Riassunto Un affare di donne - parte speciale prof. Susanna Mancini PDF

Title Riassunto Un affare di donne - parte speciale prof. Susanna Mancini
Course Diritto pubblico comparato
Institution Università di Bologna
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Parte speciale prof. Mancini, un affare di donna...


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UN AFFARE DI DONNE. L’ABORTO TRA LIBERTA’ EGUALE E CONTROLLO SOCIALE. 1 Introduzione La comparazione consente di individuare due approcci alla regolamentazione dell’ aborto : I. Il primo approccio è quello inaugurato dalla sentenza Corte Suprema USA nel 1973 con Roe v. Wade: costruisce l’aborto come diritto , ancorato prima nella privacy e poi in un’ accezione sostanziale del due process , e nega al nascituro la qualità di ” persona” e quindi di soggetto di diritti costituzionalmente garantiti. In questa costruzione , l’accesso all’ aborto rappresenta il principio , e i limiti che ad esso sono apposti , le eccezioni. I. L’altro modello è quello emerso dalle giurisprudenze costituzionali europee , in cui la prospettiva è rovesciata e il punto di partenza è la situazione giuridica del concepito . Il principio è il divieto dell’ aborto , e le situazioni in cui esso è permesso sono costruite come eccezioni. Emblematica è la sent. 27/1975 Corte costituzionale italiana → stabilisce che la liceità dell’ aborto deve essere ancorata a una previa valutazione delle condizioni atte a giustificarlo.

Secondo Mary Anne Glendon, l'approccio statunitense è caratterizzato da iperindividualismo, cioè da una situazione in cui i diritti individuali dominano la società. Mentre in Europa gli ordinamenti giuridici enfatizzano maggiormente la dimensione sociale in cui agiscono gli individui , con la conseguenza che i diritti sono tutelati anche in relazione agli scopi sociali e collettivi che perseguono. Mary Anne Glendon accusa gli Stati uniti di aver progressivamente tradotto le relazioni sociali nel linguaggio dei diritti. Il diritto , cioè, avrebbe finito con l’incorporare e con l’esprimere i valori comuni della società americana , per cui i termini giuridici pervadono oggi il dibatiyo politico e il linguaggio popolare americano e ogni conflitto morale e culturale è espresso in termini di conflitto tra diritti. Questo eccesso di “Rights Talk” provocherebbe crescenti difficoltà a raggiungere ragionevoli compromessi , al contrario nella cultura europea l'individuo non è costruito dal diritto come un essere isolato e pienamente sovrano su sé stesso , ma , piuttosto come membro della comunità. Questo permetterebbe di risolvere i conflitti divisivi attraverso un bilanciamento tra diritti individuali e interessi e valori collettivi. Glendon ritiene che questa diversa concezione dell’ individuo abbia obbligato le corti europee , che si confrontano con i conflitti sull’ aborto, a considerare quest’ultimo nella sua dimensione sociale. In Europa l’aborto avrebbe avuto rilevanza al di là del conflitto tra pretese individuali all’ autodeterminazione e posizione giuridica del concepito , e quindi in relazione ai valori e ai disvalori collettivi che ad esso sono connessi. Le regolamentazioni europee avrebbero il vantaggio di non sacrificare definitivamente nessuno dei valori in gioco. Qui infatti, pur lasciando spazio all'autodeterminazione femminile, si riafferma la centralità della vita umana. Glendon menziona come emblematica di questa costruzione le seguenti decisioni : - sentenza della Corte Costituzionale Tedesca del 1975: che sancisce il primato assoluto del diritto alla vita, dichiara incostituzionale la legge sull'aborto che lo ammetteva perché non tributava sufficiente importanza a questo valore. - legge francese del 1975: che permetteva l'aborto nelle prime 10 settimane solo se la donna è “in grave difficoltà” a causa della gravidanza, pare a Glendon che questa legge persegue correttamente il

