Archeologia Greca PDF

Title Archeologia Greca
Course Archeologia e storia dell'arte greca
Institution Università degli Studi di Firenze
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riassunto archologia greca...


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ARCHEOLOGIA GRECA 20/10 L’altare si collocava su una delle terrazze dell’acropoli, fu eretto da Eumene II in onore di Atena Nikephoros e di Zeus Soter (salvatore), era un edificio molto ambizioso che per dimensione e complessità del programma supera gli altri altari, il fregio figurato era lungo 120 m, in realtà si trattava del recinto che conteneva l’altare, si saliva la gradinata e si attraversava il portico frontale per poi giungere all’interno di una terrazza scoperta al cui centro c’era l’altare vero e proprio per i sacrifici, quindi era come protetto da un recinto colonnato; l’altare era circondato da un peristilio su quattro lati composto da colonne ioniche doppie, cioè che si affacciava sull’interno e l’esterno, che poggiano su plinti rettangolari piuttosto alti, il porticato esterno era sempre ionico, con le colonne molto distanziate dalla parete di fondo. Aveva un’importante decorazione figurata, la datazione canonica dell'altare vede due fasi di realizzazione, la prima con scena di gigantomachia tra 180-65, siamo in piena età medio-ellenistica, l’altare è l'ultima grande espressione del barocco pergameno, mentre il fregio minore sulla parete di fondo del cortile che contiene l’altare, è più tardo e sarà realizzato tra il 164-159 a.C., il maestro dell’altare di pergamo è anonimo, sono state fatte molte proposte tra cui Ermogene (ma è troppo tardo per lui). Il fregio maggiore di 120 m è composto da lastre singole alte ciascuna 2.30 metri e larghe circa 1 m, per realizzarle furono impiegati probabilmente 25 scultori diversi, che rifinirono in situ le lastre arrivate già sbozzate dalla cava di marmo asiatico, secondo alcuni sono gli stessi scultori che operarono al fregio minore; sono state trovate 16 firme sul grande fregio, di cui 3 con etnico di Pergamo e una di un ateniese, quindi le maestranze non erano solo locali, c’era stato un ideatore generale del fregio e poi una serie di esecutori che firmavano. I giganti sono figli di Gea (terra) e Urano (cielo) e sfidarono gli dei olimpici i quali per la lotta assoldano Eracle che era il padre dell’eroe Telefo, fondatore di Pergamo e protagonista del fregio minore, questa versione scelta della gigantomachia potrebbe derivare dal fondatore e direttore della biblioteca di Pergamo, Cratete, era forse l’ideatore del progetto; c’è all’interno del fregio una precisa articolazione genealogica degli dei molto erudita, che include divinità oscure e personificazioni riconoscibili dai nomi iscritti, a est erano presenti gli dei dell’Olimpo, a nord quelli della notte, a sud quelli del giorno, a ovest quelli del mare, c’è la possibilità che il tema della lotta degli dei contro i giganti allude alla lotte tra i dinasti di Pergamo e i Galati, cioè della civiltà contro la barbarie. Per quanto riguarda lo stile, siamo nel pieno stile barocco pergameno che vede un'esasperazione del pathos di matrice skopaclea, le soluzioni prescelte sono sempre molto drammatiche e intense e c’è un trattamento dell’anatomia, dei corpi e delle posizioni che è anticlassico, va oltre i limiti della ponderazione del classico, anche se in alcuni dettagli le iconografie delle singole divinità rivelano una conoscenza accurata delle iconografie dell’età classica, per esempio nella scena dove Atena atterra un gigante (essi sono rappresentati alati con talvolta le gambe anguiformi a forma di rettile o anguilla) e si getta lateralmente con

