Riassunto le meditazioni metafisiche cartesio PDF

Title Riassunto le meditazioni metafisiche cartesio
Course Filosofia Morale
Institution Università degli Studi di Messina
Pages 19
File Size 225.1 KB
File Type PDF
Total Downloads 39
Total Views 142

Summary

Download Riassunto le meditazioni metafisiche cartesio PDF


Description

Riassunto LE MEDITAZIONI METAFISICHE - CARTESIO STORIA DELLA FILOSOFIA MODERNA I (Università degli Studi di Urbino Carlo Bo)

StuDocu non è sponsorizzato o supportato da nessuna università o ateneo. Scaricato da Giulia Faraone ([email protected])

PRIMA MEDITAZIONE: Cartesio si rende conto della falsità del sapere che ha appreso sin dall’infanzia. In età matura e in una condizione di otium favorevole alla filosofia perché libero da questioni pratiche decide di operare la distruzione delle sue opinioni e di tutto ciò che ha acquisito in età infantile allo scopo di fondare la sua nuova fisica su un sapere che sia certo. Per Cartesio è infatti possibile all’uomo giungere alla conoscenza del vero a patto che egli utilizzi correttamente la sua ragione in cui Cartesio ha piena fiducia. Il metodo per trovare un sapere certo è quello di dubitare delle vecchie opinioni: tutto ciò che sarà aggredibile dal dubbio dovrà essere considerato falso, anche se probabile poiché sul possibile non si costruiscono certezze. Il dubbio ha quindi l’utilità di liberare la mente dai pregiudizi che a lungo l’hanno tenuta prigioniera in un falso sapere e di mettere la mente in condizione di non dover più dubitare di ciò che sarà successivamente scoperto. Tale metodo presenta dunque due grandi novità: non sarà necessario apportare dimostrazioni di falsità e non sarà necessario passare in rassegna tutte le conoscenze, poiché una volta fatti crollare i fondamenti del sapere tutto ciò che sarà stato costruito su di esso cadrà di conseguenza. Il dubbio cartesiano è anzitutto diverso da quello scettico che nasce proprio da una sfiducia nell’uomo verso la propria ragione; inoltre per Cartesio esso è già eretto a criterio, anche se negativo, di verità. Non solo, nell’opera “regole per la guida dell’intelligenza” Cartesio descriveva il suo metodo attraverso la celebre metafora del fabbro: egli produce da sé i suoi strumenti di mestiere che poi permetteranno la fabbricazione di strumenti più affinati; così il dubbio è già eletto a criterio e crolla il principio del regresso all’infinito sostenuto dallo scettico Agrippa. I semi del metodo cartesiano non avranno bisogno di altro da sé per generarsi perché innati. In ultima analisi si tratta dunque di un dubbio metodologico, volontario ed iperbolico ma ragionato: vero è che Cartesio condanna a morte il probabile, ma vero è anche che occorrano delle ragioni per dubitare di qualcosa. A questo punto il filosofo inizia la sua operazione di distruzione e parte dalla conoscenza sensibile. I sensi sono considerati come la sorgente più comune e cera del sapere umano, ma per Cartesio non bisogna fidarsi dei sensi perché ingannatori. Qui Cartesio sta criticando gli scolastici: eterni bambini che credono che la conoscenza sensibile sia la più certa. Per Cartesio però ci si inganna proprio su ciò che volte pare estremamente certo e veritiero: come una cosa che appare molto piccola da lontano e poi si scopre enormemente grande da vicino. Compare qui una sorta di alter-ego dell’autore che rivolge delle continue obbiezioni a ciò che Cartesio sta dichiarando. La prima è quella per cui i sensi ingannerebbero soltanto su ciò che appare molto piccolo o molto lontano da noi, ma non su molto altro. Non si potrebbe mai dubitare, secondo l’alter-ego, di stare qui scrivere accanto al fuoco in questo preciso momento, e per nessuna ragione si potrebbe mai negare l’esistenza di queste mani che scrivono e del corpo a cui sono congiunte. Compare qui l’unico dubbio insinuato e subito abbandonato, quello della pazzia. Non si potrebbe mai dubitare delle cose appena asserite a meno che non si abbia perso il senno. Cartesio rigetta

