Antonio damasio e l\'errore di cartesio riassunto PDF

Title Antonio damasio e l\'errore di cartesio riassunto
Course Psicologia generale i
Institution Università degli Studi di Torino
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riassunto del libro. usato per esame di psicologia sociale come libro a scelta ...


Description

L’errore di Cartesio Sciagura nel Vermont Nell’estate del 1848, un terribile incidente si verificò nel Vermont, in New England, durante la costruzione di una nuova linea ferroviaria. In seguito a dei lavori, un ingegnere, Phineas Gage, rimase coinvolto in un esplosione che, per una sfortunata coincidenza, spedì alla velocità di un proiettile una barra metallica da lavoro contro il suo cranio. La barra perforò il viso all’altezza della guancia sinistra e fuoriuscì dalla parte superiore del cranio, sfondando la calotta. Incredibilmente sopravvissuto, Gage si recherà nell’albergo più vicino a qualche km di distanza dove riceverà le dovute cure dal dottor John Harlow che in qualche mese lo rimetterà a nuovo. Tuttavia in un primo momento il clamore di una insperata sopravvivenza, coprì un cambiamento caratteriale repentino, che stravolse totalmente la vita di Gage, dapprima uomo pacifico, moderato ed accurato, ed improvvisamente divenuto ostile al lavoro, agli impegni e particolarmente incline ad una sorta di inadeguatezza sociale, dovuta principalmente a comportamenti assolutamente disinibiti ed osceni. Ciò distrusse rapidamente la vita di Gage, seppur morì per altri motivi circa vent’anni dopo. Uno status di assoluta “dissociazione” lo spinse ed emarginarsi dal sociale, relegandolo ad una condizione di anomala solitudine per ciò che era prima dell’incidente, in cui morì. L’incidente aveva prodotto un qualche cambiamento, probabilmente dovuto alla distruzione di una precisa area del cervello. All’epoca tuttavia, si vedeva con una certa riluttanza l’idea che il cervello potesse non essere un organo diviso in settori specifici ed ancor più precisamente in definite aree entro cui avvenivano determinati processi, in maniera tale da costituirsi come un insieme di settori “responsabili” di una precisa funzione. A questa funzione, si preferiva invece, una concezione più “totalitaria”, ove il cervello intero svolgeva all’unanimità tutte le funzioni che gli erano proprie. Questo caso, si rivelò particolarmente importante, soprattutto in vista di una nuova concezione, che non si occupasse più semplicemente di localizzare le aree specifiche del linguaggio e del movimento, bensì si destasse, osservando come le funzioni sociali potessero risiedere in una zona a sé, in questo caso colpita dalla barra di ferro. Gli unici sostenitori di questa tesi innovativa (ad opera di Ferrer) furono i seguaci di un nuovo ramo scientifico, la frenologia (fondata da Gall). Si assiste così ai primi passi della cosiddetta “specializzazione” del cervello. Appare dunque chiaro che non fu una semplice reazione all’incidente a distruggere la vita di Gage, bensì una precisa lesione cerebrale circoscritta in un sito specifico che comportò la perdita della peculiarità umana di pianificare il proprio futuro e di vivere secondo le regole sociali.

Il cervello di Gage disvelato Più o meno nello stesso periodo, diversi studi soprattutto sull’afasia, riuscirono a battere terreni di ricerca nuovi, e a dimostrare come quest’ultima fosse causata da una lesione alla specifica area del cervello addetta al linguaggio. Questa conferma di una tesi “specialistica” del cervello, permise un migliore approfondimento anche della vicenda cui fu protagonista Gage. Tuttavia affinchè potesse delinearsi un panorama analitico completo, bisognava prima di tutto tracciare con precisione la traiettoria della barra metallica, per individuare quale zona fosse stata lesa e quale invece no.

