Uno psicologo nel lager PDF

Title Uno psicologo nel lager
Course Storia della psicologia
Institution Università Europea di Roma
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Sintesi...


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RIASSUNTO “UNO PSICOLOGO NEL LAGER”, V. FRANKL Capitolo “Il prigioniero n. 119104” Questo libro si propone come una Descrizione di un’esperienza. Narra della vita quotidiana di un prigioniero nei campi di concentramento non di uno psicologo. Racconta delle piccole vittime e della piccola morte di massa avvenuta nei campi di concentramento minori. Narra di lotte prive di pietà per i propri interessi, soprattutto nei casi dei trasferimenti, si generava una lotta tutti contro tutti. Dimmi una battuta mezza loro disposizione per assicurarsi la salvezza. Frankl fu il detenuto 119104 e non ti adoperò mai come psicologo e medico quale fu, se non negli ultimi mesi di detenzione, per noi infatti rappresenta solo un prigioniero medio nei lager. Lavorò come serratore addetto al mantenimento delle linee ferroviarie compito che gli permise di ottenere ben due premi prima del Natale del 1944, due tagliandi da parte dell’azienda alla quale furono venduti dal lager i prigionieri, il quale consisteva in sigarette che venivano scambiare in cambio di cibo. Chiudi godevano delle loro sigarette perché avevano rinunciato ormai alla sopravvivenza. Questo libro si propone di spiegare a chi ha vissuto nel lager ciò che ha affrontato per chi al contrario non ha vissuto nei lager si cerca di rendere comprensibile quanto spiegato ai primi punto. Ma come può raccontare con oggettività ciò che ha vissuto nei campi di concentramento senza cadere nella paura dell'esibizionismo? Frankl si appella al coraggio della confessione per mettere a tacere questa paura. È bene ricordare che la Prima Guerra Mondiale traccia la “malattia del filo spinato” mentre la Seconda segna la vera e propria “psicopatologia della folla” che nel suo libro Le Bon chiama con l'espressione “guerra dei nervi”.

Capitolo “Lo choc dell’accettazione” Possiamo distinguere tre fasi nelle reazioni spirituali dei prigionieri: •

Fase dell'accettazione nel campo: “choc dell’accettazione”.



Fase della vita vera nel campo



Fase della liberazione dal campo

Nel suo treno viaggiano 1500 persone, nel suo vagone 80. Tutti si credono destinati in una fabbrica per i lavori forzati, ma all’arrivo del convoglio la scritta “Auschwitz” genera idee confuse e per questo terribili. Lo stridulo fischio della locomotiva personifica la disgrazia cui sta conducendo migliaia di uomini. Le urla sono opache, rauche, fioche, sono le urla di chi uccide senza ausa e senza riflessioni. I Kapos hanno una giovialità grottesca nei confronti dei convogli, tuttavia sembrano sani, ridono e questo genera in Frankl una forma di ottimismo →”delirio di grazia”. Nel giro di poche ore Frankl viene a conoscenza delle realtà del campo: le selezioni, le baracche, i crematori. Tenta di accattivarsi un Kapos, ma con scarso successo e per la prima

volta capisce veramente come funziona. Prima reazione psicologica: cancellare la vita trascorsa finora. I trattamenti igienici e sistematici generano il macabro umorismo della disperazione di chi è consapevole di non avere scampo. Subentra il sentimento della curiosità, generato dall’incertezza del futuro, rappresenta la situazione nella quale la psiche tenta di intravedere la salvezza. La curiosità venne superata dalla sorpresa nel constatare che l’uomo in certe condizioni è assolutamente in grado di superare i propri limiti adattandosi alle situazioni per istinto di sopravvivenza (L’uomo è l’essere che si abitua a tutto, cit. Dostojewski). Un altro effetto è il pensiero suicida, il quale spesso e volentieri accompagna il detenuto ma che non rappresenta una vera salvezza in quanto le probabilità che egli muoia sono comunque statisticamente molto alte. Il detenuto, in stato di choc, non teme affatto la morte nei primi momenti, mentre in ultima analisi rappresenta una via di fuga. Era necessario dare l’impressione di poter continuare a lavorare. (Prima fase: fase dell’accettazione)

