Bauman - Riassunto intero libro - Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone PDF

Title Bauman - Riassunto intero libro - Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone
Author samuela lizzi
Course Lingue e letterature straniere e culture moderne
Institution Università degli Studi di Torino
Pages 16
File Size 710.5 KB
File Type PDF
Total Downloads 63
Total Views 141

Summary

Riassunto intero libro...


Description

RIASSUNTO: DENTRO LA GLOBALIZZAZIONE – Z. BAUMAN 1 CAPITOLO “TEMPO E CLASSE” Nell’introduzione al suo testo Dentro la globalizzazione, Z. Bauman osserva che la globalizzazione come fenomeno è sulla bocca di tutti, è un mito, un’idea fascinosa, una sorta di chiave con la quale si vogliono aprire i misteri del presente e del futuro; pronunciarla è diventato di gran moda. Per alcuni, “globalizzazione” vuol dire tutto ciò che siamo costretti a fare per ottenere la felicità; per altri, la globalizzazione è la causa stessa della nostra infelicità. Per tutti, comunque, la globalizzazione significa l’ineluttabile destino del mondo, un processo irreversibile, e che, inoltre ci coinvolge tutti alla stessa misura e allo stesso modo. Nel testo prova, dunque, a dimostrare che il fenomeno della globalizzazione presenta molti più aspetti di quanto comunemente non si pensi; ne mette in luce le varie radici e le varie conseguenze di ordine sociale, per tentare così di diradare parte della nebbia che avvolge un termine che pretende di fare chiarezza sulla condizione umana dei nostri giorni. L’ultimo quarto del secolo scorso ha rappresentato, secondo l’autore, il periodo della” grande guerra di indipendenza dallo spazio”, ci si è liberati dai legami territoriali e dai vincoli imposti dalla localizzazione: con questa guerra ideale di indipendenza, la mobilità diventa il fattore di stratificazione sociale maggiore, nel senso che, come si metterà in luce nel testo, il fatto di stare ad uno strato sociale più alto o più basso dipende dalla libertà di movimento che si ha. La mobilità dei detentori del cosiddetto capitale fluttuante (ovvero il capitale privo di vincoli spaziali) è proprio emblematica di questo processo, infatti viene meno ogni responsabilità, dovere o obbligo verso i dipendenti, verso i giovani che si affacciano al mondo del lavoro e la comunità in generale. La nuova libertà del capitale ricorda quella del proprietario terriero dell’epoca moderna, che era odiato per il suo disprezzo nei confronti delle popolazioni che lo nutrivano, ma a differenza della terra posseduta che non poteva essere spostata o scambiata, oggi il capitale può essere spostato. Sono riconoscibili oggi libertà dalle preoccupazioni e responsabilità che i vecchi proprietari terrieri non hanno mai avuto, perché ovviamente una proprietà agricola era legata al territorio in cui si situava e non poteva essere oggetto di scambio. Se guardiamo al passato possiamo chiederci in che misura i fattori geofisici, come i confini naturali e artificiali, non fossero altro che degli artifici per separare il dentro dal fuori, definiti più dai limiti nella velocità di spostamento piuttosto che da una reale separazione o definizione dei territori. Alcuni autori hanno parlato, infatti, di fine della geografia, perché le distanze non hanno più importanza e l’idea di confine geografico è difficile da mantenere nel nostro attuale mondo “reale”. In passato i continenti e gli stati erano in realtà divisi in funzione delle distanze un tempo estremamente concrete in virtù della natura primitiva dei trasporti e della difficoltà nel viaggiare.

