Richiesti e respinti maurizio ambrosini PDF

Title Richiesti e respinti maurizio ambrosini
Course Antropologia sociale
Institution Università degli Studi di Catania
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Riassunto capitolo 1 Richiesti e Respinti Un mondo in movimento Le migrazioni sono antiche quanto l’umanità, se è vero che tutti abbiamo origini africane. La sedentarietà faticosamente conquistata ne Neolitico, con l’invenzione dell’agricoltura e la nascita delle prime forme urbane, non è mai stata assoluta. Il movimento di popolazioni, nelle sue varie forme e con diversi esiti, ha sempre accompagnato la formazione di società stabili. Oggi, nuovamente, le migrazioni si presentano come uno dei fattori più visibili e controversi del cambiamento delle nostre società. E i nuovi arrivati sono quasi sempre più poveri di quanti si erano già insediati in precedenza, oltre che diversi per lingua, aspetto fisico, usanze, credenze e pratiche religiose. La percezione diffusa è quella di uno sconvolgimento dell’ordine sociale. Per alcuni, è l’alba di un mondo nuovo, all’insegna della fratellanza universale; per i più, è l’inizio di un’invasione forse catastrofica. Chi sono gli immigrati? Un primo nodo scaturisce dal fatto che non è semplice definire chi siano gli immigrati. Il potere di definire e classificare, detenuto da chi è in una posizione di maggiore forza, svolge dunque una funzione rilevante nel costruire la categoria sociale degli immigrati, ossia gli stranieri provenienti dai paesi più poveri, autorizzati a soggiornare in maniera provvisoria e condizionata. Questo avviene specialmente quando siamo costretti, tra molte reticenze, ad ammettere che ne abbiamo bisogno per ragioni di copertura dei fabbisogni di manodopera, oppure quando riconosciamo, anche in 1

questo caso con molto riluttanza, che hanno ragione di chiedere protezione sotto la bandiera dei diritti umani di cui di proclamiamo difensori. Noi definiamo come “immigrati” solo una parte degli stranieri che risiedono stabilmente e lavorano nel nostro paese. Ne sono esenti non solo i cittadini francesi o tedeschi, ma anche giapponesi e coreani. Lo stesso vale per il termine extracomunitari, un concetto giuridico, “non appartenenti all’Unione Europea”, diventano invece sinonimo di “immigrati”, con conseguenze paradossali: non si applica agli americani, ma molti continuano a usarlo per i rumeni. Immigrati sono dunque ai nostri occhi soltanto gli stranieri provenienti da paesi che classifichiamo come poveri, mai quelli originari di paesi sviluppati. Di conseguenza, il confine classificatorio che separa immigrati e stranieri graditi è in realtà mobile. Si può allora prevedere che tra venti o trent’anni cinesi, indiani e brasiliani non saranno più considerati immigrati. Lo stato-nazione e i suoi confini L’idea di “nazione” come comunità spontanea, omogenea, solidale all’interno e separata verso l’esterno, è normalmente percepita come un dato naturale e indiscusso: noi ci commuoviamo se un nostro connazionale sconosciuto viene rapito all’esterno o rimane coinvolto in una calamità naturale, molto meno se la stessa sorte tocca a uno straniero, quanto più lo consideriamo lontano e diverso da noi. Questa solidarietà “nazionale” affonda le sue radici

