Una bella differenza: alla scoperta della diversità del mondo Libro di Marco Aime PDF

Title Una bella differenza: alla scoperta della diversità del mondo Libro di Marco Aime
Course Laboratorio: antropologia e studi di genere
Institution Università degli Studi di Torino
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Riassunto di una bella differenza: alla scoperta della diversità del mondo, Libro di Marco Aime, libro a scelta...


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UNA BELLA DIFFERENZA: ALLA SCOPERTA DELLA DIVERSITÀ DEL MONDO. In un mondo sempre piú complesso e multiculturale, un antropologo spiega la bellezza delle differenze che caratterizzano il genere umano. La differenza ha profonde radici storiche e culturali ed è il frutto delle risposte che i diversi gruppi umani hanno saputo dare ai differenti habitat con cui si sono trovati a convivere. Marco Aime, dialogando con le sue nipotine Chiara ed Elena, racconta dei suoi viaggi, dei suoi incontri immaginari con colleghi celebri come Claude Lévi-Strauss o Bronisław Malinowski – nel libro citati semplicemente per nome, – e mediante aneddoti ed esempi spiega le diverse concezioni che i tanti popoli della terra hanno dello spazio, del tempo, della famiglia, dell’economia, del corpo.

Q UANDO ERAVAMO SCIMMIE Nel mondo ci sono differenze nel mondo di pensare, di comportarsi, ma nessuno è inferiore agli altri. Bisogna imparare che se qualcuno si comporta in modo diverso da noi, forse avrà le sue ragioni e ai suoi occhi, siamo noi ad essere diversi. Miliardi di anni fa noi eravamo scimmie. Poi piano piano, in una regione dell’Africa, c'è stata una trasformazione. Da queste scimmie nacquero i primi uomini che si muovevano ancora come loro. Gli uomini vivevano nella savana e non era facile procurarsi il cibo per nutrirsi. Inoltre, c'erano molti animali feroci da cui difendersi. L'uomo, a differenza degli animali, è un animale che non funziona così com'è. Per esempio, il pesce è nato per vivere nell'acqua e la natura lo ha dotato di squame pinne e branchie. La natura non ci ha forniti di tutto ciò che ci serve. Così i primi uomini hanno dovuto fare quello che la natura non aveva fatto attraverso la cultura, cioè la capacità di inventare tutto ciò che serviva per sopravvivere. Per esempio, non erano veloci, inventarono l'arco per colpire da distante, non avevano la pelliccia, si fecero vestiti con le pelli. Andrè Leroi-Gourhan: Ogni volta che i nostri antenati inventavano qualcosa, il loro cervello diventava più grande, perché doveva pensare a come sfruttare quei nuovi attrezzi. Un cervello più grande produce nuove idee e così loro miglioravano quegli attrezzi. E ne inventavano di migliori. C'era un problema, il cervello diventava sempre più pesante. Così, poco per volta, essi iniziarono a mettersi dritti sulle gambe. In questo modo appoggiavano il peso sulla spina dorsale e faceva lo meno fatica. Poi la nostra gola si è modificata e i nostri antenati sono riusciti a emettere suoni che prima non riuscivano a pronunciare. Questo ci distingue dagli altri animali. Noi possiamo parlare gli animali con comunicano con versi. Ma noi possiamo dire molte più parole. E parlare anche di ciò che non vediamo. La grande forza dell'uomo è saper comunicare, grazie a questo si può trasmettere agli altri tutto ciò che abbiamo imparato.

MA CHE RAZZA D GENTE Un milione di anni fa qualcuno dei nostri antenati che viveva in Africa, cominciò a notare che il cibo stava diventando sempre più scarso. Per questo qualcuno decise di partire per andare a cercare posti migliori dove vivere. Fu così che si misero in cammino. E iniziarono a spostarsi verso nord, arrivare in Egitto e poi si di risero verso l'Africa. Dove oggi c'è la Turchia, trovarono delle terre buone, costruirono lì i loro villaggi. Un uomo scoprì l'agricoltura notando che era cresciuto un albero molto simile. A quello dove l'anno prima lui aveva raccolto delle mele. Infatti, i semi delle mele che lui aveva mangiato erano finiti nuovamente nella terra. E ora davano vita a una nuova pianta. Anni dopo il cibo divenne di nuovo scarso e qualcuno prova a spostarsi verso est, nel cuore

