Docsity riassunti manuale di diritto penale marinucci dolcini gatta ottava edizione PDF

Title Docsity riassunti manuale di diritto penale marinucci dolcini gatta ottava edizione
Course Diritto Penale
Institution Università degli Studi di Messina
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Riassunti ottimi...


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Riassunti manuale di diritto penale (Marinucci-DolciniGatta - Ottava edizione) 2020 Diritto Penale Università degli Studi di Macerata 238 pag.

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CAPITOLO 1 LEGITTIMAZIONE E COMPITI DEL DIRITTO PENALE 1.Teoria della pena e tipo di stato Secondo lo storico del diritto Rudolf Von Jhering la storia della pena è una continua abolizione. Ciò è senz’altro vero in una prospettiva di lungo periodo. Nel corso dei secoli il sistema delle sanzioni penali ha progressivamente attenuato la sua durezza: la pena detentiva ha via via tolto spazio alle inumane pene del passato, fino all’ abolizione totale della pena di morte in molti paesi. Il quesito ineludibile è: che cosa legittima il ricorso dello stato all’arma della pena? Ci si chiede quindi quali siano i presupposti e gli scopi che giustificano l’inflizione deliberata a un essere umano di un male terribile come la privazione della libertà personale. La risposta a ciò viene offerta dalle teorie della pena che possiamo ricondurre a 3 filoni fondamentali: " 1. Teoria retributiva, teoria della prevenzione generale e teoria della prevenzione speciale o individuale. Secondo la teoria retributiva la pena statuale si legittima come un male inflitto dallo stato per compensare il male che un uomo ha inflitto ad un altro uomo o alla società. Nella sua forma più arcaica questa teoria trovava espressione nella legge del taglione. Questa teoria si disinteressa degli effetti della pena ed è perciò designata come assoluta cioè svincolata da un qualsivoglia fine da raggiungere. Kant disse che quand’anche una società decida di sciogliersi, andrebbe comunque punito l’ultimo assassino perché soffra per quello che ha commesso. Quindi secondo Kant si punisce perché è giusto non perché la pena sia utile a qualcos’altro. Al contrario, assegnano invece uno scopo alla pena le teorie preventive, che proprio in considerazione di questa loro caratteristica vengono designate come relative, cioè incentrate sugli effetti della pena. " 2. In particolare la teoria generalpreventiva legittima la pena come mezzo per orientare le scelte di comportamento della generalità dei suoi destinatari: in primo luogo facendo leva sugli effetti di intimidazione correlati al contenuto afflittivo della pena, alla quale si assegna una funzione di controspinta psicologica, tale da neutralizzare le spinte a delinquere dei consociati. Nel lungo periodo, l’effetto della prevenzione generale viene perseguito attraverso l’azione pedagogica della norma penale. Si confida cioè che col tempo si crei nella collettività una spontanea adesione ai valori espressi dalla legge penale. E quest’effetto di orientamento culturale dovrebbe sostituirsi all’obbedienza dettata dal timore della pena. " 3. La teoria specialpreventiva concepisce la pena come uno strumento per prevenire che l’autore di un reato commetta in futuro altri reati. Questa funzione può essere assolta in 3 forme: nella forma della risocializzazione, cioè dell’aiuto al condannato a reinserirsi nella società; nella forma dell’intimidazione, rispetto alle persone per le quali la pena non può essere strumento di risocializzazione; nella forma della neutralizzazione quando il destinatario non appaia suscettibile ne di risocializzare, ne di intimidazione e quindi l’unico obiettivo della pena sarà renderlo inoffensivo. Queste teorie vengo presentate come valide e efficaci in assoluto, cioè a prescindere dal tipo di ordinamento di ciascuno stato. In realtà la legittimazione della pena varia a seconda del tipo di Stato in cui si pone il problema. " 2. Struttura del reato e tipi di stato Anche la struttura del reato è sottoposta ad un identico condizionamento sia nella forma sia nei contenuti, il reato è un’entità giuridica storicamente condizionata. La storia del diritto penale moderno è segnata da una svolta epocale: il passaggio dall’equazione reato=peccato all’equazione reato=fatto dannoso per la società, cioè dalla repressione di comportamenti puniti in quanto contrastanti con la legge divina, alla repressione dei soli comportamenti che mettono in pericolo o ledono beni individuali o collettivi. " Questa svolta viene preparata dall’opera dei giusnaturalisti che caldeggiano uno stato secolarizzato guardiano della pace esteriore e quindi indicano nelle azioni esterne socialmente dannose il prius di ogni legittima coercizione penale e nel dolo solo una condizione per la punizione dell’azione esterna. Con l’illuminismo si consolida la separazione tra reato e peccato e il primato dell’oggettivo sul soggettivo. In questo senso cesare Beccaria rileva che, per affermare e graduare la responsabilità dell’agente, bisogna distinguere il dolo dalla colpa grave, la grave dalla leggera, e questa dalla perfetta innocenza, ma la vera misura dei delitti è il danno alla nazione. Allo stato spettava solo il compito di valutare e risarcire il danno che l’infrazione della legge aveva portato alla vittima o alla società. il grado di utilità e disutilità misurava tutte la azioni umane. La

