Dispensa 2 delle lezioni di Dialettologia italiana - 3 CFU PDF

Title Dispensa 2 delle lezioni di Dialettologia italiana - 3 CFU
Author Stella Giaciglio
Course Dialettologia
Institution Università degli Studi di Padova
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anno 2020-2021...


Description

Andrea Cecchinato Dispensa del corso di Dialettologia italiana, n. 2/2 (3 CFU rimanenti per studenti che fanno l’esame da 9 CFU), DISLL, Università di Padova.

1. La rivalutazione del dialetto nella cultura popolare nell’età della “sdialettizzazione” Bibliografia di riferimento: M. Loporcaro, Profilo linguistico dei dialetti italiani(testo d’esame), cap. 5. I. Paccagnella, Un mondo di parole. Tra lingue e dialetti, a cura di A. Cecchinato e C. Schiavon, Padova, Cleup, 2017. L. Coveri, I dialetti della nuova commedia all’italiana (caricato sul Moodle del corso). L. Coveri, Doppiare per diletto. Doppiaggi parodistici in dialetto nel web (caricato sul Moodle del corso).

La sdialettizzazione del Novecento Nel corso del Novecento, e ancora oggi, alla diffusione in Italia della lingua unitaria come lingua di comunicazione orale e materna è corrisposto un evidente . Tale processo di sdialettizzazione ha seguito le seguenti -

: : dal dialetto locale a quello di koinè. Per secoli, i dialetti locali sono

stati sottoposti a processi di livellamento ed eliminazione dei tratti fonologici e lessicali più locali causati da scambi commerciali e culturali, dall’esigenza di comunicare ad un raggio più ampio di quello compreso all’interno di una singola località e soprattutto dalla frequente presenza, all’interno di una regione, di un polo d’attrazione e di innovazione

linguistica

generalmente

costituito 1

dalla

città

politicamente

ed

economicamente egemone. Ad esempio, in Veneto e in Campania, i dialetti moderni parlati nelle singole località sono molto diversi dai rispettivi volgari medievali perché hanno perso diversi tratti caratteristici municipali e hanno subìto l’influenza del veneziano e del napoletano. -

: rigida distinzione dei domini d’uso e larga percentuale di

persone solo dialettofone. A cavallo tra Otto e Novecento, nei primi decenni dopo l’unità d’Italia, la conoscenza e l’uso dei dialetti non erano ancora stati scalfiti dalla diffusione della lingua unitaria ad opera della scuola dell’obbligo, che non riguardava la popolazione adulta e anziana. Le persone che conoscevano l’italiano conoscevano bene anche il loro dialetto e utilizzavano l’uno o l’altro a seconda della situazione (formale o informale) in cui si trovavano, delle persone (amici e familiari, conoscenti o estranei) con cui interloquivano e degli argomenti trattati. -

: rigida distinzione dei domini d’uso, larga percentuale di

persone competenti in entrambi i registri. Nei primi decenni del Novecento, con il ricambio generazionale e il numero sempre più alto di italiani alfabetizzati e scolarizzati, con la diffusione dei mass media e a causa di altri fenomeni storico-sociali (es. migrazioni interne), molti italiani hanno una competenza attiva sia dell’italiano che del dialetto e continuano a selezionare l’uno o l’altro in base al contesto diafasico. Anche le persone “semicolte” iniziano ad utilizzare in tali contesti, ad esempio negli scritti epistolari, un italiano che, benché popolare e infarcito di dialettismi involontari, è sentito come il registro più adeguato a un certo tipo di comunicazione. -

: labile distinzione dei domini d’uso, larga percentuale di

persone italofone con competenza dialettale passiva, il dialetto è limitato a sporadiche commutazioni di codice, per “dare colore”. Nella seconda metà del Novecento, in Italia la lingua unitaria conquista sempre più spazio come lingua della quotidianità a scapito dei dialetti che, in molti casi, non sono più conosciuti o non sono più usati, tranne che in isolate locuzioni gergali o proverbiali all’interno di un discorso in italiano. 2

di questo processo di sdialettizzazione vanno individuate principalmente nel fraintendimento, da parte della scuola pubblica post-unitaria e più in generale della società italiana, della

dai

maggiori intellettuali dell’età post-risorgimentale, primo fra tutti Alessandro

,

per primo n . Travisando tale necessità di dare una lingua comune agli italiani, n , in cui italiano e dialetti potessero convivere tranquillamente (così come si possono imparare s enza problemi più lingue straniere senza fare alcuna confusione) e di mancato progresso e civilizzazione.