un egida trasversale, questa iconografia la troviamo nel frontone del Partenone, qui con panneggio più drammatico e una posa più esasperata, soprattutto quella del gigante che volge la testa all’indietro, anche l’anatomia del nudo è molto dettagliata, i corpi sono massicci, c’è un’attenzione per dettagli anche più minuti che tendono in questa lotta tra caos e ordine a presentare Pergamo come la nuova Atene, che difende l’ellenismo contro la barbarie. Un esempio molto indicativo del barocco è nella testa del gigante dove le intuizioni di Skopas vengono esasperate: testa rovesciata, bocca aperta (si vedono anche i denti), fronte corrugata e occhi molto infossati, forte chiaroscuro delle ciocche dei capelli. Completamente diversa è l’impostazione del fregio interno dedicato a Telefo, dove troviamo una vera e propria intenzione narrativa in cui gli eventi della vita di Telefo sono posti in maniera cronologica, per la prima volta nell’arte greca appaiono elementi di paesaggio, di pari passo con l’interesse naturalistico di matrice aristotelica che si sviluppò nelle scuole filosofiche nell’ellenismo. Telefo era figlio di Ercole e Auge, ella fu dannata dalla profezia di un oracolo che predisse che il figlio avrebbe ucciso i suoi familiari, quindi il bambino venne abbandonato su un monte e la madre su una barchetta, a sinistra si vede la barchetta che viene allestita con la figura in lutto di Auge velata che sta per essere abbandonata sul fiume, questi eventi avvengono in Arcadia, i due si rincontreranno a Pergamo, fondata da Telefo, dove lui diventa re e lei fonda il culto di Atena, Telefo combatté nella prima campagna contro Troia, venne ricevuto ad Argo da Agamennone e accompagnerà i greci in una seconda campagna troiana; non è del tutto conservato, ci sono delle scene mancanti, ma la vicenda è nota quindi si riesce a capire lo svolgimento, si capisce che c’è la novità dello stile narrativo, di voler raccontare una storia dall’inizio alla fine, poi c’è un diverso approccio stilistico poiché manca il patetismo, il rilievo è meno alto e più delicato e c’è un trattamento delicato e superficiale delle figure che potrebbe derivare da un influsso di un modello dipinto, infatti compare la natura, è quindi la fase successiva a quella barocca, è un monumento più libero e creativo rispetto al grande fregio della gigantomachia. Si discute se lo stesso Laocoonte, che è una copia, appartenga come originale a una scuola pergamena o rodia, certamente di Rodi erano i copisti che realizzarono questa famosa copia conservata ai musei vaticani, secondo Plinio fu realizzato da Agesandros, Polydoros, Athenodoros di Rodi. Il Laocoonte (la copia) fu rinvenuto nel 1506 con il papa Giulio II, Michelangelo e Giuliano da Sangallo che lo ammiravano molto, fu ritrovato non lontano dalla residenza privata di Nerone a cui apparteneva probabilmente, Plinio parla del sacrificio di Laocoonte che era un indovino troiano che avendo visto le navi dei greci avvicinarsi alla città cercò di avvisare i suoi concittadini ma Poseidone che era alleato dei greci mandò dei serpenti e lo fece uccidere insieme ai suoi figli in modo che egli non rivelasse l’inganno del cavallo di Troia, è un mito che compare anche nel II libro dell’Eneide, alcuni datano l'originale intorno al 100 a.C. ma molte altre datazioni sono state proposte. A Rodi è stata trovata un’iscrizione che menzione uno scultore Atanodoro attivo intorno al 42 a.C. quindi Plinio potrebbe aver frainteso il nome del copista con quello dell’originale, si potrebbe pensare che in questa data quest’opera fosse stata copiata. Il Laocoonte ha un'enorme influenza sulla scultura e sull’arte greca in

