Donne africane oltre le frontiere di giovanna campani PDF

Title Donne africane oltre le frontiere di giovanna campani
Author Francesca Paperini
Course Antropologia di genere
Institution Università degli Studi di Firenze
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Summary

Riassunto completo del libro per l'esame di antropologia di genere, prof. Campani Giovanna....


Description

DONNE AFRICANE OLTRE LE FRONTIERE, di Giovanna Campani e Zoran Lapov. Crisi, politiche, frontiere. Per delimitare i vari stati sono nati dei confini e delle frontiere che consentono di scindere tra legittimo e illegittimo. Le frontiere nel Mediterraneo sono rappresentate da Malta, Ceuta e Melilla e Lampedusa. Le frontiere interne in Europa sono tra Grecia, Bulgaria e Turchia, tra Finlandia, paesi baltici, Polonia, Slovenia, Slovacchia, Ungheria e Romania e gli eredi della ex Unione Sovietica, inoltre la stessa isola di Cipro è divisa in due parti, una a maggioranza greca e l’altra a maggioranza turca. Le politiche di frontiera si sono create dall’accordo di Schengen che avrebbe dovuto creare invece uno spazio Schengen, ovvero un’Europa senza confini. In realtà si è creata una Fortezza Europa gestita da Frontex, guardia di frontiera. Rifugiati e migranti si sono esposti ai rischi dei viaggi per raggiungere l’Europa che li ha accolti in centri di detenzione e con la xenofobia che si è diffusa. Il Sud Europa di fronte alla crisi. La Grecia è stata senza alcun dubbio il paese più ferito dalla recessione e dall’austerità: 1,3 milioni di persone sono disoccupate fra cui i giovani sotto i 25 anni di età. Anche la Spagna e l’Italia hanno sofferto la crisi: nel 2014, la disoccupazione ha interessato il 24% della popolazione spagnola e il 13,4% della popolazione italiana. La Spagna registra livelli di povertà attorno al 20%, l’Italia, intorno al 18,2%. Perciò migliaia di giovani hanno lasciato l’Italia, la Grecia, la Spagna ma anche il Portogallo dal 2008, verso le principali destinazioni del nord Europa (come il Regno Unito). Per far fronte alla situazione economica, è nata l’organizzazione Frontex (dal francese frontières extérieures), è l’Agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne, fondata nel 2004, questa comporta la cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli stati membri dell’Unione europea. Il Frontex si occupa della chiusura delle frontiere terrestri con l’Europa sudorientale (confinante a nord con la Bulgaria e a est con la Turchia) e dell’ esternalizzazione delle frontiere comunitarie, onde prevenire i flussi illegali di migranti nei paesi di transito prima di arrivare in Europa (riguarda in particolar chi proviene dal Nordafrica). Malgrado la crisi economica e le frontiere, il flusso è andato crescendo di intensità e l’intera situazione si è aggravata a causa di conflitti succedutisi in Nordafrica (Libia, Tunisia, Egitto), i quali migranti sono arrivati in Italia e nel Vicino Oriente (Iraq, Siria, Afghanistan) i quali migranti si sono diretti in Grecia. Durante la Convenzione di Dublino, si è stabilito che i migranti intenzionati a richiedere protezione nell’Unione Europea, devono presentare domanda di asilo nello stato di primo ingresso. Alla luce di questa misura, gli stati che hanno ricevuto più richieste sono: Italia, Germania, Svezia, Francia e Gran Bretagna. Il documento è stato più volte criticato da dagli stati mediterranei, per mancanza di aiuti finanziari da parte degli stati settentrionali più ricchi. Tuttavia, molte richieste d’asilo non vengono nemmeno effettuate, poiché i migranti devono rilasciare le loro impronte digitali, inoltre il migrante deve rimanere in un certo paese finché il suo stato non sarà definito. Molti preferiscono andare verso Nord dove vengono riconosciuti come rifugiati politici, trovano migliori condizioni economiche e magari ritrovano anche i parenti come loro, emigrati. Numeri in aumento. I numeri dell’immigrazione irregolare sono difficili da conteggiare e le rispettive staticìstiche su sbarchi, arrivi, salvataggi, morti e dispersi, si basano sulle stime delle perosne intercettate ai confini, nel mare, o al momento dello sbarco. Il fenomeno di arrivi irregolari, caratterizzato a un forte ricorso a rotte marittime, si osserva con continuità dagli anni Novanta: nel 1999 si sono avuti 50.000 arrivi in Italia, in seguito le cifre sono ricalate e successivamente aumentate nel 2011-2013 e 2014 (oltre 170.000 le persone senza

