Dispensa Pedagogia generale 24 CFU (2)-1 PDF

Title Dispensa Pedagogia generale 24 CFU (2)-1
Course Storia della pedagogia e delle istituzioni educative
Institution Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria
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Introduzione Da sempre ci si interroga su come la teoria si possa tradurre in prassi e, quindi, su come rendere concretamente applicabile una norma, un principio, una regola. Questa complessa problematica che interessa le scienze e non solo e il diritto apre un dibattito mai sopito sulla ai question...


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Introduzione

Da sempre ci si interroga su come la teoria si possa tradurre in prassi e, quindi, su come rendere concretamente applicabile una norma, un principio, una regola. Questa complessa problematica che interessa le scienze dell’uomo – e non solo l’etica e il diritto – apre un dibattito mai

sopito

dell’educazione

sulla ai

questione valori,

alla

decisamente scelta

centrale

morale,

alla

cittadinanza. Edda Ducci, con la raffinata sensibilità di studiosa attenta ai nessi vitali dell’interiorità umana, di fronte alle macerie lasciate da tangentopoli, che – a suo dire – evocavano un paragone con la peste, reale o metaforica, riecheggiata nelle pagine di Lucrezio, Virgilio, Manzoni, Camus, si domandava «che peso può avere l’educare all’adesione convinta alla legge?». 1

1

E. Ducci, Libertà liberata, libertà legge leggi, Anicia, Roma, 1994, p. 28.

E nella manifestata consapevolezza della terribile difficoltà di dare una risposta ad un interrogativo così complesso, decideva di “rischiare” e, dunque, provare ad offrire una riflessione sul delicato rapporto uomo-legge, prendendo in prestito le parole di Platone: «poiché bello è il premio e grande è la speranza … allora bello è il rischio». 2 Parlare di educazione alla legalità è un «rischio». La possibilità di cedere a pleonasmi o banalizzazioni è altissima. Come anche inciampare in tecnicismi aridi ed incapaci di render ragione al procedere logico delle argomentazioni

spese

per

sostenere

ciò

che

è

incontrovertibile: l’importanza di educare al sano rapporto alla Legge e al giusto rapporto alle leggi. 3 Tuttavia, il nostro tempo, talune peculiari realtà fatte ancora di negazione totale della legalità come valore intrinseco e connaturale all’uomo, impongono di «scuotersi di dosso la paura della fatica» 4 , come anche la paura del rischio e - seguendo percorsi già battuti o nuove strade, 5 rincorrendo le tracce di paideia che si incrociano nel

2

Platone, Fedone, «καλόν γάρ τό άθλον καί ή ελπίς µεγάλη … καλός γάρ ο κίνδυνος» (114,c 9; d 6). Si veda anche E. Ducci, op. cit., p. 10. 3 E. Ducci, Libertà liberata, libertà legge leggi, op. cit., p. 10. 4 Ivi, p. 14. 5 Cfr. F. Mattei, Tracce di paideia. Abbondanza e privazione nell’avventura dell’educazione, Anicia, 2012, p. 7.

terreno scivoloso ed incerto del «farsi adulto ed educato dell’uomo» 6 - riportare l’attenzione su un tema difficile. Certo, pare indubitabile che incomba sulle generazioni più mature il dovere di aiutare i più piccoli ad orientarsi correttamente nella multiforme dimensione dell’esistere; ma stabilire come, o attraverso quali modelli formativi, realizzare questo ambizioso obiettivo rimane ancora un problema aperto. Specie ove si ponga mente allo «stato di incertezza che attraversa la ricerca attuale in educazione» 7 . La coscienza di ciò, insieme all’aleatorietà di tale tematica, spinge ad indagare la questione dell’educazione alla legalità, o educazione alla cittadinanza attiva, partendo da un’analisi legata primariamente al rapporto tra formazione e valori espressi dal gruppo di provenienza di ciascuno, dando rilievo alla necessità di tornare al fondamento dell’educativo: il soggetto. Non si può affrontare il tema dell’educazione alla legalità se non partendo dall’uomo, dal suo rapporto con la libertà, con la giustizia, con gli altri uomini e – come ci ricorda il mondo classico, cui val la pena di volgersi 8 in una sorta di rimembranza della conoscenza – con la felicità, 6