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nell’età romantica, quando è nato il concetto stesso di “nazionale”, vista come unità di sangue, di lingua e per molti di religione. Si tratta di una concezione sociopolitica attivamente perseguita dagli stati-nazione moderni. Vari mezzi sono stati dispiegati nel tempo a questo scopo: l’educazione pubblica, la coscrizione obbligatoria, i rituali civili, il culto degli eroi e delle ricorrenze solenni della storia nazionale, le squadre nazionali nelle competizioni sportive. Lo stesso concetto di Stato-nazione combina la concezione razionale e fredda dello stato moderno con l’idea romantica di nazione, calda, suggestiva, carica di componenti emotive. Da tutto ciò discende la conseguenza che più ci interessa: se gli estranei che attraversano i confini cono percepiti come poveri che pretendono di stabilirsi sul nostro territorio, sulla terra di quella grande tribù che è la nazione, scatta la paura antica dell’invasione e del saccheggio. Si può dunque intuire perché il presidio delle frontiere e dell’accesso al territorio è investito di tanta risonanza, al punto da essere spesso considerato un banco di prova dell’efficienza e della serietà delle istituzioni dello Stato: uno dei principali simboli della sovranità degli stati nazionali è il controllo dei confini, ben delimitati dai trattati internazionali e sorvegliati dalle forze preposte alla salvaguardia della sicurezza nazionale. L’immigrazione, dunque, non è solo una questione di movimenti di popolazione. È una vicenda ben più complessa, in cui intervengono gli stati riceventi, con le loro politiche di categorizzazione degli stranieri più o meno graditi e di controllo dei confini, le reazioni delle società nei confronti dei nuovi arrivati, i paesi d’origine con la loro reputazione più o meno positiva.

Va ribadito che non esistono stati nazionali, per quanto democratici, che non presidino le frontiere e non controllino gli ingressi sul territorio nazionale, con le relative conseguenze: richiesta di passaporti e permessi di soggiorno, procedure di trattenimento ed espulsione degli stranieri indesiderati. Proprio in funzione del contrasto tra crescente domande di mobilità e crescente restrizione degli ingressi, si è formata un’economia della frontiera e degli attraversamenti non autorizzati, che offre vari tipi di servizi a quanti desiderino passare alla sponda “povera” alla sponda “ricca” della geografia in un mondo drammaticamente sperequato. Fabbricazione di documenti falsi, rischiosi passaggi marittimi e terrestri, matrimoni combinati, ma anche consulenza giuridica per il recupero della cittadinanza. La frontiera per alcuni è diventata una risorsa, non più per il vecchio contrabbando di merci ma per il più moderno transito degli esseri umani. Il vantaggio, a sua volta, sta ridividendo per un numero crescente di migranti un’esperienza rischiosa e travagliata. Vanno poi ricordati i processi di naturalizzazione, che trasformano gli stranieri lungo-residenti in cittadini. In questo caso gli stati nazionali, prendono atto dell’irreversibilità dell’insediamento di un certo numero di stranieri, preferiscono includerli a pieno titolo nella comunità dei cittadini, anziché lasciarli indefinitivamente ai margini del corpo sociale. Si rischia altrimenti di cristallizzare uno squilibrio che ricorda quello dell’antica Atene: una democrazia in cui solo gli autoctoni godono della piena cittadinanza e dei diritti politici, mentre i meteci, ossia i lavoratori stranieri residenti, non possono partecipare alle decisioni, che pure li riguardano.

Legami durevoli, appartenenze multiple Possiamo individuare un altro aspetto dei fenomeni migratori che ha acquisito grande risalto nelle esperienze contemporanee: il mantenimento dei legami con chi resta e la formazione di relazioni sociali che scavalcano i confini, esercitando effetti di vario genere su entrambi i versanti del movimento migratorio. La manifestazione più tangibile dei legami è rappresentata dal fenomeno delle rimesse in denaro verso i luoghi d’origine. Gli effetti sociali delle rimesse sono controversi. I critici osservano l’aumento dei prezzi dei beni di consumo, l’approfondimento delle disuguaglianze (tra chi può contare sui trasferimenti dall’estero e chi ne è privo), l’incentivo a nuove migrazioni. Sull’altro piatto della bilancia pesa tuttavia il miglioramento delle condizioni di vita, l’accesso ad abitazioni più confortevoli, a cure mediche, a un’educazione più qualificata per i figli. Difficilmente le famiglie dei migranti potrebbero farne a meno, e le rimesse diventano così un fattore saliente della sollecitudine di chi parte verso chi rimane. Da alcuni anni poi gli investimenti dei migranti nei luoghi d’origine vengono visti come una risorsa per lo sviluppo, anche da parte delle grandi istituzioni che finanziano la cooperazione internazionale, come la Banca Mondiale e l’Unione Europea. Sul piano politico, il fenomeno di maggior rilievo consiste nelle accresciute possibilità di partecipazione politica riconosciute ai migranti degli stati di provenienza. In molti casi oggi possono votare dall’estero per le elezioni della madrepatria. Più contrastato, specialmente nello scenario europeo, appare un altro sviluppo che sembra destinato a imporsi a livello internazionale; quello della diffusione di cittadinanza multiple e di diritti individuali svincolati dall’appartenenza nazionale. Siamo