culturale (o meglio anticulturale), favorita prima

dall’ideologia dominante durante il ventennio fascista e poi dal boom economico degli anni

Cinquanta



Sessanta,

con

l’urbanizzazione,

l’industrializzazione

e la

modernizzazione della società tradizionale,

Il dialetto nella cultura “alta” del Novecento Nel Novecento, proprio in corrispondenza con l’avanzata dell’italiano nella comunicazione orale di massa, Innanzitutto il dialetto ritorna protagonista nelle poetiche, d -

, soprattutto

: (es.: le poesie in dialetto milanese di Delio Tessa). L’uso di una varietà

linguistica diversa dall’italiano standard, meno codificata e quindi più manipolabile, si 3

adatta meglio, con la sua espressività fonetica e ritmica, a descrizioni alterate, surreali e oniriche della realtà, al gusto tematico per l’orrido e il macabro, il grottesco e il deforme. -

(ess.: frequente ricorso al dialetto alto-vicentino nei romanzi di Luigi

Meneghello, poesie in dialetto alto-trevigiano di Andrea Zanzotto). Il dialetto viene utilizzato come registro linguistico ancestrale, della memoria, che si riappropria del mondo perduto dell’infanzia come momento centrale per decodificare il senso della vita e assaporarne la poesia. -

(ess.: le poesie in dialetto tursitano di Albino Pierro e quelle in

friulano occidentale di Pier Paolo Pasolini). Varietà dialettali prive di tradizione letteraria e diffuse in territori molto circoscritti costituiscono un terreno linguistico letterariamente non inflazionato, vergine, non guastato dalle parole della modernità e della tecnologia; il dialetto è utilizzato come una lingua d’arte (opposta alla prosaica lingua di comunicazione che è l’italiano) che ben si adatta a trattare un numero molto ridotto di argomenti attraverso una sorta di dialogo interiore, come una sorta di nuovo petrarchismo. Inoltre, naturalmente, il Novecento è il secolo in cui la Linguistica, e quindi anche la Dialettologia, si sviluppa in modo esponenziale e vede la pubblicazione di tantissimi studi. Pertanto il dialetto compare nelle

(grammatiche e

vocabolari dialettali, saggi)

e poi, di riflesso, anche

che, pur non essendo degli specialisti, (mestieri, utensili, ecc. e relative parole ed espressioni). Trattando di cultura “alta” del Novecento, sarà opportuno includere i grandi maestri del : i protagonisti di questi film, personaggi realistici che rappresentano le parti più marginali della società italiana ai tempi della Seconda guerra mondiale e del dopoguerra, sono tratteggiati con estrema verosimiglianza, quindi non solo nell’aspetto, nel tenore di vita 4

ecc. ma anche nel linguaggio, che a quest’altezza cronologica è prevalentemente dialettale.

Il dialetto nella cultura popolare del XX-XXI secolo , di massa, spesso e volentieri avviene che il dialetto, “dopo essere uscito dalla porta, rientri dalla finestra”: quella stessa cultura figlia del boom economico, dell’urbanizzazione, della tecnologia e della modernità, che si era sostituita alla cultura contadina sostituendo l’italiano al dialetto, -

(es.: la commedia all’italiana). I personaggi delle commedie

degli anni ’60-’70 presentano dei caratteri e dei modi di fare ricorrenti, sono quasi delle maschere. Questa tipizzazione, come nella commedia plurilingue cinquecentesca, si serve anche di stereotipi geografici e linguistici: l’industriale lombardo, la domestica veneta, il coatto romano ecc. che ovviamente usano espressioni dialettali delle regioni di provenienza. -