Broca, uno studioso del tempo infatti dimostro che la zona cerebrale addetta al linguaggio fosse situata all’altezza del lobo frontale sinistro, così come quella di Gage, che conservava intatto però, l’uso della parola. Quando nel 1861, Gage morì, il suo corpo fu sepolto, e non venne praticata alcuna autopsia. Fu questo probabilmente il più grande rimpianto di Harlow, che probabilmente dopo aver compreso l’importanza di un’accurata analisi, chiese alla sorella di Gage di poter riesumare il corpo così da poterlo analizzare, e con esso la barra che era stata con lui sepolta. E cosi fu. Ben presto, cranio e barra furono portati a Boston, nel Warren Medical Museum, dove è ancora oggi esposto. Ciò permise a diversi studiosi di prenderlo in analisi con tecnologie più all’avanguardia, e la ricerca più accurata fu probabilmente condotta da Hanna Damasio, circa 120 anni dopo la morte di Gage. Quest’ultima, dopo aver scattato delle foto a tutto tondo, riuscì mediante degli evolutissimi calcolatori, non solo a ricostruire perfettamente la calotta cranica di Gage, ma anche a dare un immagine più o meno precisa di un modello cerebrale che ben si adattasse a tale calotta. In questa maniera fu più semplice rintracciare la traiettoria precisa, e stabilire così quali zone furono lese. Il cervello, anatomicamente, è diviso in due emisferi, il destro ed il sinistro, uniti dal “corpo calloso”, ossia un aggregato di fibre. Oltre ai due emisferi, il sistema nervoso centrale, comprende anche il “diencefalo” (talamo ed ipotalamo), il mesencefalo, il cervelletto, il midollo allungato ed il midollo spinale. L’insieme del sistema nervoso centrale, oltre ad essere connesso fra sé mediante gli appositi nervi, sono collegati grazie al sistema nervoso periferico ad ogni angolo del corpo, con cui scambia continuamente informazioni. La struttura su cui si concentrano le neuroscienze è la “corteccia cerebrale”, un rivestimento che ricopre tutte le superfici cerebrali, spesso circa 3 mm. Si divide in “neocorteccia” e “corteccia limbica”. Un ulteriore divisione del S.N.C è il cosiddetto “sistema limbico”, costituito da “giro del cingolo”, “amigdala” e “prosencefalo basale”. Il tessuto nervoso infine, è chiaramente costituito da un insieme di cellule nervose, dette neuroni. Ciascun neurone è si divide in corpo centrale, dendriti ed assone. Gli assoni permettono ad i neuroni di trasmettersi il messaggio a vicenda, e la congiunzione di due assoni è definita sinapsi. In base alle nuove conoscenze neuroanatomiche dunque, si può concludere che la barra metallica, trafisse Gage danneggiandolo maggiormente sul lato sinistro e nei settori anteriori, e non colpi le zone addette al linguaggio ed al movimento, site leggermente più dietro. Così si riuscì anche a dimostrare che l’incidente coinvolse la zona cerebrale destinata al processo di decisione, ossia la “regione prefrontale ventromediana”.

Un moderno Phineas Gage Nel terzo capitolo Damasio porta un esempio a lui più attuale, il caso di un Elliot, che seguì per diversi anni. Il caso si presentò quando al paziente negarono l’assegno di invalidità. In effetti, Elliot presentava diverse “menomazioni” nel rapportarsi nel sociale che per certi aspetti ricordavano molto da vicino il caso Gage. D’altronde anche la causa si rivelò almeno anatomicamente piuttosto simile. Diversi anni prima, Elliot, conosciuto come uomo dall’ottima temperanza e moderazione e particolarmente dedito al lavoro, cominciò ad accusare dei disturbi soprattutto alla personalità