Infatti, la distanza non è un fattore obiettivo, ma un prodotto della società, poiché una distanza varia in funzione della velocità con cui la si può superare, per cui tutte le definizioni territoriali come l’idea dei confini degli stati) ci appaiono come delle costruzioni della società, come semplici effetti secondari di quella velocità. Con il mutamento radicale del tempo necessario a spostarsi, ma anche a comunicare (che si approssima allo zero, ovvero all’istante) vengono meno le tradizionali opposizioni concettuali “dentro/fuori”, “qui/là”, vicino/lontano”, per cui tutto diventa noto , ovvero “vicino”e poco rimane ignoto e imprevedibile ovvero “molto lontano”. La storia moderna è stata segnata dal progresso costante dei mezzi di trasporto e sarebbe proprio questo progresso velocissimo e costante dei mezzi di trasporto ad aver determinato la crisi di tutte quelle totalità sociali e culturali che si erano radicate in un luogo, un processo ben rappresentato da Tonnies nella definizione della modernità come passaggio dalla Gemeinschaft (comunità) alla Gesellschaft (società). Tra i fattori tecnici che hanno determinato la mobilità, non possiamo esimerci dal citare quello che forse più degli atri ha inciso in questa direzione, ovvero l’evoluzione del trasferimento delle informazioni. L’avvento del World Wide Web, la nuova rete mondiale di computer, ha messo fine, per quanto riguarda l’informazione, alla distanza da coprire e al concetto stesso di viaggio e fa si che l’informazione sia disponibile all’istante in tutto il globo. A tal proposito possiamo citare Benedict che scriveva che la flessibilità sociale dipende dalla capacità di dimenticare e dalle comunicazioni a basso costo. Si tratta di due aspetti strettamente legati secondo Bauman, poiché saper comunicare a basso costo significa che ci si deve liberare in fretta da un eccesso di informazioni ricevute in modo immediato, anche perché le nostre menti, che sono rimaste in gran parte le stesse del Paleolitico, non sono in grado di ritenere tutte le informazioni che il progresso tecnologico ci ha reso in grado di ottenere in modo cosi rapido. Piuttosto che rendere omogenea la condizione umana, questo annullamento delle distanze spazio-temporali, polarizza ovvero provoca la stratificazione sociale: per alcuni questo azzeramento di spazio e tempo promette libertà, per altriun’impossibilità di appropriarsi della località. Questo fenomeno fa si che per alcuni si tratti di effettiva libertà e per altri sia una condanna ad essere relegati nell’insignificanza, perché rimangono legati alle loro località restando di fatto esclusi. Margaret Whertaim opera un’analogia tra il cyberspazio e la concezione cristiana del paradiso sostenendo che, così come il paradiso è concepito come il luogo dove ci si libera della corporeità, così nel cyberspazio, dove la fisicità non conta, ci si libera dalla corporeità ma anche dalla concretezza dell’incontro con l’altro. Non ha nemmeno importanza che i poteri si impongano con la forza fisica, ma hanno bisogno di esser isolati dalle località che oggi non hanno più valore e sono ridotte a mero terreno fisico, quindi c’è una sicurezza nell’isolamento, nel non vicinato nell’essere immuni da interferenze locali

Nasce anche l’esigenza della sicurezza dell’isolamento, ovvero una condizione di non vicinato . Si parla di “spazi di interdizione” che hanno come scopo quello di escludere chiunque non abbia il permesso di ingresso al fine di garantire la sicurezza, ma che in realtà plasmano la extraterritorialità sociale della nuova élite sovralocale ( che vuol essere fuori dalla località) isolandola materialmente dalla località in cui si trova. Un fenomeno parallelo a questo è il rapido restringimento per dimensioni e numero, degli spazi in cui coloro che pur risiedendo in zone diverse potevano incontrarsi faccia a faccia, avere approcci informali, palare, litigare ecc, facendo di problemi di carattere generale delle questioni personali. Di queste “agorà pubbliche e private”, osserva l’autore, ne sono rimaste pochissime e sono sempre più selettive, perché i tradizionali spazi pubblici vengono sempre più soppiantati da spazi di aggregazione del pubblico prodotti da privati il cui accesso dipende dalla possibilità di spesa. Le èlites hanno prescelto l’isolamento e , per ottenerlo pagano volentieri, mentre il resto della popolazione si trova tagliata fuori e costretta a pagare l’alto prezzo culturale psicologico e politico del nuovo isolamento in cui è caduta. Se oggi la dimensione pubblica è venuta meno, accade che coloro che vengono tagliati fuori cercano di rendersi visibili anche con atti criminosi. Riprendendo la teoria delle sequenze schismogenetiche di Bateson (cioè differenziazione) : secondo questa teoria, visto che c’è questa contrapposizione tra élite e coloro che sono tenuti fuori da tutti i privilegi dell’élite stessa , possono verificarsi due cose: può verificarsi il caso della “differenziazione simmetrica”, ovvero che a dei comportamenti di un GRUPPO A corrispondano i medesimi comportamenti di un altro GRUPPO B, per esempio al comportamento X del gruppo A, corrisponde il comportamento X del GRUPPO B, e in questo caso si accrescono vicendevolmente, fino a giungere, eventualmente, al collasso del sistema (ad es. l’élite provoca e il gruppo inferiore provoca a sua volta e questo porta ad un inasprirsi della provocazione); l’alternativa è la “differenziazione complementare” cioè ad un comportamento X del GRUPPO A corrisponde un comportamento Y (diverso quindi) del GRUPPO B ( ad esempio se l’élite sfida, mentre il gruppo inferiore risponde non con la stessa moneta, ma con un atteggiamento remissivo, probabilmente questo comportamento provocherà un'altra reazione e altre ancora) questo porta comunque ad un inasprimento della dinamica. Quindi in entrambi i casi di differenziazione si viene a creare un crollo del sistema. Che si imbocchi l’una o l’altra strada, gli effetti complessivi sono gli stessi, ma per le parti in competizione, la differenza tra i due comportamenti significa l’alternativa tra la

