Che cos\'è un\'organizzazione- Lavinia Bifulco Riassunto PDF

Title Che cos\'è un\'organizzazione- Lavinia Bifulco Riassunto
Course Organizzazioni e Psicologia
Institution Università degli Studi di Milano-Bicocca
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Che cos'è un'organizzazione di Lavinia Bifulco- Riassunto del libro per l'esame di Organizzazioni e psicologia in Università Bicocca di Milano. Utile per lo studio...


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Che cos’è un’organizzazione? 1. MODELLI SECOLARI Da Weber in avanti l’organizzazione tende a indicare uno strumento razionale per conseguire obiettivi prestabiliti. La concezione razionale/strumentale dell’organizzazione non solo è alla base dei modelli teorici classici, ma è anche radicata nei nostri modi di fare e pensare l’organizzazione. Nella prima tappa del percorso, rintracceremo nella teoria organizzativa le versioni principali di questa concezione. 1.1 La burocrazia Quando parliamo di burocrazia, pensiamo agli uffici e ai servizi pubblici, quindi tendiamo a usare il termine burocrazia come sinonimo di un’organizzazione poco capace di rispondere alle esigenze che fronteggia. In realtà l’equivalenza tra la burocrazia e le organizzazioni pubbliche rischia di portarci fuori strada. Per fare chiarezza su questo punto bisogna approfondire il modello della burocrazia elaborato da Weber. Weber su questo oggetto di analisi costruisce un idealtipo, cioè uno schema concettuale che accentua uno o più elementi della realtà empirica e li collega fra loro. La formulazione di un idealtipo avviene tramite l’astrazione di alcuni aspetti dalla molteplicità dei casi concreti e la loro combinazione in un quadro unitario. L’idealtipo quindi non esaurisce la varietà dei fenomeni empirici ma è uno strumento per compararli fra loro. Nel suo idealtipo, la burocrazia ha le seguenti caratteristiche tra loro collegate: 1. Conformità alle regole: un corpo di regole stabilisce i doveri dell’ufficio 2. La divisione specializzata delle competenze: a ciascun addetto è assegnata una posizione 3. La gerarchia di ufficio: il disegno è quello della piramide e i diversi livelli al suo interno sono collegati da linee verticali che stabiliscono chi impartisce gli ordini e chi le esegue 4. Gli addetti: non sono proprietari né del posto di lavoro né dei mezzi che usano, sono sottoposti a prove che ne verificano la preparazione e sono singolarmente ricompensati con uno stipendio Queste caratteristiche costituiscono l’articolazione di due principi del modello burocratico che si compenetrano: 1. Impersonalità: fornire prestazioni standardizzate e uniformi (prestabilite e uguali per tutti). Assicura un trattamento uguale a tutti e poggia sull’elaborazione di regole espresse, formalizzate e astratte che prescindono dalla particolarità dei casi 2. Competenza: conoscenza specializzata (deriva dall’impersonalità) che consiste nel saper applicare le regole trattando la molteplicità dei problemi. Questa competenza è indifferente alla particolarità dei casi La burocrazia è quindi il modello che corrisponde di più ai requisiti alla base del sistema amministrativo tipico della società moderna. Innanzitutto, essa incarna il tipo razional-legale del potere che fonda lo stato moderno (leggi come fondamento della legittimità delle forme di potere) e la burocrazia è la forma più adeguata di altri modelli alle esigenze dell’amministrazione di massa, che interviene su grandi quantità di beni e di persone (calcolabilità e prevedibilità). Se ci spostiamo sul piano dell’esperienza concreta, cogliamo subito un’ambivalenza: quando ci rivolgiamo ad un ufficio pubblico le regole cui gli impiegati devono attenersi ci mettono al riparo dall’incompetenza, ma capita anche che un addetto invochi il regolamento per giustificare una complicazione a noi incomprensibile.

