geografia di un interno PDF

Title geografia di un interno
Author CHIARA BELFI
Course storia dell'arte moderna
Institution Nuova Accademia di Belle Arti
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Summary

riassunti ben scritti. ...


Description

IL VISSUTO DEGLI ALTRI L’idea di spiare l’intimità domestica va tracciando un percorso storico che punta alla progressiva distruzione tra spazio pubblico e privato. Gli spazi reali e gli spazi virtuali appaiono sempre più aperti ed esposti verso l’esterno: una dimensione caratterizzata dalla trasparenza, essa diventa un modello di comunicazione che privilegia l’ostensione. Questa “vetrinizzazione visuale” divenne in breve tempo oggetto di dibattito in tutti i campi dell’arte e anche per sociologi, psicologi che hanno contribuito a produrre un effetto moltiplica della riflessione sulla trasparenza ed ha quindi ampliato questo fenomeno. L’origine di questo fenomeno appaiono in un sistema di trasformazioni sociali più complesso. Questo tema è principalmente legato all’architettura ed al nuovo rapporto tra interno ed esterno, spazio urbano e spazio quotidiano, hanno una seri di riscontri anche a livello storico. Secondo i precetti della cultura calvinista con l’esplicitazione del privato garantisce l’assenza di possibili trasgressioni, per questo le case olandesi del XVII secolo sono un esempio per le grandi finestre prive di tende che mostrano interni domestici visibili. Allo stesso tempo però guardare all’interno della casa era un’azione riprovevole. Nel’700 con la comparsa della vetrina nasce la dimensione di spettacolarizzazione delle merci che determinerà gli sviluppi successivi della cultura occidentale. Vanni Codeluppi scrive “la vetrinizzazione sociale” in cui scrive che la vetrina ha stimolato il senso della vista e con questa nasce la vera e propria passione voyeuristica. La vetrina crea un nuovo modello di comunicazione che si basa sull’istantaneità del messaggio e del consumo che risulterà caratterizzare il processo di spettacolarizzazione degli individui della società. L’uomo diventa oggetto di osservazione degli altri, i grandi magazzini sono le strutture architettoniche per eccellenza dove le merci sono esposte sfruttando il concetto di spettacolarizzazione delle merci ed anche degli individui che vi si aggirano. Un grande contributo però è dato dalla nascita delle grandi Esposizioni Universali la prima nel 1851 a Londra con la costruzione del Crystal Palace, questa architettura raccoglie il possibile potenziale creativo del ferro e del vetro. Con le Esposizioni Universali si raccoglievano le merci di tutto il mondo che poi venivano esposte ad un ampio pubblico ottenendo grande successo, grande spettacolarizzazione degli oggetti. “Crystal Palace” 1850 A Londra si riunisce la commissione per indire un concorso per definire quale sarà il progetto vincitore per la realizzazione dell’architettura dell’esposizione universale. Chi vince è un costruttore di serre Joseph Patxon che presenta un progetto che sbaraglia tutti gli altri poiché ha delle caratteristiche innovative che fa ricredere i giudici. Caratteristiche: flessibilità Verrà realizzato in ferro e vetro sfruttando la produzione in serie e quindi il progetto può essere allargato o ristretto a seconda delle esigenze. Inoltre i vari pezzi possono essere smontati e rimontati ulteriormente quindi permette anche di trasportare la stessa architettura in un luogo differente. Vennero scelti questi materiali poiché si pensava che non potessero bruciare e quindi fossero più resistenti. Patxon insomma realizza una grande serra ma risolve anche alcune problematiche delle serre: studia un sistema di canalizzazione dell’acqua di condensa che corre all’interno di canali nei pezzi di ferro e poi verrà trasportata in un serbatoio e filtrata, così l’acqua verrà riutilizzata. L’idea delle esposizioni influenzerà le architetture che seguiranno per l’utilizzo del ferro e di grandi vetrate per coprire dei ampli spazi con anche degli ottimi risultati estetici. Prendono spunto da questo non solo i grandi magazzini ma anche le stazioni, le gallerie di passaggio.