dignità e l’umiliazione. Bauman osserva che la diversificazione simmetrica sarà sempre preferita a quella complementare, perché quest’ultima si configura come la modalità degli sconfitti o di chi si è rassegnato alla sconfitta. Se questa nuova extraterritorialità dell’élite è vissuta come libertà inebriante, la territorialità, il fatto di essere legati al luogo di appartenenza di coloro che non hanno possibilità di movimento, non fa pensare a una base sicura, ma viene vissuta come una condizione umiliante (una prigione). Sono venuti meno i luoghi pubblici di incontro, in cui si costruivano le opinioni, ma anche le norme. Esempio del pozzo: luogo dove si andavano a lavare gli indumenti e ci si incontrava, si discuteva e si arrivava a definire anche ciò che era giusto e ciò che era sbagliato (oggi non si verifica più una creazione di norme in modo orizzontale). quindi privare un territorio di spazi pubblici, offre scarse possibilità che le norme vengano negoziate e discusse e si ritorna ad un concetto di giustizia verticale (le norme sono imposte dall’alto) e soprattutto non abbiamo nessun contatto con l’alto, ad esempio una forza di governo che impone una norma, non è accessibile per un confronto su di essa, contrariamento a ciò che accadeva nelle comunità quando ci si incontrava negli spazi pubblici. 2 CAPITOLO “GUERRE SPAZIALI: UNA CRONACA” La distanza che oggi definiamo in termini oggettivi, prendendo come riferimento la lunghezza dell’equatore, prima era basata sull’uomo, cioè si basava sul corpo umano. Storicamente gli esseri umani hanno misurato il mondo con il proprio corpo (in piedi, manciate, braccia) e in relazione alle proprie attività, dividendo ad esempio un campo in giornate, cioè negli spazi che riesce ad arare un uomo lavorando dall’alba al tramonto. Definiamo queste misure antropomorfiche e prassiomorfiche, perchè relative al corpo e alle attività dell’uomo. Come possiamo immaginare, era molto complesso imporre delle tasse non esistendo misure oggettive e condivise, ma il problema della misurazione oggettiva era anche legato all’idea di cosa si dovesse misurare, perché, ad esempio, se si doveva misurare lo spazio, era necessario che ci fosse già l’idea di distanza tra ciò che è vicino e che è lontano. Stabilendo un parallelismo tra le categorie di spazio e le classificazioni della parentela, possiamo ricordare il contributo di Levi Strauss che suggeriva che il divieto dell’incesto, che imponeva distinzioni artificiali tra soggetti naturalmente indifferenziati, abbia rappresentato il primo atto culturale connesso proprio all’idea dello stabilire una distanza culturalmente determinante. Il compito affrontato dallo stato moderno nell’unificare lo spazio sottoposto a pratiche di giudizio delle popolazioni che non potevano essere controllate era simile poiché consisteva nel liberare le categorie e le distinzioni spaziali da quelle pratiche umane che i poteri statuali non controllavano. Finché le misure restavano antropomorfiche e prassiomorfiche , quindi relative, funzionavano da scudo per le popolazioni, poichè nessun’ altra comunità poteva imporre qualcosa. Se qualcuno voleva imporre qualcosa dall’esterno lo faceva con la forza, (definisce lo stato come uno “stato dentista”, cioè i governanti dovevano