I tratti della burocrazia non riguardano solo il sistema amministrativo pubblico perché anche le imprese private possono essere organizzate così, quindi: 1. La burocrazia riguarda organizzazioni eterogenee (sia pubbliche che private) 2. Burocrazia contraddistinta da una forma di razionalità 3. Questa stessa razionalità ha degli aspetti problematici 1.2 L’organizzazione scientifica del lavoro Facciamo ora un passo indietro e parliamo dell’organizzazione scientifica del lavoro di Taylor. Innanzitutto, partiamo dalla standardizzazione. Secondo Taylor, bisogna scomporre il processo di lavoro nelle sue operazioni più elementari e misurare i tempi e i metodi che consentono di svolgere correttamente ciascuna operazione. Da qui si passa al fissare le procedure, che indicano come svolgere il lavoro in modo efficiente. Infine, ogni operaio deve essere assegnato a una specifica operazione, deve essere addestrato a eseguire le procedure e deve essere controllato nel corso del suo lavoro. La catena di montaggio è una realizzazione di questo principio. Il secondo principio è la gerarchia. La progettazione del lavoro è nettamente separata dalla sua esecuzione: chi lavora sulla linea produttiva non deve pensare, ma solo eseguire. Il terzo principio è la one best one way, per cui esiste una sola soluzione ottimale e non c’è spazio per l’imprevedibilità né per l’arbitrio dei singoli. Ci sono degli elementi di convergenza tra l’organizzazione scientifica di Taylor e la burocrazia weberiana: 1. Sia il sistema gerarchico weberiano sia la separazione tra progettazione ed esecuzione taylorista si concretizzano in una struttura piramidale 2. Entrambi sono permeate sulla standardizzazione: in un caso applicazione di procedure di regole astratte e nell’altro applicazione di analisi scientifica 3. Affini gli aspetti relativi alla frammentazione del processo di lavoro 4. Convergenza del principio di razionalità (prevedibilità e calcolabilità), cioè al grado in cui le persone si attengono a regole e prescrizioni Quindi il modello di burocrazia e l’organizzazione scientifica del lavoro sono due varianti della stessa concezione sull’organizzazione. 1.3 Sistemi, funzioni e ruoli Cambiamo ora oggetto e concentriamoci sull’approccio funzionale, che non si occupa di un tipo di organizzazione (es. scientific management), ma dell’organizzazione in generale. Questo approccio è stato sviluppato negli anni Cinquanta negli Stati Uniti ed è legato ai lavori sociologici di Parsons e Merton. Non troviamo un unico modello di organizzazione, ma un repertorio di strumenti e concetti che è difficile mettere in ordine, quindi proviamo a semplificare partendo dal concetto chiave attorno al quale raccogliamo questi modelli: il sistema organizzativo. Il sistema organizzativo è definito dai processi della differenziazione e dell’integrazione. Ogni elemento trova posto nell’organizzazione grazie alle funzioni che esso svolge, ma allo stesso tempo l’organizzazione funziona grazie all’integrazione, cioè a rapporti coordinati e coerenti tra gli elementi. Differenziazione e integrazione hanno a che fare con il problema di chi fa che cosa e i sistemi organizzativi affrontano questo problema assegnando a ciascun addetto un ruolo, cioè un compito che definisce in modo specifico le aspettative che l’addetto deve soddisfare sulla base della posizione che riveste. Così i ruoli rivestono lo stesso significato che le regole formali e le procedure tecniche, insieme alle gerarchie, hanno per la burocrazia e per il taylorismo.

