Essere e tempo - Riassunti dettagliati PDF

Title Essere e tempo - Riassunti dettagliati
Course Filosofia e scienze dell'educazione
Institution Università degli Studi Gabriele d'Annunzio - Chieti e Pescara
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Riassunti dettagliati ...


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La figura di Heidegger e la rilevanza di Essere e tempo Martin Heidegger può essere considerato un classico della storia del pensiero. La sua riflessione sul problema dell’essere spicca nel panorama filosofico per l’impostazione originale e per le possibilità che offre, di affrontare in nuovi modi questioni ampiamente dibattute nel passato. Essere e tempo è stato il libro che ha sollecitato percorsi originali della riflessione novecentesca. Che genere di libro è Essere e tempo? Essere e tempo è un libro incompiuto infatti è possibile notare che la trattazione del tema indicato dal titolo - il legame tra «essere» e «tempo» - avrebbe dovuto prevedere due parti, ciascuna delle quali sarebbe stata suddivisa in tre sezioni. La prima parte, secondo il progetto lì tratteggiato, ha il compito di analizzare l’ente che noi stessi siamo, quello che Heidegger chiama «esserci». Per la seconda parte, invece, è annunciata l’intenzione di compiere un approfondimento di alcuni momenti della storia del pensiero in cui è stato affrontato il problema dell’essere. In questo confronto con la tradizione filosofica, Heidegger intende condurre un’indagine critica delle posizioni di alcuni pensatori precedenti. Il contesto e la genesi di Essere e tempo Per comprendere le questioni affrontate da Essere e tempo è necessario riferirsi ai documenti heideggeriani precedenti. Dopo aver conseguito nel 1913 il dottorato in filosofia, dopo aver ottenuto nel 1915 la libera docenza, Heidegger insegna in maniera continuativa presso la stessa università friburghese in qualità di libero docente e di assistente di Husserl fino al 1923. I corsi universitari tenuti da Heidegger sono dunque particolarmente importanti per comprendere la genesi e la struttura di Essere e tempo. Tre sono i motivi principali che emergono da questi numerosi scritti che troveranno nell’opera pubblicata nel 1927 una particolare elaborazione: 1. confronto tra neokantismo e fenomenologia di Husserl 2. ricerca che è finalizzata all’elaborazione di una originale «filosofia ermeneutica» 3. ripensamento e la riproposizione della questione dell’essere in una prospettiva nuova: quella che mira a cogliere l’essere nella sua intrinseca temporalità e che ritiene, per raggiungere un tale scopo, di dover partire dall’analisi di un ente privilegiato, quello che noi stessi siamo. Il confronto con il neokantismo e con la fenomenologia Il problema dell’essere non è, inizialmente, il tema principale dell’indagine heideggeriana infatti, Come mostrano gli scritti giovanili, altri sono gli interessi che dominano gli esordi della riflessione di Heidegger. Questi interessi, ovviamente, sono influenzati dal pensiero filosofico di quell’epoca: un’epoca contrassegnata in particolare da alcune tendenze filosofiche dominanti. Anzitutto vengono ripresi i motivi della filosofia di Kant (neokantismo) per fondare non solo le scienze della natura ma anche le scienze dello spirito. In parallelo si determinano originali sviluppi sia sul versante della logica formale sia nell’ambito della fenomenologia di Husserl, la cui prospettiva è inaugurata dalla pubblicazione dei due volumi delle Ricerche logiche. Uno degli elementi che accomunano queste diverse tendenze della riflessione filosofica è dato dalla netta opposizione all’approccio del cosiddetto «psicologismo»: un atteggiamento diffuso caratterizzato dalla convinzione che le leggi logiche possano essere fondate riportandole alle modalità di funzionamento della psiche dell’uomo. Husserl proprio nella prima parte pubblicata delle Ricerche logiche propone una critica nei confronti delle posizioni dello psicologismo, sostenendo la necessità di sviluppare una dottrina dell’intenzionalità, in grado di cogliere quelle leggi pure del tutto irriducibili alle modalità psicologiche del loro attingimento, che sono alla base di ogni pensare. Sollecitato da questi problemi, Heidegger si contraddistingue per una posizione originale, infatti, al progetto di una logica «pura» elaborato da Husserl egli contrappone quello di una logica «impura» che partendo dalla vita intende cogliere, nella vita, la vita stessa. La vita quindi , si configura propriamente come quel fenomeno