Scaricato da Giulia Faraone ([email protected])

questo dubbio perché qualcuno privo di intelletto e quindi folle non potrebbe mai raggiungere la certezza; inoltre, non si può certo per Cartesio prendere per regola ciò che è eccezione. Tuttavia, dibatte Cartesio ogni persona distorce proprio come un folle la propria realtà: ogni persona fa esperienza del sogno. Quando si sogna si hanno le stesse percezioni che allorchè si è convinti di essere svegli: dunque la vita potrebbe forse essere tutta un sogno? La conclusione è che Cartesio non ha ancora un criterio valido per poter distinguere le percezioni illusorie del sogno da quelle reali della veglia( che arriverà invece a conclusione della sesta meditazione) . L’alter ego a questo punto dibatte che anche qual ora si stesse sognando si potrebbero comunque riconoscere nelle visioni oniriche delle immagini somiglianti a quelle pittoriche e per tanto formate a somiglianza di ciò che è vero; qual ora poi gli elementi rappresentati fossero così tanto astratti da non potervi ricavare alcuna nozione chiara ed associabile ad un elemento reale, resterebbero per l’alter ego almeno i colori. Cartesio si chiede allora quali siano le componenti fondamentali delle visioni umane, reali o oniriche che esse siano. Esse sono: l’avere una forma, l’estensione, la dimensione… tali nozioni sono indubitabili perché elementi di costruzione delle scienze( conoscenze certe). Sarebbero quindi dei sogni anche le scienze? Di fatto per Cartesio non ha importanza: da sveglio o in sogno 2+3 farà sempre 5 e il quadrato non consterà mai più di quattro lati. Tali verità per Cartesio non sono sospette: la matematica non si risolve nel mondo esterno, ma nella mens. Tuttavia, al fine di poter dubitare anche di questo suppone che esista un genio malvagio che faccia sì che gli uomini si ingannino ogni qualvolta sommino 2+3 e siano convinti di aver ottenuto giustamente il risultato. A questo punto Cartesio è obbligato a segnare, momentaneamente, la vittoria degli scettici: occorre sempre negare l’assenso di fronte a qualcosa di dubitabile. Così decide di estendere il dubbio ad ogni cosa. Tale passaggio però deve essere ricordato perché se l’intelletto è stato convinto della necessità di tale operazione, la volontà che ha radici nell’abitudine sembra fare più fatica ad accettare un dubbio così generalizzato. SECONDA MEDITAZIONE: il fine della meditazione è quello di dimostrare che la conoscenza della mente sia più accessibile e sicura di quella dei corpi. Cartesio inizia la meditazione ancora in preda ai dubbi con i quali aveva chiuso la prima. Così suppone di non avere più un corpo, di non avere più sensi, memoria, figura, estensione e che tutto ciò che veda sia falso. Che cosa resta allora di vero? Il cogito, l’io: scrive infatti Cartesio di non sentirsi così legato al suo corpo da far sì che lui senza di esso non sia comunque qualcosa. Resiste quindi al dubbio l’esistenza, il percepire se stessi nel porre il dubbio su ogni cosa. Cartesio ha finalmente trovato la sua prima certezza: “io penso e dunque esisto”. Da adesso in avanti quindi oltre al criterio negativo del dubbio si aggiungerà quello del cogito: tutto ciò che apparirà chiaro ed evidente come esso dovrà essere considerato vero.

Scaricato da Giulia Faraone ([email protected])