Ibidem. Ibidem. 8 Cfr. E. Ducci, op. cit., p. 27:«Il platonico «voltarsi con tutta l’anima» è imperniato su di una presenza maieutica che costringe a sciogliersi dai ceppi, alzarsi, voltarsi, incamminarsi, alzare gli occhi, fino a guardare il sole e godere dello sguardo sinottico, una presenza maieutica che ha già contemplato il sole. Una presenza maieutica che, nel nostro caso, ha già provato l’attrazione del Bene». 7

«che un tempo si riteneva il fine dell’uomo e lo scopo bello del vivere».9 L’evoluzione del soggetto è, d’altronde, un processo composito che si snoda tra «l’intenzionalità e l’evento» 10 , tra la capacità dell’individuo di fare consapevolmente le proprie scelte e l’ambiente in cui vive ed al quale egli deve adattarsi. In tutti i campi dell’agire umano, pubblico o privato, nelle relazioni con l’altro, nella vita affettiva e in quella professionale, i due poli dello sviluppo dell’essere in vista dell’acquisizione di una identità compiuta, chiara e risolta, e, dunque, anche “felice”, sono senz’altro la sfera del pensiero e quella dell’azione. Tuttavia, il rapporto tra pensiero ed azione, teoria e prassi, non sempre procede secondo schemi lineari e senza complicazioni,

per

via

dell’intrinseca

difficoltà

di

trasformare in agito un principio; il quale, sia pur conosciuto, sia pur presente a livello noetico, appare talvolta incapace di venir fuori sul più fragile terreno esperienziale. Perché ciò accade? Perché un’idea conosciuta e finanche apprezzata rimane relegata nella sfera del pensiero e non è capace di trasformarsi in azione? 9

E. Ducci, Libertà liberata, libertà legge leggi, op cit., p. 17. G. Spadafora, Premessa al volume Cultura della legalità, a cura di M. Caligiuri, Rubbettino, 2010, p. 9. 10

Le risposte non possono che riguardare l’intricato rapporto tra il sistema delle regole – siano esse di natura giuridica, etica o religiosa – e il soggetto in formazione, con particolare riferimento alla tradizionale e mai interamente indagata tematica della relazione autoritàlibertà,

poiché

essa

riflette

il

senso

autentico

dell’interrogativo appena posto: il punto di partenza, infatti, deve essere rappresentato dal rapporto che sin dall’inizio l’individuo impara a costruire con l’universo delle regole, che non può essere proposto in antitesi al valore dell’autonomia di ciascuno, perché, fino a quando ciò accadrà, pensiero e prassi continueranno a non potersi incontrare. L’autonomia e la libertà possono dirsi principi fondamentali solo se inserite in un sistema di regole condivise, apprezzate, assorbite dalla cultura di un gruppo umano che le pone all’apice della propria gerarchia di valori, al fine precipuo di dare centralità alla vita della communitas. D’altro canto, quale autonomia e quale libertà possono mai attribuirsi ad un soggetto che vive senza alcun consimile? Egli non avrà alcuna necessità di celebrare né l’autonomia, né la libertà. Non avrà bisogno di codificarle come valori, né tantomeno di intenderle come pilastri

dell’architettura statuale, perché non esistono di fatto le condizioni per un loro possibile pregiudizio. Il rapporto tra libertà e norma è ben più stretto di quanto l’apparente ossimoro possa evocare. Si tratta, invero, del risvolto della stessa medaglia: non può esserci libertà, né possono pensarsi adeguati sistemi per il suo presidio, se non in contesti collettivi, in cui la vita associata si svolge secondo un’organizzazione precisa e chiara, idonea a regolare le relazioni umane. I processi di educazione alla legalità che non vogliano rimanere