privilegiato che richiede lo sviluppo di una «scienza dell’origine»→ fenomenologia → chiamata a descrivere le modalità in cui si articola la vita «in e per se stessa», nella sua «fatticità» → il suo compito è quello di considerare soprattutto il come qualcosa è. L’ermeneutica della vita cristiana Se dunque non è possibile pretendere di cogliere i fenomeni originari nella loro datità immediata , bisogna allora identificare un’altra modalità di ricerca che consenta di cogliere in maniera mediata, ciò che non può affatto essere fissato in termini oggettuali. L’ermeneutica, cioè la dottrina dell’interpretazione, sviluppata nel contesto religioso ebraico-cristiano a partire dall’esigenza di delucidare situazioni e testi il cui significato non risultava immediatamente accessibile o chiaro, viene incontro, appunto, a una tale esigenza. Proprio per questo l’indagine filosofica di Heidegger s’indirizza all’approfondimento del «senso» → orizzonte che consente di comprendere l’esserci dell’uomo. Il compito di elaborare una «logica ermeneutica» s’impone in tal modo nell’orizzonte dell’indagine heideggeriana. Non è un caso, dunque, che all’inizio degli anni venti Heidegger si dedichi per questo scopo all’interpretazione di alcuni momenti della vita cristiana. Va detto però che una tale attenzione non risulta affatto qualcosa di nuovo nel quadro dello sviluppo del pensiero di Heidegger. Da un punto di vista biografico, essendo figlio di un sacrestano, aveva potuto studiare grazie al sostegno finanziario di alcune istituzioni religiose, aveva pensato di farsi gesuita. All’inizio del 1919 Heidegger prese definitivamente le distanze dagli esiti dogmatici del cattolicesimo poiché riteneva problematico il suo sistema; decise allora di dedicare il suo impegno alla ricerca e all’insegnamento della filosofia: una filosofia che non accoglie alcuna opzione di fede e che si configura come «a-tea per principio». Il carattere «performativo» dell’indagine di Essere e tempo Un’analisi sulla vita nella sua fatticità può essere svolta solo muovendo dalla vita e mantenendosi in essa. L’esercizio di questa ricerca viene fin dall’inizio pensato da Heidegger come una modalità nella quale la vita dell’uomo si annuncia e si sviluppa. Dunque filosofare consiste nel far sì che un determinato contesto venga in luce e trovi, in virtù di una specifica indagine filosofica, la sua adeguata espressione. Questo carattere si presenta anche all’interno di Essere e tempo anche se in quest’opera mutano i riferimenti filosofici e il vocabolario connesso alla tematica della vita viene sostituito da quello legato alle nozioni di “essere” ed “esistenza”. La ricerca così non è relativa solo alla comprensione dell’essere ma rappresenta anche la maniera in cui viene posta in pera una certa possibilità d’essere che è data all’uomo e che egli è in grado di realizzare oppure no. Il fascino di Essere e tempo sta proprio nel fatto che esso rappresenta non solo una ricerca ma anche una realizzazione delle questioni stesse delle quali si occupa nella propria indagine. Questo libro, quindi, può essere considerato come una sorta di “romanzo della formazione”. L’impianto logico di Essere e tempo Uno dei modi in cui Heidegger si differenzia dalla fenomenologia husserliano è dato dalla sua volontà di collocare l’indagine fenomenologica all’interno di ciò che viene chiamato prima “vita” e poi “esistenza”. Emerge un tipo di indagine filosofica intesa come fenomenologia impura nella quale si impone la consapevolezza che per analizzare in maniera adeguata ciò che si offre allo sguardo del filosofo, è necessario cogliere i pregiudizi che risultano operanti nella sua comprensione. L’approfondimento in questo senso della fenomenologia viene indicata da Heidegger con il nome di ERMENEUTICA → per Heidegger rappresenta il modo in cui trova sviluppo e articolazione l’indagine ontologica. In questo modo si può comprendere la particolare struttura che contraddistingue il procedere dell’interpretazione nel contesto di Essere e tempo. Secondo Heidegger l’ente che noi siamo può rapportarsi a tutto ciò che è (1. ENTI CONSIMILI 2. ENTI DISSIMILI, es. animali) solo perché questo rapporto risulta mediato da una particolare comprensione dell’essere. Il modello a due termini (INTENZIONALE-ININTENZIONALE) della teoria della conoscenza dei filosofi nokantiani viene sostituito nell’ermeneutica di Heidegger da una relazione a TRE TERMINI (COMPRENDENTE - COMPRESO - CONDIZIONE DELLA COMPRENSIBILITA’)

