-ERNST FRAENKEL- LA COMPONENTE RAPPRESENTATIVA E PLEBISCITARIA NELLO STATO COSTITUZIONALE DEMOCRATICO PDF

Title -ERNST FRAENKEL- LA COMPONENTE RAPPRESENTATIVA E PLEBISCITARIA NELLO STATO COSTITUZIONALE DEMOCRATICO
Course Diritto costituzionale
Institution Sapienza - Università di Roma
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Riassunto del libricino -ERNST FRAENKEL-
LA COMPONENTE RAPPRESENTATIVA E PLEBISCITARIA NELLO STATO COSTITUZIONALE DEMOCRATICO contenuto nel programma del Professor Luciani per l'anno accademico 2019/2020.
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Description

-ERNST FRAENKELLA COMPONENTE RAPPRESENTATIVA E PLEBISCITARIA NELLO STATO COSTITUZIONALE DEMOCRATICO Nota introduttiva Fraenkel si inserisce nell’annosa questione del rapporto tra componente rappresentativa e plebiscitaria di uno stato democratico, riservando un’importanza strategica ai PARTITI, i quali, secondo il giurista possono consentire la salvaguardia della componente plebiscitaria, dando la possibilità ai cittadini di partecipare direttamente. Ma già intorno al 1832, proprio quei partiti che erano stati definiti da Fraenkel l’àncora di salvezza del plebiscitarismo sembravano essere caduti in una trappola della rappresentatività: le infinite questioni emergenti, legate non solo all’aspetto politico ma anche a quello sociale, stavano sovraccaricando il lavoro dei partiti, i quali diventavano progressivamente sempre meno responsivi. Essi infatti tendevano a soddisfare soltanto alcuni interessi settoriali dando vita a degenerazioni della rappresentatività. Inoltre essi tendevano a lasciare la risoluzione di alcune questioni direttamente al popolo attraverso il suo intervento diretto, il che avrebbe creato ulteriori problemi se fosse esistita un’identità nel corpo elettorale, la quale però non era di certo rinvenibile, persa com’era fra i molteplici interessi. Il Parlamento continuava a perdere rilevanza espressiva, in quanto, pur continuando ad essere l’organo rappresentativo, in realtà così non era ormai più sentito dai cittadini. La dicotomia rappresentatività-plebiscitarismo costituisce fin da sempre un problema per l’uomo, il quale costantemente oscilla fra desiderio di partecipazione attiva e bisogno di delegare, desiderio di protagonismo e tranquillità del ritiro, coraggio di affacciarsi alla vita politica e paura. Soprattutto con l’avvento del capitalismo però la bilancia ha iniziato a gravare maggiormente sul lato della rappresentatività, resasi ormai necessaria con l’espansione del principio della divisione dei lavori. In questo nuovo panorama diventavano fondamentali i partiti, i quali potevano fungere da valvola di sfogo delle necessità plebiscitarie e del bisogno di attuare quei meccanismi di democrazia diretta. La lotta fra principio rappresentativo e plebiscitario viene vista dal giurista come una guerra fra RATIO ed EMOTIO, nella quale soltanto il partito può fungere da mediatore. Tale situazione subirà ancora una volta un profondo cambiamento alle soglie degli anni 2000, quando la tecnica massmediatica creerà nuovi strumenti di raccolta del consenso politico, rimescolando ancora le carte. GLI ELEMENTI ESSENZIALI DEI SISTEMI RAPPRESENTATIVI: 1234-

Divieto del mandato imperativo; Legittimazione elettorale; Priorità dell’interesse generale; Prevalenza della volontà popolare ipotetica.

Ma già partendo dal primo elemento cioè dal divieto del mandato imperativo, possiamo dire che esso non è più tale, ma è diventato soltanto una sorta di obbligazione naturale e non ha fatto altro che trasformarsi in un’ulteriore componente plebiscitaria: infatti la dipendenza degli eletti dagli elettori è sempre più forte e in grado di indirizzare l’orientamento e le decisioni dei primi; La legittimazione popolare ha invece mutato totalmente faccia con l’estensione del suffragio, divenuto oggi universale. Paradossalmente però, tale cambiamento ha causato l’effetto inverso, la base elettorale è sempre più corrosa dall’astensionismo, sia attivo che passivo, generando un deficit di rappresentanza e ritornando sostanzialmente ad un suffragio ristretto. A tale effetto si aggiunge poi la tendenza sempre più censitaria dell’elettorato passivo: svolgere campagne elettorali, ad oggi, è sempre più costoso e quindi l’elettorato passivo si restringe a pochi più abbienti.