(ess.: film doppiati, filone lirico-nostalgico, film di Totò). Si

utilizza il dialetto al posto dell’italiano (o un preciso accento dialettale al posto della pronuncia standard) per il suo maggiore impatto sullo spettatore, come nei film di Totò, quindi con una semplice funzione teatrale, dove a volte l’incomprensione linguistica che scatta nell’incontro di personaggi di diverse aree è fonte di comicità “anti-dialettale”. Ma spesso tale espressionismo dialettale veicola anche un messaggio implicito, ha una funzione simbolica, come in Amarcord di Federico Fellini o L’albero degli zoccoli di Ermanno Olmi, o una funzione ideologica,come l’accento siciliano dei gangster dei film americani doppiati, che non si possono considerare delle macchiette come i tipi della commedia all’italiana. -

(es.: film comici). I dialetti vengono riprodotti

evidenziando, anzi estremizzando, i rispettivi tratti peculiari e distintivi nelle produzioni 5

cinematografiche più esilaranti a partire dagli anni ’80, come il napoletano di Troisi, il toscano rurale di Benigni, il romanesco di Verdone, il milanese di Pozzetto ecc. Si tratta dello

stesso

meccanismo

di

ipercaratterizzazione

delle

commedie

pavane

cinquecentesche di Ruzante o della Nencia da Barberino di Lorenzo de’ Medici ecc.. Questo uso caricaturale dei dialetti caratterizza anche il fenomeno, iniziato alla fine degli anni ’70, del cabaret, che però in parte era già stato anticipato dalle trasmissioni d’avanspettacolo già negli anni ’60: brevi monologhi comici che, partiti dai locali milanesi e romani, conquistano poi il mondo della televisione (Zelig, Colorado Cafè), del teatro e del cinema (dai primi film di Verdone a Checco Zalone). Parallelamente, si sviluppa anche il fenomeno dei doppiaggi parodistici, che ha una sua evoluzione interna. All’inizio esso riguarda il cinema (es.: il cartone animato Gli Aristogatti) e la tv (es.: I Simpson) e consiste nella traduzione, più o meno fedele, della sceneggiatura originale, in cui all’italiano si alternano sprazzi di dialettalità a scopi umoristici: il gatto Romeo de Gli Aristogatti parla in romanesco1, mentre ne I Simpson il bidello scozzese, il poliziotto e l’amico afroamericano di Homer hanno rispettivamente accenti, forme e lessico sardi, napoletani e veneziani. Negli ultimi anni l’arte del doppiaggio parodistico si è diffusa sul web con una differenza sostanziale: si tratta di una finta traduzione, che stravolge il contenuto originale trasformando in un siparietto comico una sceneggiatura che in origine non lo era. Oltre alle parodie di film, specialmente su Youtube si trovano quelle di cartoni animati, telefilm, canzoni, programmi televisivi, interviste ecc. Oltre alle finte traduzioni in italiano, spesso e volentieri i doppiaggi parodistici avvengono in una varietà dialettale o in un italiano fortemente connotato in senso regionale. Un esempio sono gli episodi di Peppa Pig, che in dialetto veronese diventa Pepa Porsela2, e il doppiaggio parodistico del film Dracula che diventa un esempio comico dell’ospitalità ligure3 . 1 Vedi

ad esempio https:/ / www.youtube.com/ watch?v=3Eab73Xy58Q . / www.youtube.com/ watch?v=ybDkn6T5tG0 . 3 https:/ / www.youtube.com/ watch?v=1t_Eyl6jXsk . 2 https:/