Nella meditazione esso non è però presentato nella sua forma canonica, ma in altre due formulazioni: “mi sono persuaso che al mondo non esista nulla, ma io esisto di certo se mi sono persuaso di qualcosa”; “qualcuno mi inganna? Io esisto di certo se qualcuno mi inganna”. Questa seconda affermazione è una ripresa di agostino che porterà Cartesio persino ad essere accusato di “plagio”. In una lettera il filosofo risponde che mentre agostino usava il cogito soltanto per dimostrare la certezza dell’esistere lui se ne serve per far comprendere come questo “io che pensa” sia immateriale. Va detto che la coscienza dell’esistenza in Cartesio non sia la conclusione di un ragionamento o di un sillogismo, ma una vera intuizione e che per tanto essa non abbisognerebbe di alcuna dimostrazione; non solo, la conoscenza di Cartesio è in questo senso attiva: essa parte dal soggetto e non dall’oggetto percepito passivamente dai sensi. Cartesio sa ora di esistere, di essere qualcosa, ma cosa? Prima di estendere il dubbio su ogni cosa riteneva di essere un uomo. Qui il filosofo respinge la definizione aristotelica di uomo, ovvero animale razione, giacchè questo implicherebbe lo spiegare che cosa si intenda per uomo e per razionale. Più semplicemente Cartesio scrive di ricordare che prima quando pensava a se stesso pensava di avere un volto, delle mani… un insieme di segni definiti corpo, cioè qualcosa che è delimitato da una forma, in un luogo, in uno spazio e in movimento. Pensava poi di svolgere delle funzioni: si nutriva, camminava e pensava e decide di ricondurre tali funzioni all’anima. Tornando al presente però Cartesio ha eliminato il corpo supponendo di non averlo più e non può quindi fare affidamento su quell’insieme di segni corporei per definire cosa sia. Non solo, eliminando il corpo ha anche eliminato le funzioni che questo era in grado di svolgere. Cosa resiste dunque all’assenza di un corpo e alla possibilità di non essere ingannati? Resiste il pensiero. Esso resiste al dubbio visto che è esso stesso a porlo, ed è vero e certo perché la sua conoscenza e dimostrazione non è passata attraverso i sensi. Il pensiero è quindi l’unica nozione che non può per nulla essere separata da noi. Cartesio sa ora che esiste e che cos’è: è una cosa che pensa. Ma che cos’è una cosa che pensa? È una mente che dubita, che nega, che afferma, che anche immagina e sente. Quell’ “anche” ha un forte valore concettuale: Cartesio prima enumera le proprietà della mens (intelletto e volontà) poi aggiunge le funzioni dell’anima sensitiva che richiedono la presenza e il sostegno del corpo. L’immaginazione è per Cartesio un’applicazione dell’intelletto e quindi una facoltà minore o secondaria. Essa aiuta l’uomo a plasmare, a dare forma alla realtà, quindi a pensare ai corpi, ma la sola immaginazione non permette certo di conoscere noi stessi giacchè siamo solo pensiero. Cartesio ha in questo modo dato una prima dimostrazione di come in realtà prima si conosca la mente, il pensiero e poi la corporeità e che quindi la conoscenza della mente sarà più certa ed evidente di quella dei corpi. Cartesio decide a questo punto di portare un esempio per esplicare meglio quanto ha spiegato: prendendo in esame un pezzo di cera, anche se esso cambia forma – si scoglie, si solidifica – lo si continua a chiamare cera e lo si fa proprio perché ci si basa sull’idea della cera, sul suo concetto mentale e non sulla sua forma o corpo visto che questa cambia.

Scaricato da Giulia Faraone ([email protected])