L’interesse generale del popolo tende a scomparire nella massa degli interessi collettivi concorrenti. Non esiste più un interesse comune e non coincide con l’interesse generale, quindi vengono seguiti soltanto quegli interessi particolari degni di nota. Se precedentemente era più semplice interpretare la volontà popolare ipotetica, la quale riusciva quindi a prevalere nell’attuazione dei programmi sulla volontà popolare empirica, oggi non è più così. Le nuove tecniche informative, gli strumenti massmediologici fanno prevalere la volontà popolare empirica, generando l’imposizione di “mode politiche. POTERE DI SCIOGLIMENTO DELLE CAMERE Un punto chiave nel rapporto tra la volontà popolare ipotetica e quella empirica è visto da Fraenkel nel potere di scioglimento delle camere. Colui che dispone di tale potere infatti potrebbe fungere da cuscinetto e esercitarlo quando il Parlamento si discosta dalla reale volontà del popolo. In realtà però tale meccanismo si è rivelato inadatto ai meccanismi rappresentativi. Fraenkel infatti propende certamente per un governo parlamentare, col quale, secondo lui, è incompatibile un procedimento legislativo plebiscitario: il successo di un sistema parlamentare dipende anche e soprattutto dal fatto che i cittadini si sentono abbastanza rappresentati dai propri partiti. Tuttavia egli apre la strada al referendum abrogativo, il quale può essere utilizzato più che come espressione della volontà popolare, come strumento di controllo politico. LA COMPONENTE PLEBISCITARIA Sostenere un sistema plebiscitario di governo presuppone la conoscenza dell’esistenza di una volontà popolare unitaria, la quale si possa aprioristicamente identificare con l’interesse generale. Ma ai tempi odierni questo è ormai impossibile, lo stesso concetto di popolo non evoca più l’elemento unitario bensì quello pluralista. Quindi l’unica soluzione è un governo di tipo rappresentativo in cui la componente plebiscitaria sia comunque tutelata grazie all’azione mediatrice dei partiti. Essi assolvono quasi un ruolo istituzionale, fungono infatti da filtro per la volontà popolare empirica e la fanno giungere fin nel parlamento. Ma anche questa funzione sembra ormai del tutto superata: il partito non è più l’unico strumento a disposizione del cittadino per esercitare la sovranità, al suo servizio ne sono sorti degli altri che vengono preferiti ai partiti. Gli stessi partiti hanno perso la loro struttura originaria: da luogo di mediazione sono diventati luogo di predominanza dei leaders, dei dirigenti che hanno assunto un potere senza vincoli nell’indirizzo del partito. Quindi gli stessi partiti sono diventati strumenti del sistema rappresentativo. LA TECNICA NELLA POLITICA La tecnica, con i suoi strumenti telematici, informatici, massmediologici ha invaso il campo della politica in quella che viene definita “terza rivoluzione industriale”. Le decisioni politiche non sono più frutto di scontri e accordi fondati su un’ideologia politica, ma sono diventate mero risultato di scelte tecniche. Coloro che sono chiamati a rappresentare il popolo, non possono più farlo, in quanto si sono trasformati in meri traduttori normativi. Ogni decisione può essere verificata in base ad un metodo scientifico, non esiste interpretazione. Inoltre lo spazio di intervento pubblico si espande sempre di più, viene a comprendere materie che hanno bisogno di essere affrontate da personale altamente specializzato, tecnico appunto. I Partiti non sono più portatori di ideologie, ma soltanto sommatorie di interessi polimorfi che nulla hanno a che fare con l’interesse generale e per questo non possono più rappresentare il veicolo salvifico per la componente plebiscitaria. Spesso inoltre essi si dissolvono e poi si ricompongono formando originali aggregazioni interpartitiche, le quali seguono le mode politiche del momento.

