Il compito di rieducare. Quarant\'anni di pedagogia penitenziaria. PDF

Title Il compito di rieducare. Quarant\'anni di pedagogia penitenziaria.
Course Pedagogia
Institution Università degli Studi Gabriele d'Annunzio - Chieti e Pescara
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Sintesi dettagliata dei primi 4 capitoli, gli unici da studiare, gli altri sono solo da leggere....


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CAPITOLO 1 LE ORIGINI DELLA PEDAGOGIA EMENDATIVA 1.Linee d’intervento della pedagogia emendativa. Jolanda Cervellati intendeva la missione pedagogica ed educativa come un compito che doveva fare molto di più che formare alle conoscenze; ella lamentava l’assenza di un presupposto spirituale, denunciava il dilagante analfabetismo spirituale e rilanciava il ruolo degli educatori visti ed intesi quali portatori di un imprescindibile spirito ricostruttore, capace di ricostruire dalle fondamenta combattendo alla radice le origini del disagio. L’accusa rivolta all’egoismo di intere società le quali, impegnate nella loro sopravvivenza, escludono e ignorano i problemi generati dalla società stessa. La pedagogia emendativa è quella tipologia di pedagogia che mira al sostegno di coloro i quali mostrano dei bisogni particolari o delle difficoltà oggettive, essa ha il compito di consentire il recupero, lo sviluppo e l’elevazione dei soggetti secondo le loro capacità e possibilità. Essa ha, altresì, il compito di considerare la specificità di ciascun individuo, dell’ambiente in cui vive, del piano mentale e cognitivo. Fra i principi della pedagogia emendativa ci sono: - l’amore incondizionato per gli altri; - la dedizione verso scopi eletti e giusti; - lo studio e la continua ricerca della verità; - la fiducia nelle possibilità dell’approccio emendativo capace di compiere prodigi; tenacia. Aspetto essenziale dell’attività pedagogica è la capacità di saper osservare i soggetti, includendo nell’osservazione globale anche lo studio dell’ambiente delle abitudini e delle vicissitudini esistenziali che contribuiscono a determinare personalità ed eventi; questa conoscenza approfondita del soggetto viene definita anamnesi remota, che studia il caso sia sotto il punto di vista dell’ereditarietà, sia dal punto di vista dei fenomeni ante e post nascita. Il dolore è quell’emozione fondamentale che avvisa l’uomo di una disarmonia, di un pericolo interno o esterno e esso si rivela indispensabile campanello d’allarme per l’avviamento di tutte quelle procedure emotive e razionali in grado di fronteggiarlo nella maniera più idonea. Spesso società come quelle occidentali inneggiano a forme di materialismo conducendo gli individui ad esperire forme di frustrazione e sofferenza che possono portare al comportamento deviante o criminale. La pedagogia emendativa in ambito penitenziario parte dalla considerazione e dall’interpretazione del concetto di devianza, intesa come fuoriuscita dai binari delle regole e delle leggi socialmente e giuridicamente imposte; condotte ritenute devianti sono quelle che, in qualche modo, tradiscono il patto sociale posto alla base delle società, mettendone a rischio la loro stessa costituzione, sostenuta da coesione e da una generale percezione di sicurezza sociale. L’origine della società viene descritta da molti pensatori tra cui Hobbes e Freud, come un evento necessario a garantire la sopravvivenza degli individui poiché vedono la natura originaria dell’uomo caratterizzata da ostilità, istintività, antisocialità: la società serve dunque a garantire pace e sicurezza. La devianza quindi è un fenomeno che riguarda la società intera: se in passato si cercava di intervenire sui soggetti devianti in maniera essenzialmente coercitiva e stigmatizzante, oggi le più moderne teorie pedagogiche, psicologiche e sociologiche pongono l’attenzione sulla persona deviante, tenendo conto delle sua storia personale, al fine di poter operare verso un recupero della persona non più identificata con il comportamento deviante o con l’azione criminosa. L’esercizio della coercizione e della punizione non risultano più adeguati. Il controllo sociale viene illuminato da teorie le quali invitano alla non esclusione e alla non marginalizzazione,sposando i concetti di recupero e di rieducazione come nei fondamenti della riforma penitenziaria del 1975, che ha introdotto in carcere la figura dell’educatore, dello psicologo e dell’assistente sociale. L’assunto che ha mosso la riforma riguarda la possibilità di concepire e attuare forme di rieducazione efficaci al fine di redimere e correggere i soggetti devianti, favorendo in