Capitolo “La vita nel lager” Un uomo posto in una situazione abnorme avrà una reazione abnorme proporzionata all’evento scatenante. L’internato subentra in uno stato di choc in seguito alla fase di relativa apatia ( → necessario meccanismo di autodifesa che minimizza la verità) che lo porta ad una lenta morte interiore. Durate la vera e propria vita nel campo subisce una lunga serie di turbamenti psichici che è portato a sopprimere per approdare nella nostalgia, la quale più si acutisce più fa sopraggiungere il desiderio di morte. La sensazione generale che accompagna il detenuto è però un generale senso di disgusto per le brutture che lo circondano. Si arriva così al disperato tentativo di soffocare le proprie emozioni, passando alla seconda fase della reazione psichica: l’indifferenza. Dopo settimane nel Lager il deportato non è più in grado di provare disgusto, pietà o indignazione. Nel vedere scene di morte e sofferenza si susseguono l’apatia, il torpore, l’indifferenza interna e l’insensibilità progressiva. IL dolore fisico diventa irrilevante, il dolore delle percosse non è l’essenziale, non quanto la rabbia per l’infondatezza della punizione, soprattutto in quanto quest’ultima accomuna gli uomini alle bestie. La vita psichica degli internati ridotta ad un livello assai primitivo (regressione dell’uomo), ad esempio l’attività onirica più frequente degli internati rappresentata da pane, torte, sigarette e bagni caldi. La regressione più evidente è data dalla denutrizione, dunque l’internato è portato parlare per prima cosa di cibo ( → masturbazione dello stomaco, questo momento di sollievo psichico ha conseguenze negative a livello fisiologico). I “più a rischio” erano i malati in riguardo che, allettati, perdevano muscolatura e quindi forze fisiche: morivano rapidamente). La denutrizione inoltre placa gli istinti sessuali, questo spiega due situazioni: •

La quasi totale assenza di sogni erotici che vengono soppiantati da sogni legati alla mancanza di sentimenti amorosi



E l’assenza di molestie o stupri o simili, che accadono invece in altri contesti come le caserme.

Vi è la svalorizzazione di tutto ciò che non può essere utile ai fini dell’interesse più primitivo. Sopravvivono due soli interessi culturali: politico e religioso. Tuttavia, nel primo caso, trattandosi di notizie per lo più false, non si fa altro che aumentare la così detta “guerra dei nervi”.

Capitolo “La riscoperta dell’interiorità” Anche nel deportato affiorano seppur sporadicamente sintomi di una tendenza all’interiorizzazione. Un esempio può essere il pensiero della propria amata/amato che permette a Frankl di capire che l’umo anche quando non gli resta niente può sperimentare la beatitudine nella contemplazione interiore dell’essere amato. Inoltre, abbandonato a sé stesso il prigioniero ripercorre con sempre nuovo ardore avvenimenti della vita quotidiana, oppure nella contemplazione della bellezza artistica (ad esempio un tramonto della foresta bavarese). Ogni tentativo artistico nel Lager assume sfumature grottesche. Tuttavia, l’umorismo si caratterizza come uno dei mezzi più efficaci per creare un distacco o elevare l’essere umano al di sopra delle disgrazie. Il dolore è paragonato ai gas, che sotto pressione riempiono in ogni caso il recipiente in cui vengono posti, così il dolore, grande o piccolo finirà in ogni a caso a riempire l’animo, ne consegue che una piccola notizia può comunque arrecare una grande gioia. Queste piccole gioie vanno annoverate nella tipologia di felicità affrontata da Schopenhauer intesa quindi come assenza di dolore. Nonostante tutto persiste un sentimento generale di svalorizzazione della propria interiorità, un ex internato posto davanti a foto di altri internati probabilmente non è in grado di coglierne l’emotività in quanto consapevole dell’apatia che affliggeva i deportati. L’uomo nel campo di concentramento cerca letteralmente di essere assorbito dalla massa, per nascondersi in essa, ma questo porterà inevitabilmente alla nostalgia della solitudine: la necessità di restare soli con se stessi e con i propri pensieri. Il prigioniero preferisce sempre che il destino lo liberi dalla costrizione di decidere. In generale, lo sfondo psicologico resta quello dell’apatia che è legato sì alla psiche deviata ma anche ad una reazione fisiologica (fame, sonno, caffeina/nicotina) che genera anche irritabilità, vi si aggiunge anche un certo complesso d’inferiorità, ognuno di loro era legato ad una sua individualità appartenuta ormai alla vita passata, questo nel campo sparisce totalmente. Ovviamente questo aspetto è legato alla struttura sociologica: i deportati più influenti non si sentirono declassati e questo generò rancore e gelosia nella maggioranza. Questa generale irritabilità sfocia spesso in risse, cui il deportato è portato anche per la frequenza con cui queste avvengono davanti ai suoi occhi. Nel complesso, tali atteggiamenti sono enfatizzati nei malati.