L’unica forma di PLEBISCITARISMO è esterna sia agli organi, sia ai partiti e si risolve in interventi sulla stampa, partecipazione a trasmissioni televisive in cui i cittadini possano dire il loro parere ed esprimere le loro preferenze. BOBBIO, osservando gli effetti che si sono prodotti, invita a evitare un cattivo uso del potere scientifico, egli afferma infatti che le moderne democrazie hanno il DOVERE di porre un freno allo sviluppo e all’utilizzazione di strumenti tecnici soprattutto per l’acquisizione dei consensi politici. Le mode politiche hanno dato vita a maggioranze di tipo nichilistico, ovvero legate a particolari valori solo limitati e contingenti, destinati a svanire in un tempo ancora minore di quello in cui si sono generati.

LA COMPONENTE RAPPRESENTATIVA E PLEBISCITARIA CAPITOLO I + LA RAPPRESENTANZA consiste nell’esercizio del potere sovrano, costituzionalmente ordinato, da parte di organi dello Stato che agiscono in nome del popolo, senza mandato imperativo, legittimando la loro autorità con la pretesa di servire l’interesse collettivo del popolo e realizzare la sua volontà. Il compito di una costituzione rappresentativa è rendere attuabile la volontà popolare, in misura tale che in caso di divergenza fra la volontà popolare empirica e quella ipotetica prevalga sempre quella ipotetica. Il sistema rappresentativo si fonda su un principio di legittimità che vede l’interesse collettivo come ORIGINARIO, derivante dal diritto naturale, quindi innato e indipendente da una volontà sia collettiva che individuale.

+ IL SISTEMA PLEBISCITARIO nasce dall’idea che esista una volontà popolare unitaria e che questa sia coincidente con l’interesse collettivo; il suo compito deve essere quello di creare una situazione in cui tra volontà popolare empirica e interesse collettivo ci sia una congruenza ottimale, tale per cui in caso di divergenza prevalga sempre la volontà popolare empirica. Si fonda su un principio di legittimità basato su due elementi ritenuti connaturati nell’uomo: il diritto di voto e di partecipazione e la sovranità popolare, collettiva illimitata e inviolabile. L’interesse collettivo non è originario ma è quello stabilito di volta in volta dal popolo, il bene collettivo è DERIVATO. Colui che prima di altri assegnò il potere al popolo, chiamandolo sovrano, fu Rousseau, il quale nel Contratto Sociale afferma che il popolo vuole sempre il giusto ma che a volte egli non è in grado di riconoscere il giusto. Tuttavia Rousseau rifiuta un sistema di governo di stampo rappresentativo, soprattutto guardando alle vicende storiche a lui contemporanee o di poco precedenti. Sono gli stessi anni di un parlamento inglese totalmente degenerato, egli sostiene che gli Inglesi sono liberi soltanto quando votano e una volta che lo abbiano fatto smettono di esserlo. Secondo Rousseau il problema sta nel fatto che la rappresentanza di tale parlamento è ormai soltanto virtuale: i suoi membri hanno dato vita ad un’oligarchia totalmente separata, straniera rispetto al popolo e a lui nemica. Il pericolo dell’autodistruzione di un governo rappresentativo sta proprio in questo. Ugualmente anche il sistema plebiscitario ha in se’ il germe dell’autodistruzione che si realizza quando la comunità politica preferisce una sola persona al governo piuttosto che un gruppo di persone, in quanto essa da sola può facilmente simbolizzare la volontà collettiva, cosa che non potrebbero fare un gruppo di persone portatrici ognuna di un interesse sociale diverso e quindi, almeno apparentemente, in contrasto. Come è facilmente intuibile, questo apre le porte a una dittatura cesaristica che fa perire il sistema plebiscitario.