generale, la questione è molto connessa a un altro rinvenimento molto discusso, a Sperlonga, in questa grotta parte della villa di Tiberio. I romani amavano le ville marittime, spesso dotate di peschiere e di grotte allestite a triclinio ninfeo, quindi dove si banchettava in presenza dell’acqua, la villa di Tiberio a Sperlonga è una delle più celebri, fu rinvenuta negli anni ‘50 insieme alle sculture che ornavano la grotta, ci sono delle piattaforme lungo i margini della grotta stessa lungo i quali erano posti i letti tricliniari, sia il fondo della grotta che il laghetto al centro di acqua salata erano ornati con gruppi scultorei, le fonti ricordano che da questa grotta si staccò un masso e che Seiano salvò la vita di Tiberio; Sperlonga è il nome moderno di questo luogo che in antico era noto come Spelunca (grotta), all’interno della grotta erano presenti quattro gruppi scultorei, come quello di Menelao e Patroclo, dall’altra parte vediamo Diomede e Ulisse che si contendono il palladio di Troia, cioè la piccola statuetta di Atena, sempre omerico è il gruppo più noto, cioè quello sul fondo, che rappresenta l’accecamento di Polifemo, mentre il centro della vasca era ornato dalla rappresentazione dell’attacco di Scilla alla nave di Ulisse e dei suoi compagni che conosciamo anche da altre repliche. Scilla in antichità era rappresentata come una donna con la parte alta femminile e il corpo canino, si vede il timoniere che disperatamente cerca di difendersi e al centro Scilla che attacca gli altri compagni, il gruppo è firmato da Athenodoros e Agesandros, quindi di due dei tre copisti che secondo Plinio avevano realizzato il Laocoonte, si discute quindi se si tratti degli stessi personaggi oppure se si tratti della generazione successiva della stessa famiglia di scultori, è quindi molto probabile che questa copia non sia stata commissionata da Tiberio ma che sia stata comprata da lui, una forma di collezionismo. C’è anche il gruppo di Ulisse che acceca Polifemo di iconografia canonica, Ulisse è riconoscibile dal pileo (copricapo), anche il suo volto non è troppo dissimile da quello di Laocoonte. Un’altra delle importante scuole egiziane è quella di Alessandria che era stata fondata da Alessandro nel 332 a.C., la città si trovava su un luogo ideale per posizione strategica ed era sede di una dinastia greco-macedone ma di popolazione indigena, quindi c’era una prevalenza della cultura greca su quella egizia, ma poi quest’ultima diventerà sempre visibile e importante; ad Alessandria, Alessandro Magno, adottò un’urbanistica di tipo greco, quindi fondò una città ortogonale. In questa città non vi era marmo, tutto veniva importato ed era molto costoso, quindi in Egitto molte opere venivano poi completate con stucco dipinto di bianco per imitare il marmo; nonostante l’assenza di marmo non mancano ad Alessandria esempi di sculture che potremmo definire colta, soprattutto nell’ambito dell’arte di corte. Tolomeo eredita questo regno e si fa rappresentare sulle monete in un’iconografia che è quella ereditata dal ritratto alessandrino di Lisippo con capelli scomposti, espressione vigorosa, gli occhi enormi e il diadema che è l’insegna regale. Confrontando i ritratti dei dinasti sulle monete con quelli trovati a tutto tondo siamo in grado di identificarli, ad esempio il ritratto oggi al museo di Copenaghen, sulla base del confronto con l’iconografia monetaria, è Tolomeo I, lo stesso discorso vale anche per altri dinasti, un altro esempio è Cleopatra.

Ad Alessandria sembra essere nato uno stile grottesco e veristico, in questo caso si tratta di una nuova corrente artistica che predilige figure caricaturali che sono tratti da soggetti di arte popolare che possono ricondurre in certi casi a un gusto autoctono e indigeno che però vengono scelti anche da botteghe di corte e di grande committenza, in materiali pregiati come bronzo e marmo, passando quindi dall’artigianato all’arte colta. Il verismo non è il realismo, ma è il suo contrario in qualche modo, è l’esasperazione dell’abnorme, del mostruoso, della malattia, della sofferenza, è come una ricerca dell’orrido che però qui diventa un gioco intellettualistico; già nel V secolo un pittore contemporaneo di Polignoto è noto dalle fonti per aver dipinto il mondo più brutto di quanto non fosse realmente, questo era un caso isolato, successivamente a partire da Alessandria questa modalità diventa più diffusa. I soggetti sono: nanetti, vecchie sgangherate, danzatori osceni, figure di scheletri, si voleva suscitare l’ilarità più che la compassione dell’osservatore....


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