all’interno della quale l’essere risulta la condizione per comprendere gli altri enti. Heidegger identifica 4 modi di essere che rendono possibile altrettanti tipi di relazione: 1. quando abbiamo a che fare, nel nostro agire quotidiano, con le cose che ci circondano, lo possiamo fare perché il loro senso ci è già dischiuso come quello di enti che possono essere utilizzati, dal momento che risultano “a portata di mano” 2. quando intendiamo l’ente come qualcosa che semplicemente sussiste e che è dato come oggetto di attenzione volta a conoscerlo, la considerazione tematica è possibile perché la cosa è concepita nella sua oggettività, come qualcosa che è “sotto mano” 3. quando il rapporto è con gli animali la comprensione è guidata dall’assunzione dell’essere come vita 4. quando è in gioco la relazione dell’esserci a se stesso diventa centrale la comprensione del proprio essere in termini di esistenza. L’indagine di Heidegger non si limita ad un’analisi della comprensione degli enti, egli vuole comprende l’essere in quanto tale perché solo cos’ la sua filosofia può configurarsi come ontologia. A questo scopo il modello a 3 termini nelle sue 4 determinazioni è destinato ad articolarsi ulteriormente. Sulla struttura a triangolo che permette di comprendere gli enti si innesta un’altra struttura, anch’essa a 3 termini. In questo nuovo contesto ‘orizzonte della comprensione è offerto dal TEMPO → senso dell’essere assolutamente inteso, non è qualcosa di differente e di separato dall’essere, ma lo costituisce. L’essere infatti è temporale e caratterizzato da una dinamicità. Il «divenire» dell’essere Heidegger ha sottolineato il carattere dinamico che è proprio di ogni fenomeno. Poiché “fenomeno” è un termine che indica ciò che appare e poiché all’indagine filosofica interessa considerare non solo il risultato della manifestazione ma anche il processo di questo manifestarsi, è necessario un linguaggio capace di cogliere questa dinamica. La necessità di pensare ed esprimere il movimento è uno dei compiti che la fenomenologia deve assumersi. Questo compito può essere assolto traducendo in forma verbale tutte quelle nozioni che solitamente vengono espresse mediante un sostantivo. In Essere e tempo quindi il termine “essere” viene considerato secondo un’accezione verbale. In questo modo si comprende il legame stretto tra l’essere e il tempo. Se il movimento è connesso con il tempo è evidente che un’indagine che vuole cogliere l’essere nel suo carattere di dinamicità non può prescindere dall’approfondimento di quella temporalità in base alla quale si struttura e può essere compreso il movimento dell’essere, inteso come fenomeno. Realtà e possibilità La storia della filosofia mostra le difficoltà alle quali va incontro con il tentativo di considerare il movimento in quanto tale: nella riflessione aristotelica, ad esempio, ciò che è dinamico viene ricondotto a qualcosa di immobile. Questa interpretazione del movimento va compresa alla luce di un altro assunto fondamentale del pensiero di Aristotele espresso nel IX libro della Metafisica. “L’atto è anteriore alla potenza”→ se la potenzialità di una cosa è intesa come principio del suo movimento, alla base di essa vi dev’essere qualcosa di compiuto, non affetto da ulteriori dinamiche. Heidegger mira a rovesciare questo assunto e questo emerge nelle pagine di Essere e tempo. Verso la fine del paragrafo 7 afferma “più in alto della realtà sta la possibilità”. E’ indubbio quindi che l’introduzione del tema del possibile intesa nel senso della potenzialità e del poter essere sono dei presupposti decisivi nel contesto dell’argomentazione di Essere e tempo. Attuando questo rovesciamento della posizione aristotelica l’essere può essere pensato nel suo carattere di movimento senza concepirlo all’interno di un orizzonte di stasi. Nell’opera viene introdotto il concetto di “poter essere” attraverso il quale Heidegger articola la dinamicità dell’essere che non ha mai modo di realizzarsi definitivamente. In questo quadro però resta da capire come è possibile parlare di un movimento senza determinarlo e fissarlo mediante parole. L’esigenza sentita da Heidegger di prendere le distanze da un linguaggio incapace di cogliere il movimento, lo porta ad intraprendere un tentativo di decostruzione