CAPITOLO II Una voce opposta a quella di Rousseau è quella di Burke, l’uomo che ha dato la definizione del mandato imperativo e che lo ha dichiarato incompatibile con il sistema rappresentativo. Burke giunge a tale pensiero osservano le vicende della monarchia inglese ed in particolare il regime personale di Giorgio III. Egli ritiene che il parlamento abbia una doppia pretesa monopolistica, consistente nella: -pretesa di essere titolare della sovranità -pretesa di essere interprete autentico del bene collettivo. Burke afferma che, se il Parlamento vuole mantenere tale doppia pretesa, debba ricusare il mandato imperativo e riconoscere la necessità della formazione di partiti in parlamento. Infatti, per essere indipendente nei confronti della corona, esso deve offrire, tramite la creazione di maggioranze compatte, la garanzia che è possibile costituire in ogni momento un governo capace di agire politicamente. Il rifiuto del mandato imperativo serve in primo luogo a rendere il parlamento inglese indipendente e sovrano sia rispetto al popolo sia rispetto alla Corona, ma serve anche ad evitare che vengano soffocati quei valori fondamentali, facilmente dissolvibili da elementi soggettivi e volontaristici: Burke afferma che, se un deputato è in grado di raggiungere cognizioni giuste soltanto guardando alla sua coscienza, allora anche gli altri membri potranno farlo. Il bene comune potrà essere tutelato solo con una forma di collaborazione in cui ognuno agisce secondo coscienza e elementi oggettivi accessibili anche agli altri deputati. Quando invece uno di questi soggetti poggi la sua decisione su elementi personali, legati al proprio vissuto e quindi soggettivi, non sta lavorando per il bene comune. Quel bene collettivo che inizialmente veniva fondato su convinzioni giusnaturalistiche (cioè sull’affermazione del bene collettivo come valore originario e non derivato) in Burke viene invece fondato su convinzioni opportunistiche-sociologiche. In questa nuova prospettiva, l’interesse generale, così come pluralisticamente formato, può essere tutelato solo tramite l’ascolto e la considerazione di tutti i gruppi che di questi interessi si fanno portavoce. Pian piano però questo interesse così differenziato l suo interno venne sempre più avvicinato alla volontà popolare empirica, piuttosto che a quella ipotetica. Sull’onda di questo cambiamento anche l’elezione del Parlamento si stava trasformando da plebiscito personale a plebiscito reale, fino all’enunciazione della “mandate theory” e all’illimitato diritto della corona di sciogliere le camere. In realtà però il processo di trasformazione da costituzione rappresentativa a costituzione plebiscitaria in Inghilterra non si era ancora realizzato, anche grazie o a causa della struttura peculiare dei partiti inglesi: essi sono derivati da organi ausiliari dei gruppi parlamentari e, in quanto strutture serventi, dipendono nelle loro decisioni dalle direttive dei capi parlamentari. Questo meccanismo fa si che il parlamentarismo sia conservato e che gli spiragli di plebiscitarismo, che consentono al popolo di decidere sulle questioni che appaiono politicamente rilevanti, non mutino la funzione di governo e parlamento, pur sempre organi rappresentativi dello stato.

CAPITOLO III – U.S.A. Negli Stati Uniti è stato fatto un primo tentativo di creare un governo che comprendesse sia l’una che l’altra componente. Alle origini però i padri costituenti hanno espresso la volontà di creare per la confederazione una costituzione fondamentalmente antiplebiscitaria, memori degli anni immediatamente seguenti alla prima guerra di indipendenza. Già a partire dalla Costituzione del 1787 gli americani hanno dato vita ad una suddivisione tra la componente rappresentativa e quella plebiscitaria. Originariamente, almeno per le prime 3 elezioni presidenziali, la prassi costituzionale era la seguente:

-il popolo eleggeva i corpi legislativi dei singoli stati della federazione; -tali corpi legislativi eleggevano il collegio degli elettori delegati; -il collegio degli elettori delegati eleggeva il presidente. Venivano chiamate “elezioni mediate”. Le norme elettorali in materia di elezione presidenziale cambiarono e divennero di stampo plebiscitario solo successivamente. In quel momento i cittadini non solo potevano eleggere il presidente, ma potevano anche influenzare la scelta di chi dovesse candidarsi. In particolare questo accadde dopo la rivoluzione di Jackson, quando furono inventati i partiti di massa e i congressi di partito, tenuti dai delegati delle organizzazioni locali di partito. Quando ciò è avvenuto ci si è chiesti se questa componente plebiscitaria non fosse in grado di distruggere la componente rappresentativa, generando il pericolo di una dittatura cesaristica. Anche Marx si espresse sulla questione evidenziando il fatto che in questo modo l’assemblea nazionale sarebbe stata unita al popolo da un rapporto meramente metafisico, mentre il presidente lo sarebbe stato in un rapporto personale. In realtà la componente rappresentativa vivente nel corpo del Congresso non è mai andata distrutta e si è mantenuta immutata accanto a quella plebiscitaria che consentiva al popolo di eleggere il suo Presidente; questo è accaduto perché il Congresso riflette ancora i molteplici aspetti dello spirito nazionale. Gli stati uniti si sono formati come un paese federale per mantenere proprio quel carattere eterogeneo del suo popolo e per far sì che i particolarismi e le minoranze di ogni tipo fossero rispettate e non cancellate dalla maggioranza. Schmitt nel Federalista aveva affermato che, grazie alla sua estensione territoriale, uno stato come quello creava da solo la garanzia sufficiente per lo sviluppo di una costituzione libertaria, perché può dar vita a uno stato pluralista che, come tale, allontana lo spettro del dispotismo. Nonostante il pericolo che si è corso durante il 20esimo secolo con la forte centralizzazione di governo soprattutto nel periodo di Roosevelt, l’elemento rappresentativo non è stato assorbito dal plebiscitario e questo dipende da un fattore: I PARTITI HANNO MANTENUTO LA LORO CARATTERISTICA DECENTRATA. Nonostante il presidente sia il capo di un partito, esso al suo interno non ha potere, quindi non può esercitare nessuna influenza sui membri del Congresso che appartengono al suo partito. Il Congresso rimane indipendente. Vi è inoltre una norma costituzionale che tutela indirettamente tale indipendenza prescrivendo l’incompatibilità, che impedisce al capo e ai membri del governo di appartenere ad un gruppo del congresso. Il senato e la camera dei rappresentati sono quindi indipendenti e non responsabili dell’agire del governo anche quando appartengono allo stesso partito del capo del governo. IN DEFINITIVA IL PRESIDENTE NON HA IL POTERE DI INFLUENZARE I MEMBRI DEL CONGRESSO MINACCIANDO UNO SCIOGLIMENTO DEL PARLAMENTO. CAPITOLO IV – U.S.A. Altra questione sempre attinente all’ordinamento statunitense è quella della legislazione diretta. L’INIZIATIVA POPOLARE e il REFERENDUM si sono sviluppati in America solo sul finire del 19esimo secolo sull’onda riformistica. Le riforme proposte miravano soprattutto a modificare la situazione generata dalla STRUTTURA DEI PARTITI AMERICANI DELL’EPOCA. Infatti, mentre la costituzione americana stabiliva l’onnipotenza della volontà popolare, il meccanismo partitico la azzerava completamente: la figura chiave della questione era il c.d. Boss, il quale dominava senza alcun limite, grazie al suo apparato, all’interno del partito, nominando a propria discrezione i candidati di partito per i posti pubblici. Ne derivava il suo forte controllo tanto sul partito quanto sul parlamento.

Il compito dei partiti americani, come quello di tutti i partiti, sarebbe stato quello di mediare la volontà popolare empirica; con il meccanismo clientelare dei bosses invece questo non accadeva, anzi la volontà popolare empirica era del tutto annientata. Il partito doveva comunque sempre agire compatto, almeno di fronte agli occhi esterni, e tale compattezza doveva verificarsi soprattutto in occasione dei plebisciti: un partito che non avesse seguito una linea comune ed unitaria in un plebiscito avrebbe sicuramente finito per sfaldarsi. Infatti, Bryce afferma che il plebiscito non è altro che una sorta di esercitazione partitica extraparlamentare attraverso la quale viene reso più difficoltoso il gioco delle forze politiche fra maggioranza e opposizione; in occasione di un plebiscito infatti il peso politico si sposta totalmente dai gruppi parlamentari ai partiti, generando una stortura della stessa struttura. Proprio in base a ciò Bryce dichiara la incompatibilità della legislazione diretta con il sistema di governo parlamentare. E, ancora una volta, ripete che la vitalità di un sistema di governo parlamentare risiede nel fatto che i suoi cittadini si sentono sufficientemente rappresentati e non sentono invece il bisogno di esprime la propria volontà, in quanto questa è adeguatamente mediata dai partiti. MA QUANDO LA VOLONTA’ EMPIRICA NON PUO’ PIU’ ESSERE MEDIATA DAI PARTITI ALLORA CHIEDERA’ O COMUNQU...


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