qui nuovamente di fronte a un contrasto fra i tradizionali istituti degli stati-nazionale, di cui la cittadinanza nazionale è appunto un emblema, e l’impaccio rappresentato dalle migrazioni internazionali. Se un numero crescente di paesi, incluso il nostro, oggi tollera la doppia cittadinanza, non mancano i casi di ripensamento: un paese tradizionalmente liberale come l’olanda già nel 1997 ha abolito questa possibilità. L’opportunità di mantenere la cittadinanza del paese di provenienza accanto a quella del nuovo paese consente ai migranti di poter rientrare agevolmente dei luoghi d’origine, di effettuare degli investimenti e magari di tornarvi definitivamente. Un altro complesso capitolo dei legami e delle identificazioni dei migranti concerne la sfera culturale e in special modo religiosa. Una dimensione della globalizzazione culturale, a cui le migrazioni contribuiscono, consiste nella formazione di comunità religiose che oltrepassano le frontiere. I leader spirituali operano attivamente in questi processi, viaggiando per incontrare i fedeli, ma anche in forme virtuali. Così, nuove architetture religiose sono create da queste comunità spirituali tradizionali. Pellegrinaggi, visite dei leader, incontri e scambi di aiuti fra congregazioni locali contribuiscono ad alimentare i legami transnazionali, e nello stesso tempo favoriscono processo di integrazione. Le funzioni della religione nell’accompagnare i percorsi dei migranti possono essere espresse con la formula delle tre R:  Rifugio le chiese e le altre organizzazioni religiose svolgono un importante ruolo nella creazione di comunità e come fonti di assistenza sociale ed economica.

 Rispetto la partecipazione religiosa ha a che fare con la ricerca di riconoscimento e di un’immagine sociale positiva. Le organizzazioni comunitarie collegate alle chiese offrono la possibilità di assumere ruoli di responsabilità e forme di riconoscimento sociale, difficilmente accessibili nella società esterna. Certamente nel caso americano, ma probabilmente anche in Europa, la partecipazione religiosa ha poi una relazione positiva con la mobilità sociale. Una volta che i migranti si sono insediati, hanno ricongiunto o formato una famiglia, hanno cominciato a consolidare le loro condizioni economiche e sociali, la frequentazione di un’istituzione religiosa diventa un simbolo di rispettabilità e un’opportunità per allacciare contatti utili ai fini di nuovi avanzamenti nella scala sociale.  Risorse L’aspetto problematico consiste nell’identificazione soggettiva con una comunità di fedeli che deborda dai confini e si sente legata con altri credenti dispersi nel mondo, ma soprattutto, di solito, con le istituzioni religiose dei paesi d’origine. Molti pensano che tali processi siano di ostacolo alla piena assimilazione nelle società di accoglienza: in Europa è questa la chiave di lettura con cui viene prevalentemente affrontato il fenomeno islamico. Gli attacchi terroristici hanno senza dubbio alimentato queste differenze. Oltre le apparenze: le ragioni delle migrazioni Dobbiamo porci un’ultima grande domanda: perché si emigra?

