22.Adattamento del diritto italiano al diritto internazionale pattizio PDF

Title 22.Adattamento del diritto italiano al diritto internazionale pattizio
Course Diritto internazionale
Institution Università degli Studi di Catania
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Appunti del corso...


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Adattamento del diritto italiano al diritto internazionale pattizio: L’adattamento del diritto interno ai trattati internazionali in Italia avviene tramite una procedura o che riformula il contenuto del trattato (procedimento ordinario) o che fa direttamente rinvio ad esso (procedimento mediante ordine di esecuzione). Se le norme consuetudinarie vengono automaticamente immesse nel nostro ordinamento tramite l’art.10 co.1 della Costituzione, per le norme pattizie è necessario ogni qualvolta un procedimento ad hoc. I trattati internazionali vengono così ad assumere la medesima posizione dell’atto che ha dato loro esecuzione, e si ammette la possibilità che ogni ordinamento scelga la fonte di diritto più idonea per disciplinare quella materia. Nel nostro ordinamento quindi una legge di attuazione di un trattato può avere rango costituzionale, di legge ordinaria, di decreto, di regolamento… Ciò significa che in base al criterio di successione delle leggi nel tempo, una legge posteriore interna potrebbe facilmente abrogare una legge anteriore di derivazione internazionale con cui è in contrasto nel contenuto. Questo comporterebbe una violazione degli obblighi dell’Italia nei confronti della comunità internazionale. Se per le fonti consuetudinarie abbiamo detto che esse assumono immediatamente rango costituzionale, per le fonti pattizie non è sempre così, ma dipenderà dalla volontà del legislatore. Per evitare quindi che una legge interna potesse abrogare una legge internazionale anteriore, si sono portati avanti una serie di criteri. Il primo è relativo al principio “pacta sunt servanda”, secondo una parte della dottrina si tratterebbe di una norma consuetudinaria recepita nel ns. ordinamento in forza dell’art 10co.1 e che quindi comporta l’immediata obbligatorietà di tutti i trattati internazionali che assumerebbero così rango costituzionale. In realtà si è d’accordo nell’ammettere che non si possono ricondurre sotto l’imperio dell’art. 10 Costituzione anche le norme internazionali pattizie. Un’altra parte della dottrina riteneva che i trattati internazionali venissero recepiti nel nostro ordinamento come delle fonti atipiche e per questo godere di una maggiore forza rispetto alle fonti interne tipiche. Anche in questo caso si ritiene che si possa parlare di fonti atipiche solo nel caso di quei trattati che sono messi in rilievo all’interno della stessa costituzione, come i Patti Lateranensi (art.7) o i trattati relativi agli stranieri (art.10 co.2). Tutti gli altri invece sono norme ordinarie tipiche. L’unico modo per far si che le leggi di attuazione dei trattati non vengano abrogate o derogate da leggi interne successive è il “principio di specialità dei trattati” sostenuto da gran parte della dottrina. Le leggi speciali sono fonti non derogabili e non abrogabili da una fonte di pari rango. Deve presumersi che con l’adozione di una legge successiva lo Stato non abbia per ciò solo inteso sottrarsi all’impegno internazionale cui trovasi vincolato, incorrendo nella relativa responsabilità per inadempimento nei confronti degli altri Stati. È quella che si denomina “presunzione di conformità” dell’ordinamento agli obblighi internazionali. Il valore dei trattati internazionali dopo la legge di riforma costituzionale n.3 del 2001 Si ritenne necessario creare un aggancio costituzionale per i trattati, senza dover ricorrere ad espedienti giurisprudenziali per dare loro un rango più elevato rispetto agli atti normativi interni. Nel frattempo si voleva cercare di mettere ordine in una materia caotica quale l’articolazione territoriale della repubblica, inserendo la materia dei rapporti internazionali anche a livello regionale. Art 117 Cost. riformato:  Le regioni possono nelle materie di loro competenza stipulare accordi a livello internazionale. In passato la materia dei rapporti internazionali si riteneva essere di competenza esclusiva dello Stato.



La potestà legislativa è esercitata (…) nel rispetto dei vincoli comunitari e degli obblighi internazionali. Per “obblighi internazionali” si intendono i soli trattati, cioè le norme di origine convenzionale, non le consuetudini.