loro un cambiamento prospettico delle loro visioni del mondo e aumentando i loro livelli di consapevolizzazione interiore per mezzo del trattamento. Cambiare dunque non è solo possibile ma anche utile e giusto nella misura in cui il soggetto deviante perde lo stigma di deviante per divenire persona che ha compiuto azioni devianti e/o criminose. Il problema della devianza è primariamente un problema che riguarda intere culture portatrici di messaggi, di valori e di disvalori che possono contribuire al potenziamento o alla contrazione dei fenomeni devianti. 2. Dalla pedagogia sociale alla pedagogia penitenziaria Il fondamento epistemologico della pedagogia sociale si colloca all’interno di una concezione pedagogica che vede la società intera coinvolta in massimo grado nell’azione educativa e formativa dei singoli. Ogni attività educativa e formativa si rivolge certamente ai singoli che sono condizionati dal contesto storico, sociale, economico e politico. La nascita della pedagogia sociale è fatta risalire all’opera di Natorp, filosofo tedesco che con la sua opera fondamentale diede un impulso considerevole a un’eccezione della pedagogia in chiave sociale e contraria all’individualismo. La pedagogia riconosce alla società un forte potere educante attraverso agenzie formative formali ed informali. Se la società educante imprime la sua forza sugli individui, la riflessione costante sulle dinamiche sociali e sulle proposte valoriali emergenti induce a una costante problematizzazione che include anche la necessità di saper educare al pensiero critico, sottraendosi alle logiche del pensiero comune omologante: ecco perché la pedagogia sociale è anche una pedagogia critica che deve riflettere sulle realtà sociali. La riflessività è una categoria fondamentale della pedagogia sociale, chiamata a riflettere e ad educare alla riflessione e al pensiero critico le nuove generazioni per mezzo della narrazione di sé, del dialogo e dell’ascolto. La pedagogia sociale critica quindi scuote l’ordine quando questo è svantaggio di molti e chiede il cambiamento della legge, delle regole, degli imperativi laddove questi risultino inadeguati e ingiusti per fette consistenti di società e di individui. L’approccio critico della pedagogia sociale muove la riflessione intorno ad ideali di una società più giusta ed equa: partendo dal presupposto che la costituzione delle società sia fondata nella considerazione di un ideale di corretto funzionamento fisiologico di tutte le sue parti, i fenomeni di devianza e criminalità mettono in rilievo una disfunzione nel funzionamento stesso della società che richiede sforzi specifici di ripristino delle condizioni ideali. Il malessere sociale va pertanto considerato come una sintomatologia. La marginalità e la devianza, tra i più gravi malanni di una società, non possono essere combattute in sé, devono essere rimosse le disfunzioni organiche che affliggono il sistema e le persone devono essere reintegrate o rieducate, specie nel caso di devianza minorile, in quanto l’atto di rieducare un minore aumenta le possibilità di successo. Nella condizione giovanile è fondamentale considerare tutti i fattori di rischio che possono essere rintracciati in situazioni familiari disturbate, insuccesso negli studi, condotte antisociali e violente, ecc. Lo scivolamento verso condotte devianti comporta spesso l’identificazione di sé come soggetto deviante, acquisendo un’identità negativa che spinge alla determinazione di carriere devianti dalle quali è difficile uscire. La sensazione di disagio, la perdita di benessere è ormai assai diffusa sia nella