bilanciamento tra diversi valori ed interessi , perché la donna era il solo giudice della propria situazione. Tutto quello che l’ordinamento chiedeva era una dichiarazione della sussistenza della difficoltà , seguita da un consulto. La legge francese pretendeva dagli individui l riconoscimento del valore collettivo condiviso , ma non li privava della possibilità di effettuare un esercizio di responsabilità personale , che si traduceva nella decisione di dichiarare sé stessi in difficoltà. Altri commentatori hanno messo in luce le paradossali convergenze tra la costruzione americana del conflitto sull’ aborto e quelle dell’ Europa continentale. - sentenza Casey del 1992 → la Corte Suprema degli Stati Uniti , pur confermando la dottrina del 1973 (l’aborto è un diritto ) ha introdotto la possibilità di un consulto , che soddisfa simbolicamente l’interesse dello Stato a proteggere la vita prenatale. - sentenza della Corte Costituzionale Tedesca del 1993 → stabilisce che la criminalizzazione dell’ aborto in certe situazioni può tradursi in una lesione della loro dignità. Fino al '68, l'aborto non era mai approdato nella cultura giuridica a livello costituzionale: quando era regolato ciò era dovuto a motivi demografici, di salute pubblica, di ingiustizia di classe. A provocare una drastica svolta nel senso della costituzionalizzazione del dibattito fu l’affacciarsi sulla scena pubblica dei movimenti giovanili critici dei costumi sessuali tradizionali , e in particolare del movimento femminista. 1971 → “Manifesto delle 343” di Simone de Beauvoir : firmato da donne intellettuali e celebrità della politica , dell’ arte e dello spettacolo. Il manifesto ebbe l’effetto di una bomba . Prima della sua pubblicazione l’aborto era un taboo. → In Germania nel giugno dello stesso anno Der Stern pubblicò l’appello dell’ organizzazione femminile Aktion 218 , firmato da 374 donne , per la liberalizzazione dell’ aborto. → In agosto Il Movimento di Liberazione della donna in Italia pubblicava un testo di autodenuncia di donne che avevano abortito. 1972 → In primavera negli Stati Uniti Ms Magazine pubblicava l’autodenuncia di 53 donne che avevano abortito. Al dilagare delle autodenunce di donne si accompagnavano i primi tentativi di elaborazioni dei diritti e dei valori connessi alla questione dell’ aborto. Sul fronte opposto , si andava organizzando la reazione della Chiesa e dei laicato cattolico. La questione è fortemente divisiva sul piano politico, perché ruota intorno all'habeas corpus e al controllo sulla sfera riproduttiva: la questione viene posta come conflitto tra due diritti, quello della donna e quello del concepito. Ha comunque una dimensione anche morale, legata al valore che si attribuisce alla vita prenatale con cui i giudici sono costretti a confrontarsi. Sotto questo profilo, come si vedrà, essi non possono esimersi dall'assumere il ruolo di arbitri morali; d'altra parte, l'uso della morale nella regolamentazione è strumentale rispetto ad altre esigenze simboliche e politiche, con il risultato di un frequente scollamento tra le motivazioni morali e le decisioni che se ne fanno scaturire. 1 I giudici e l'aborto Tutti i diritti hanno un contenuto morale. Sia il diritto di abortire sia il divieto assoluto di abortire in nome della vita del nascituro sono profondamente radicati nella morale. E' possibile per un giudice non entrare nel merito delle questioni morali? Nessun giudice può esimersi dall’ ergersi ad arbitro morale. Secondo Dworkin, il diritto è intrinsecamente legato alla morale e alla filosofia politica mentre secondo Hart è indipendente dalla morale. Dal punto di vista fenomenologico, è una pratica indipendente: quando un giudice decide una controversia o interpreta il diritto si cala in una pratica indipendente , regolata e circoscritta da norme giuridiche , da convenzioni ecc.. I diritti in ogni caso sollevano questioni morali; il punto è se il giudice possa evitare di fare determinazioni morali che