estrarre con la forza quanto desideravano ottenere) e quindi la leggibilità dello spazio, la sua trasparenza con il tempo è diventato proprio un obiettivo dello stato moderno che si è proposto di conquistare la sovranità dello spazio attraverso la trasparenza e la leggibilità. L’obiettivo era quello di subordinare lo spazio sociale ad un’unica mappa che fosse quella condivisa da tutti e da cui sarebbe dovuto emergere uno stato che si potesse leggere perfettamente da tutti, qualcosa che non fosse più relativo. L’invenzione della prospettiva pittorica, attuata nel XV secolo da Brunelleschi e Alberti, fu un passo decisivo e un vero punto di svolta nel lungo cammino verso una concezione moderna dello spazio. L’idea stessa dava per certo il ruolo decisivo che la percezione umana gioca nell’organizzazione dello spazio: l’occhio di chi guardava era il punto di origine di ogni prospettiva e rimaneva l’unico punto di riferimento per la dislocazione degli oggetti e dello spazio. Non era più importante la qualità dell’osservatore, ma il punto stesso dell’osservazione che doveva essere reso misurabile, quindi riconosceva che le mappe spaziali sono collegate alla soggettività, ma in qualche modo neutralizzava l’impatto di questa soggettività e relatività. Il focus si spostava dalla domanda “chi osserva?”, alla domanda “ da che punto nello spazio si comincia ad osservare?” In questo modo qualsiasi osservatore che si piazzasse in quel determinato punto, avrebbe visto esattamente allo stesso modo la relazione spaziale tra gli oggetti. Fu subito evidente che esistono molteplici visuali e con il tempo si è cercato di capire quale fosse la visuale migliore, dove per migliore si intendeva oggettivo, obiettivo, non legato alle persone, non soggettivo, qualcosa che potesse superare la relatività. Non si doveva giungere all’immagine del mondo universalmente condivisa, ma ad una gerarchia di immagini. Sul piano teorico, oggettivo significava superiore, migliore, mentre sul piano pratico oggettivo voleva dire migliore, ovvero dei potenti. La società moderna ha fatto della trasparenza dello spazio un suo obiettivo, perché alla fine in ogni collettività strutturata la posizione dominante è quella di coloro che rendono le loro azioni, il proprio agire e la propria vita al riparo dall’ imprevedibilità. La manipolazione dell’incertezza è l’essenza e il fattore primario nella lotta per avere potere e influenza all’interno di ogni totalità strutturata –in primo luogo attraverso la forma più radicale, la moderna organizzazione burocratica. Il modello panottico del moderno elaborato da Michel Foucault si basa su un assunto assai simile. Il fattore decisivo nel potere che i supervisori, nascosti nella torre centrale del Panopticon, esercitano sulle persone ospitate nelle ali della costruzione a stella risiede in una combinazione: gli ospiti sono del tutto e costantemente visibili, dove invisibili del tutto e sempre sono i supervisori. Era uno spazio artificiale, costruito per marcare questa asimmetria tra coloro che osservavano e coloro che erano osservati. Il fine era quello di manipolare e riorganizzare la trasparenza dello spazio come relazione sociale, ossia come rapporto di potere.