documenti sbarcate sulle coste italiane, 3500 hanno perso la vita, mentre più di 200.000 sono state salvate nel mare), ad arrivar sono stai migranti provenienti da paesi scossi da lotte interne e violazioni dei diritti umani come Siria, Eritrea, Afghanistan e Somalia, Egitto, Africa occidentale, Corno d’Africa. Nel 2015, l’Italia ha visto sbarcare oltre 153.000 migranti. La Grecia però continua ad essere la meta più accreditata , rispetto all’Italia: la chiusura dei confini terrestri nella regione dell’Evros ha causato un aumento degli sbarchi in Grecia e in alcuni casi, i migranti sono saltati in mare per raggiungere le isole egee, rendendo la Grecia, il principale punto di ingresso dal 2015 in poi. la Turchia, oltre ad essere un paese di provenienza, è diventata anche un paese di arrivo e transito. Le rotte. Sono importanti perché il Mediterraneo fa da ponte per tre continenti. ROTTA CENTRALE: dal Niger alla Libia e alla Tunisia, porta verso l’Italia e verso Malta; ROTTA ORIENTALE: dagli stati del Corno D’Africa, all’Egitto o il Sudan e poi verso Italia e Malta, mentre alcuni passano dal Sudan e dall’Egitto, verso Grecia e Turchia, dalle quali con i barconi, cercano di raggiunger l’Italia. Altri dall’Africa nordorientale, passano ai Pesi arabi e al Vicino Oriente verso la Turchia, per sbarcare in Grecia o Bulgaria; ROTTA OCCIDENTALE: dall’Africa occidentale, si spostano attraverso la Mauritania e il Senegal per arrivare al Sahara Occidentale e al Marocco e da lì verso la Spagna e Francia, o attraverso il Mali, all’Algeria e al Marocco (tuttavia ha perso popolarità a causa dei controlli più intensi tra Spagna e Marocco). ROTTA MEDITERRANEA ORIENTALE: dal Vicino e dal Medio Oriente, attraverso l’Iran, per raggiungere la Turchia, da dove si tenta l’ingresso in Europa, passando per la Grecia, Cipro o Bulgaria. In generale: Libia, Tunisia, Algeria Italia e Malta; Marocco e Algeria Spagna e Francia; Egitto e Vicino Oriente Grecia, Turchia e Italia. Passando per il deserto del Sahara, il progetto LeFamSol di Firenze le principali ROTTE SUD-NORD: -dalla Nigeria attraverso il Niger o l’Algeria alla Libia, e da lì al Sud Italia o alla Turchia, dall’Egitto per arrivare nel Vicino Oriente; -dalla Somalia attraverso l’Etiopia o anche Eritrea e Sudan, alla Libia e al Sud Italia, mentre per arrivare in Turchia, passano da Sudan, Egitto o dai Pesi Arabi e il Vicino Oriente, fino alla Turchia.

La storia dell’Africa. La storia dell’Africa non può prescindere dal ruolo del colonialismo europeo, iniziato nel XVI secolo in forma di colonialismo commerciale, con la presenza portoghese sulle coste occidentali, ebbe il suo apice nella seconda metà del XIX secolo. Le prime invasioni europee dell’Africa si limitarono al controllo delle coste, mentre, all’interno del continente, le popolazioni africane continuarono a vivere in tribù autogovernate e in alcuni regni che avevano stabilito accordi con diverse potenze europee a partire dai portoghesi e dagli spagnoli, anche in funzione della tratta transoceanica. Il dominio europeo risale invece, alla seconda metà del XIX secolo , quando nazioni Gran Bretagna, Francia e Germania, cominciarono a vedere nell’Africa un territorio ricco di potenziale per i loro crescenti settori industriali. La colonizzazione portò a una serie di scontri, tra inglesi e francesi, in Africa orientale, tra francesi e belgi in Africa centrale. Nel 1884 , il cancelliere Otto von Bismark convocò a Berlino una Conferenza internazionale consacrata alla situazione dell’Africa, alla quale parteciparono 14 paesi tra questi Gran Bretagna, Francia, Germania e Portogallo che controllavano la maggior parte dell’Africa. Fu sancita la spartizione dell’Africa tra: Gran Bretagna, Francia,