sistematica della storia dell’ontologia. Questo spiega il distorcimento del linguaggi filosofico che Heidegger compie in Essere e tempo. Es. “-“ TRATTINI BREVI → ciò che viene espresso in più parole dev’essere inteso come un fenomeno unitari. Essere e tempo in traduzione italiana L’ultimo aspetto che bisogna considerare riguarda la traduzione in italiano del lessico di Essere e tempo. In Italia è stata importante la traduzione di Essere e tempo curata da Pietro Chiodi Questa versione è stata davvero di grande significato, non solamente perché ha contribuito in maniera decisiva alla diffusione del pensiero di Heidegger nel nostro paese, ma soprattutto perché ha reso possibile il formarsi, all’interno del dibattito filosofico italiano, di un lessico heideggeriano.

CAPITOLO PRIMO _______________________________________________________________________________________ NECESSITA’, STRUTTURA E PRIMATO DEL PROBLEMA DELL’ESSERE 1 NECESSITA’ DI UNA RIPETIZIONE ESPLICITA DEL PROLEMA DELL’ESSERE Il problema dell’essere è oggi caduto nella dimenticanza a causa della presenza di 3 pregiudizi: 1) l’essere è concetto più generale di tutti → non equivale a dire che sia il concetto più chiaro di tutti, anzi, è il più oscuro 2) il concetto di essere è indefinibile → non esime dal compito di indagare su questo concetto. L’essere è indefinibile perché non può essere determinato partendo da concetti superiori o muovendo da nozioni inferiori. 3) Quello di essere è un concetto ovvio → ciascuno comprende cosa significa essere ma come afferma Hegel, il noto non è conosciuto: ciò che appare vicino risulta invece il più lontano. E’ necessario quindi riprodurre la domanda sul senso dell’essere Il problema dell’essere manca di una soluzione e la via per giungere a questa soluzione rimane oscura we priva di guida, pertanto bisogna reimpostare adeguatamente la questione

2 LA STUTTURA FORMALE DEL PROBLEMA DELL’ESSERE Il problema del senso dell’essere deve essere posto. Porre un problema significa cercare di conoscere l’ente quanto al suo essere così. Ogni cercare ha tre momenti: 1) Ciò che è cercato→ l’essere 2) Ciò che è interrogato → l’ente 3) Ciò che è ricercato → il senso dell’essere Il punto di partenza della ricerca è una comprensione vaga dell’essere, in cui comprendiamo l’essere ma non siamo in grado di stabilire concettualmente il significato dell’essere. Il cercato è l’ESSERE, ciò che determina l’ente in quanto ente. L’ente è ciò che è e proprio perché essere significa essere nell’ente, l’ENTE sarà l’interrogato. Il SENSO DELL’ESSERE è il ricercato, ovvero il termine finale del cercare. →ENTE= tutto ciò di cui parliamo, ciò a cui pensiamo, ciò che noi siamo. Tra questi enti ce n’è uno che spicca più degli altri ed è quell’ente che siamo noi stessi (DASEIN→ esserci). L’esserci è quell’ente che si contraddistingue rispetto agli altri per il suo rapporto privilegiato con l’essere suo proprio e con l’essere in generale. Qui emerge un altro momento importante del domandare: il RICHIEDENTE. In questo modo si delinea il cammino che Heidegger intende seguire: egli non vuole determinare l’essere nelle sue modalità (il CHIESTO) né vuole svolgere un’indagine dell’ente originale (l’INTERROGATO), ma vuole indagare quell’ente particolare (il RICHIEDENTE) nel quale l’essere stesso si determina. Questa impostazione però suscita una perplessità: se l’essere deve indagare su ciò che conosce già, la ricerca non assume un andamento circolare? Questa circolarità è una caratteristica del fare ermeneutica. In questa argomentazione non si ha a che fare con un procedimento dimostrativo poiché non si fissa un

