Riassunto Psicologia DEL Pregiudizio PDF

Title Riassunto Psicologia DEL Pregiudizio
Author Giorgia Nannini
Course Psicologia degli atteggiamenti
Institution Università degli Studi di Firenze
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PSICOLOGIA DEL PREGIUDIZIO (BROWN) Cap. 1: la natura del pregiudizio Nel 1945 Allport forniva un’analisi delle origini della discriminazione tra gruppi, il suo volume è stato il primo di una serie che studia questo fenomeno, ma tutti i successivi prendono spunto da questo. Che cosa è il pregiudizio? Esperimento 1: due uomini della stessa età, uno nero e uno bianco, rispondono a un annuncio per acquistare una casa. Dopo la visita del nero, il proprietario dice all’uomo bianco di non voler dare la casa all’altro perché il vicinato potrebbe rimanerci male. Questo fu un documentario che voleva mettere in risalto i pregiudizi di razza. Dietro tutti questi esperimenti e le relative statistiche si cela un’odiosa realtà di quotidiana violenza verbale, di ingiuri e di minacce, di violenza fisica ai danni di numerosi membri di gruppi minoritari. Ma cosa intendiamo realmente con la parola pregiudizio? Se ci affidiamo a un dizionario, il pregiudizio è un giudizio o un opinione formatasi prima o senza il dovuto esame dei fatti. Secondo molti psicologi sociali bisogna porre l’accento su la scorrettezza o l’ inacuratezza. Allport: il pregiudizio etnico è un sentimento di antipatia fondato su una generalizzazione falsa e inflessibile. Può essere sentito internamente o espresso, può essere diretto verso un gruppo nel suo complesso o verso un individuo in quanto membro di quel gruppo. Samson: il pregiudizio è caratterizzato dalla presenza di un atteggiamento ingiustificato generalmente negativo nei confronti di alcune persone per il solo fatto di appartenere a una data categoria o gruppo sociale. Queste due definizioni sottolineano la connotazione negativa del pregiudizio. Però il pregiudizio non è un insieme falso o irrazionale di credenze, una generalizzazione falsa o una disposizione arbitraria e tre ragioni sostengono questo punto di vista: -affermare che un atteggiamento o una credenza è falsa implica che dovremo stabilirne la correttezza –se “non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace”, ciò che un gruppo può trovare morale e corretto può essere considerato diversamente da un altro gruppo –sembra che percorrano l’analisi delle origini e delle funzioni del pensiero pregiudiziale. Studi più recenti hanno evidenziato che le definizioni psicosociali dovrebbero tenere conto delle credenze, dei sentimenti e delle azioni di carattere positivo. Da qui, secondo Jones: il pregiudizio è un atteggiamento, valutazione o sentimento positivo o negativo nei confronti di un determinato individuo che si fonda sull’atteggiamento o sulle credenze nei confronti del gruppo di appartenenza dell’individuo stesso. Quindi il Pregiudizio è “qualsiasi atteggiamento, emozione o comportamento nei confronti di un gruppo che si esprima direttamente o indirettamente in negatività e antipatia nei confronti del gruppo stesso”. Per completare la definizione: 1) le manifestazioni dirette sono più osservabili, mentre quelle indirette possono essere molteplici e difficilmente prevedibili. 2)considerare il pregiudizio come sinonimo di razzismo, sessismo,… 3)il pregiudizio non è un fenomeno puramente cognitivo, ma bisogna stare attenti alle sue componenti emotive e comportamentali. Un approccio sociopsicologico Approccio generale del libro:1) il pregiudizio è un fenomeno che trae origine da processi di gruppo per tre ordini di ragioni. È un orientamento nei confronti di categorie complessive di

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persone ancor più che di individui isolati. È un orientamento socialmente condiviso. Conoscere la relazione che lega i due gruppi ci fornisce il motivo della nascita del pregiudizio. 