popolazione giovanile sia in quella adulta; marginalità,straniamento, difficoltà di integrazione etnica, religiosa e culturale conducono spesso all’angoscia di vivere, uno stato di nichilismo ( perdita di valori e riferimenti) caratteristico del nostro tempo. Gli individui sono sempre più soli e sempre più incapaci di far fronte alle incombenze della vita, bisogna quindi ripartire dall’educazione al pensiero critico e riflessivo. Il principio pedagogico che guida la pedagogia della devianza, la pedagogia penitenziaria ed emendativa è proprio il principio dell’educabilità e la ri-educabilità dei soggetti che cadono in qualche forma di devianza. Rieducare non significa educare di nuovo o ripetere l’educazione già ricevuta. Si tratta non tanto di adattare i soggetti alle norme quanto di aiutarli a ritrovare in se stessi le ragioni per cui è doveroso e opportuno rispettarle. È insomma un vero e proprio recupero sociale, da raggiungere entro una rete di relazioni e mediante strutture di socializzazione. La pedagogia emendativa non mira solo all’azione correttiva con implicazione penale in senso stretto ma alla correzione e alla rieducazione dei soggetti. Dopo la legge 354/1975(riforma penitenziaria) il sistema

penitenziario prevede da un lato la funzione retributiva della pena, ovvero la necessità dell’espiazione proporzionata alla pena, dall’altro la funzione rieducativa e trattamentale della pena, che mira alla rieducazione, alla risocializzazione e al reinserimento dei detenuti post- delictum. Il modello riabilitativo prevede il contributo di diverse forze, educatori, psicologi e assistenti sociali per favorire la rieducazione e il reinserimento del reo. Esso contempla anche una maggiore alternanza fra il dentro e il fuori del carcere, con una maggiore connessione con occasioni formative fuori dal carcere e relazione più strette con il territorio in modo da vivificare e rendere operativo un processo rieducativo caratterizzato da una dimensione formativa che investa la globalità della persona e si qualifichi come momento di frattura rispetto all’esperienza di vita sino a quel momento conosciuta. L’ approccio educativo deve essere inteso dunque come occasione per superare modelli comportamentali negativi. L’approccio interiore, introspettivo,narrativo e autobiografico da lungo tempo avviato in ambito pedagogico investono il campo delle emozioni e dell’affettività anche e soprattutto in contesti complessi e difficili come il carcere, dove la progettazione educativa risulta ancora più complessa e decisiva. L’esperienza detentiva segna un momento drammatico ma anche significativo nella vita dei soggetti reclusi, durante la quale possono trovare un contesto di ascolto dove poter ridefinire la propria accettabilità sociale. Progettazione educativa significa garantire un modello riabilitativo diversificato e variegato nello spettro delle diverse opportunità palesate nell’ambito dell’istruzione, della formazione professionale, della promozione culturale. Partendo dall’assunto secondo il quale tutti possiedono abilità e capacità più o meno conosciute, il compito dell’azione educativa e ri-educativa sta nella capacità di portare a compimento le qualità intrinseche di ciascuno. Per pedagogia penitenziaria si vuole intendere quella particolare branca della pedagogia che si applica in contesto penitenziario. Essa, come la pedagogia generale e sociale, si avvale del contributo delle diverse scienze che possono avere una rilevanza nella gestione dei detenuti all’interno del carcere, come il diritto, la sociologia, la psicologia o la filosofia dell’educazione. L’ambito specifico della pedagogia penitenziaria riguarda gli aspetti relativi all’osservazione e al trattamento dei detenuti, unitamente ai programmi di rieducazione. Il trattamento consiste nel fornire ai detenuti occasioni e strumenti per consentire loro l’accettazione dei valori condivisi e quindi il reinserimento nella società. Nella riforma del ’75 si afferma il principio di UMANIZZAZIONE DELLA PENA: viene data quindi grande rilevanza ai bisogni dei detenuti e alla rieducazione. I metodi