Un altro concetto importante è la struttura dell’organizzazione, che è l’intelaiatura normativa che regola le relazioni di integrazione fra le parti dell’organizzazione. Due altri concetti importanti sono quello di ambiente e di adattamento. Il sistema organizzativo è definito da confini che lo distinguono dal proprio ambiente (differenze tra dentro e fuori). I processi di adattamento permettono all’organizzazione di reagire alle sollecitazioni del proprio ambiente per trarne le risorse di cui ha bisogno per funzionare. Due considerazioni: 1. Differenziazione, integrazione e adattamento sono requisiti decisivi per il funzionamento delle organizzazioni 2. Questi sono processi, che quindi possono concretizzarsi con forme ed esiti differenti Soprattutto nei suoi sviluppi più recenti, i modelli che stiamo trattando si sono modificati grazie all’apporto di discipline differenti che sottolineano la natura dinamica delle organizzazioni. Ma qui sottolineeremo solo gli aspetti che in questi modelli danno forza alle organizzazioni come sistemi meccanici: 1. Parsons. Secondo Parsons ogni organizzazione è orientata a determinati fini stabiliti e questi fini corrispondono alle funzioni specializzate che l’organizzazione svolge nell’ambito della società. Le prestazioni dell’organizzazione si misurano sulla capacità di realizzare questi fini (es. organizzazioni economiche hanno fine di beni e servizi). 2. Enfasi sui nessi di determinazione funzionale che intercorrono tra le parti dell’organizzazione 3. Enfasi posta sul ruolo come dispositivo normativo e integrativo dei componenti organizzativi Metafora dell’orologio: l’orologio funziona grazie all’integrazione fra le sue componenti che hanno caratteristiche fisiche e funzioni specializzate e perciò sono rigidamente interdipendenti tra loro. Finché vi sono rapporti stabilizzati e coordinati tra tali elementi, l’orologio segna l’ora giusta. 1.4 Molte macchine, molti problemi Grazie alle riflessioni critiche degli anni Settanta, la prospettiva razionale/strumentale è stata messa in discussione. Anche se questi modelli hanno dei problemi, non bisogna liquidarli per due motivi: 1. Essi hanno portato alla luce alcune questioni centrali dell’organizzazione, in particolare quelle che ruotano attorno alla natura collettiva dell’organizzazione: coordinamento e integrazione 2. L’organizzazione-macchina appartiene al passato della teoria organizzativa, ma è ancora largamente attiva nel presente delle pratiche organizzative (es. McDonald’s) Le logiche della macchina possono prosperare in molti campi organizzativi e possono avere le stesse criticità: 1.4.1 Eseguire. La razionalità dell’organizzazione macchina è di tipo esecutivo. L’azione organizzativa coincide

con l’uso dei mezzi necessari per conseguire certi obiettivi e i mezzi a loro volta sono precisati tramite regole formali (Weber, razionalità di scopo) o regole tecniche (Taylor, razionalità tecnica). Dal nostro punto di vista di consumatori-utenti, potremmo obiettare che questi aspetti non costituiscono un problema, ma in realtà l’esecutività è un ostacolo alle capacità organizzative di fornire prestazioni adeguate. Merton parla a questo proposito di ritualismo, per cui l’adesione ai regolamenti diventa fine a sé stessa, tramite un processo chiamato ‘’trasposizione delle mete’’ (un valore strumentale diventa un valore in sé). Condotte e azioni di stampo ritualistico perdono così di vista la concretezza e la variabilità dei problemi e non riescono ad adattarsi alle situazioni particolari che non sono contemplate nei regolamenti (es. burocrazia). Merton parla anche di ‘’incapacità addestrata’’, riferendosi alle condizioni in cui

l’addestramento ad applicare determinate tecniche diventa un fattore di incompetenza perché sfavorisce la capacità di adattarsi a circostanze mutate. Altri problemi legati all’esecutività sono di segno opposto rispetto alla ritualità. Secondo Crozier l’esecutività causa delle resistenze da parte dei soggetti che ne fanno parte. Una regolamentazione eccessiva può accrescere la distanza tra l’organizzazione e i suoi membri e può incoraggiare l’adozione di strategie personali mirate ad aggirare o infrangere le prescrizioni formali. Si può creare anche una spirale: le resistenze portano i vertici a creare nuove regole, che aumentano ancora di più le resistenze. Un altro problema è quello della deresponsabilizzazione: chi esegue è tenuto a rispondere della conformità delle proprie azioni alle linee prestabilite ma non dei fini ai quali le azioni stesse sono indirizzate (es. nazismo). 1.4.2. Frammentazioni e blocchi. Come fa l’organizzazione a connettere e coordinare le sue parti e i suoi attori?