6

2. Il dialetto “studiato” dai comici Dalla comicità in dialetto alla comicità sul dialetto Da quanto finora è emerso risulta evidente che i comici hanno sempre usato il dialetto come mezzo per dare colore alle battute. Il meccanismo consiste in una sorta di pseudorealismo linguistico che, in realtà, è lingua riflessa, ipercaratterizzata e quindi intrinsecamente comica: una barzelletta o un aneddoto giocoso, se raccontati con un accento regionale o in dialetto, ricevono un surplus di comicità, specialmente se l’argomento in questione riguarda proprio gli usi e costumi, i vizi e le virtù degli abitanti di una certa città o regione. Ma negli ultimi tempi, ovvero da alcuni decenni a questa parte, e soprattutto dopo il Duemila, si sta facendo strada un fenomeno nuovo: diversi comici presentano monologhi che non hanno a che fare con i dialetti semplicemente perché recitati in dialetto ma perché hanno nel dialetto l’OGGETTO stesso della comicità. Osservando tale novità in una prospettiva socio-linguistica, si può affermare che l’argomento ‘dialetto’, accanto all’effetto principale di far ridere, ha un effetto collaterale: l’analisi pseudo-scientifica di fenomeni linguistici ed extralinguistici riguardanti la struttura e l’uso delle varietà dialettali. Questa analisi, anche quando inconsapevole, anche se completamente priva di conoscenze derivanti da istruzione accademica, spesso finisce per cogliere le stesse questioni del linguista basandosi solo sull’osservazione, sull’ascolto, sulla sensibilità e sulle capacità riflessive del comico stesso.

I principali comici - linguisti Ad un primo sondaggio risulta poco significativa la distinzione tra chi parla di dialetti in generale e chi si concentra su un singolo dialetto, anche perché alcuni comici hanno nel 7

loro repertorio pezzi diversi in cui si cimentano in entrambe le possibilità (es.: Enrico Brignano) e alcuni si pongono a metà strada perché trattano le varianti locali di una singola regione (es.: Pino Campagna con la Puglia). Piuttosto, sarà opportuno distinguere le seguenti :

Semplificando al massimo questa divisione, si può affermare che alcuni comici hanno creato delle finte lezioni di dialetto (o sui dialetti), altri delle lezioni vere e proprie. Per quanto riguarda il primo insieme, forse si può individuare come apripista di questo sottogenere cabarettistico il trio

.

Già ai tempi della trasmissione televisiva Mai dire gol, Aldo, Giovanni e Giacomo impersonavano tre improbabili sardi i quali, tra i tanti luoghi comuni legati a questa regione, si occupavano di questioni linguistiche, sostenendo, con esempi fittizi, che il sardo è una lingua (mentre l’italiano è un dialetto) perché ha una parola per qualsiasi tipo di referente, senza bisogno di ricorrere a perifrasi4 . Nella più recente tournée teatrale Tel chì el telun, il trio ricavava uno spazio “culturale” per finte lezioni di siciliano5 in cui un sedicente esperto (impersonato da Aldo) che ben presto si rivela un millantatore, anziché tradurre in siciliano i brevi dialoghi che gli vengono sottoposti, improvvisa lunghi litigi (tra madre e figlio, tra vicini di casa ecc.) in italiano, che del siciliano hanno solo la cadenza.

4 Es.: 5 Es.:

https:/ / www.youtube.com/ watch?v=jdlbyraFBV4 . https:/ / www.youtube.com/ watch?v=XllqjH619fE

8

In entrambi i casi si tratta di finte lezioni di dialetto, una sorta di topos su cui costruire l’effetto comico. Pur costituendo delle negazioni della dialettalità, da tali lezioni, involontariamente, emergono tuttavia dei temi reali: il riconoscimento come lingua del sardo per la sua specificità strutturale (specialmente fonetica e lessicale), che consente al finto insegnante di inventarsi delle parole senza rischiare di essere smentito; il contesto d’uso informale del dialetto che, come si è ricordato sopra, anche in una fase di regresso torna utile per la sua maggiore espressività in situazioni che presuppongono confidenza tra gli interlocutori. Lo stesso schema, ovvero la finta lezione dialettale basata su “traduzioni” dall’italiano che costituisce il presupposto per una serie di battute, viene riproposto da nel suo format Sì, io parlo savonese 6 ospitato nelle trasmissioni televisive Bulldozer e Colorado Cafè. Tali traduzioni, in realtà,come nel siciliano di Aldo, esprimono i concetti della frase di partenza in italiano regionale, con delle rese molto libere, basate su metafore e similitudini gergali a volte brillanti a volte di cattivo gusto; il tutto mostrando un cartello con le ultime parole della traduzione rappresentate con segni alfabetici “strani” (lettere accentate, sbarrate ecc.). Anche in questo caso, però, da tali sketch emergono degli aspetti tutt’altro che avulsi dalla riflessione scientifica sui dialetti. Innanzitutto il problema della standardizzazione, ovvero il drastico regresso dei dialetti in alcune regioni (a cominciare proprio dalla Liguria), in cui per le ultime generazioni, così come per il nostro docente di savonese, la parlata locale di fatto coincide con l’italiano regionale e il concetto di dialetto si confonde con quello di italiano popolare. Inoltre Balbontin, sebbene di fatto non utilizzi autentico lessico dialettale, nel modo di pronunciare le parole evidenzia l’esistenza, nelle varietà liguri, di vocali arrotondate (o palatali). Inoltre i suoi cartelli denotano la consapevolezza dell’esistenza di differenze nel repertorio fonologico di una varietà locale rispetto all’italiano e dell’esigenza di ricorrere a un alfabeto «fonetico». 6 Es.:

https:/ / www.youtube.com/ watch?v=LqmRMCXAprs .

9

Concludiamo questa prima parte della breve rassegna di comici linguistici con due monologhi, molto simili nella struttura, di due distinti comici: 8

.

Il primo fa una dissertazione per dimostrare che la gente va in Puglia per imparare le lingue del mondo e, facendo leva su esempi scelti ad arte per ottenere determinati effetti fonici, “dimostra” che a foggia si parla l’arabo, a Barletta il francese, a Molfetta l’inglese, a Bari nuova l’inglese U.S.A., a Bari vecchia il polacco, in provincia di Lecce il giapponese e a Bitonto il tedesco. Il secondo allarga la prospettiva a livello nazionale e sostiene che molte lingue del mondo sono state inventate in Italia facendo leva su analogie nell’intonazione tra il giapponese e il napoletano, l’inglese e il romanesco, il russo e il torinese, il portoghese del Brasile e il genovese, il francese e il pugliese, l’arabo e il calabrese. Se in quest’ultimo caso non c’è granché da rilevare oltre alle percezioni fonetiche basate sull’intonazione di dialetti e lingue, il monologo di Pino Campagna è senz’altro linguisticamente più interessante in quanto le percezioni fonetiche che egli condivide con il pubblico sono basate su effettivi tratti del sistema vocalico delle varietà pugliesi alto-meridionali, con la presenza, a livello locale, di varianti del sistema panromanzo: dittongazioni, inversioni di medio-alte e medio-basse, centralizzazioni di vocali atone anche non finali. di comici-linguisti si distingue perché rivela, accanto a spiccate doti teatrali e comiche, un’acutissima sensibilità linguistica e una notevole lucidità nell’interpretare determinati fenomeni socio-linguistici. Iniziamo da

, che ha iniziato la sua carriera proprio come autore e

interprete di brevi sketch già alla fine degli anni ’70 ma che, a quanto mi consta, si

7 https:/ 8 https:/

/ www.youtube.com/ watch?v=cDH4Vf8qCAQ . / www.youtube.com/ watch?v=amuErtr_GPw .

10

cimenta per la prima volta in una riflessione sul dialetto in epoca più recente e in un ambito un po’ diverso da quello finora trattato: una scena del film Italians di Giovanni Veronesi del 20099 in cui il personaggio da lui interpretato tiene una lezione sulle varietà linguistiche d’Italia a un pubblico straniero composto principalmente da bambini. Ne viene fuori una macro-classificazione delle aree dialettali che, a parte qualche omissione, di fatto ricalca quella di G.B. Pellegrini: area settentrionale, Toscana, area mediana, Meridione intermedio, Meridione estremo, sardo; inoltre, per ogni area Verdone fa degli esempi significativi (un po’ come Dante nel De vulgari eloquentia) o cita esplicitamente un tratto linguistico caratteristico e distintivo, rifacendosi implicitamente al concetto di isoglossa: -Area settentrionale. Di fatto Verdone si riferisce all’area gallo-italica, con espressioni che evidenziano le vocali arrotondate e l’apocope. -Toscana. Per quest’area viene descritta la cosiddetta gorgia di cui, con parol...


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