2)si analizza l’individuo in quanto il gruppo da cui parte il pregiudizio è un insieme di individui. Capitolo 2: persone inclini al pregiudizio La personalità autoritaria: il tentativo più noto di collegamento tra personalità e pregiudizio si deve ad Adorno. La sua ipotesi fondamentale era semplice: gli atteggiamenti politici e sociali di un individuo sono fra loro consonanti e costituiscono “un’espressione di tendenze profonde nella personalità”. Secondo questa ipotesi, le persone più i9nclini al pregiudizio sarebbero quelle che sono più sensibili alle idee fasciste o razziste. Adorno non era interessato a spiegare le origini di tali idee a livello sociale, ma a spiegare le differenze individuali nella recettività a tali idee. Secondo lui i vari tipi di personalità erano da ricondurre alla famiglia nella quale il soggetto è cresciuto. Quindi il problema principale di una persona incline al pregiudizio è quello di essere cresciuto in una famiglia orientata alla buona condotta e alla conformità dei codici morali convenzionali. Nasce così una persona iperdeferente e ansiosa nei confronti delle autorità, che guarda il mondo in termini di bianco e nero, ostile verso chiunque non appartenga al gruppo. Questo tipo di personalità fu chiamata personalità autoritaria. Per misurare il tipo di personalità Adorno costruì la Scala F. Questa aveva 30 item che monitoravano l’acquiescenza all’autorità, l’aggressività nei confronti di chi è diverso e la tendenza a proiettare impulsi inconsci. La scala aveva buona validità interna. Vennero svolti vari studi per vedere l’efficacia di questa, e i risultati sembravano confermare molte intuizioni teoriche dei ricercatori sulle origini e lo sviluppo dell’autoritarismo. Rokeach esaminò il nesso tra rigidità e autoritarismo. Presentò ai soggetti una serie di problemi e gli spiegò che si potevano risolvere con tre operazioni, poi nella fase di test gli somministrò dei problemi simili ma che potevano essere risolti con un’unica operazione. Chi ottenne punteggi elevati per l’etnocentrismo aveva elevati livelli di rigidità mentale. Le critiche mosse sono soprattutto rivolte alla scala F. In particolare 3: - Adorno ha usato campioni scarsamente rappresentativi dei soggetti - gli item erano formulati affinché l’accordo con essi rappresentasse la personalità autoritaria - processo di validazione poiché durante il colloquio l’intervistatore sapeva il punteggio e quindi poteva influire sulle risposte del soggetto. Autoritarismo di destra: vino vecchio in botti nuove? Altemeyer ha cercato di togliere le inesattezze della scala F, soprattutto il difetto di generare risposte a favore della sua tesi. Sviluppò la scala autoritarismo di destra (RWA) che contiene 30 item con una formulazione più bilanciata. Questi item servono per cogliere le tre componenti dell’autoritarismo: -sottomissione all’autorità - aggressività nei confronti del “diverso” - tendenza ad essere convenzionali. Questa scala ha una notevole attendibilità interna, test/retest ed è correlata in modo attendibile e positivo con le forme di pregiudizio. Secondo l’autore l’autoritarismo si forma nelle più ampie esperienze di apprendimento sociale, soprattutto durante l’adolescenza. Nonostante sia migliore rispetto a quella di Adorno ha i suoi limiti pure questa: - gli item hanno una formulazione bi- o anche tripartita

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- analizza le tre componenti tutte insieme - considera solo l’autoritarismo di destra. Pregiudizio di destra e di sinistra: la psicologia del dogmatismo Rokeach distingueva il contenuto delle credenze della persona con pregiudizio e dell’organizzazione o struttura che soggiace alle credenze. L’ipotesi di questo autore è che si potevano riscontrare forme di autoritarismo non solo a destra ma anche a sinistra. Questi tipi di pregiudizio avrebbero in comune una struttura cognitiva analoga. Definì la sindrome di intolleranza come “mentalità chiusa” o “personalità dogmatica”. Progettò due nuove scale: 1) Opinionation Scale per misurare la dimensione di intolleranza attraverso indicatori politici di destra e sinistra 2) Dogmatism Scale che aveva lo scopo di misurare la dimensione più generale di autoritarismo. Per quanto riguarda le origini della personalità autoritaria Rokeach riteneva che si trovassero nelle esperienze precoci di socializzazione in famiglia. La principale critica mossa a queste scale proviene da Billing che sottolinea il fatto che gli item sono fortemente influenzati dall’ideologia e che quindi le differenze osservate derivino dall’insieme di atteggiamenti politici richiamati dalla scala. Il pregiudizio come dominanza sociale: questo approccio rappresenta una sintesi dei processi psicologici, sociologici ed evolutivi che contribuiscono a creare nel mondo i sistemi sociali gerarchici. Secondo