sterili

richiami

di

principi

generali

incontrovertibili, devono porsi anzitutto il problema della percezione delle regole ad opera dei singoli, perché solo una consapevole adesione ad una certa dimensione valoriale può garantire che il pensiero si trasformi in azione. Una persona che vive il rapporto con le regole solo in termini di obbligo, senza che vi sia alcuna intima adesione al precetto, avrà certamente difficoltà a conformare il proprio comportamento a quel dato principio. Al

contrario,

il

processo

di

progressiva

interiorizzazione delle regole unito alla loro prospettazione in termini di vantaggio, di opportunità, di conquista di civiltà, cambia radicalmente la prospettiva del soggetto in

formazione, il quale si aprirà al sistema dell’organizzazione collettiva,

definibile

come

sistema-Stato,

con

la

consapevolezza di chi sente tutelata anzitutto la propria libertà attraverso il rispetto dei principi che garantiscono la pacifica convivenza tra consociati. Se l’educazione alla legalità non viene pensata principalmente come tutela dalla sopraffazione, come presidio dalla ferocia dell’uomo contro uomo e se la precomprensione di questo dato non viene anteposta a qualsiasi altro messaggio, la capacità di considerare le regole come un valore sarà comunque compromessa. L’efficacia preventiva dell’educazione alla legalità può propagarsi sul terreno della prassi solo se il soggetto in formazione imparerà a comprendere che il mancato rispetto delle regole, in favore del conseguimento di un vantaggio di breve durata, non è assolutamente conveniente in una prospettiva di lungo periodo; perché l’aver conseguito nell’immediato un interesse particolare, contravvenendo alle regole, espone quello stesso soggetto a soggiacere ad un destino di sopraffazione ad opera di qualcun altro. Il messaggio della non eticità del comportamento deve accompagnarsi a quello, non secondario, della non opportunità, della non vantaggiosità di una cultura che non rispetta le regole.

Solo così teoria e prassi possono convergere, attraverso una formazione orientata all’interiorizzazione dei principi, fatta di esperienze di partecipatività, di collegialità, di confronto, di dialogo, di costante sollecitazione alla democrazia evocata da Dewey come way of life. L’educazione alla legalità, di conseguenza, postula un intervento formativo idoneo a fornire al soggetto anzitutto le giuste consapevolezze che gli permettano di fare “in autonomia” le proprie scelte: l’azione educativa, cioè, deve partire da lontano; deve partire dal valore della soggettività, dall’importanza della persona in sé, dalla valorizzazione dell’innata capacità partecipativa di ciascuno alle attività del gruppo. Non è, infatti, possibile pensare modelli formativi per educare alla legalità realmente efficaci nel lungo percorso di introiezione del significato fondamentale delle regole, intese come presidio della libertà di ciascuno, se non partendo dall’importanza assoluta del soggetto, attraverso cui soltanto si può sperare di costruire quella dimensione sociale tanto cara a Gramsci perché capace di far convergere le istanze dell’individuo con quelle della collettività. È in questi termini che la legalità assume la naturale fisionomia di una scelta. Una scelta consapevole,

autonoma, libera. E le due principali agenzie formative del mondo contemporaneo, famiglia e scuola, devono sentire forte il peso del loro ruolo nella vita dei più piccoli, perché ad esse spetta il compito di trasformare gli individui in persone capaci di scegliere. Ad esse spetta il compito di generare persone. Ed è proprio partendo da questo profondo e radicato convincimento che il lavoro svolto ha inteso approfondire il rapporto che si instaura tra genitori e figli nelle famiglie di mafia, senza indulgere a semplicistiche equazioni come ad esempio quelle di un giudizio di inidoneità genitoriale per l’appartenenza ad organizzazioni criminali. Non si può ridurre la riflessione sulla genitorialità responsabile ad una banale etichetta. E non è questo l’approccio che in generale deve guidare il pensiero, altrimenti si rischia di appiattire anche la fecondità e il potere trasformativo della critica, che si riduce ad un misero apriorismo, degenerando verso il pregiudizio. Perciò, sgombrato il campo dal possibile equivoco sulla metodologia