Affida la decorazione interna dell’architettura al suo amico Owen Jones che si occupava della grammatica orientale per i motivi decorativi. Lui aveva ridisegnato motivi di chiese di vari e altre culture che serviranno per il suo repertorio artistico. Consiglia di dipingere la struttura intera di ferro di colore grigio azzurro che spariva. La struttura diventava un enorme contenitore neutro e metteva a risalto ciò che c’era all’interno. Inoltre nella struttura vengono realizzate piattaforme mobili e doppi livelli, e all’interno vengono inglobati anche gli alberi del parco. 1914 Paul Schebart scrive un trattato sull’architettura in vetro, per certi versi una versione profetica sul tema della trasparenza scrivendo che si si vuole elevare il nostro livello di civiltà introducendo un’architettura di vetro che lascia entrare l’esterno, non solo attraverso le finestre, ma anche nel maggior numero possibile di pareti, costituite interamente in vetro. 1929 Van der Rhoe propone nel Barcelona Pavillion il prototipo ideale di una casa moderna realizzata interamente di superfici e piani perpendicolari tra loro. Qui la distruzione della distinzione tra interno ed esterno la troviamo attraverso i materiali del marmo, dell’onice, della pietra alternati alla materia del vetro che apre gli ambienti verso l’esterno. Molti mettono in atto nei propri progetti abitazioni aperte sul paesaggio, soprattutto sviluppate nella tipologia del grattacielo. Viene attribuito alla trasparenza un significato che non corrisponde unicamente ad un ideale estetico ma che viene assunto come ideale della società. Questa modalità del abolimento tra spazio pubblico e privato la troviamo principalmente nella filmografia di Hitchcock e nei quadri di Hopper. “Colazione da Tiffany” presenta anche questa modalità in cui il gioco tra interno ed esterno compie il ruolo principale della narrazione. I personaggi si muovono da un piano all’altro dell’edificio, l’ingresso, la scala, le finestre, le scale antincendio sono utilizzati come una cerniera tra i due protagonisti e lasciano sempre intravedere gli interni delle abitazioni. Attraverso i dettagli che vediamo delle due differenti abitazioni possiamo delineare i profili dei protagonisti e i loro stili di vita. Questa forma di vetrinizzazione si è sempre più diffusa fino a diventare la metafora della comunicazione attuale. Alcuni programmi televisivi introducono così la realtà all’interno dello schermo mettendo in vetrina il quotidiano delle persone che vengono esposte al pubblico. “Candid Camera” ’48- “An American Family” ‘73 “Big Brother” andato in onda per la prima volta nel ’99 e poi venne veicolato in 38 paesi. Si ispira al personaggio di un romanzo di Orwell, in cui un gruppo di ragazzi vengono rinchiusi in un appartamento e spiati per 100 giorni e ripresi da telecamere h 24. HBO “Voyeur Project” 2007, “Cubo- the affair” esperimento multimediale realizzato da Jack Scott con lo slogan “see what people do when they think no one is Whatching”. Il pubblico era invitato a scorrere tra le vite dei personaggi che abitano gli otto appartamenti che offrono un’esperienza teatrale. Grande coinvolgimento era l’opportunità di interagire con le storie e il destino dei personaggi con blog, social, pagine web e materiali aggiuntivi. Ognuno aveva la possibilità di scrutare la vita quotidiana di quelle micro storie virtuali anche con un clik del mouse. “The Watcher” un film che tramite un binocolo spiando tra la fessura di una persiana lo spettatore poteva immedesimarsi in chi spiava la facciata di un edificio e allo stesso tempo accorgersi di essere spiato. “Saturday Night” 2008 di In Sook Kim, è una grande immagine di 3 m per 2 che riproduce la facciata dell’hotel di dusseldorf. Lei lo ha utilizzato per realizzare un’operazione su cui lavorò per 2