avranno conseguenze determinanti sulla decisione giuridica che è chiamato a prendere. In teoria può evitarlo quando la legge (o la Costituzione) contengano una soluzione dettagliata della questione morale. In pratica, però, queste non sono mai esaustive. E' quindi impossibile in questo campo che il giudice si astenga dal ruolo di arbitro morale. La corte costituzionale italiana nella sentenza 27/1975 ha fatto leva su disposizioni costituzionali tutt’altri che univoche per affermare una particolare teoria della vita . La costituzione , secondo la Corte , protegge la vita prenatale , indirettamente , attraverso la protezione della maternità e direttamente , dal momento che l’art. 2 riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’ individuo , “fra i quali non può non collocarsi , sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie , la situazione giuridica del concepito” . La corte fa anche intendere che la nozione di “persona” possa applicarsi al concepito quando afferma che la giusta collocazione dell’ aborto nel codice penale è tra “i delitti contro la persona”. Rispetto alla persona nata , tuttavia, il concepito ha caratteristiche sui generis. Ne segue che il feto ha alcuni attributi umani , meritevoli di tutela , ma di una tutela evidentemente inferiore a quella che spetta all’essere umano successivamente alla nascita. 1

Corte Suprema degli Stati Uniti

Nonostante la Costituzione degli Stati Uniti non contenga una clausola esplicita a tutela della dignità questa viene usata di frequente dalla Corte suprema a parametro di costituzionalità nell’ interpretazione dei diritti. Questa crescente inclinazione a far leva sulla dignità non si è tradotta però in una dottrina univoca e congruente. Al contrario , la dignità è utilizzata , anche quando la corte decide sullo stesso diritto a supporto della libertà e dell’ uguaglianza in alcuni casi , e come limite ad esse in altri. In Lawrence v. Texas, sentenza che decriminalizza il sesso omosessuale tra adulti consenzienti, il giudice Kennedy afferma che “al cuore della libertà è il diritto di definire il proprio concetto dell'esistenza, del suo significato, dell'universo e del mistero della vita umana”. Quando una legge come il sodomy act disciplina i ruoli sociali in modo da negare agli individui questo tipo di libertà , essa confligge dunque con la dignità , intesa sia come autonomia che come eguaglianza. Kennedy propone una visione della dignità intesa sia come autonomia che come uguaglianza, in quanto invalida le norme che impongono ruoli e stereotipi sociali che l'individuo non può cambiare (es. segregazione razziale). Nel caso Casey del 1992, Kennedy si confronta con la legittimità dell’ aborto e sembra mantenere questa rotta , afferma che la sofferenza della donna che porta a termine la gravidanza è troppo intima perché lo Stato possa insistere sulla propria visione del ruolo della donna. Nonostante questa premessa, la Corte interviene restringendo anziché ampliando il contenuto del diritto conteso, che era rimasto ancorato alla disciplina di Roe v. Wade, in cui il diritto all'aborto era sancito fino al momento della viability, quando il feto è in grado di sopravvivere al di fuori del corpo materno e dove si affermava che la Costituzione permette, ma non prescrive, l'intervento statale. In Casey si afferma che Roe non attribuisce sufficiente valore all'interesse dello Stato a proteggere la vita prenatale e introduce il criterio dell'undue burden, per cui lo Stato può porre limitazioni all'aborto lungo tutte le fasi della gravidanza, pur continuando a ritenerlo un diritto costituzionalmente garantito, a patto che ciò non costituisca un peso eccessivo per la donna. Infine, in Gonzales, Attorney General v. Carhart del 2007, Kennedy afferma che una legge che limita le procedure abortive “esprime rispetto per la dignità della vita umana”. Nella sentenza Carhart, come visto, si afferma che in assenza di dati che lo provano è razionale ritenere che molte donne si pentano di aver scelto di abortire. Quando la dignità è assunta a valore universale, apre le porte alla tirannia delle maggioranze.