principio dal quale trarre delle conseguenze fondate; ma si è guidati da una VISIONE ORIENTATIVA che è data da una comprensione vaga dell’essere e ciò che si vuole guadagnare è una determinazione filosofica di questo tema. 3 IL PRIMATO ONTOLOGICO DEL PROBLEMA DELL’ESSERE L’essere è sempre l’essere di un ente. La totalità degli enti può diventare il campo in cui scoprire particolari ambiti di cose (natura, linguaggio, spazio..), i quali possono divenire oggetti di specifiche indagini scientifiche. L’indagine scientifica compie la demarcazione e la prima fissazione degli ambiti di cose in modo ingenuo e grezzo pecè guardando ai particolari, si dimentica dell’insieme del sapere. La conseguenza è l’insicurezza da parte delle scienze circa l’oggetto di cui devono occuparsi e i concetti fondamentali su cui poggiare le basi. Il sospetto è che la crisi non riguardi le singole scienze ma l’essere umano stesso e cioè l’ente che per eccellenza si interessa del mondo e lo sottopone ad analisi. A ben vedere, non è la singola scienza che determina quali sono gli oggetti di sua competenza, ma è l’esistente umano (l’esserci) che ritaglia il mondo in scompartimenti a seconda del modo in cui lo vede; questo ”matematico”, questo “fisico”, questo “biologico” e così via. Cioè l’uomo possiede già un’idea del mondo ancor prima di studiarlo. Ne consegue che, se tutta la scienza è in crisi, è perché l’uomo non sa più riflettere sul suo stesso fondamento, e l’indagine che sola può istituire i concetti fondamentali è null’alto che l’interpretazione dell’esserci rispetto alla costituzione fondamentale del suo essere. La spiegazione delle varie scienze deve partire dall’ esserci; se per esempio sostenessimo di comprenderci attraverso la natura morta (le scienze naturali ci dicono ciò che siamo), Heidegger replicherebbe che non è così perché il nostro essere spiega le scienze naturali. Pertanto devono essere primari l’esserci e la ricerca ontologica he prende in esame il senso dell’essere. 4 IL PRIMATO ONTICO DEL PROBLEMA DELL’ESSERE Entrando nel merito dei termini: ONTICO (fattuale) vuole indicare tutto ciò che concerne le singole cose in quanto sono; ONTOLOGICO (comprensione del fattuale) è ogni discorso inerente all’essere in sé, al tutto. Quindi: PRIMATO ONTOLOGICO del problema dell’essere è il fatto che tale questione precede ogni altra questione che l’uomo si pone; PRIMATO ONTICO è invece il fatto che l’esistente umano , per comprendere l’essere, deve comprendere se stesso in quanto esserci, in quanto ente privilegiato capace di interrogarsi sull’essere; ente privilegiato cui l’essere, cioè, si manifesta. Se la caratteristica esistenziale dell’esistente umano (dell’esserci) è quella di rivolgersi a se stesso, al proprio essere, questo modo di comportarsi non possiamo che chiamarlo ESISTENZA. Heidegger prosegue delineando due concetti: 1) Comprensione ontica → concerne l’esistenza concreta di ognuno 2) Comprensione ontologica → propone di indagare teoreticamente le strutture fondamentali dell’esistenza CAPITOLO SECONDO _______________________________________________________________________________________________ IL DUPLICE COMPITO NELL’ELABORAZIONE DEL PROBLEMA DELL’ESSERE. IL METODO DELLA RICERCA E IL SUO PIANO 5 L’ANALITICA ONTOLOGICA DELL’ESSERCI COME OSTENSIONE DELL’ORIZZONTE PER L’INTERPRETAZIONE DEL SENSO DELL’ESSERE IN GENERALE I due compiti fondamentali che sono propri dell’indagine sull’essere sono l’analitica ontologica dell’esserci e la distruzione della storia dell’ontologia. Lente tende a comprendere il proprio essere in base all’ente con cui si rapporta, ossia il mondo. Ma, come afferma Heidegger ciò che risulta onticamente più vicino è in realtà, da un punto di vista ontologico, quanto di più lontano vi possa essere. Bisogna essere capaci di prendere...


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