Cartesio a questo punto apre anche una breve parentesi sul linguaggio ingannatore delle percezioni. “se abbiamo di fronte la cera noi diciamo di vedere la cera, anziché dire che giudichiamo che essa vi sia presente inferendola dal colore o dalla figura; perciò concludiamo subito che la cera si conosca a partire da una visione oculare e non mentale”. Infatti subito dopo Cartesio scrive che avendo scorto degli uomini dalla finestra abbia capito in realtà di vedere dei capelli e dei vestiti sotto i quali potrebbero anche celarsi degli automi: che si tratta di uomini veri non lo vede, lo giudica e il giudizio non fa certo parte della facoltà oculare, bensì del pensiero. Tornando al principio del cogito – io penso e quindi sono – deve essere detto che esso dimostra sì l’esistenza, ma fino a quando? Mentre penso e fin quando penso, perché se si cessasse di pensare si smetterebbe anche di esistere; infatti, “l’io come cosa pensante” è si una cosa nel senso che è qualcosa e non un mero niente, ma da ciò non va associato all’io un corpo, giacchè la cosa che pensa è identificata da Cartesio con il suo stesso attributo, ovvero il pensiero, che in quanto tale ne costituisce l’essenza. TERZA MEDITAZIONE: Cartesio in questa meditazione inizia a chiedersi se vi siano altre idee chiare e distinte come la res cogitans. Presupposti di certezza resta quindi il cogito: tutto ciò che apparirà chiaro ed evidente come esso dovrà essere ritenuto vero. Cartesio aggiunge qui anche un nuovo criterio di verità affermando che il vero sia chiaro e distinto mentre il falso è confuso ed oscuro. La chiarezza fa si che una cosa balzi alla mente in modo forte ed immediato, la distinzione fa si che sia definita in se stessa in modo tale da non poter essere confusa. Nessuno dei due criteri sembra però essere sufficiente: anche le verità di conoscenze certe, quali le matematiche, infatti possono risultare dubbie alla luce del dio ingannatore. Il cogito presenta invece il rischio del solipsismo: la mente cartesiana si ripiega su se stessa e pensa a se, ma per trovare qualcos’altro di certo deve necessariamente aprirsi al mondo. Aprendosi scopre l’idea di dio e non le cose del mondo come voleva invece la tradizione tomistica. Infatti la certezza di una conoscenza vera è certa sarà data da Dio che farà in modo che gli uomini non si ingannino. Dio serve quindi per far avvenire l’uscita dal solipsismo della mente: per questo Cartesio elabora un lungo ragionamento partendo dal fondamento sicuro del cogito per giungere alla dimostrazione dell’esistenza di dio. Cartesio sa infatti di essere una cosa che pensa e fra i suoi pensieri la sua attenzione si concentra verso quelli che hanno un contenuto, un oggetto, ovvero le idee. Cartesio è il primo ad intendere le idee non più come archetipi delle cose create, ma come contenuti rappresentativi. Cartesio compie una prima classificazione tra le idee e gli altri modi del pensiero, quali: desiderio, volontà e giudizio che contengono anche altro oltre alla rappresentazione di qualcosa. le idee prese in se stesse sono tutte vere, così come gli altri modi del pensiero “chè non si potrebbe mai dubitare della falsità di un desiderio/volontà pur desiderando/volendo qualcosa di inesistente”. Cartesio apporta però una critica al giudizio, che esce dalla sfera soggettiva essendo un’affermazione di esistenza. Il più grave è quello di somiglianza. Tale giudizio mostra la critica di Cartesio verso la teoria delle species degli scolastici: eterni bambini che credono che la conoscenza avvenga attraverso degli specula( forme dell’oggetto) che i sensi invierebbero al soggetto su cui

Scaricato da Giulia Faraone ([email protected])

poi lavorerebbe l’intelletto. Per Cartesio tale concezione è assurda perché l’immagine che gli uomini hanno del mondo è diversa da come è il mondo in realtà e l’errore sta quindi nel giudicare le cose fuori di noi uguali a come la nostra mente le percepisce. A questo punto quindi sulle cose corporee vi sono bene due dubbi: uno sulla loro esistenza e uno sulla loro somiglianza. Cartesio si concentra poi sulle idee e le suddivide in: avventizie( provenienti dal mondo esterno e quindi involontarie ed immodificabili. Essa sono in sostanza le idee colte dai sensi, quelle delle cose corporee; tali idee per Cartesio hanno sì la vivacità – un grado di impressione che provoca una sensazione, ma non hanno a che fare con la conoscenza); le idee fattizie( ovvero quelle inventate dagli uomini stessi, per esempio quella del cavallo alato. Esse sono volontarie, modificabili ma anche incorreggibili( noi sappiamo benissimo che il sole è grandissimo sulla base di calcoli astronomici, ma sappiamo anche ce ogni volta che gli poniamo da lontano una moneta davanti questo risulta piccolissimo come quella stessa moneta). Per Cartesio dunque questi due tipi di idee sono confuse ed oscure. Vi sono poi le idee innate: presenti in noi sin dalla nascita. Si tratta di percezioni che la mente ha senza il bisogno di ricorrere a nessun aiuto esterno, esempio ne sono il pensiero e dio. Sono queste idee quelle che meritano gli attributi della chiarezza e della distinzione. Le idee prese in se stesse sono tutte vere perché contrassegnate dalla chiarezza e dalla distinzione. Dal punto di vista della loro realtà formale( cioè come semplici pensieri) esse risultano tutte uguali ed essendo solo pensieri potrebbero essere create da noi uomini per mezzo del pensiero. Le idee hanno però anche un realtà oggettiva( cioè un contenuto): analizzate sotto questo aspetto le idee sono tra loro diverse: esistono idee più o meno perfette. Dalle idee si giungerà poi alla dimostrazione di dio sulla base del ragionamento per cui esse devono avere una causa visto che hanno un contenuto. La causalità infatti è quel principio che stabilisce come nulla nasca dal nulla e tutto abbia una causa. Esistono due tipi di cause: efficiente quando la causa contiene più realtà formale del suo effetto; eminente quando la causa contiene realtà superiori rispetto a quella dell’effetto. Poiché un idea che ha una certa realtà formale e cioè una certa perfezione deve essere prodotta da una causa che contenga efficientemente o eminentemente quella stessa realtà o perfezione, si tratterà di vedere se l’uomo può essere causa di tale contenuto, nel caso in cui non potesse la causa dovrà essere dio che quindi esisterebbe. Una possibile obbiezione potrebbe essere quella per cui vi potrebbe essere una causa che sia stata originata da un’altra causa e così via ma per Cartesio quel regresso non può essere infinito. Cartesio a questo punto analizza tutte le sue idee: vi sono idee di uomini, di angeli, delle cose corporee, di animali… inizia ad indagare quelle delle cose corporee: queste costituiscono una realtà molto povera e tra loro è poco quello che si trova chiaro e distinto, in loro è infatti contenuta una falsità materiale allorchè non essendo degli enti si affermi invece il contrario. Ad esempio le idee del freddo e del caldo sono così confuse che non si può decretare nemmeno se sia il freddo privazione del caldo o il caldo privazione del freddo: pertanto non è necessario che queste idee che si credono avventizie abbiano altri autori che gli uomini.