Il primo compito strategico della moderna guerra per lo spazio fu quindi quello di disegnare lo spazio su mappe che l’amministrazione statale potesse leggere e interpretare facilmente, privando però i locali dei loro mezzi di orientamento e confondendoli. Si cercava di arrivare ad una tecnologia più potente che permettesse di controllare, quindi si voleva passare dalla semplice progettazione su carta alla realizzazione effettiva, dare forma, spazio fisico a quanto era stato disegnato. Mentre prima la mappa rifletteva la realtà, in epoca moderna si iniziano a fare progetti su carta che poi la realtà dovrebbe riflettere; dovrebbe verificarsi un capovolgimento in cui lo spazio viene rimodellato in funzione di quanto è stato progettato su carta ed è per questo che il moderno concetto di spazio urbano risponde ai criteri di forma e regolarità dove tutte le funzioni dello spazio devono essere subordinate all’architettura. Le moderne utopie della città perfetta prevedono una pianificazione ex-ante dello spazio in cui tutte le strade devono essere uguali, i quartieri regolari e le costruzioni identiche; così ogni gruppo della popolazione occuperà uno spazio preciso e i residenti che per qualche motivo non raggiungevano gli standard della normalità sarebbero stati confinati in aree ad una certa distanza (compresi gli ammalati e gli anziani). Ma la rappresentazione della città perfetta descritta dagli utopisti era diversa da tutte le città in cui si trovavano realmente a vivere. Essi volevano ricostruire distruggendo semplicemente ciò che esisteva: Le Corbusier, si pone su questa linea accusando le città di non essere equilibrate, e dicendo che occorreva radere al suolo tutte le città e costruirle ex-novo, la sua idea era la Ville Radieuse (anche titolo di un’opera pubblicata nel 1933), cioè la città radiosa su cui si doveva basare la costruzione delle future città, riprendendo come modello Parigi, Buenos Aires, Rio de Janiero, che, secondo lui, erano capitali dove i vari spazi erano distinti in base alle funzioni (ad esempio la funzione dell’acquisto, la funzione della vita domestica, la funzione del divertimento erano attribuite a luoghi diversi della città). Ogni spazio doveva servire ad una sola funzione, l’architettura di Le Corbusier era un’architettura razionale: la realizzazione degli spazi si doveva basare su un’organizzazione trasparente degli stessi in funzione dei bisogni umani. La città radiosa è rimasta un mero esercizio cartaceo, ma un tentativo di riprodurla è stato fatto da Oscar Neiener, ovvero il costruttore di Brasilia, una città costruita dal nulla nel deserto. Brasilia fu progettata secondo quell’idea artificiosa di armonia, ma presto questa si rivelò come una prigione: con il termine “brasilite” si indicavano le conseguenze del vivere in uno spazio perfettamente strutturato in modo razionale, ma non funzionale al vivere comune, perché erano assenti i luoghi pubblici. Le conseguenze erano la mancanza di folle o assembramenti , gli angoli delle strade vuoti, l’anonimato dei luoghi e la mancanza di stimoli creativi negli ambienti fermi in una fissità funzionale ma asettica. Richard Sennett è stato il primo analista della vita urbana contemporanea e il primo porre l’allarme sulla caduta dell’uomo pubblico sostenendo come questo avesse portato alla distruzione dei legami umani. Secondi Sennet i tentativi di omogeneizzare lo spazio urbano, di renderlo logico

e funzionale si sono tradotti in una disintegrazione delle reti protettive che i legami umani determinano naturalmente. In un ambiente cosi concepito gli esseri umani devono affrontare un problema di identità quasi insolubile in quanto privati dell’opportunità di dare senso alle cose e delle conoscenze necessarie a risolvere i problemi. Per lui il segreto di una buona città sta nell’offrire ai propri abitanti la possibilità di assumersi la responsabilità dei propri atti anche se non c’è un ordine prestabilito. Invece un ambiente liberato da ogni ambivalenza non farebbe certamente prosperare l’etica: solo chi si confronta con l’incertezza e l’ambivalenza si assume la responsabilità del proprio agire e diventa una persona moralmente matura. Le persone non possono essere considerate buone solo quando aderiscono a ciò che viene loro imposto. Sennett analizza il caso delle città americane costruite secondo delle regole quasi universali, ovvero quelle del sospetto verso l’altro, dell’intolleranza alla diversità, l’ostilità per gli estranei e la pretesa di separarsene e di bandirli, la paranoia. Bauman osserva che la città, all’origine costruita circondata da mura per ragioni di sicurezza, oggi viene associata più al pericolo che alla sicurezza, e soprat...


Similar Free PDFs