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pena non era un’espiazione. I giudici non avevano altro compito che ristabilire un equilibrio turbato. Il diritto penale veniva completamente desacralizzato. " 2.2 La secolarizzazione del diritto penale si inserisce in un più vasto movimento di laicizzazione complessiva dello stato, stato laico e liberale fondato da uomini per scopi immanenti alla società e portatore dei valori della tolleranza civile, della libertà religiosa e dell’inviolabilità della coscienza. La secolarizzazione del diritto penale è un processo che non si realizza senza contrasti. In Italia il modello liberale di diritto penale si afferma nel 800 trovando compiuta teorizzazione nell’opera di Francesco Carrara. Nel suo manuale si legge: “ il diritto di proibire certe azioni, e dichiararle delitto, si attribuisce all’autorità sociale come mezzo di mera difesa dell’ordine esterno: non per il fine del perfezionamento interno; i pensieri, i vizi, i peccati, quando non turbano l’ordine esterno, non possono dichiararsi delitti civili. La concezione del reato che assume quale pietra angolare il fatto dannoso e assegna a dolo e colpa il ruolo di meri limiti alla responsabilità dell’autore del fatto, domina nella dottrina penalistica italiana dell’800 e 900 e viene fatta propria dal legislatore nella codificazione del 1889 e 1930. Sono i beni giuridici individuali o collettivi il perno sul quale poggiano le singole figure di reato, mentre il ruolo del dolo, della colpa e degli altri elementi della colpevolezza è quello di limiti alla rilevanza penale dell’offesa ai beni tutelati. Principio di offensività - non vi è reato senza offesa ai beni giuridici. 2.3 Tra la fine del 800 e inizio 900 il filone dottrinale della scuola positiva mutua e traduce in schemi giuridici un nuovo indirizzo criminologico. Il fenomeno criminale avrebbe le proprie radici nell’uomo delinquente, cioè nelle caratteristiche biologico- somatiche di singoli individui, per lo più appartenenti alle classi sociali pericolose: la lotta alla criminalità dovrebbe rivolgersi non tanto contro il reato, quanto contro il reo. Sul piano giuridico si afferma l’idea che la pena debba essere utilizzata per difendere la società da persone pericolose e che la sua durata debba essere assolutamente e relativamente indeterminata e venir meno solo col cessar della pericolosità. In primo piano nel diritto penale dovrebbero essere posti tipi di persone socialmente pericolose e il legislatore potrebbe addirittura fare a meno della compilazione di un catalogo di reati: la pena potrebbe essere applicata in presenza di qualsiasi sintomo di pericolosità individuale. Il codice penale potrebbe ridursi ad un solo articolo: ogni uomo socialmente pericoloso va reso innocuo nell’interesse della collettività. " 2.3.2 I risvolti illiberali di questa concezione sono evidenti: si affidano al giudice poteri incontrollabili. Consentendogli di applicare misure restrittive della libertà personale, in presenza di dati incerti e manipolabili come la pericolosità sociale e i tipi criminologici di autore. Proprio per la sua marcata connotazione illiberale, la concezione sintomatica del reato viene attaccata da chi contesta la visione complessiva del diritto penale propugnata dalla scuola positiva, i cui massimi alfieri erano Ferri e Grispini. Franz von Liszt fondatore della scuola moderna in Germania sente il bisogno di frenare le spinte illiberali del modello positivistico. Secondo von Liszt il diritto penale è il potere punitivo dello stato delimitato giuridicamente nei presupposti e nei contenuti, nell’interesse della libertà individuale. Nullum Crimen sine lege, nulla poena sine lege. " Questo è il principio di legalità sono il baluardo del cittadino contro l’onnipotenza dello stato. Il codice penale è la magna carta del reo. Esso accorda al cittadino che verrà punito solo in presenza dei presupposti fissati dalla legge e solo entro i limiti stabiliti dalla legge. Venendo poi al cuore dell’attacco della scuola positiva al modello liberale del diritto penale, von Liszt scrive non chi è socialmente pericoloso ma solo chi ha commesso azioni socialmente pericolose ben determinate e nettamente individuate nella legge soggiace alla potestà punitiva dello stato. 3.1 La legittimazione del ricorso alla pena da parte del legislatore Ci si chiede in vista di quali finalità il legislatore italiano possa minacciare una pena nei confronti di chi commette un reato. In uno stato come il nostro laico e pluralista, il legislatore non può fare ricorso alla pena per realizzare fini trascendenti o etici: la pena non può essere strumenti di retribuzione, non può essere cioè finalizzata ad affermare un idea superiore di giustizia, retribuendo il male dal reato con un male equivalente. La costituzione italiana garantisce ai singoli un corredo di diritti in forza dei quali essi partecipano alla vita dello stato, come cittadini e non come sudditi: la pena non può quindi essere utilizzata dal legislatore come indiscriminato deterrente, volto a reprimere ogni manifestazione di infedeltà allo stato ovvero ogni sintomo di una personalità pericolosa. Nello stadio della minaccia legislativa, il ricorso alla pena da parte del