Scaricato da Giulia Faraone ([email protected])

A questo punto Cartesio passa all’analisi dell’idea di Dio e giunge alla prima prova causale dell’esistenza di dio: “però c’è in me l’idea di dio, con la quale intendo una certa sostanza infinita, eterna, immutabile, indipendente, onnisciente e onnipotente. La realtà oggettiva di quest’idea (= essere infinito) non è contenuta in me né formalmente né eminentemente, in quanto riconosco chiaramente che non sono un essere infinito, ma finito. Dunque esiste fuori di me una sostanza che è formalmente ( in atto) infinita: solo essa infatti può essere la causa della realtà oggettiva di questa mia idea e quindi si deve concludere che è impossibile che dio non esista”. Tale idea in Cartesio è positiva( Cartesio spiega cosa dio è, e non cosa non è) , anche perché se fosse negativa non potrebbe essere chiara e distinta. Tuttavia il filosofo sa bene che l’uomo non può nemmeno arrivare alla totale comprensione di dio, ecco perché distingue tra due ambiti. Uno è appunto il comprendere: esso sfugge all’uomo che non riesce a comprendere dio( un esempio potrebbe essere quello del mare: esso si vede in modo chiaro e distinto, ma non si può dire cosa ci sia oltre, o quanto sia grande). Il secondo ambito è quello dell’intendere: questo è proprio dell’uomo, che riesce ad intendere dio, ovvero a “toccarlo con la mente”. Qui Cartesio anticipa il suo obbiettore e porta una possibile obbiezione: l’idea di infinito presente negli uomini non è un’idea positiva e potrebbe essere stata ottenuta semplicemente come conseguenza e negazione dell’idea di finito (ovvero chiamando infinito tutto ciò che non è finito senza avere una vera idea di infinito). Risposta: per Cartesio l’affermazione precedente è falsa perché l’idea di infinito è antecedente a quella di finito, cioè viene prima nella mia mente. Come ci si potrebbe infatti percepirsi come esseri finiti, imperfetti, se non perché vi fosse prima contenuta nella mente l’idea di infinito, di perfetto? Scrive poi Cartesio “ in effetti, come mi renderei conto che io dubito, desidero ecc., e cioè che mi manca qualcosa, ossia che non sono in tutto perfetto, nel caso che in me non ci fosse l’idea di un ente più perfetto di me, dal confronto con il quale riconoscere i miei difetti?”. Le parole riportate qui di Cartesio delineano un’inscindibile legame tra l’io e dio: l’io dubita perché consapevole della propria imperfezione, e dubitare perché imperfetti significa avere coscienza dell’imperfezione ovviamente, ma tale idea potrebbe essere contenuta nell’uomo solo avendo anche coscienza dell’esis...


Similar Free PDFs