Capitolo “Un’analisi esistenziale” Sulla base di queste affermazioni si potrebbe pensare che l’anima umana sia inequivocabilmente legata all’ambiente in cui è collocata, ma questo non è totalmente vero o comunque lo potrebbe risultare solo in ultima analisi perché questo non spiegherebbe i, seppur rari, casi di ribellione alle reazioni psicologiche più comuni. Dunque, in questo riscontriamo la libertà dell’uomo: la capacità di affrontare la situazione impostagli. Ciò che il Lager fa dell’uomo è frutto di una decisione interna e in questo si conserva la propria dignità di essere umano. La libertà spirituale fa sì che l’uomo possa, fino alla fine, trovare un modo per plasmare coerentemente la propria vita, in quanto non hanno senso solo la vita attiva (realizzazione di valori in modo creativo) o la vita recettiva (realizzazione mediante bellezza del contatto con arte e natura), ma anche la vita in un campo di concentramento ed è quest’ultima a lasciare spazio alla possibilità di mantenersi moralmente integri. Pertanto, se ha senso questa vita deve aver senso anche la sofferenza, nel odo in cui l’uomo l’affronta e ne attribuisce un significato sorgono infinite possibilità di attribuire un significato alla vita stessa, da ciò si renderà degno o meno del suo tormento (Dostojewski:” Temo una cosa

sola: di non essere degno del mio tormento.”). L’osservazione psicologia sugli internati ha rivelato che diventa schiavo degli influssi del Lager solo l’individuo che si è già lasciato cadere spiritualmente, ma questo accadeva solo che era privo di sostegno interiore. Ma senz’altro l’elemento più deprimente fu l’impossibilità di prevedere la fine di questa esistenza provvisoria, da questo possiamo constatare che la parola latina finis ha due significati: fine e scopo, dunque, se un uomo non è in grado di prevedere la fine di questa esistenza non può vivere con uno scopo (→decadimento interiore), situazione simile a quella del disoccupato. Gli studi su questa esistenza deformata riguardo al tempo interno e al tempo esperienziale hanno permesso di capire che un giorno, con tutti i turbamenti a cui era sottoposto l’uomo sembrava durare all’infinito, ma più giorni (es. una settimana) scorrevano rapidissimamente. D’altro canto, se ci avverte la durata illimitata del tempo ci si deve rapportare invece alla prigionia fisica, tutto questo porta alla retrospezione (tendenza a ricordare il passato), nello svalorizzare il presente si limitano le paure che esso comporta, ma è proprio questo che permette di elevarsi interiormente. Tuttavia, poiché l’uomo può esistere solo in relazione alla visuale del futuro nei momenti più difficili si pensa a questo (nelle lunghe camminate con i piedi doloranti si poteva pensare a cosa e se ci sarebbe potuto essere un pezzo di pane per cena). Spinoza affermò “Un moto dello spirito, che è una sofferenza, cessa di essere una sofferenza, non appena ce ne facciamo un’idea chiara e distinta”, (Etica, parte V). Chi non sa credere nel proprio futuro avrà sempre un crollo subitaneo (caso di F. morto di tifo petecchiale →crollo delle sue aspettative pag. 128. Il tasso di mortalità si alzò tra Natale 1944 e Capodanno 1945, per il cedimento fisico in seguito alla delusione di non aver scampato la prigionia neanche per il periodo natalizio. “Chi ha un perché per vivere sopporta quasi qualsiasi cosa”, Nietzsche.). L’umo deve trovare il senso della sua vita, uno scopo, che sia questo il dolore che è unico per ogni individuo e anche laddove questo risulti simile ad un altro, nel modo in cui verrà affrontato si distinguerà. È necessario trovare un senso a questa esistenza che sia questo la morte stessa (sofferenza creativa), nel momento in cui un uomo ha un perché della sua vita non si interrogherà sui come.

Capitolo “Ritorno alla libertà” Prima ancora di affrontare l’ultima fase psicologica degli internati (la fase della liberazione dal campo) serve capire come sia possibile che altri uomini abbiano potuto compiere certe atrocità. Certamente alcuni erano sadici, in senso clinico: questi però erano comunque scelti con cura in una selezione positiva (si differenzia da quella negativa dei Kapos che si distinguevano in brutalità per il semplice fine della sopravvivenza). Inoltre, le sentinelle, analogamente ai prigionieri, erano diventate insensibili davanti a tanta disumanità. Molti rifiutavano il sadismo in prima persona ma non limitavano quello altrui. Altri si rivelarono sabotatori morali. Passiamo ora alla descrizione dell’ultima fase. Contrariamente a quanto si può pensare alla distensione immediata non seguì subito felicità, non ci si senti subito partecipi del mondo. La gioia andava rimparata, vie era l’evidente spersonalizzazione: tutto sembra solo un sogno e il sogno è illusione, paura. L’internato appena liberato mangia, racconta per ore si scarica l’oppressione accumulata per anni. Sembra che l’internato subisca una seconda violenza nella necessità irrefrenabile di dover raccontare. Nei giorni seguenti vi erano alcuni uomini di indole più primitiva che erano portati ad impiegare loro tutta la violenza cui erano stati sottoposti in questi anni: il negativo era divenuto positivo. Inoltre l’uomo ex internato che

torna alla quotidianità dell’ante guerra trova spesso indifferenza che porta a delusione, questo genera senso di abbandono e voglia di nascondersi da questo. Lo scopo futuro che aveva spronato molti internati si è rivelato vano. Tutto ciò dopo molto tempo, nella vita futura porterà alla consapevolezza che non potrà più temere alcuna cosa al mondo....


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