anni, l’hotel diventa il luogo per un grande set fotografico ricostruendo 66 scene nelle 66 camere dell’albero che erano visibili attraverso le finestre. Ognuna di queste stanze raccontano storie diverse e inoltre le luci colorate sembrano interpretare lo stato d’animo dei protagonisti. Sono storie realmente accadute che l’artista ha raccolto dalla lettura di articoli di giornale. L’hotel si configura come un non luogo, grazie anche all’anonimato delle stanze, si mette in scena in modo più efficace i sentimenti che i protagonisti vogliono suscitare. Ciò che differenzia gli ambienti sono le figure e i vari oggetti personali, la maggior parte sono scene di sesso, coppie, gruppi, prostituzione, in una un bambino gioca da solo. Sono donne e uomini di varie età nessuno si accorge di essere visto, come in teatro accentuano le espressioni e i gesti ma nessuno di loro sorride. Ancora una volta vi è il tema della solitudine, che cade nello sconforto come forma di oblio e autodistruzione. MARINA ABRAMOVIC-la performance Si definisce la nonna della performance, quest’è una manifestazione artistica che inizia negli anni ’70 insieme ad altre due forme ovvero l’Happening e la Body art, questi sono i tre ambiti di sperimentazione artistica che iniziano negli anni ’70. Sono tre generi diversi:  Happening: è una forma d'arte contemporanea che nasce a opera di Allan Kaprow nel 1959 e si focalizza non tanto sull'oggetto ma sull'evento che si riesce ad organizzare: «L' "happening" è una forma di teatro in cui diversi elementi alogici, compresa l'azione scenica priva di matrice, sono montati deliberatamente insieme e organizzati in una struttura a compartimenti». Gli eventi in particolare promuovono l'effimero, il mutevole, il riavvicinamento tra arte e vita. Gli artisti che si occupano dell'organizzazione degli happening tendono a svincolare il pubblico dal ruolo di fruitore passivo, il pubblico diventa l’opera stessa e quindi l’esito del lavoro dell’artista è imprevedibile. L'happening avviene generalmente in luogo pubblico, all'aperto come fosse un gesto di irruzione nella quotidianità.  Performance: nasce negli anni ’70 è un'azione artistica, generalmente presentata ad un pubblico, che spesso investe aspetti di interdisciplinarità. Un'azione performativa coinvolge generalmente uno o più dei quattro elementi base: tempo, spazio, Il corpo del performer, o in alternativa la sua presenza in un medium, e la relazione fra il performer e il pubblico. La performance d'artista può essere fatta in qualsiasi luogo e senza limiti di durata. Punta a stimolare i caratteri sensoriali degli spettatori, esse sono fine a se stesse. Molti artisti non permisero di fare video o foto delle proprie performance perché volevano che quell’esperienza fosse unicamente ricordata da chi l’aveva realmente vissuta, acquisisce così un carattere effimero.  Body art: nasce tra il 73-74 indica un insieme di esperienze e ricerche che hanno come costante il corpo dell’artista. Alcune forme estreme di body Art possono spingere il corpo fino al limite, altri artisti eseguono performance irriverenti e molto forti. Si creano due tipi di body art in quegli anni: il primo era il travestimento e la metamorfosi, un esempio è Cindy Sherman che si traveste per interpretare quadri e situazioni, lei lavora molto sullo stereotipo della società americana sulla figura della donna, ma comunque si apporta variazioni in modo reversibile. Un’ altro di questa corrente è Urs Luthi, Luigi Ontani, Gilbert e George tutti questi, specialmente gli ultimi, puntano a mettere in relazione il rapporto vita e arte inoltre assumono una connotazione narcisista data dall’auto esaltazione. Il secondo tipo di body art è il masochismo come quello di Gina Pane la quale si ferisce con spine di rosa, lame, o rotolando su dei vetri per denunciare la concezione maschilista della figura femminile. Hermann Nitsch propone dei riti tra il pagano e la simbologia cristiana dove sventra animali morti e cosparge i corpi dei suoi aiutanti con sangue e interiora.

Questi decidono di obbligare il pubblico ad assistere in una condizione di disagio che dovrebbe provocargli uno shock e lo porti a riflettere alla propria posizione di passività nei riguardi delle violenze a cui si assistono ogni giorno. OBIETTIVO  esplora le relazioni tra l'artista e il pubblico  il contrasto tra i limiti del corpo e le possibilità della mente.