della medesima matrice di Gage. La causa si scoprì da li a poco essere un tumore che (meningioma), spingendo dal basso verso i lobi frontali, comportò un notevole cambiamento. Quando il tumore benigno, fu correttamente asportato dai medici locali, con esso venne eliminata anche la parte dei lobi danneggiata dal tumore. La regione addetta al linguaggio e quella al movimento furono salvate, tuttavia la lesione risultò determinante nell’ambito delle decisioni, delle relazioni sociali, e della concentrazione. Tuttavia, probabilmente perché la zona persa fu meno rispetto a quella di Gage, non presentò atteggiamenti osceni, ma si limitò ad un lento isolamento che lo condusse a ben due divorzi. La sua inadeguatezza infatti, nonostante il suo intelletto continuasse ad essere integro, fu fatale per le sue relazioni. Damasio richiese dunque diversi test della personalità ed anche test del QI, ma in tutti Elliot dimostrò non solo di essere idoneo, ma di aver mantenuto un eccezionale brillantezza, in apparente disaccordo con l’effettiva incapacità di trattenere relazioni ed una mirata concentrazione a lungo termine. Piuttosto semplicemente la motivazione di tale deficit era chiaramente un danno ad uno specifico settore del cervello. La vera tragedia si verificò nel momento in cui, effettivamente non in grado di svolgere delle mansioni a tempo pieno, si ritrovò a non percepire alcun assegno di invalidità, dal momento che dai test risultò assolutamente normale. Dopo aver vanamente frequentato delle sedute di psicoterapia, Elliot fu condotto all’unità di Damasio, dove venne accuratamente analizzato. Damasio si rese conto che oltre ai già citati deficit, Elliot proprio come Gage, presentava una sorta di insofferenza nell’esporre i gravi traumi che ne avevano condizionato la vita, così con una sorta di apatia mostrò una totale assenza di emozioni e sentimenti. “Sapere ma non sentire”, è questa la condizione di Elliot che conosce le tragedie che lo hanno afflitto ma non ne risulta “coinvolto” emotivamente. Bisognava però comprendere se effettivamente Elliot avesse perso ogni conoscenza riguardo il comportamento sociale oppure semplicemente non fosse più capace di utilizzare tali conoscenze. Ancora una volta, dimostrò dai test di rientrare nella normalità, e di conoscere perfettamente le convenzioni sociali. Tuttavia una differenza che si deve tenere in considerazione è quella che intercorre dalla calma sala entro cui si svolgono i test, alla frenetica vita reale dove un insieme di pulsioni e pressioni, pongono l’individuo a dover compiere una scelta, che nel caso di Elliot, non si verificava totalmente. Dunque le conoscenze sociali esistevano, ma vi era un difetto nei “mezzi”. Appare ormai scontato come mancanza di decisione e apatia emozionale sono ormai interconnesse. Tale tesi, in effetti può essere avvalorata già pensando che spesso le emozioni giocano un ruolo essenziale nelle nostre decisioni, e talvolta ci impediscono di osservare con lucidità quanto accade, distruggendo il ragionamento che ci è proprio. Tuttavia anche l’esatto opposto, ossia l’assenza di emozione può avere un effetto analogo. “Una riduzione dell’emozione può costituire una fonte ugualmente significativa di comportamento irrazionale”. Evidentemente era questa la strada da seguire. L’obiettivo della neuropsicologia, è quello di rintracciare le relazioni dei processi cognitivi con i corrispettivi sistemi neurali. Damasio porta alcuni esempi che risultano più esplicativi, e fra i quattro riportati il più significativo risulta essere il secondo, che tratta di un ragazzo 16enne, che dopo aver subito un grave incidente in cui riportò una frattura composta delle ossa frontali che distrusse letteralmente le cortecce frontali su entrambi i lati, dimostrò di non essere più in grado di perseguire una precisa continuità sociale, e risultò alienarsi, espletando come la perdita della porzione dei lobi frontali, in maniera simile a quella di Gage, lo condusse alla dissociazione. Un

ulteriore fonte atta a dimostrare che l’intervento su base neurologica specifica avesse determinate conseguenze nell’ambito comportamentale e sociale dell’individuo provenne da uno studio effettuato dal dottor Munoz, che propose come cura per i propri pazienti affetti da un’ansietà tale da distruggergli la vita, la leucotomia, ossia la lesione di piccole regione della sostanza bianca (ossia fasci nervosi) di entrambi i lobi. L’esperimento probabilmente fu suggerito da uno studio su scimpanzé, e dunque nostri simili, che precedentemente all’intervento si dimostravano irrequieti nonché facilmente irascibili, mentre successivamente una nuova pacatezza li pervase, seppur accompagnata da un totale isolamento dai loro simili. L’idea di Munoz si basò così sull’idea che in fondo scimpanzé e uomini presentassero modelli cerebrali certamente non uguali ma con funzionamenti piuttosto simili. Gli interventi che vennero effettuati difatti, dimostrarono che l’ansietà sparì totalmente dai soggetti operati, ma con essa venne meno anche la capacità di emozionarsi e di approcciarsi con il sociale. Anche se allora l’idea di Munoz poteva anche possedere una parvenza di benefici, visto che l’alternativa erano dosi massicce di sedativi e camice di forza, ad oggi non è affatto pensabile che essa possa essere ancora attuata. Un’altra importante condizione neurologica, condivide con la matrice Phineas Gage alcuni aspetti: l’anosognosia, ossia l’incapacità di prendere coscienza del proprio stato alterato e menomato. Anch’essi infatti presentano assenza di preoccupazione par la propria malattia ed una spiccata assenza di emozioni. L’anosognosia è dovuta ad una lesione dell’emisfero destro, all’altezza delle cortecce cerebrali somatosensitive, cui fra le altre cose è anche addetta alla produzione della mappa completa e integrata dello stato presente del corpo. Per alcuni aspetti dunque, i soggetti affetti da anosognosia, somigliano stranamente a quelli che presentano lesioni prefrontali: -

