’imputato. Ciò non è viceversa vero per le sentenze di patteggiamento ex 444 c.p.p., in quanto ivi sono limitate le garanzie di difesa. 2) Negli altri giudizi civili o amministrativi, (solo?) la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata a seguito di dibattimento ha efficacia di giudicato quando si controverte su un diritto o interesse legittimo il cui accertamento dipende dagli stessi fatti oggetto del processo penale, purché non vi siano limitazioni sulla prova controversa imposti dalla legge civile (cfr. art. 654 c.p.p.) 3) Nei giudizi disciplinari invece, tanto la sentenza irrevocabile di condanna di cui sopra quanto quella pronunciata a seguito di pateggiamento trovano piena efficacia (cfr. l. 97/2001, art. 653 co. 1 c.p.p.; art. 445 co. 1 bis c.p.p.) Oltre all’efficacia (riflessa) della sentenza resa in giudizio penale, i rapporti fra diritto penale e altri rami dell’ordinamento possono cogliersi anche sotto il più ampio angolo visuale dell’accessorietà ed autonomia della norma penale rispetto alla disciplina extrapenale: 1) In questo senso, vi sono due gruppi di norme: a) nel primo gruppo vi rientrano norme incriminatrici in rapporto di accessorietà con altri rami dell’ordinamento, ossia materie già performate dal diritto civile o amministrativo: in questo campo vi rientrano gli elementi normativi della fattispecie legale, concetti giuridici la cui esatta portata deve essere mutuata dalle branche di riferimento: ad es. il concetto di bigamia nell’art. 556 c.p.; etc.; b) altre norme penali sono invece caratterizzate da autonomia: in primo luogo autonomia di definire il significato di un dato termine (es. nozione di possesso nell’art. 646 c.p.), in secondo luogo autonomia al fine di ampliare le esigenze di tutela della norma (cfr. truffa e invalidità civilistica del negozio) 2) In ogni caso, ciò che risulta fondamentale è comunque la coerenza dell’ordinamento giuridico in sé considerato: è inammissibile che uno stesso fatto venga considerato favorevolmente da una branca e negativamente da un'altra (che sia cioè lecito e illecito). In questo senso, le cause di giustificazione assolvono alla fondamentale funzione di connettere i vari istituti dell’ordinamento e conferire unità al sistema giuridico.

3. Diritto Penale e problemi probatori La regola costituzionale di cui all’art. 27. co. 2 Cost sancisce il principio della presunzione di non colpevolezza, il quale comporta, come corollario, che l’onere di provare gli elementi costitutivi di un reato incomba sull’accusa. 1) Conformemente a simile principio, il c.c.p. fissa all’art. 530 c.p. regole probatorie sulla cui base va pronunciata la sentenza di assoluzione, la quale si ha sia quando manca (co. 1) sia quando è dubbia (co. 2) la prova che il fatto non sussista, che l’imputato l’abbia commesso etc.: regola in dubio pro reo