Dal 1965 al 1972 studia presso l'Accademia di Belle Arti di Belgrado. Dal 1973 al 1975 ha insegnato presso l'Accademia di Belle Arti di Novi Sad, mentre creava le sue prime performance. Nel 1974 viene conosciuta anche in Italia, dove presenta la sua performance, Rhytm 4, esposta a Milano, nella Galleria Diagramma di Luciano Inga Pin. Nel 1976 lascia la Jugoslavia per trasferirsi ad Amsterdam. Nello stesso anno inizia la collaborazione e la relazione (che durerà fino al 1988[3]) con Ulay, artista tedesco. Marina Abramović sostiene che “Siamo noi che creiamo i limiti, la cosa più importante è oltrepassarli”. L’artista ha scelto di spingersi oltre in quanto crede nel cambiamento tanto da considerarlo la sua ragione di vita. Vede nella paura il mezzo utile per affrontare le difficoltà in quanto è nelle situazioni più difficili ed in questo caso estreme, che l’essere umano è stimolato a reagire e a mettersi alla prova. “CASA CON VISTA SULL’OCEANO” 2002 Nasce dalla sperimentazione e acquisizione di una nuova consapevolezza spirituale acquisita con un viaggio in India. Lo scopo è quello di coinvolgere il pubblico e stabilire una connessione con esso. Allestisce nella Sean Gallery di New York un’installazione in cui vivrà per 12 giorni. Progettò tre grandi piattaforme muniti di divisori da montare a circa un metro e mezzo da terra e poste una di fianco all’altra. Il lato rivolto verso il pubblico sarebbe stato aperto, lei avrebbe vissuto lì solo bevendo acqua filtrata e avrebbe svolto tutte le funzioni corporee davanti ai visitatori. Ogni piattaforma sarebbe stata collegata al pavimento da una scaletta, ma al posto dei pioli ci sarebbero state lame affilate rivolte verso l’altro. Il passaggio da una piattaforma poteva avvenire unicamente dalle aperture tra le pareti laterali. Ogni aspetto era stato programmato nei particolari e i vestiti che indossava erano ispirati alle opere di Rodcenko, e i colori scelti in base ai principi del quadrato vedico. Era fondamentale il rispetto del silenzio per creare quel dialogo e energia tra i visitatori. “RITMO 0” 1974 Napoli, Galleria studio Morra. parte di un percorso dell’arte che voleva il pubblico più presente nella genesi stessa dell’arte, ovvero nella creazione dell’opera e nell’interazione con essa. È una delle sue prime performance, per questa prepara su di un tavolo 72 oggetti con cui il pubblico aveva modo di interagire con l’artista seguendo le istruzioni. “Sul tavolo ci sono 72 oggetti che potete usare su di me come meglio credete: io mi assumo la totale responsabilità per sei ore. Alcuni di questi oggetti danno piacere, altri dolore.” Da quel momento le reazioni del pubblico erano le vere protagoniste, all’inizio c’era un clima di perplessità e imbarazzo e le azioni si limitavano a toccarla. Poi la curiosità prese il sopravvento e gli atteggiamenti verso l’artista mutarono. Vennero usate le lamette per tagliarle i vestiti, per ferirla, alcuni uomini le succhiarono il sangue e qualcuno del pubblico provò a difenderla. Iniziarono anche ad avere un approccio incline alla violenza sessuale. Così con il passare del tempo si manifestarono