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Corte Costituzionale Tedesca

Con la sentenza del 1975 la Corte Costituzionale federale tedesca giudicò incostituzionale la legge che nel 1974 aveva regolato l'accesso all'aborto, questa non richiedeva alla gestante alcuna giustificazione per abortire durante il primo trimestre. La pronuncia si apre con un riconoscime nto piuttosto enfatico della dignità come diritto alla vita (nella Legge Fondamentale tedesca si afferma il valore fondamentale della vita umana). Ne segue che quando si usa il diritto alla dignità come parametro , la decisione debba favorire la protezione della vita del feto rispetto al diritto all’ autodeterminazione della madre. La legge del 74 si poneva dunque in conflitto con l’affermazione del valore fondamentale della vita umana contenuta nella Legge Fondamentale , il che rende , tra l’altro necessaria la criminalizzazione dell’ aborto. l Nonostante questo, la Corte non esclude la costituzionalità di qualsiasi legge che legittimi l'accesso all'aborto al contrario , dopo aver invitato il legislatore ad adottare una nuova legge che , diversamente da quella del 1974 , disciplinasse l’’accesso all’ aborto in armonia con il valore intrinseco della vita umana , predispose un regime di transizione che consentisse le interruzioni di gravidanza legittime fino all’ entrata in vigore della nuova legge. Questo schema di transizione prevedeva la legittimità dell’ aborto non solo in caso di stupro , di gravi malformazioni del feto o di pericolo per la salute fisica della madre , ma anche allo scopo di evitare il pericolo di gravi danni di altro genere alla gestante. Tra il regime di transizione e la legge del '74 non vi sono differenze rilevanti quanto all'accessibilità all'aborto, ma è diverso il giudizio morale sotteso alle due discipline , e nel significato sociale e culturale della condanna morale dell’ aborto. La nuova legge approvata nel 1976 è più liberale del regime di transizione e legittima l'aborto entro le prime 12 settimane nel caso in cui la gravidanza ponga la gestante in uno stato di grave sofferenza (le settimane diventano 22 in caso di gravi patologie fetali o pericolo per la salute e la vita della gestante). Con la riunificazione delle due Germanie la questione torna attuale perché l'aborto era regolato in modo largamente permissivo dalla Repubblica democratica tedesca . La corte costituzionale federale si trovò dunque nuovamente calata nel ruolo di mediatore giurisdizionale nella composizione di un conflitto altamente divisivo. Nella “ II Decisione sull'aborto” del 1993 , riconosce che alcune restrizioni all’ accesso all’ aborto violano la dignità delle donne. La corte cioè “ripartisce” la dignità tra i due elementi di bilanciamento: madre e concepito il diritto alla vita di quest'ultimo va tutelato e costituisce il valore superiore, ma non è assoluto al punto di eliminare i diritti delle donne. La corte adotta lo standard dell'”onere irragionevole” nel limitare il dovere di portare a termine una gravidanza. Vi sono doveri che s’impongono alla donna durante tutta la sua esistenza , tra cui il dovere di portare in grembo il figlio ed occuparsene per molti anni dopo la nascita. Date queste responsabilità connesse alla gravidanza ed i conflitti psicologici che esse possono provocare , è possibile che molte donne ad uno stadio precoce della gravidanza sperimentino serie angosce , anche tali da metterne in pericolo la vita. In queste circostanze , tali urgenti interessi , che sono meritevoli di protezione da parte del diritto , fanno sì che l’ordinamento giuridico non possa richiedere alla donna di attribuire alla vita del nascituro un valore superiore a tutti , indipendentemente da più ampie considerazioni morali e religiose. Il dovere dello Stato di proteggere la vita prenatale deve essere soddisfatto attraverso un sistema di consulto obbligatorio volto a persuadere la donna a non abortire. Dunque una scelta massimamente intima deve essere oggetto di una conversazione pubblica che comunichi la riprovazione dello Stato. La Corte inoltre afferma che il diritto penale non dev'essere il primo strumento giuridico di protezione e che il dovere dello Stato di proteggere la vita prenatale implica farsi carico dei problemi e delle difficoltà che una donna affronta durante la gravidanza. Questa affermazione è fortemente contraddetta dalla legislazione che ha seguito l'unificazione, che di fatto è consistita in un'estensione dell'impostazione del welfare della Germania Ovest sulle prassi della DDR, riducendo molte pratiche di sostegno all'uguaglianza di genere (scuole materne, asili nido).