Secondo la prospettiva razionale/strumentale, l’organizzazione sta insieme grazie ad automatismi e ingranaggi, ma questa è un’illusione. Chi lavora in queste condizioni fa fatica a ricondurre il proprio frammento al processo più generale in cui esso sin colloca: da ciò derivano distanza e indifferenza rispetto agli obiettivi. Inoltre, la comunicazione avviene per via gerarchica e questo crea di solito dei blocchi. 1.4.3. Il rapporto con l’ambiente. Vi sono alcune considerazioni da fare rispetto all’ambiente:

1. Molteplicità degli elementi che costituiscono l’ambiente di ogni organizzazione. Da ciascuno di questi elementi l’ufficio assume risorse decisive (o input): regole che disciplinano le competenze dell’ufficio, risorse finanziarie per svolgere l’attività, conoscenze sui problemi trattati ecc. Allo stesso tempo, l’ufficio cede risorse ad essi (output), ad esempio quando l’ufficio si procura attrezzature comprandole da fornitori esterni. 2. Una modalità di rapporto con l’ambiente ricorrente nelle organizzazioni di stampo meccanicistico è quello della chiusura e dell’indifferenza, per cui l’ambiente esterno è concepito come un ricettore amorfo delle proprie azioni 3. Un’altra modalità di rapporto con l’ambiente che può coesistere con la chiusura poggia sui processi di tipo attivamente difensivo: le organizzazioni macchina si difendono attivamente dagli ambienti soprattutto quando questi ultimi sono instabili, perché questi ambienti sono scarsamente prevedibili e questo si scontra con organizzazioni fondate su stabilità e prevedibilità. Se i processi di difesa e l’indifferenza diventano preponderanti, l’organizzazione cessa di essere un buono strumento, capace di adattarsi all’ambiente e alle sue sollecitazioni e di raggiungere in questo modo gli obiettivi prestabiliti. L’organizzazione è efficace solo se è aperta verso l’esterno. 1.5 L’organizzazione come mezzo ‘’recalcitrante’’ Secondo Crozier i presupposti di base della concezione macchina sono così lontani da come vanno le cose in realtà e così irrealizzabili da essere simili a dei miraggi. Selznick sostiene che l’organizzazione è un mezzo recalcitrante, cioè resiste agli obiettivi prestabiliti. Secondo l’autore le organizzazioni sono indispensabili ai nostri scopi e contemporaneamente si frappongono tra noi e gli scopi stessi, per due motivi: 1. L’azione organizzativa fa i conti con i vincoli e i problemi presenti nell’ambiente in cui opera, da qui la possibilità che gli obiettivi originari siano modificati o rimpiazzati da altri che riflettono i compromessi e le negoziazioni fra la pluralità dei soggetti agenti nell’organizzazione e nel suo ambiente

2. Le organizzazioni possono acquisire un carattere proprio e possono diventare la fonte degli impegni e dei riconoscimenti reciproci che i suoi membri vi sviluppano. L’organizzazione resiste perché diventa un fine in sé, indifferente ai programmi e agli obiettivi stabiliti Con questi due passaggi abbiamo imboccato la strada del superamento della concezione razionale/strumentale. 1.6 Appunti: il cambiamento difficile Le organizzazioni che perseguono il miraggio della macchina sono rigide e bloccate, quindi hanno molte difficoltà a correggersi e a cambiare anche quando è evidente che sarebbe necessario farlo. Le difficoltà a realizzare misure e progetti di cambiamento sembrano tanto maggiori quanto più questi ultimi sono basati su una predefinizione rigida della direzione e delle azioni da sviluppare o quanto più questo disegno presuppone che le organizzazioni siano strumenti razionali. 2. PROCESSI In questo capitolo ci occuperemo di processi organizzativi, in particolare di quelli relativi alla soluzione dei problemi, alle decisioni e ai poteri. Cambia l’oggetto e cambia anche la prospettiva: dalle organizzazioni passiamo alle azioni e alle interazioni organizzative, dall’immagine di un’entità fissa passiamo all’immagine di un fluire aperto e incompiuto di processi. Imbocchiamo in questo modo il percorso delineato da una costellazione di filoni e piste di ricerca che, superando l’idea di organizzazione-macchina, convergono nell’accentuare la visione processuale dell’organizzazione, concepita come una realtà emergente e in divenire. Una precisazione. Osservando i processi portiamo alla luce la dimensione mobile, interattiva e dinamica delle organizzazioni, ma allo stesso tempo portiamo in primo piano le molte anomalie e le molte cose che nelle organizzazioni vanno diversamente da come secondo il modello razionale dovrebbero andare. 2.1 Risolvere i problemi Merton parla di incapacità addestrata, ovvero tendenza a replicare risposte apprese che in passato hanno funzionato, anche di fronte a condizioni mutate (detta anche deformazione professionale). Per spiegare questo concetto Merton fa l’esempio dei polli: i polli possono essere addestrati a reagire al suono di un campanello come a un segnale che annuncia cibo, ma con lo stesso campanello possiamo attirare i polli così addestrati verso il luogo dove saranno uccisi. Il paradosso è che sembra che quanto più si pretenda di non essere polli tanto più si finisca con esserlo. Per esempio, dato che la one best way si fonda sulla prevedibilità, quando le circostanze cambiano le soluzioni adottate sono inadeguate. Esempio del quiz di Watzlawick: si tende a pensare che i nove punti formino un quadrato, e per questo non riusciamo a unire tutti i punti con quattro linee senza staccare la penna dal foglio. Risolviamo il problema quando smettiamo di pensare ai nove punti come a un quadrato.