gli istinti più violenti dell’essere umano. Arriva il momento in cui Marina si trova una pistola tra le mani carica, appoggiata sul collo e con il suo stesso dito sul grilletto. In quel momento ha avuto paura di morire. Un corpo femminile privo di volontà nelle mani di altri esseri umani tira fuori la natura da carnefice del genere umano. Per l’Abramovich questa performance è parte del suo percorso di indagine artistica sulla corporeità e sulla relazione con il pubblico. pone l’uomo di fronte alla propria natura e ne svela tutti i lati, da quelli nefandi a quelli lodevoli, soprattutto vista la consapevolezza di essere parte di un meccanismo importante come quello dell’arte. “RITMO 5” 1974 Centro studentesco di Belgrado In questa costruisce una stella a cinque punte fatta di legno e trucioli imbevuti in 100 litri di benzina. All’inizio della performance lei è fuori dalla stessa e si taglia le unghie dei piedi e delle mani, ciocche di cappelli che poi getterà nella stella per alimentare le fiamme. Nella seconda parte della performance entra all’interno della stella e vi si stende con le gambe divaricate e le braccia aperte. Dopo qualche ora perde i sensi poiche le fiamme hanno esaurito tutto l’ossigeno, ma gli spettatori non se ne accorgono fin quando una fiamma le sfiora la gamba e lei non reagisce. In questa performance Marina viene salvata dal pubblico e per lei è una delusione personale perché non è riuscita a controllare il suo corpo. Con questa stella a cinque punte voleva rappresentare il concetto di purificazione fisica e mentale facendo riferimento anche all’appartenenza politica del suo passato. “Ero molto arrabbiata perché avevo capito che c'è un limite fisico: quando perdi conoscenza non puoi essere presente; non puoi esibirti.” “RITMO 10” Nella sua prima performance, esplora elementi di ritualità gestuale. Usando venti coltelli e due registratori, l'artista esegue un gioco russo nel quale ritmici colpi di coltello sono diretti tra le dita aperte della mano (il gioco del coltello). Ogni volta che si taglia, deve prendere un nuovo coltello dalla fila dei venti che ha predisposto, e l'operazione viene registrata. Dopo essersi tagliata venti volte, l'esecutore fa scorrere la registrazione, ascolta i suoni e tenta di ripetere gli stessi movimenti, cercando di replicare gli errori, mescolando passato e presente. Tenta di esplorare le limitazioni fisiche e mentali del corpo: “Una volta che sei entrato nello stato dell'esecuzione, puoi spingere il tuo corpo a fare cose che non potresti assolutamente mai fare normalmente” Questa particolare mescolanza di lotta epica e violenza autoinflitta scaturiva dalle contraddizioni della sua infanzia: entrambi i genitori erano funzionari di alto rango nel governo socialista, mentre sua nonna, con cui aveva vissuto, era devotamente ortodossa serba. Sebbene di origine personale, la forza esplosiva dell'arte di Abramović parlava a una generazione in Jugoslavia che subiva il controllo serrato del dominio comunista. “ART MUST BE BEAUTIFUL” 1975 Nel corso di questa performance l’artista si spazzola i capelli per un’ora con una spazzola di metallo nella mano destra, e contemporaneamente con la mano sinistra con un pettine di metallo in modo violento. Ripete per tutta l’esecuzione “L’arte deve essere bella, l’artista deve essere bello” fino a quando si taglia il viso e si rovina i capelli. “THOMAS LIPS” 1975 Interesse principale sono i limiti fisici e psicologici del corpo umano. Usa il proprio corpo per testarne i limiti e per far partecipare il pubblico. In questa esibizione non tutti gli spettatori

avrebbero capito i simboli usati dall’artista. Marina è nuda e sale sul palco dove ha posto un tavolo con una tovaglia bianca, una sedia di fronte, sul tavolo un barattolo di miele, una bottiglia di vino, un bicchiere, un cucchiaio e una frusta. Su una parte vi era appesa una foto di Thomas Lips a cui era stato dedicato questo lavoro. Sul pavimento una croce fatta di blocchi di ghiaccio su cui pendeva una stufa raggiante. L’artista mangiò prima un chilo di miele, poi bevve un litro di vino e ruppe il bicchiere con la mano iniziando a sanguinare. Poi dipinse un pentagramma sulla fotografia appesa al muro lo stesso che scolpì con una lama sullo stomaco. Si flagellò e si sdraiò sul ghiaccio cono il radiante caldo sullo stomaco. Questa performance venne interrotta dal pubblico. "Era come una corrente elettrica che scorre attraverso il mio corpo, come se il pubblico e io fossimo diventati uno. Un singolo organismo. Il senso di pericolo nella stanza aveva unito il pubblico e me in quel momento: eravamo qui e ora e da nessun'altra parte. " “THE MEMORY”1976 Si siede con la testa reclinata all’indietro mentre pronuncia tutte le parole che ricorda prevalentemente in serbo-croato, inglese e olandese. Recitando tutte queste parole cerca di liberarsi dalla lingua acquisita intesa come convenzione comunicativa. Dopo un’ora e mezza sembra che ci sia riuscita. Il bene delle parole si è asciugato, la performance è finita. “Ho parlato, ricordando le cose dalla mia memoria fino a quando non sono riuscito a ricordare ...” “THE VOICE” 1975 Anche in questa performance è seduta c...


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