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Corte Costituzionale ungherese

Nel 1991 dichiara incostituzionale la disciplina liberale prevista sull'aborto in quanto disciplinata da fonti amministrative, mentre dovrebbe essere materia di competenza parlamentare. L'anno seguente una legge codifica in larga misura la disciplina precedente, che richiede per l'aborto un situazione d i “seria crisi”, valutabile esclusivamente dalla donna. Nel 1998 la Corte, pur accettando l'impostazione del legislatore che non riconosceva il feto come assimilabile alla persona, dichiarò parzialmente incostituzionale la legge perché non stabiliva modalità di verifica della situazione di “seria crisi”, richiedendo l'uso del consulto obbligatorio, durante il quale però nessuna pressione può essere esercitata sulla gestante. La nuova costituzione di Orban, però, ha modificato questo assetto, affermando che la dignità umana è inviolabile e che la vita dell'embrione e del feto è protetta fin dal concepimento. 1

Tribunale Costituzionale polacco

Fino al 1993 consentito l'aborto senza particolari ostacoli. Una legge del 1 gennaio lo proibisce con le eccezioni di pericolo per la vita e la salute della gestante, stupro, incesto, anomalie gravissime del feto. Nel 1996 una nuova legge consente l'accesso nelle prime 12 settimane per motivi sociali, a condizione di aver depositato una dichiarazione scritta al proprio medico, senza procedure per accertarne la veridicità. Il Tribunale dichiarò l'incostituzionalità di quasi tutte le disposizioni, asserendo che il valore di un bene costituzionalmente protetto non può essere soggetto a differenziazioni a seconda dello stadio di sviluppo, per cui non è accettabile attribuire un valore diverso alla vita umana prima e dopo la nascita. L'opinione dissenziente del giudice Garlicki invece attacca questa costruzione e sostiene che una differenza tra vita prima e dopo la nascita è possibile non in termini gerarchici, ma sulla base della peculiarità del rapporto del feto col corpo materno, da cui è allo stesso momento dipendente e indipendente. Quindi si dovrebbero bilanciare le dignità dei due soggetti, ognuna delle quali non ha caratteristiche universali: è questa dignità della donna a legittimare l'accesso all'aborto, non una libertà che lo consenta in ogni momento e per qualsiasi ragione. 1

Corte Costituzionale colombiana

Fino al 2006 la Colombia aveva una delle legislazioni più restrittive al mondo in materia di aborto : ma era anche tra i paesi con il maggior numero di aborti clandestini al mondo. Nel 1997 non si era riscontrata violazione di diritti nel proibire una gravidanza frutto di stupro”perché la donna non è padrona del prodotto vivo della fecondazione , che è un essere separato , titolare di una vita umana in formazione , ma autonoma . Per questo la donna non può disporne”citando due encicliche papali. Ma una sentenza del 2006 (con la Corte spaccata cinque a quattro) ha rovesciato la decisione, in base alla considerazione per cui il “principio della” e il “diritto alla” dignità umana non sono la stessa cosa. In particolare ha dichiarato l'incostituzionalità della criminalizzazione quando: la gravidanza è frutto di stupro o incesto la gravidanza pone un rischio per la salute fisica o psichica della gestante il feto è affetto da anomalie tanto gravi da non consentirne la sopravvivenza dopo la nascita. Quando la dignità è usata come parametro, essa protegge: l'autonomia di decidere il corso della propria vita; alcune condizioni materiali dell'esistenza, cioè “vivere bene”; alcuni beni intangibili come l'integrità fisica e morale, cioè “vivere liberi dall'umiliazione”. In altri termini garantisce a tutti una sfera di autonomia e integrità morale. 1

Congruenza tra argomenti morali utilizzati e decisione giudiziaria

Tutte le decisioni citate hanno in comune: 1. lo sconfinamento dei giudici nel campo della morale 2. l'applicazione del principio di proporzionalità e della tecnica del bilanciamento 3. il risultato del bilanciamento, che si concretizza nel riconoscimento della legittimità sia dell'access...


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