2 dell’Asia, altri verso l'Europa. Un gruppo di uomini su una spiaggia della Malesia provò a navigare verso altre isole, trovando così le numerose isole dell’Oceania. C'è chi arriva anche in Siberia. E chi in America. Ogni volta che un gruppo di uomini si stabiliva in un luogo a poco a poco nel corso di qualche migliaio di anni, il loro corpo si modificava per adattarsi meglio all'ambiente. I primi uomini erano neri e la maggior parte del nostro pianeta ha la pelle scura. Siamo noi che venendo via dal sole dell'africa ci siamo schiariti a poco a poco. Il corpo si modifica. Per esempio, il naso largo e piatto degli africani li aiuta a disperdere il calore. Mentre gli europei hanno nasi più lunghi e stretti, perché vivendo in climi più freddi, un naso lungo serve per riscaldare un po' l'aria prima che arrivi nei polmoni. Oppure la corporatura degli eschimesi richiama la sfera che è la forma che in natura meglio trattiene il calore. Se invece guardate gli uomini del deserto, vedrete che sono alti e magri perché la forma sottile e quella che più disperde il calore, tutti e due si sono dettati al loro clima. Il genero umano è uno solo. Non esiste nessuna malattia che colpisca uno se la popolazione o non colpisca altre ci ammaliamo tutti allo stesso modo. Se ci sono delle differenze e perché gli uomini si sono adattati lentamente ad ambienti diversi, e a climi diversi. Ogni popolo ha scritto una sua pagina ma sono tutte pagine dello stesso libro.

Q UANTI PARENTI Siamo tutti i parenti. Se ognuno degli abitanti del nostro pianeta aveva più di un milione di antenati, 500 anni fa, quanti abitanti avrebbe dovuto avere la terra quell'epoca? Il risultato è circa sei milioni di miliardi. A quell'epoca, però, il pianeta era abitato da solo 500 milioni di persone. Questo significa che in realtà abbiamo moltissimi antenati in comune, quei 500 milioni di persone hanno dato origine a tutta la popolazione mondiale di oggi, quindi siamo tutti parenti.

CORPI DISEGNATI Per conoscere culture diverse bisogna andare sul posto, bisogna trascorrerci molto tempo, parlare con la gente, fare domande, osservare, prendere appunti, scattare fotografie... Gli antropologi fanno cosí. In Amazzonia, arrivati al villaggio, gli abitanti ci accolsero con gioia, ci fecero sedere, ci portarono da bere e da mangiare in abbondanza. Erano Caduveo, una popolazione in cui gli individui amano dipingersi il corpo. Io li guardavo meravigliato, erano seminudi perché il clima lí è caldo, e sia i loro corpi sia i loro visi erano decorati con disegni bellissimi. Allora pensai quanti e quali modi gli uomini hanno inventato per decorare il loro corpo. Anche noi in fondo lo facciamo: le donne si disegnano gli occhi quando si truccano, si scuriscono la pelle con la terra o il fondotinta, si colorano le labbra con il rossetto. In luoghi cosí distanti fra di loro ci sono usanze simili, gesti comuni. Claude Lévi-Strauss: Gli chiesi se sapeva perché si dipingevano cosí e lui mi rispose che lo facevano per distinguersi dagli altri animali. Cosí gli avevano detto i Caduveo. Era come se gli uomini avessero paura di essere scambiati per animali. in Nuova Zelanda, tra i Maori fanno tatuaggi raffinati e complessi che coprono il viso e le braccia mentre le donne indiane, si dipingono le mani con l’henné, una polvere ricavata da una pianta. Un mio amico e collega, Stefano, era stato tra i Mangbetu del Congo, in Africa centrale, e mi raccontava che lí hanno l’abitudine di fasciare il cranio dei neonati in modo che cresca allungato. A loro sembra piú bello cosí. ognuno ha una sua idea di bellezza. A noi sembrano belle certe cose, ad altri le stesse cose appaiono brutte. Rimanemmo un po’ in silenzio. Poi Claude disse che, nonostante tutte queste differenze, c’era una