Germania, Portogallo, Spagna, Olanda e Belgio ma questo “schema quadro” non tenne minimamente di conto dei diritti dei popoli dell’Africa in merito ai loro territori natii. Ignorando così i confini culturali e linguistici, tutti gli stati africani vennero spartiti, eccetto Etiopia e Liberia. Il risultato è un’Africa divisa in 54 stati fondata su un patchwork, fatto di linee rette e riquadri geometrici. La Francia ebbe subito un ruolo primario, occupando Senegal e Algeria. Le colonie francesi divennero indipendenti nel 1960, quando la Francia, sconfitta in Indovina e su l punto di perdere l’Algeria preferì dare avvio al processo di decolonizzazione per evitare pesanti conflitti. La Francia volle imporre il suo modello educativo e culturale alle popolazioni sottomesse, considerandosi superiore. La Gran Bretagna occupò Gambia, Sierra leone, Costa D’Oro, Nigeria, Kenya, Uganda, Tanzania, Malawi, Unione Sudafricana, popolata anche da coloni olandesi, i Boeri che finirono sotto il controllo inglese. La Gran Bretagna affidò l’educazione coloniale principalmente a missionari, il che produsse frequenti attriti con le autorità africane locali, specialmente quelle islamiche. L’Italia arrivò per ultima: dopo la Conferenza di Berlino (1885), conquistò l’ Eritrea, la Somalia e nel 1911, la Libia. Negli anni ’30, Mussolini occupò l’Etiopia che riguadagnò l’indipendenza all’inizio della Seconda Guerra Mondiale, nel 1941. Poi l’Eritrea e l’Etiopia divennero protettorati inglesi, dopo la guerra e la Somalia divenne indipendente nel ‘60. Tuttavia, molte guerre hanno sempre imperversato in questi paesi dove si succedono continuamente anche delle dittature. Dopo il processo di decolonizzazione, gli stati africani hanno mantenuto i confini che erano stati stabiliti dall’Europa, perché? Per la ricerca di stabilità. Inoltre, la coesione nazionale, di un popolo è molto difficile da ottenere. Si riporta il caso della Nigeria. Questo paese è il più popoloso dell’Africa: vi sono i FULANI a nord, gli YORUBA a sud-ovest (sono concentrati nella città di Lagos), gli IGBO a sud-est (sono stai vittima di una guerra contro la Nigeria, a causa di possedimenti di petrolio, dai quali gli igbo pesavano di essere esclusi dai profitti), ognuno a sua volta diviso in sottogruppi. Metà della popolazione professa la fede islamica, ma si incontrano anche cristiani e animisti. Il gruppo più numeroso è quello di HAUSA-FULANI, in maggioranza musulmani. Altro gruppo consistente è quello degli IJAW che non hanno per nulla beneficiato delle ricchezze del loro territorio, anzi l’estrazione petrolifera ha causato gravi danni dal punto di vista ambientale ed ecologico. Perché emigrare? La crisi economica è stata contrastata dell’UE con le misure di austerità, laddove i movimenti migratori sono diventati l’oggetto delle politiche di frontiera, concentrate in controlli più rigidi, chiusure ed esternalizzazione dei confini. Nonostante ciò, i flussi migratori aumentano: cosa spinge i migranti a spostarsi? -Per le condizioni sociopolitiche nei paesi d’origine: L’Europa continua ad attirare i migranti perché è ritenuta un luogo di benessere e di salvezza, si pensa di trovare un buon impiego ma i FATTORI DI SPINTA sono molti: la crisi, l’instabilità politica e le guerre, la mancanza di libertà civili e politiche, persecuzione e violazione dei diritti umani, servizio militare obbligatorio, cambiamenti legislativi e la Primavera araba. L’immigrazione africana in Italia. Risale agli anni ’70, quando, i primi ad emigrare in Italia, furono i marocchini e a metà degli anni ’80, cominciarono anche ad arrivare emigrati dall’Africa sub sahariana (Sahel, Golfo di Guinea, Camerun, Corno d’Africa e Kenya), per primi i senegalesi. Oggi il numero di emigrati in Italia ammonta a 1 milione di persone, con la comunità di marocchina al primo posto; ne seguono molte altre, tra cui Senegal,Nigeria, Costa d’Avorio, Burkina Faso e Camerun. Inizialmente quasi tutti i gruppi erano composti per il 99% da maschi. Tuttavia, nella comunità camerunese