questa teoria i membri di gruppi sociali subordinati contribuirebbero in modo attivo o passivo alla loro stessa oppressione. La teoria della dominanza sociale è stata formulata per la prima volta da Sidanius e Pratto. L’osservazione di partenza è che tutte le società umane conosciute presentano un’organizzazione gerarchica. Due sono le dimensioni che favoriscono l’emergere di un tipo di gerarchia piuttosto che un’altra: il genere e l’età. Infatti attribuiscono uno status più elevato ai maschi più anziani. Benchè la teoria della dominanza sociale punti a sottolineare l’inevitabilità e lòa stabilità dei sistemi gerarchici, i suoi autori riconoscono la possibilità che si verifichino tensioni all’interno del sistema che portano ad un mutamento del sistema stesso. L’orientamento alla dominanza sociale (SDO) è la misufra più studiata in questa teoria, e mira a cogliere con precisione le differenze nel grado di adesione alle disuguaglianze fra i gruppi e fra i loro membri. Secondo questi autori l’origine della tendenza a dominare derivi dalle esperienze di socializzazione degli individui in un particolare strato della società. Con questa scala sono state messe in luce correlazioni consistenti tra dominanza e le varie forme di pregiudizio, debole correlazione tra dominanza e autoritarismo di destra. Limiti dell’approccio individuale al pregiudizio: come si può spiegare la presenza e la variabilità individuale del pregiudizio riferendosi a differenze individuali di personalità? 4 obiezioni: 1) questa sottostima l’influenza e l’importanza della situazione sociale immediata nel processo di formazione degli atteggiamenti delle persone. Infatti ciò che gli altri dicono e pensano influenza il nostro modo di pensare. 2) Applicare questa teoria a società e culture più ampie 3) Non spiegano come il pregiudizio da fatto individuale diventi un fatto consensuale.

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4) Non si può circoscrivere il pregiudizio ad un solo ambito storico. Da qui derivano vari studi: - Sales dimostrò che l’autoritarismo deriva da fattori di inquietudine sociale e da condizioni economiche sfavorevoli. Infatti questa situazione porta l’individuo ad orientarsi verso religioni più autoritarie. - Perrin ha osservato che l’autoritarismo deriva da minacce che investono il gruppo. Capitolo 3: Categorizzazione sociale e pregiudizio Quando un individuo formula una frase razzista o sessista lo fa invocando mentalmente una qualche categoria sociale. La categorizzazione è il punto di partenza per l’inferenza di alcuni attributi dell’interlocutore e spesso per una giustificazione delle azioni verso questi dirette. Quindi la categorizzazione è un processo fondamentale per lo sviluppo del pregiudizio. La categorizzazione sociale come processo cognitivo fondamentale: l’idea secondo cui la categorizzazione sociale è un precursore del pregiudizio sottolinea la sua natura ordinaria e comune. La categorizzazione è un processo cognitivo che rappresenta una caratteristica fondamentale dell’esistenza umana, poiché anche noi quotidianamente ci affidiamo a categorie per classificare tutto ciò che ci circonda. Esagerare e sottostimare le differenze: differenziazione e assimilazione: se le categorie devono essere utili strumenti di semplificazione e ordinamento devono poterci aiutare a discriminare con chiarezza fra gli individui che vi appartengono e quelli che non vi appartengono. Campbell osservò che un’importante categoria dello stereotipo sia quella di accrescere il contrasto tra gruppi. Esperimento in cui si chiedevano delle valutazioni fisiche (chiese ai partecipanti di ricordare una serie di sillabe senza senso, con due categorie, nella prima la lettera centrale era sempre “e”, nella seconda la sillaba terminava con la “x”. Il primo gruppo veniva presentato a sinistra e il secondo a destra. I soggetti facevano fatica a stimare la posizione delle sillabe che si sovrapponevano al centro della linea). Le conclusioni dell’esperimento vennero formalizzate più tardi da Tajfel in due ipotesi: 1) l’imposizione di una categoria a una serie di stimoli compiuta in modo che essi ricadano alcuni nella classe A altri nella classe B accrescerà la differenza tra di essi. 2) si verificherà una riduzione delle differenze all’interno delle categorie. La prima verifica diretta di queste ipotesi fu realizzata