3 cosa comune a tutti gli esseri umani: nessun popolo al mondo lascia il corpo cosí com’è. Nessuno lascia che i capelli e le unghie crescano liberamente. Tutti in qualche modo modificano il corpo, lo disegnano, lo incidono, lo modellano, lo coprono o lo scoprono. Sembra quasi che il corpo, cosí come ci viene dato dalla natura, non ci accontenti. Aveva ragione. Anche noi, pensai, in fondo modelliamo il nostro corpo continuamente. Ci radiamo la barba, pettiniamo i capelli, li coloriamo, li intrecciamo. E poi qualcuno si fa la plastica per rifarsi il naso, i fianchi, il seno… Se ogni popolo disegna e modella il corpo a modo suo è perché vuole distinguersi dagli altri. Ogni popolazione crea gli abiti per difendersi dal clima in cui vive. Ma non è solo per questo. Ci sono parti del corpo che si possono o non si possono scoprire e ogni popolo decide quali sono. Per esempio, da noi quando si entra in chiesa bisogna togliersi il cappello, gli ebrei, invece, non possono entrare nella sinagoga con il capo scoperto, i musulmani prima di entrare nelle moschee, rigorosamente scalzi, si devono lavare i piedi.

IL PIANTO DEL RAMO da noi si usa accendere una candela in chiesa per rendere omaggio al nostro Dio, in India si portano nel tempio collane di fiori, in Tibet si fanno girare dei cilindri di bronzo con sopra incise delle preghiere, in Nepal si mettono delle bandierine colorate con sopra scritte delle preghiere, pensando che il vento porterà quelle parole in cielo, in altre religioni si offre del cibo alle divinità… Moltissime. Vedete, nessuno ha mai visto dio o gli dèi, per questo ogni popolo ha dato un volto, una fisionomia (a volte anche di animale) e un nome diverso al suo dio. E ha anche pensato a dove potesse essere la sua dimora. Gli antichi Greci credevano che i loro dèi abitassero sul monte Olimpo. Anche le popolazioni dell’Himalaya credono che le montagne piú alte, come l’Everest, siano la casa delle divinità. Il dio di certi popoli dell’Oceania vive nelle acque dell’oceano, mentre in molte parti dell’Africa si pensa che le divinità siano in ogni cosa. Una volta ero in Burkina Faso e stavo camminando lungo una pista di terra rossa, quando vidi un uomo mentre tagliava un ramo da un albero. Gli chiesi cosa avrebbe fatto con quel ramo. «Un manico per la mia zappa» mi rispose, continuando il suo lavoro. Dopo aver tagliato il ramo, l’uomo posò la sua ascia per terra, appoggiò le mani sul tronco e iniziò a pregare. Mi avvicinai per ascoltare le sue parole e sentii che stava chiedendo scusa all’albero. L’albero ha un’anima, c’è un’anima divina dentro di lui, come c’è un’anima divina dentro i fiumi, dentro i laghi, nella foresta, nella pioggia, in tutti gli animali. Tutte le cose hanno un’anima divina, perché dio è in tutte le cose». Mi fece venire in mente un altro viaggio, quando insieme a Colin Turnbull, uno spilungone scozzese, stavamo percorrendo un sentiero nella foresta dell’Ituri, nel Congo. A un certo punto la foresta si aprí e arrivammo in uno spiazzo dove sorgeva un villaggio di Pigmei. C’erano capanne a forma di cupola fatte con foglie di banano. Alcune donne tornavano dalla foresta con cesti pieni di bacche. Gli uomini stavano togliendo la pelle a dei roditori che avevano appena cacciato nella foresta, e avevano acceso un piccolo fuoco per arrostirli. «Grazie alla foresta!» disse Moke, un anziano cacciatore che stava riparando un arco, mentre i giovani lavoravano. «La foresta è nostra madre e nostro padre» «È come un padre buono e come una madre buona, ci dà tutto quello che ci serve: cibo, vestiti, riparo, legna per scaldarci e per cucinare. La foresta è buona con noi, ci difende. Tutto va bene quando la foresta vigila su di noi». «A volte, però, la foresta si addormenta e allora possono accadere cose brutte, di notte: un leopardo può portare via un bambino, delle formiche possono invadere l’accampamento.. «Cerchiamo di svegliare la foresta, cantando, suonando per lei, perché sia felice e continui a proteggerci».Piú tardi, tornato a Ouagadougou, la capitale del Burkina Faso, mi misi a pensare a quanti modi ci sono per credere in un dio o in piú