 Le differenze di reddito ovviamente hanno un nesso con le migrazioni: le persone si spostano perlopiù da paesi relativamente poveri vero paesi più ricchi, e raramente in senso contrario. Inoltre, quando un paese perviene a un livello dignitoso di benessere, smette abbastanza rapidamente di alimentare i circuiti delle migrazioni internazionali, e comincia semmai a diventare a sua volta una meta per nuove migrazioni. Se confrontiamo l’elenco dei paesi che forniscono il maggior numero di immigrati con le graduatorie mondiali basate sull’indice dello sviluppo umano, scopriamo che i paesi più sfortunati, come quelli dell’Africa subsahariana, partecipano ben poco alle migrazioni internazionali. I maggiori fornitori di migranti, per così dire, sono paesi in posizione intermedia nelle graduatorie dello sviluppo: non abbastanza sviluppati da consentire a tutti di coltivare aspettative di una vita migliore in patria, non così poveri da rendere inaccessibile o disumani i viaggi della speranza.  Un secondo aspetto non trascurabile consiste nella domanda di manodopera delle economie sviluppate. Spesso riferita a posizioni svantaggiate e magari irregolari questa domanda, trasmessa in molti modi ai luoghi di origine dei migranti, suscita aspettative e sollecita partenze. Il punto debole delle spiegazioni basate sulla domanda è un altro: presuppone che i migranti siano docili pedine, mobilitabili in funzione degli interessi delle economie dominanti. I migranti non si spostano semplicemente verso i territori in cui si percepisce

una domanda di lavoro. Anche qui, in base al solo dato della domanda non si riesce a comprendere perché alcuni partano e molti altri rimangano.  Dobbiamo ancora accennare a un altro fattore, spesso evocato nel discorso corrente: l’influenza della televisione e più in generale dei modelli di consumo diffusi dalla comunicazione mediatica su scala globale. È vero che i media propongono anche in luoghi remoti una serie di stimoli un tempo sconosciuti, che suscitano aspettative di benessere, contribuiscono a preparare il territorio alla scelta di emigrare. Di fatto, però, di nuovo, tra quanti non esposti ai medesimi stimoli mediatrici, soltanto una minoranza si mette effettivamente in movimento. Devono evidentemente intervenire altri fattori per tradurre il fascino del mondo sviluppato nella decisione di partire.  Un altro elemento spesso chiamato in causa rimanda alla regolazione politica delle migrazioni, e quindi alla maggiore facilità di ingresso e di permanenza da alcuni paesi verso altri, per via di legami storici, interessi strategici, politiche di reclutamento di manodopera e così via. Ma anche questa spiegazione, vagliata attentamente, si rivela però inadeguata o almeno insufficiente: basti pensare all’ingente fenomeno dell’immigrazione irregolare. Le persone partono, trovano un varco e si insediano anche se

non potrebbero, sotto il profilo normativo. A quanto sembra, la regolazione non è una causa esplicativa delle migrazioni.  Il fattore che esercita la maggiore influenza è rappresentato infatti dal precedente insediamento di parenti e compaesani. Le migrazioni attraversano i confini soprattutto grazie ai ponti già stabiliti in un determinato luogo con i non migranti e i candidati all’immigrazione nei luoghi d’origine anzitutto informazioni e stimoli imitativi, talvolta invii e incoraggiamenti; poi l’aiuto per una prima sistemazione, a volte i soldi per il viaggio, quasi sempre un qualche orientamento e magri un convinto appoggio per la ricerca del primo lavoro. Poiché i migranti non sono angeli, va aggiunto che l’aiuto non è sempre gratuito e disinteressato ma può prevedere delle contropartite, dall’affitto di posti letto a caro prezzo, alla corresponsione di tangenti per il reperimento del lavoro. Ancor peggio: può anche produrre un inserimento in circuiti devianti, seguendo percorsi abbastanza simili a quelli che conducono a lavori leciti. Le reti tuttavia spiegano bene la continuazione delle migrazioni, una volta innescate, non la loro origine.