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legislatore italiano si legittima in chiave di prevenzione generale. L’effetto di prevenzione generale perseguito dal legislatore attraverso la minaccia della pena incontra un limite nella funzione di prevenzione speciale e di rieducazione che la costituzione assegna alla pena. Il tipo e la misura della pena minacciata dal legislatore devono essere tali da rendere possibile che successivamente si realizzi un’opera di rieducazione del condannato. Ciò significa che l’effetto deterrente nei confronti dei consociati non potrà essere indiscriminato. I consociati possono essere legittimamente dissuasi attraverso il deterrente della pena dai comportamenti che cagionino un danno sociale. " 3.2 I criteri guida per la selezione di fatti penalmente rilevanti: Il principio di offensività. Quanto alla struttura del reato, questa esigenza trova espressione nel principio di offensività secondo il quale non vi può essere reato senza offesa a un bene giuridico, cioè a una situazione di fatto o giuridica, carica di valore, modificabile e quindi offendibile per effetto di un comportamento dell’uomo. Il legislatore non può quindi punire nessuno per quello che è ma può punire soltanto fatti che ledano o pongano in pericolo l’integrità di un bene giuridico. Il catalogo dei beni varia col variare degli assetti sociali, il carattere storicamente condizionato pone il fatto che l’arma della pena non può essere limitata solamente ai beni dotati di rilevanza