4 divinità e quanti modi per onorarli. In Africa le divinità sono in ogni cosa. Il dio che ha creato il mondo ha lasciato la sua anima in ogni essere, in ogni oggetto. Il vero nome degli Eschimesi è Inuit. Lassú incontrai un norvegese che si chiamava Knud Rasmussen e che conosceva bene quella popolazione. Gli Inuit sono cacciatori, cacciano i caribú, le volpi artiche, gli orsi e anche le balene e le foche. È l’unico modo che hanno per sopravvivere in quei climi, mi spiegava Knud, però a loro dispiace farlo. ucciso. Secondo loro quando catturano una preda è perché questa ha voluto donarsi a loro, per sfamarli, per farli sopravvivere. Ma quella creatura ha un’anima come ce l’hanno gli uomini e loro soffrono per averla dovuta uccidere. «Il mondo poggia sulla schiena di un elefante  Ci sono cose che gli uomini conoscono, altre invece a cui si crede e basta. Si crede in ciò che non si sa. Come diceva il vecchio Moke, non conosciamo dio. Possiamo solo credere in lui. A volte il dio può essere unico, e in questo caso si chiamano religioni monoteiste, come quelle del Mediterraneo: l’ebraismo, il cristianesimo e l’islam. In altri casi gli dèi possono essere molti, come nel caso dell’induismo, la religione praticata da molti indiani e allora si parla di religioni politeiste. I cristiani credono che l’anima, dopo la morte, vada nell’aldilà. Gli induisti, invece, pensano che l’anima di un uomo, dopo la sua morte, ritorni sulla terra e riviva in un altro uomo, donna o animale.

PARLARE PER CREARE La lingua in qualche modo crea il mondo e ogni lingua crea un mondo diverso. Una lingua è come un paio di occhiali colorati con cui guardiamo le cose che ci stanno attorno. Se cambiano gli occhiali, le vediamo di colore diverso. Per esempio, gli Inuit hanno quattro parole per dire neve. La prima è aput e vuole dire che c’è neve sul terreno, la seconda, qana, indica la neve che cade; una terza parola, piqsirpoq, vuole dire che c’è neve e vento e infine la parola quimuqsuq, che significa valanga di neve perché loro vivono gran parte dell’anno in mezzo alla neve e hanno bisogno di indicare con piú precisione di noi, che tipo di neve trovano sulla loro strada. Le lingue sono diverse perché devono dire cose diverse, anche per questo a volte ci sono parole che non si possono tradurre in un’altra lingua. Parlare una lingua significa anche dire pensare e vedere il mondo in un certo modo, e come ci sono molti modi per parlare, ci sono molti modi per scrivere. Per esempio, per noi un segno indica una lettera, per i cinesi, come per i giapponesi, un segno indica una parola e ci sono alcune popolazioni che non scrivono del tutto e trasmettono le loro tradizioni oralmente.

DIMMI COSA MANGI E TI DIRÒ CHI SEI Per esempio, gli inglesi e gli americani non mangiano assolutamente la carne di coniglio e neppure quella di cavallo perché li considerano come animali domestici. Esattamente come noi consideriamo il gatto o il cane. Infatti, non li mangiamo. In Cina e in Corea invece li mangiano, perché per loro non sono animali domestici. In molte parti del mondo gli insetti sono considerati buoni da mangiare, mentre a noi fanno ribrezzo.

LO SCHERZO DI ORAZIO Gli Inailati vivono in un paese lungo e stretto, bagnato dal mare. Come tutte le popolazioni ha usanze tradizionali che, viste da altri, spesso sembrano piuttosto bizzarre. Per esempio, gli Inailati pensano che il loro corpo sia brutto e ogni giorno perdono un sacco di tempo per cercare di renderlo piú bello. Per farlo non hanno paura di sottoporsi a prove dolorose: gli uomini non temono

5 di scorticarsi la faccia tutte le mattine, senza lanciare un urlo, con un attrezzo che chiamano oiosar, mentre le donne, piú coraggiose, si sottopongono a torture anche peggiori, come infilare la testa in una specie di piccolo forno o farsi strappare i peli del corpo. Pensate che a volte, per le strade delle loro città, capita di vedere alcuni di loro camminare, legati con delle piccole corde a degli animali. A dire il vero non si capisce bene se sono loro a guidare gli animali oppure se sono gli animali a portare le persone. E’ una cosa che non è stata ancora chiarita. A volte tagliano il pelo a questi loro animali, ma quando viene l’inverno, comperano dei cappottini per proteggerli. Ogni popolo ha le sue usanze, ve l’ho detto. Gli Inailati hanno una tradizione che si chiama oroval. Oroval significa che devi fare la stessa cosa tutti i giorni, per tutta la vita. Grazie all’oroval, gli Inailati ottengono degli idlos, piccoli foglietti di carta colorata con i quali si può avere da mangiare. Ogni Inailato cerca di accumulare il più possibile idlos, per ottenere oggetti che gli fanno risparmiare tempo. Con il tempo risparmiato potrà dedicare più tempo all’oroval, avere più idlos per comprare più cose che gli faranno risparmiare tempo e avanti così. Cosa ci volete fare? La loro tradizione è così. A volte vedi un gruppo piuttosto grande di Inailati e tutti parlano in continuazione. Se ti avvicini, ti accorgi che tutti parlano dentro delle piccole scatolette che chiamano iralullec e nessuno parla con le persone che sono vicino a lui. Pensate che costruiscono delle specie di carri, che chiamano otua. Questi carri possono andare fortissimo, però poi sulle loro strade non si può andare così forte, è vietato. Loro però continuano a costruire otua velocissime e a spendere un sacco di idlos per acquistarle…