 Non va infine trascurato il livello delle scelte individuali e familiari. Chi parte confida di poter migliorare le proprie condizioni economiche, e forse ancor più quelle della propria famiglia. Di certo queste scelte non avvengono in contesti di completezza e trasparenza dell’informazione, che sarebbero necessarie per poter parlare di decisioni razionali. Raramente, i migranti si dirigono verso luoghi che offrono le condizioni teoricamente migliori. Va comunque riconosciuto che mettersi in marcia richiede coraggio, a fronte delle barriere alla mobilità, dei rischi di sfruttamento, dei lunghi e tortuosi percorsi per arrivare a uno status regolare. Nelle migrazioni, per dirla in poche parole, incide più la speranza della disperazione. Possiamo così concludere che per spiegare le migrazioni è necessario un approccio multi causale, che tenga conto dell’intreccio di una serie di fattori che possono assumere in vari periodi storici un perso diverso. Pesano gli squilibri economici, come pure la circolazione di informazioni che fanno intravedere la possibilità di una vita migliore all’estero. Incide senz’altro la domanda di manodopera delle economie più prospere. Influiscono i rapporti tra i paesi, l’eredità della storia passata, la comunicazione linguistica. Alla fine entrano in gioco le scelte delle persone e dei gruppi familiari.

Capitolo 2. Un’accoglienza reticente: gli immigrati nel mercato del lavoro italiano. Negli ultimi 15-20 anni, i paesi dell’Europa meridionale, soprattutto l’Italia, sono diventati una destinazione importante per le migrazioni: contrariamente a quanto si pensava all’inizio, non sono la porosità delle frontiere e la vicinanza alle coste meridionali del Mediterraneo le cause di questo fenomeno, bensì il fatto che i mercati di tali paesi richiedessero manodopera irregolare. L’immigrazione irregolare tuttavia non si è fermata perciò si parla di importazione riluttante del lavoro immigrato. Fabbisogni economici, resistenze sociali. L’Italia è passata rapidamente dall’essere paese di emigrazione a luogo di immigrazione, con 4 milioni di immigrati regolari residenti. Mutamento questo imprevisto e poco regolamentato, riconosciuto tardivamente dalle istituzioni pubbliche e regolato giuridicamente. All’inizio degli anni Novanta, l’opinione pubblica aveva bollato il fenomeno come un problema da risolvere. L’Italia aveva investito denaro pubblico per corsi di formazione professionale al fine di far tornare gli immigrati nella madrepatria. = Immigrazione = malattia, il ritorno guarigione. Mercato del lavoro e società civile miravano però all’inserimento economico, prima informale, poi formalizzato nelle regioni che più ne avevano bisogno. Le leggi di regolarizzazione sono state approvate a più riprese, l’ultima nell’estate 2009: sei più due non dichiarate,

tramite i decreti flussi. Sorprendente continuità nelle politiche migratorie, malgrado l’alternanza politica. Nonostante l’Italia abbia uno dei sistemi più aperti all’ammissione dei lavoratori stranieri, le cifre previste vengono puntualmente oltrepassate, costringendo la politica a riallinearsi a posteriori con il mercato. In Lombardia due immigrati su tre sono stati irregolari per un lungo periodo prima di ottenere una posizione regolare: il passaggio attraverso la condizione irregolare è visto come un’esperienza normale, dal momento che il più dei lavoratori è entrato nel paese tramite ricongiungimento familiare. Questo momento viene visto come passaggio un paese inevitabile per emigrare in avanzato. La realtà microsociale ha consentito di porre rimedio alla debolezza o al malfunzionamento dei dispositivi istituzionali. Alcuni attori hanno fatto da ponte tra la domanda di lavoro e l’offerta immigrata: - I datori di lavoro: volenti o nolenti, per supplire alla mancanza di manodopera e mossi dalla concorrenza, hanno assunto stranieri. Ciò risulta in un progressivo oltrepassare dei pregiudizi e l’inserimento degli immigrati in società locali diffidenti. - Le reti migratorie: principale mezzo di comunicazione tra domanda di lavoro e offerta, canale di collocamento che fa sì che gli immigrati di una certa provenienza si concentrino in determinate nicchie lavorative. - Gli attori della solidarietà organizzata: sindacati, associazioni, etc. Hanno partecipato organizzando campagne per la regolarizzazione o iniziative anti-xenofobe.

Hanno influito anche su alcuni diritti sociali, come il diritto all’educazione e la sanità, anche per gli irregolari. I minori sono stati accolti nelle scuole dell’obbligo, per iniziativa provinciale o regionale: giunta a livello nazionale, è stata incorporata dalla legge. La sanità inizialmente garantiva, agli immigrati ir...


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