Le organizzazioni configurano i problemi sulla scorta dei quadrati che hanno a disposizione, quindi un punto di partenza è quello di rinunciare al principio della one best way che mette al bando l’imprevedibilità. I processi di soluzione dei problemi non sono governati dalla prevedibilità, infatti:

1. Essi risentono della combinazione di fattori variabili (es. tempo che gli attori possono dedicarvi) 2. Questi processi sono intessuti di interazioni e perciò interessati a dinamiche di trasformazione: i problemi vengono riconfigurati man mano che diventano accessibili soluzioni alternative a quelle disponibili. 2.2 Decidere Si possono inquadrare i fenomeni decisionali in due modi differenti. (a) Un modo è legato alla prospettiva per cui l’esecuzione delle procedure dovrebbe essere sufficiente all’assicurare risposte adeguate ai problemi e azioni coerenti con gli obiettivi. Questo è il modello razionalistico delle decisioni che è un modello: 1. Sinottico: presuppone una conoscenza assoluta degli elementi rilevanti per la decisione 2. Aprioristico: la conoscenza precede la decisione 3. Strumentale: le scelte e le azioni devono essere coerenti con gli obiettivi (b) Un modo è legato alle situazioni decisionali concrete, per cui ad esempio un problema considerato prima urgente viene accantonato, gli attori cambiano idea ecc. Il modello razionale (a) ha due problemi: 1. Incertezza: le decisioni vengono prese in condizioni di informazioni limitate sulle alternative d’azione e sulle loro conseguenze 2. Ambiguità: gli obiettivi non sono univoci, i problemi si prestano a più interpretazioni, i collegamenti tra mezzi e fini sono vaghi e incoerenti Quindi le anomalie fanno parte del modo d’essere delle organizzazioni e a dispetto dell’immagine di insensatezza che spesso ricaviamo dall’osservazione le decisioni vengono prese, i problemi affrontati ecc, quindi non è detto che l’insensatezza trascini l’organizzazione al collasso. Per spiegare queste dinamiche, Cohen, March e Olsen propongono la metafora del ‘’cestino dei rifiuti’’. Le occasioni decisionali assomigliano a cestini dei rifiuti in cui i decisori man mano gettano i problemi che affrontano e le soluzioni che individuano. La decisione presa dipende da quali e quanti cestini sono al momento disponibili, da quali e quanti rifiuti (cioè problemi e soluzioni) si sono prodotti e accumulati nei cestini o viceversa eliminati, dalla velocità con cui tutto ciò accade. Inoltre, i decisori vanno e vengono a seconda del tempo e dell’attenzione che riescono a dedicare alle occasioni. Sembrerebbe un caos, ma a uno sguardo ravvicinato l’impressione di caos tende a sfumare. I cestini sono i repertori delle competenze apprese in dotazione alle organizzazioni e grazie ad essi i flussi di problemi e soluzioni vengono ordinati in combinazioni di diverso tipo dalle quali possono derivare soluzioni di routine ma anche soluzioni inedite. In queste dinamiche capita di risolvere i problemi sia di individuare nuovi problemi e nuove soluzioni: solo che quanto accade non è guidato dalla logica o dalla coerenza, ma è scandito da variabili quale la simultaneità degli eventi e l’attenzione degli attori. Riferimento empirico di questa metafora è l’università: nonostante le riforme, l’univ...


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