da Tajfel e Wilkes (esperimento in cui chiedevano ai partecipanti di classificare la lunghezza di 8 linee attribuendole alla categoria A se era brevi o alla categoria B se erano lunghe). Sollecitate da questi esperimenti, altre prove hanno confermato l’effetto di differenziazione categoriale rispetto a una gamma di compiti diversi. McGarty e Penny attraverso l’utilizzo del paradigma di valutazione degli atteggiamenti hanno trovato elementi a conferma dell’esistenza di un processo di assimilazione accanto a quello di differenziazione categoriale. Noi e loro categorizzazione sociale e discriminazione tra gruppi: ci si può chiedere se vi siano prove che la categorizzazione sociale produca conseguenze più significative per gli atteggiamenti e la condotta delle persone nei confronti del loro gruppo di appartenenza e di

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altri gruppi. La risposta è affermativa. Prima però bisogna descrivere un’ulteriore conseguenza che la mera esistenza di un processo di categorizzazione di per sé produce. Ci riferiamo al fatto che essa sembra offrire le condizioni sufficienti perché le persone comincino a sviluppare una percezione più favorevole del “proprio” gruppo rispetto ad altri portando ad un comportamento di discriminazione intergruppi. Rabbie e Horwitz presero un gruppo di ragazzi della scuola media olandese e li divisero secondo criteri casuali in due sottogruppi di 4 individui ciascuno. Gli vennero fatti fare compiti irrilevanti, in seguito al gruppo sperimentale veniva detto che uno dei due gruppi avrebbe ricevuto una ricompensa mentre l’altro no, al gruppo di controllo non veniva detto niente. Poi venne chiesto ai due gruppi di valutarsi tra di loro attraverso delle scale sociometriche. I risultati mostrarono che i ragazzi della condizione sperimentale fornivano valutazioni più positive per i membri del proprio gruppo, nella condizione di controllo non c’erano elementi pregiudiziali -> questo provò per la prima volta che la semplice ripartizione di un insieme di persone in due gruppi può determinare effetti prevedibili nelle valutazioni da queste fornite dei compagni. Questa conclusione venne confermata da Tajfel che escogitò il paradigma dei gruppi minimi orientato a creare gruppi senza le caratteristiche tipiche della vita di gruppo. Invita un gruppo di ragazzi a prendere parte ad un esperimento sulla “presa di decisione”. Nella prima parte dell’esperimento gli si mostra due quadri e si dividono in base alla preferenza di uno dei due. Poi si procede con la seconda parte che prevede di dare delle ricompense. Quali strategie posso adottare? -tentare di dare a tutti una quantità di denaro identica - scegliere la casella che ha totalizzato la somma più alta per massimizzare l’importo -scegliere casualmente - discriminare in forma sistematica tra i destinatari sulla base della loro appartenenza al gruppo. I ragazzi usano solo la prima e l’ultima strategia. Quindi esiste discriminazione anche per i gruppi minimi. Due eccezioni: 1) l’outgroup può non essere unico 2)se si danno sanzioni invece che ricompense. Sembra che l’asimmetria positivo/negativo non riguardi solo la condizione in cui i soggetti devono somministrare sanzioni, ma si estende anche quando non ci sono ricompense da erogare. Favoritismo inconscio nei confronti dell’ingroup: le decisioni relative al trattamento da riservare ai membri del gruppo e a quelli di gruppi esterni siano di natura conscia. Ci sono molte prove che documentano la tendenza a favorire l’ingroup. Perdue esperimento in cui somministra ai partecipanti una serie di pronomi che distinguono l’ingroup dall’outgroup, questa esposizione è breve e intramezzata da altri stimoli che i partecipanti non riconoscono consciamente i pronomi. Poi dovevano dire se la parola che appariva scritta era riferita all’ingroup o all’outgroup. Il risultato fu che se il pronome presentato subliminalmente indicava noi i tempi di reazione per le parole positive si accorciavano, se il pronome indicava loro non accadeva lo stesso. Otten e Moskowitz ricerca su due gruppi minimi, i soggetti dovevano leggere delle frasi descrittive di comportamenti quotidiani sia dell’ingroup che dell’outgroup. Dopo veniva presentata una parola che denotava un tratto e i soggetti dovevano decidere se era stata

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