si registra parità di numero tra femmine e maschi, mentre nelle comunità etiope, capoverdiana e keniote la quota femminile risulta superiore a quella maschile. Molti emigrano in Italia per un sistema giuridico più adeguato: il permesso di soggiorno non dipende necessariamente dal lavoro (come in Grecia e in Turchia) inoltre l’assistenza medico-sanitaria è garantita a tutti, immigrati e non. L’immigrazione africana nella Grecia afflitta dalla crisi. La Grecia è la principale porta d’ingresso per i migranti diretti verso l’Europa e il suo confine è diventato popolare a causa della guerra civile in Siria e Libia. L’Agenzia UE Frontex ha intensificato i controlli alle frontiere terrestri soprattutto nella regione di Evros e ciò ha spinto i migranti a collaudare nuove rotte che li portano in Turchia, Bulgaria, anche via mare spesso buttandosi in acqua per raggiungere le isole di Kos, Kios e Samos. Una volta arrestati per essere entrati in Grecia illegalmente passando dalla Turchia, si trovano davanti a un vero e proprio incubo; vengono internati in centri di accoglienza e di detenzione. Tramite il rapporto dell’organizzazione Human Right Watch, dal titolo “Greece. The EU’s Dirty hands” ha denunciato la situazione, affermando che Frontex aveva permesso un trattamento dei migranti assolutamente vietato ai sensi della legge sui diritti umani. Si sono infatti verificati casi di : stupro, violenze, maltrattamenti fisici, celle sovraffollate, assistenza medica rara. La Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha riconosciuto la Grecia colpevole di aver violato la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Tuttavia, il panorama politico in Grecia non è certamente tra i migliori in Europa. Il paese accoglie in prevalenza nigeriani ed etiopi residenti per la maggior parte ad Atene, in ghetti, edifici abbandonati, in appartamenti in affitto, altri sono negli ostelli gestiti da ONG (organizzazione non governativa). La maggioranza degli immigrati di vecchia data si sentono inoltre minacciati dal fatto di non poter rinnovare il loro permesso di soggiorno, per mancanza di lavoro, ovviamente l’apprendimento del greco sembra costituire un altro dei problemi che non permette agli immigrati di integrarsi. Molti per sopravvivere si dedicano alla vendita ambulante. In questo scenario sono nate varie organizzazioni fondate dai migranti africani. Le immigrate nigeriane, rappresentando un numero consistente, sono coinvolte nella vita associativa. Molte finiscono per essere vittime di tratta, coinvolte nello spaccio della droga e del sesso, ad eccezione delle donne somale, difficilmente approcciabili perché facenti parte di una comunità chiusa. Il fatto di dedicarsi ai lavori domestici, esclude spesso le donne da servizi sanitari. Immigrazione in Turchia. La Turchia è un paese di transito e di insediamento per chi viene da Asia e Africa. Il numero dei somali è il più alto e molti immigrati si spacciano per somali, al fine di avere più probabilità di ottenere asilo. Anche in Turchia, gli sbocchi professionali sono pochi e si incorre spesso in sfruttamento, mancanza di assistenza e discriminazione razziale; in generale, avere la pelle scura in Turchia significa non avere diritti. La condizione delle donne è ancora peggiore e per loro è impossibile accedere al lavoro, ai servizi pubblici e all’assistenza sanitaria, tutto ciò spesso poeta le donne ad essere vittime della prostituzione. Proprio per queste situazioni, l’ACNUR (alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) ha creato programmi di sostegno per i diritti umani e la solidarietà, inoltre, forniscono assistenza legale, sostegno ai rifugiati, assistenza sanitaria, alimenti e vestiti. Progetto LeFamSol. Una buona parte della ricerca è stata dedicata alla condizione sociale e lavorativa delle donne subsahariane nei paesi partner. L’emigrazione è stata motivata sia come ricerca di condizioni economiche più