usata

per

condurre

le

riflessioni

sull’educativo, si può anticipare in questa sede che l’attenzione è stata posta primariamente sull’incapacità intrinseca di alcuni modelli familiari di favorire il naturale

processo di soggettivazione e distacco dei giovani dalle figure genitoriali. In alcune realtà il processo di crescita si presenta come un percorso di vita precostituito, già dato e dal quale il bambino non può discostarsi, perché la cultura familistica che domina in ambienti mafiosi non conosce la libertà del singolo, ma solo la forza prepotente del clan, inteso come un unicum indistinto, nel quale le specificità, le individualità si fondono per perdersi definitivamente ed inesorabilmente. Sulla questione del vuoto di generatività presente in ambienti contigui alla criminalità organizzata si è posto, poi, l’accento; anche per sollecitare tutto il mondo istituzionale, a cominciare dalla scuola, ad esercitare quella funzione sussidiaria della legge, invocata dalla Carta fondamentale come strumento di tutela in tutte le ipotesi in cui i genitori si manifestino incapaci di assolvere i loro compiti. In questo quadro - e mediante l’individuazione delle Istituzioni come figure sussidiarie nelle fattispecie di frustrazione grave del diritto del minore a ricevere l’educazione all’autonomia, alla legalità, alla libertà - si inserisce l’azione del Tribunale dei minori di Reggio Calabria che, in diversi casi, ha disposto l’allontanamento

di minori appartenenti a famiglie ritenute contigue alla ‘ndrangheta. I provvedimenti della magistratura reggina appaiono, sia sotto il profilo pedagogico che sotto quello giuridico, in linea con un’interpretazione costituzionalmente orientata ed aderente ai principi affermati nella legislazione europea ed internazionale. In essi è trasfusa la consapevolezza che «essere iniziati al senso per l’educativo è entrare nel regno della libertà per la porta principale». 11 La scelta dei giudici è stata esaminata attraverso i criteri interpretativi della

pedagogia fenomenologica

inaugurata in Italia dall’opera di Piero Bertolini, nella convinzione che la rieducazione dei ragazzi difficili sia un obiettivo possibile solo e se il loro rapporto con il tempo inverte la sua rotta: deve iniziare dal futuro per ritornare al passato. Solamente immergendo i giovani nel futuro fatto di altre realtà, altre esperienze, confronto con adulti significativi

e

recupero

della

dimensione

della

progettualità, la complessa decostruzione dei modelli educativi introiettati nelle famiglie di provenienza può rappresentare quel momento iniziatico di rinascita che una compagine sociale moderna deve garantire a ciascuno dei

11

E. Ducci, Libertà liberata, libertà legge leggi, op. cit., p. 19

suoi figli, individuando strumenti sempre più capaci di presidiare il fondamentale diritto all’educazione di ogni bambino. Così la dimensione noetica pervade capillarmente quella dell’azione, consentendo a teoria e prassi di incontrarsi per divenire una nuova cultura, una nuova civiltà. Questo è il senso della legalità, dell’autonomia, della libertà che siamo tutti chiamati a consegnare ai nostri figli, educandoli al «sano rapporto alla Legge e al giusto rapporto alle leggi tanto da essere fuoco che divampando accende». 12

12

Ivi, p. 22.

Capitolo primo Famiglia, famiglie e nuovi modelli di genitorialità La famiglia è il primo momento dell’eticità, cioè della condivisione oggettiva di valori morali. L’eticità nel suo momento “immediato” e “naturale” è la prima forma della negazione dell’individuo in quanto tale: ciò che era “due” diventa oggettivamente “uno”; è la sintesi che trasforma - senza perderli l’uomo e la donna in un legame indiviso e indivisibile, in “un’unica persona”. G. W. F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, parr. 518-522.