Sono incapaci di prendere decisioni su questioni sociali Insolita resistenza al dolore e all’emozione

Tuttavia gli affetti da anosognosia presentano una paralisi del lato sinistro del corpo, di cui però evidentemente non si rendono conto. Possiamo così trarre delle prime conclusioni: 1) Nel cervello vi è una regione, le cortecce prefrontali ventromediane che sono responsabili di ragionamento/decisione, emozione/sentimento e del comportamento sociale. 2) Nel cervello vi è una regione, le cortecce somatosensitive dell’emisfero destro, la cui lesione in maniera analoga al punto uno, compromette ragionamento/decisione ma in maniera differente poiché, o il difetto è molto più ampio, e rischia così di mettere a repentaglio l’intero intelletto, oppure è più selettivo e minaccia le operazioni su parole numeri ed oggetti piuttosto che nel sociale. 3) Nel cervello vi sono dunque una collezione di sistemi deputati al ragionamento/decisione con particolare enfasi nel sociale.

Elementi di una spiegazione

Abbiamo dunque dedotto che il cervello è diviso in diverse regioni a loro volta divise in aree, ciascuna delle quali ha un suo dominio proprio. Bisogna però anche chiarire che, ciò che noi percepiamo è il frutto di una vasta raccolta di dati che chiaramente deve essere sintetizzata dal cervello per esserci offerta come un’unità omogenea. Per far ciò, e per compiere anche ogni azioni volontaria e non, il sistema nervoso centrale oltre ad essere fra sé e sé interconnesso, scambia continuamente informazioni con il sistema nervoso periferico, ed inoltre entrambi i sistemi nervosi entrano in contatto con l’ambiente circostante, da cui raccolgono i dati. Per far ciò, ossia per trasmettersi tali dati, il sistema nervoso utilizza due vie, il tessuto nervoso e la circolazione sanguigna. Vi sono così, settori del cervello di ingresso, verso cui si dirigono i dati interni e le informazioni provenienti dall’esterno, e settori del cervello di “uscita”, da cui le risposte vengono emesse (come il sistema motorio). L’errore comune tuttavia, sta nel concepire la percezione sensoriale esattamente come un cinema, ossia come se l’insieme dei dati sensoriali da noi raccolti, convogliassero spontaneamente in un’unica regione dove viene per così dire “proiettata” su uno schermo, che sarebbe la nostra mente. Ciò è anche definito “teatro cartesiano” e lo studioso Dennett, ha dimostrato che non si tratterebbe altro che di un luogo comune, in quanto non esiste nel cervello un’unica regione attrezzata a poter elaborare simultaneamente, le svariate rappresentazioni provenienti dalle diverse modalità sensoriali. Il meccanismo mediante cui queste rappresentazioni risultano “unirsi”, è quella della temporizzazione, ossia di un’interazione tramite il tempo. Le immagini che possono presentarsi alla nostra mente, possono essere di due tipi: -

Percettive, se direttamente frutto del lavoro dei sensi Richiamate, che si presentano al rievocare di cose passate