soddisfacenti, sia come fuga da una diffusa mancanza di sicurezza data anche da conflitti armati. In generale, per queste motivazioni di fuga da un paese, si pensa solo agli uomini, mai alle donne che stanno aumentando di numero rispetto agli anni ’70. Gli unici luoghi in cui poter svolgere una ricerca anche sulle immigrate, sono i centri di accoglienza e le reti di solidarietà. Per capire le loro condizioni è necessario anche richiedere testimonianze personali. Tra i FATTORI FEMMINILI che spingono le donne ad emigrare troviamo: il ricongiungimento familiare e desiderio di fuggire da situazioni di violenza di genere, maltrattamenti e soprusi. La maggior parte delle immigrate proviene da Nigeria, Congo, Angola, Camerun, Costa d’Avorio, Mali e Niger. Per quanto riguarda il lavoro, gli immigrati sono impiegati in tre settori principali, almeno in Italia: nei servizi, nell’industria e nell’agricoltura. Per le donne, le opportunità di lavoro sono molto scarse. Si osserva che, soprattutto le donne provenienti dall’ Est dell’ Europa, hanno trovato impiego nella cura degli anziani e come domestiche. Certamente l’accesso a uno status giuridico e il diritto di soggiorno fornisce gli strumenti chiave per uscire dall’anonimato e per poter contrastare i meccanismi d’esclusione. Le NEO ARRIVATE necessitano di un’assistenza adeguata che possa garantire loro un percorso di regolarizzazione e di un’assistenza sanitaria (soprattutto là dove non è presenta come in Grecia e Turchia). Inoltre per integrarsi le donne devono poter disporre dei servizi erogati dl terzo settore e da associazioni che si occupano dei rifugiati (come ONG). Strategie di sopravvivenza. STRATEGIA, in antichità e designava solamente il comando dell’esercito; oggi, la strategia è un piano impiegato per conseguire i propri obiettivi con successo. Questa operazione è da correlare in relazione alle circostanze (secondo un metodo preciso). Quindi quali sono le strategie di sopravvivenze per le immigrate? Il piano d’azione dipende dalle RETI di contatto e di sostegno che si scelgono. le immigrate sono per lo più donne giovani, con diversi livelli di istruzione ma che,nonostante la loro esperienza formativa, sono pronte ad accettare qualsiasi tipo di lavoro per mantenere se stesse e i propri figli, soprattutto se si tratta di madri sole. La condizione delle donne migranti richiede quindi programmi specifici, basati sul trinomio SICUREZZA-CERTEZZA-ORDINE. Infatti, le donne costrette ad abbandonare le loro terre, non devono incorrere in nuovi MURI SOCIALI ma devono essere accettate e aiutate. La consapevolezza di genere deve convertirsi in COMPETENZA. Consapevolezza di genere come competenza di rete. Avere una “consapevolezza di genere”, significa riconoscere la rilevanza di genere nella molteplicità delle sue dimensioni sociali e comprende la differenza di ruoli e relazioni tra donne e uomini. Tutto ciò si basa sul fatto che l’esperienza umana è vista come GENDERIZZATA, ovvero regolata da una ripartizione bipolare tra uomini e donne, dominata dalle regole di genere. Nel progetto LeFamSol la consapevolezza di genere è stata contemplata in riferimento alle esperienze migratorie e alle forme associative concomitanti. La consapevolezza di genere dovrebbe quindi tenere conto di come si sentono le donne prima di proporre progetti o programmi. Pierre Bourdieu afferma che secondo lui il CAPITALE SOCIALE è il risultato del tempo e delle energie indirizzati verso scambi sociali tra gli affiliati. Questi tipi di scambi sono interpersonali, perciò si tratta di collegamento, interazione e scambio. Nascono quindi le RETI, prodotti di strategie di investimento sociale orientate verso la produzione o riproduzioni di relazioni sociali. Robert David Putnam ha distinto due tipi di capitale: bonding cioè che mira alla creazione di un legame forte tra i membri di un gruppo escludendone altri. Si tratta di unioni eccettuative come potrebbero essere i club esclusivi e bridging ovvero, creare ponti aprirsi e interagire con gli altri i reticoli sociali sono aperti a incorporare membri di diversa estrazione

culturale e economica etnica o linguistica. Si cercano relazioni di cooperazione e di sostegno reciproco. Nessuno dei due modelli deve essere visto come negativo ad esempio l’assistenza agli anziani è spesso assicurata da legami di tipo bonding, mentre quelli di tipo bridging permettono relazione di itpo più ampio, pertanto le due forme andrebbero integrate fra di loro. Il bonding permette ai membri di un gruppo di mantenere la loro cultura che grazie al bridging può essere anche connessa a quella di altri gruppi sociali. Le reti etniche costituisc...


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