Che il legislatore possa reprimere con la pena soltanto fatti offensivi di beni giuridici è stato affermato dalla corte costituzionale secondo la quale il principio di offensività opera su due piani: da un lato sotto forma di precetto rivolto al legislatore di prevedere fattispecie che esprimano in astratto un contenuto lesivo o comunque la messa in pericolo di un bene o interesse oggetto della tutela penale (offensività in astratto),dall’altro l’applicazione giurisprudenziale: quale criterio interpretativo applicativo affidato al giudice tenuto ad accertare che il fatto abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o l’interesse tutelato (offensività in concreto). La Corte Cost. (Sen. 8 Luglio 2010, n 249) ha inoltre sottolineato che il principio di offensività riguarda non soltanto gli elementi costitutivi del fatto, ma anche le circostanze aggravanti che non potranno in nessun caso essere espressione di una generale e presunta qualità negativa dell’autore della condotta illecita. Secondo le sezioni unite della cassazione in una sentenza del 2013, il legislatore è vincolato ad elevare a reati solo fatti che siano concretamente offensivi di entità reali.. " costituzionale.

Il principio di colpevolezza Il ricorso alla pena da parte del legislatore si legittima in relazione non ad ogni offesa a un bene giuridico ma soltanto in relazione ad offese recate colpevolmente che siano cioè personalmente rimproverabili al loro autore" Tra i criteri che orientano e limitano le scelte di incriminazione del legislatore entra cosi in gioco il principio di colpevolezza che è dotato di rango costituzionale e che è strettamente correlato alle funzioni della pena. A quella generalpreventiva perché essendo il fine della comminatoria legale delle pene quello di orientare le scelte di comportamento dei consociati, gli effetti motivanti cosi perseguiti possono essere raggiunti solo se il fatto vietato è il frutto di una libera scelta dell’agente o è da lui evitabile con la dovuta diligenza: non avrebbe senso minacciare la pena per distogliere il destinatario da comportamenti che giacciono al di fuori della sua sfera di controllo. Alla funzione specialpreventiva perché la rieducazione del condannato postula la colpa dell’agente in relazione agli elementi più significativi della fattispecie tipica. Non avrebbe senso la rieducazione di chi, non essendo in colpa non ha certo bisogno di essere rieducato. " I principi di proporzione e sussidiarietà Il rispetto dei principi di offensività e di colpevolezza rappresenta una condizione necessaria ma non ancora sufficiente perché risulti legittimo il ricorso alla pena da parte del legislatore: le scelte legislative di incriminazione devono infatti sottostare ad ulteriori vincoli, espressi dai principi di proporzione e di sussidiarietà. Il principio di proporzione esprime una logica costi benefici più precisamente esprime l’esigenza che i vantaggi per la società che si possono attendere da una comminatoria di pena siano idealmente messi a confronto con i costi immanenti alla previsione di quella pena: costi sociali e individuali in termini di sacrificio per i beni della libertà personale, del patrimonio, dell’onore. " A. In primo luogo i costi della pena devono essere quanto meno controbilanciati dalla dannosità sociale di quella classe di fatti. Perché si legittimi la previsione di un fatto come reato è dunque necessario che quel fatto si collochi al di sopra di una soglia di gravità: solo offese