TUTTO CASA E FAMIGLIA Noi consideriamo la famiglia come genitori e figli, mentre per gli africani la famiglia è fatta anche di nonni, zii, cugini ecc, perché i bambini crescono tutti assieme, fratelli e cugini; i piú grandi accudiscono i piú piccoli e cosí finisce che si considerano tutti fratelli e si chiamano fratello o sorella uno con l’altro, anche se sono cugini. Quando parliamo di famiglia, dobbiamo anche sapere che in molte parti del mondo un uomo può sposare piú di una donna. Si chiama poligamia. Esistono molti tipi di famiglia, ognuno la organizza in modo diverso e se un sistema funziona, allora significa che per quella popolazione va bene. L’importante è non pensare mai di essere i soli ad avere ragione. Ognuno costruisce anche la propria casa secondo le proprie esigenze e possibilità, l’igloo è l’ideale per resistere alle rigide temperature e chi abita nel deserto mischia sabbia argilla acqua e paglia che isolano bene il caldo. Ogni popolo, in fondo, quando pronuncia la parola che nella sua lingua significa casa, indica una costruzione diversa dalle altre, ma in realtà pensa comunque a un riparo dal clima, dagli animali feroci e dagli sguardi degli altri.

CHI SI MUOVE E CHI STA FERMO I popoli nomadi si spostano con tutte le loro cose per cercare posti sempre nuovi dove fermarsi un po’. Spesso perché sono popoli di pastori, allevano animali e gli animali, per nutrirsi, hanno bisogno di pascoli sempre verdi. Allora bisogna spostarsi in cerca di prati nuovi, di erba fresca. I nomadi, invece, sono leggeri: hanno pochi oggetti perché non possono portarsi dietro troppe cose. Caricano tutto quello che hanno sulla groppa dei loro animali e vanno. Ce ne sono

6 dappertutto. Nell’Europa del Nord ci sono i Lapponi, che allevano le renne e si spostano a seconda delle stagioni. In Asia le popolazioni nomadi sono moltissime: alcune allevano cammelli, altre come i Kirghisi allevano capre o, come i Tibetani, possiedono mandrie di yak, cioè buoi dal pelo molto lungo, ma anche in Sardegna ci sono pastori di pecore che, quando viene l’autunno, scendono dalle montagne e si spostano come le loro greggi nelle pianure, dove fa meno freddo, e trascorrono l’inverno lí. A dire il vero la casa ce l’hanno con loro, se la portano dietro. Può essere una tenda o una capanna che si monta e si smonta in fretta e si può trasformare facilmente. Comunque, ricordate che una volta eravamo tutti nomadi e che l’uomo è nato per camminare.

NASCERE, CRESCERE , MORIRE Gli uomini fanno un sacco di cose simili, il fatto è che a volte le pensano in modo diverso. Per esempio: in qualunque parte del mondo vivano, a qualunque popolazione appartengano, tutti gli esseri umani nascono, crescono, invecchiano e poi muoiono. Ma attenzione: l’infanzia, la giovinezza, la vecchiaia e anche la morte sono viste in modo diverso nelle diverse popolazioni. In Giappone e là incontrai Ruth Benedict, un’antropologa americana che studiava come i giapponesi crescevano i loro bambini. Mi fece notare come erano silenziosi quei bambini. Era vero, tutto diverso dai nostri che sono piú vivaci, gridano, saltano, corrono, si scalmanano. Mi disse che era perché da noi i genitori vogliono che il loro figlio sia il migliore, il piú bravo, che si distingua dagli altri. Per i giapponesi no, è il contrario. Loro danno m...


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