Questa norma si pone come una grande innovazione per il nostro ordinamento, soprattutto per quanto riguarda l’adattamento del diritto interno a quello internazionale. Nonostante ciò non può ritenersi che essa attui un meccanismo automatico di adattamento (come nel caso dell’art.10 per le consuetudini), in questo caso si parla di rinvio fisso, saranno sempre necessari degli atti interni per recepire le nuove norme internazionali. Prima di tale riforma gli obblighi internazionali non godevano di alcuna garanzia costituzionale, dal nuovo disposto dell’art.117 invece si evince la volontà del legislatore di voler collocare le norme pattizie ad un livello sub-costituzionale, in una posizione intermedia tra norme costituzionali e leggi ordinarie. Le norme di esecuzione del trattato avranno il valore di “norme interposte”. Eventuali norme interne in contrasto con norme pattizie verranno considerato illegittime per violazione della Costituzione, secondo il modello per parametro interposto. Sentenze 348/349 – 2007 Corte Costituzionale : il valore della CEDU nel sistema delle fonti Convenzione europea dei diritti dell’uomo (o più semplicemente cedu) è stata firmata nel 1950 ed entrata in vigore nel 1953. Emanata dal Consiglio d’Europa, ha ottenuto un larghissimo consenso nella comunità internazionale, tanto che se ne richiede spesso un’applicazione extraterritoriale, anche nei confronti di soggetti non firmatari, che hanno subito una violazione dei diritti umani a causa dell’esercizio di un potere forte da parte di uno stato membro. Viene periodicamente rinnovata tramite l’approvazione di numerosi protocolli, ad ora 11, e deve il suo grande successo a due fattori: sia perché annovera tra i suoi firmatari, Stati con un omogeneo livello di civiltà, ma soprattutto perché, oltre alla circostanza tradizionale di un meccanismo di controllo tra Stati, ammette la possibilità di un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, suo organo giurisdizionale, da parte dei singoli individui. Originariamente il procedimento si svolgeva in due fasi: 1) Ricorso davanti la Commissione europea dei diritti dell’uomo fase preliminare – vaglio del ricorso se ritenuto ammissibile esame del merito della questione + adozione di un rapporto 2) Corte europea dei diritti dell’uomo ( il singolo individuo non ha più legittimazione processuale) Sentenza senza possibilità di appello Con l’undicesimo protocollo la situazione è cambiata: comitato di tre giudici che valuta l’ammissibilità del ricorso Camera della corte di sette giudici che emana una sentenza Possibilità di proporre appello: collegio di cinque giudici che vaglia la possibilità di effettuare il ricorso, concesso solo per questioni molto importanti

Sentenza della Grande Camera (è possibile che la questioni passi direttamente alla grande camera quando la Camera ridotta lo richieda sempre per questioni molto importanti) Sentenze 348/349 – 2007. La corte Costituzionale affronta il problema della collocazione delle norme internazionali pattizie nel nostro ordinamento. L’art. 117 riformato attribuisce loro rango sub-costituzionale. La Corte considera la Cedu come una sorta di criterio interpretativo/integrativo della costituzione, come una fonte di ricognizione di emergenti nuovi diritti. La Cassazione ricorre alla Corte Costituzionale perché la legge italiana in merito all’occupazione acquisitiva e all’indennità di espropriazione, pur giudicata non in contrasto con la Costituzione, lo è certamente nei confronti della Cedu. Per la prima volta la Corte si pronuncia affermando il rango di norma interposta della Cedu, in forza dell’art.117Cost, rendendo inconfutabile la forza di resistenza della Cedu rispetto alle norme interne, e l’eventuale incompatibilità porterebbe l’insorgere di una questione di legittimità costituzionale per violazione dello stesso art. 117. Inoltre la Corte puntualizza che le norme della Cedu non sono vincolanti per l’ordinamento in quanto tali, ma lo sono in forza della loro interpretazione datane dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Sottolineando l’importanza della funzione interpretativa della Corte di Strasburgo. Laddove in un giudizio di costituzionalità vi sia in gioco una norma della Cedu, il vaglio della Corte si deve scindere in due momenti: le norme della Cedu, così come interpretate dalla corte di Strasburgo devono essere sottoposte ad una verifica di compatibilità con tutto il testo costituzionale, solo dopo si potrà procedere a verificare la legittimità della norma censurata rispetto alla stessa norma interposta. Da queste sentenze si evince da un lato la volontà del nostro ordinamento di conformarsi sempre più all’ordinamento internazionale, ma dall’altro si nota come la Corte Costituzionale mantenga un comportamento molto preventivo nei confronti delle norme internazionali. Infatti la questione di legittimità si convertirebbe nella vecchia teoria dei contro limiti: il diritto internazionale è un limite per il diritto interno, ma è vero anche che quest’ultimo risulta essere comunque un contro limite per il diritto internazionale, dato che verrà sottoposto sempre al controllo della corte per la sua conformità a tutto il testo costituzionale....


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