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sufficientemente gravi arrecate ad un bene giuridico sufficientemente importante meritano il ricorso alle pena ( quale sinonimo di proporzione si parla anche di principio di meritevolezza della pena). Non tutte le offese si equivalgono. L’offesa può assumere la forma del danno o quella del pericolo e delle due la prima è più grave. Non tutti i beni giuridici si equivalgono. " B. Perché il ricorso alla pena sia fonte di un complessivo vantaggio per la società, occorre che la pena in relazione a una determinata classe di fatti, sia in grado di produrre un reale effetto di prevenzione generale. Il legislatore deve dunque astenersi dal sottoporre a pena classi di fatti per le quali la pena non è in grado di produrre alcun effetto generalpreventivo, o addirittura produce l’effetto opposto incentivando la commissione del reato (è accaduto per l’aborto). " C. Il principio di sussidiarietà postula che la pena venga utilizzata soltanto quando nessun altro strumento sia in grado di assicurare al bene giuridico una tutela altrettanto efficace nei confronti di una determinata forma di aggressione. Quindi la pena oltre che meritata e proporzionata deve anche essere necessaria, ultima ratio. " Sia il principio di proporzione, sia il principio di sussidiarietà sono ancorati alla Costituzione. Il principio di proporzione rappresenta un prius logico della rieducazione del condannato enunciato nell’art 27 comma 3 cost. il principio di proporzione è riconosciuto anche nel diritto europeo. Il principio di sussidiarietà è invece ricollegabile all’art 13 comma 1 cost., ove si riconosce carattere inviolabile alla libertà personale. Va tenuto presente che le sanzioni penali oggi contemplate nel nostro ordinamento incidono tutte, direttamente o indirettamente, sulla libertà personale. Dall’affermazione dell’inviolabilità personale e dunque dal riconoscimento del rango elevatissimo di questo bene, segue che la costituzione impone al legislatore di fare della pena un uso il più possibile limitato: soltanto cioè quale strumento residuale, in assenza di altri strumenti idonei ad assicurare una pari tutela al bene giuridico. In definitiva, il ricorso alla pena da parte del legislatore si legittima nel nostro ordinamento per finalità di prevenzione generale, entro i limiti imposti dal principio di rieducazione del condannato, a tutela proporzionata e sussidiaria di beni giuridici contro offese inferte colpevolmente. 4. La legittimazione dell’inflizione della pena da parte del giudice 4.1 Lo scopo della pena nello stadio giudiziale: rieducazione sotto il limite della colpevolezza. Una volta ricostruito il modello legale del reato in questione attraverso l’interpretazione della norma incriminatrice e avendo successivamente accertato che il fatto concreto integra quel modello astratto, il giudice pronuncia la condanna e infligge la pena, scegliendola all’interno dei tipi di pena e dei limiti minimi e massimi previsti dal legislatore. È la costituzione che individua il fondamento e la legittimazione della pena anche in questo stadio. Il 27 comma 3 cost affermando che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato impone al giudice di perseguire tale finalità con le sue scelte. Il principio costituzionale di colpevolezza vincola il giudice e il legislatore nella costruzione dei tipi di reato. Ne segue che una pena orientata verso la rieducazione del condannato dovrà essere prescelta dal giudice al di sotto del tetto segnato dalla misura della colpevolezza: nella commisurazione della pena le considerazioni di prevenzione speciale incontrano dunque un limite invalicabile segnato dalla colpevolezza per il singolo fatto." 4.2 Il ruolo della prevenzione generale L’inflizione della pena da parte del giudice trova un ulteriore fondamento giustificativo nelle esigenze della prevenzione generale dei reati: far seguire alla previsione legale della pena la sua applicazione in concreto con la pronuncia della sentenza di condanna significa confermare la serietà della minaccia contenuta nella norma incriminatrice, mostrando ai potenziali trasgressori della norma che non potranno violarla impunemente. (funzione intimidatoria-deterrenza ma anche come orientamento culturale) La prevenzione generale non può svolgere nessun ruolo nella commisurazione della pena. Il giudice non può cioè quantificare la pena allo scopo di statuire un esempio nei confronti di terzi, nel tentativo di distoglierli dal commettere un esempio nei confronti dei terzi, nel tentativo di distoglierli dal commettere in futuro reati del tipo di quello oggetto della condanna. Pene esemplari si porrebbero in contrasto con il principio di personalità della responsabilità penale (perché una parte della pena applicata non si fonderebbe su ciò che lui ha

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