Mediante un complesso processo di percezioni, memoria e ragionamento, nelle cortecce sensitive di ordine inferiore avviene una elaborazione che ci permette di poter “pensare” l’immagine. I segnali provenienti dal corpo infatti, vengono trasmessi dai neuroni e convogliati nelle cortecce sensitive di ordine inferiore, un insieme di aree che forma una maglia interconnessa, cui relazione da luogo alle corrispettive rappresentazioni. I pazienti colpiti per esempio da lesioni alle cortecce visive di ordine inferiore, non saranno così in grado di generare raffigurazioni visive. Le rappresentazioni sono evocate mediante un impulso per così dire disposizionale, ossia mediante un impulso in circuiti che fanno parte dello stesso sistema, per cui possiedono una forte interconnessione neuronica. Le zone entro cui le rappresentazioni disposizionali possono produrre immagini sono poste lungo le cortecce disposizionali di ordine superiore, nei gangli basali e nelle strutture limbiche. Mediante le “rappresentazioni disposizionali” dunque, non richiamiamo un’immagine specifica, come quella di un volto amico, bensì azioniamo il meccanismo neurale che ci “dispone” in condizione di poter pensare il volto amico in questione. Sono dunque le rappresentazioni disposizionali ad essere definitivamente il nostro “deposito di coscienza”, poiché solo grazie ad esso possiamo entrare in contatto con la conoscenza, sia essa innata (rappresentazioni disposizionali site nell’ipotalamo, midollo allungato, sistema limbico) o acquisita tramite l’esperienza (rappresentazioni disposizionali site nelle cortecce). Regolazione biologica e sopravvivenza

La sopravvivenza di un individuo, scaturisce direttamente da un insieme di processi biologici tali da permettere che processi quali respirazione o alimentazione, vengano svolti periodicamente ed all’occorrenza. Damasio riconosce così che tutti i comportamenti conseguenti alle pulsioni, emozioni e sentimenti compresi, sono al centro della nozione di razionalità e di sopravvivenza. Vi sono dunque dei meccanismi regolatori che “ci permettono di sentire” una particolare emozione e sensazione (fame, nausea, paura ecc…). Mediante questi meccanismi e le sensazioni che da essi scaturiscono, l’organismo tende a classificare gli eventi come “buoni” o “cattivi”. Alcuni di questi meccanismi sono innati, e risiedono nel midollo allungato e nell’ipotalamo (regolazione delle ghiandole endocrine, regolazione del sistema immunitario ecc…), e nel sistema limbico che partecipa attivamente all’operare di pulsioni ed istinti. Un esempio di interazione fra mente e corpo, e di meccanismi dunque, è lo stato di stress che, presentandosi in situazioni particolarmente critiche, porta all’aumento sostanziale di una sostanza chimica (CGRP) mediante un meccanismo innato, e conseguentemente ad una eventuale eruzione cutanea. La regolazione corporea, la sopravvivenza e la mente sono profondamente intrecciati e comunicano mediante segnali elettrici e chimici. Tale comunicazione avviene soprattutto nella cosiddetta “ghiandola pineale” ovvero un sito grande meno che una nocciola sito vicino l’epifisi. Com’è però normale, le pulsioni e gli istinti non sono sufficienti a tutti gli esseri viventi per poter sopravvivere. Secondo Cartesio ad esempio, ciò che ci rende propriamente umani è proprio il controllo sugli istinti animali, e per far ciò, oltre al supporto biologico, possediamo un rigido insieme di convenzioni sociali e norme etiche che “frenano” gli impulsi animali. Tali norme, si tramandano soprattutto mediante l’istruzione e l’abitudine e permettono una vita collettivamente “migliore”.

Emozioni e sentimenti Secondo quanto detto, arricchendolo con qualche dato neurobiologico, distinguiamo una zona più “antica” del cervello, ossia l’apparato subcorticale, responsabile delle regolazioni per così dire “involontarie” e dunque quelle biologiche, ed una zona più “nuova” ossia più facilmente rintracciabili negli organismi più sviluppati. La zona neocorticale difatti, si occupa della razionalità, la perspicacia, la saggezza. L’apparato neocorticale e subcorticale tuttavia sembrano non poter operare l’uno senza l’altro, e risultano così fortemente connessi. Un esempio dei più significativi possiamo portarlo chiamando in causa l’emozione. Secondo W. James, non è possibile riconoscere un’emozione, se non è ac...


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