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2) Il c.p.p. ha statuito più in generale che la regola in dubio pro reo valga come regola probatoria per tutti gli elementi la cui assenza o presenza dipenda dall’affermazione di responsabilità, comprese cause di giustificazione e cause di non punibilità (530 co. 3 c.p.) 3) Inoltre, l’art. 533 co. 1 c.p.p. (introdotto dalla l. 46/2006) pone come regola di prova e giudizio quella dell’oltre ogni ragionevole dubbio: tale regola impone di pronunciare condanna a condizione che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto eventualità remote, astrattamente formulabili in rerum natura, ma la cui realizzazione si pone oltre la normale razionalità umana (cfr. da ultimo Cass. 25799/2015). Ciò non toglie che le regole probatorie suddette vengano costantemente violate dal legislatore e dal giudice: 1) Tali regole vengono infatti esplicitamente violate dal legislatore ogni volta che conia norme incriminatrici che dettano i reati “di sospetto”, che contengono cioè un’anomala regola probatoria capace di alleviare alla pubblica accusa il peso della prova della presenza di un elemento costitutivo del reato. Questi reati sono costituzionalmente illegittimi per violazione del principio di presunzione di non colpevolezza (Cfr. C. Cost. 24 febbraio 1994 n. 48, sull’art. 12 quinquies co. 2 l. 356/1992, in materia di criminalità mafiosa) 2) Queste regole vengono violate anche dalla giurisprudenza, seppure in maniera occulta: accade quando la giurisprudenza stessa modifica la struttura del reato al fine di alleviare l’onere probatorio a carico dell’accusa. Fra gli elementi più colpiti vi sono a) il dolo, ove spesso accade sia sufficiente la prova della solo potenziale rappresentazione del fatto accompagnato dal dovere di sapere e prevedere (che invece fonda un rimprovero a solo titolo di colpa): è il caso della responsabilità penale dei membri del collegio sindacale per concorso omissivo in reati dolosi commessi dagli amministratori; b) il rapporto di causalità, ove talvolta è impossibile provare la sussistenza di un rapporto di derivazione causale tra una data azione e un singolo evento concreto perché non sono ancora disponibili leggi scientifiche, ma solo indagini epidemiologiche. In questi casi, la giurisprudenza stravolge la causalità, richiedendo la prova della stessa non fra azione ed evento, ma fra azione e pericolo dell’evento. 4. La legislazione italiana e il principio di riserva di codice 1) Il primo codice penale in vigore dal 1889 al 1930 fu il codice Zanardelli. Nella parte generale riafferma i fondamentali principi illuministici di garanzia, ovvero legalità, irretroattività, colpevolezza (con qualche eccezione); abolisce la pena di morte e anche nella parte speciale delinea un rapporto non autoritario fra stato e cittadino 2) Allo Zanardelli succede il Codice Rocco, i quale nasce nel contesto di uno Stato Autoritario ma risente per certi versi dell’influenza liberale: permangono alcuni principi garantisti (legalità, irretroattività), mentre altri vengono esplicitamente derogati (ad es. colpevolezza: vengono introdotte numerose ipotesi di responsabilità oggettiva). Ricompare la pena di morte, e la parte speciale si

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caratterizza per un drastico innalzamento delle pene; si limitano le libertà politiche, si incrimina lo sciopero 3) Con la caduta del fascismo, e con l’introduzione dello Stato repubblicano, il codice penale viene meditato di essere soppiantato da un nuovo codice: questo progetto, benché ricorrente nella storia della repubblica, non vedrà mai la luce. Tuttavia, numerose sono le riforme che esso subisce, tanto nella parte speciale che in quella generale. In questo senso, oltre ai numerosi interventi legislativi, merita ricordare a) che nel 2001 è stata introdotta la responsabilità penale degli enti, in rottura del famoso brocardo societas puniri non potest; b) i numerosi interventi della Corte Costituzionale, la quale ha in sostanza modellato il codice Rocco secondo i nuovi principi costituzionali (si pensi ad es. all’abolizione di molte ipotesi di responsabilità oggettiva); c) che a livello di sistema hanno assunto un ruolo crescente le leggi penali speciali o complementari, situate fuori dal codice (es. in materia fallimentare, societaria, tributaria). 4) Proprio in ragione di questo crescente e incontrollato proliferare del diritto penale, è stata introdotta dal legislatore, con la l. delega 21/2018, il principio della riserva di codice (art 3 bis c.p.) secondo cui “nuove disposizioni che prevedono reati possono essere introdotte nell’ordinamento solo se modificano il c.p. oppure se sono inserite in leggi che disciplinano in modo organico la materia” . 1

Si è osservato che la natura di legge ordinaria di questo principio rende alquanto labile la sua concreta applicazione, in quanto derogabile dalla lex posterior di pari rango; tuttavia, la sua presenza all’interno della parte generale del c.p. lo rende principio generale della materia: in ragion...


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