Premessa Il

Novecento

è

stato

un

secolo

di

profondi

cambiamenti, afflitto da due guerre mondiali, ricordato per il misconoscimento dei diritti fondamentali della persona e per le persecuzioni razziali, ma anche per la straordinaria rinascita dell’uomo, così ben rappresentata dalla poesia dei

primi decenni del XX secolo13, in cui hanno fatto la loro comparsa temi propri della letteratura di ogni tempo legati all'acqua e alle sue figurazioni. L'immersione, il viaggio per acqua, il naufragio, il rispecchiarsi

dell'uomo

nell'elemento

liquido 14 ,

costituiscono il simbolo della rigenerazione: attraverso l’acqua come elemento primordiale, così come attraverso lo specchiarvisi – già fortemente evocativo nel mito greco di Narciso – ed ancora immergendovisi, l’uomo attualizza, per dirla con Jung, la «storia dell’umanità: il mito, che sempre ritorna, della morte e della rinascita e delle infinite figure che fluttuano intorno a questo mistero», ed entra, così, in contatto

con

la

dimensione

«sovrapersonale»

dell’inconscio 15. Così il Novecento diventa anche l’era del riscatto dell’essere

umano

rispetto

alla

sofferenza,

alla

13 Si pensi all’importantissimo contributo letterario offerto dall’Italia attraverso autori come Corrado Govoni, Aldo Palazzeschi, Guido Gozzano, Dino Campana, Umberto Saba, Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, ai quali si affianca, nella ricostruzione della letteratura novecentesca in termini di spinta alla rinascita dell’uomo, anche Filippo Tommaso Marinetti, come autore e rifondatore del generemanifesto, del quale Il Manifesto del Futurismo - che apparve in anteprima sul Giornale dell’Emilia di Bologna, il 5 febbraio 1909 - fu l’opera simbolo. 14 G. Bachelard, Dormeurs eveilles. La rêverie lucida, in Id., Causeries (19521954), con Prefazione di J.L. e Introduzione, traduzione e cura di V. Chiore, Genova, Il Melangolo, 2005, p. 98., p. 101. La metafora dell’acqua come specchio, che simboleggia l’io dinanzi all’infinità di sé stesso è presente anche nella poesia di U. Saba Il pomeriggio, «Il cielo è azzurro come il primo cielo che Dio inarcava sulla terra nuova, e il mare, appena benedetto, è un liscio specchio all’azzurro di tutto quel cielo», p. 87, Il Canzoniere, in Tutte e Poesia, a cura di A. Stara, Mondadori, Milano, 1988. 15 C.G. Jung, Über das Unbewusste, trad. it. L’inconscio, in Id., La psicologia dell’inconscio, Roma, Newton Compton, 1989, p. 142.

sopraffazione e alle esperienze di aridità interiore imposte 16 dalla tormentata storia del secolo breve .

Esso ha costituito, infatti, nella sua contraddittoria fisionomia, il punto di partenza per una nuova cultura dell’individuo, recuperando in questa dimensione una rinnovata sensibilità anche verso il mondo dell’infanzia. Il fermento ideologico del XX secolo, dunque, ha imposto sia al diritto, sia alle scienze umane, un forte ripensamento sulle tecniche di tutela dei diritti dei singoli. Così hanno visto la luce la Dichiarazione dei diritti dell’Uomo, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali e, soprattutto, la nostra Carta costituzionale, simbolo del ripudio degli orrori inferti ai singoli negli anni del totalitarismo e dei conflitti mondiali e monumento del pluralismo, unica vera ricchezza capace di far convergere tutte le culture nella condivisione dei valori universali. Questa spinta propulsiva ha permesso di ridisegnare l’intero impianto del rapporto tra Stato e cittadino, travolgendo anche la tradizionale struttura familiare e il vecchio modello di relazione educativa: 16

mutato il

Il Novecento è stato definito il Secolo breve, dallo storico Eric J. Hobsbawm, il quale riteneva che gli eventi più significativi del XX secolo fossero racchiusi tra il 1914, anno dello scoppio della I guerra mondiale, e il 1989, anno in cui è avvenuto il crollo del muro di Berlino, seguito dalla dissoluzione dell’URSS ...


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