e gli strumenti sono variegati: SARTARELLI suggerisce il metodo autobiografico, psicodramma, gruppi di sostegno. Questi metodi permettono di vivere il carcere come luogo di verità e di vivere queste esperienze di autenticità in gruppo, aiutando l’accrescimento di auto consapevolezza. Importante è il ruolo degli operatori che devono saper gestire le conflittualità interne al gruppo, facilitare la comunicazione educativa e aumentare la consapevolezza delle proprie azioni e del proprio sé. Essenziali per entrare in relazione con i detenuti è il concetto di empatia, che si sposa con la capacità di entrare nell’universo dell’altro attraverso la partecipazione, la comprensione e l’ascolto profondo che non possono essere acquisite come tecniche, ma che presuppongono un lungo lavoro personale per la conquista di una personalità empatica, scaturita dall’incontro con se stessi e con le proprie verità profonde. La persona caratterizzata da personalità empatica sa riconoscere punti di forza e debolezza suoi e dell’altro e soprattutto ha acquisito quell’atteggiamento non giudicante imprescindibile in tutte le relazioni d’aiuto. 3. Pietro Bertolini e la pedagogia per i ragazzi difficili Bertolini compie una grande opera di sensibilizzazione e prevenzione attraverso le sue opere in cui affronta il tema della delinquenza minorile: in Per una pedagogia del ragazzo difficile lamenta l’assenza quasi totale di studi rivolti proprio all’indagine pedagogica di questo fenomeno. Questa assurda situazione culturale si riverbera anche in maniera pericolosa sul trattamento rieducativo previsto per i ragazzi in difficoltà, gestito da educatori non opportunamente preparati, costantemente alla ricerca di supporti provenienti da altre scienze, da qui l’assurdo equivoco che stabilisce che di questi casi debbano occuparsi più le altre scienze della pedagogia. Bertolini è precursore di un diverso metodo di ricerca e di

indagine pedagogica sul senso: alla ricerca di interpretazioni e di attribuzioni di significato intrinseci ai fatti e ai fenomeni indagati, al fine di pervenire alla loro comprensione, secondo la classica distinzione diltheiana fra scienze della natura, che si prefiggono di spiegare scientificamente i fatti, e scienze dello spirito, chiamate a comprendere da un punto di vista ermeneutico-interpretativo i fatti stessi. Il primo livello di comprensione del fenomeno indicato da Bertolini è quello dell’identificazione dei ragazzi difficili; fa rientrare una lunga serie di diverse forme di disagio e di marginalità sociale che comprendono soggetti sottoposti a condizioni educative negative, seppur non ancora irregolari nella condotta, ragazzi che soffrono di limitazioni materiali, miseria, povertà e ragazzi che vivono in contesti degradati dove manca una sufficiente ed efficace azione educativa. Ragazzi difficili sono anche tutti quei soggetti, per lo più adolescenti o pre-adolescenti, cui non sono stati soddisfatti in maniera adeguata i principali bisogni di carattere materiale o psico-affettivo. In termini psicoanalitici si potrebbe affermare che si tratta di soggetti in cui prendono forma e rilievo alterazioni più o meno gravi dell’io e del super io per cui non è stato raggiunto un soddisfacente equilibrio tra pulsioni istintive ed istanze normative. Infine sono per Bertolini ragazzi difficili e non giovani delinquenti quei soggetti che hanno infranto le norme del codice penale: si tratta quasi sempre di soggetti che reagiscono ad esperienze negative, oppure il crimine rappresenta l’unico mezzo per soddisfare i propri bisogni profondi. Per analizzare il fenomeno della devianza Bertolini sottolinea l’importanza del principio di libero arbitrio, dell’autonomia e dell’autodeterminazione dell’uomo che appare come centrale nella considerazione del proprio essere che, come spiegava Sartre, si sceglie. L’uomo si sceglie nella misura in cui esprime una sua volontà specifica in funzione delle diverse possibilità poste dalla situazione, e questa situazione mette l’individuo sempre nella possibilità di scegliere fra le possibilità date dalla situazione stessa. Secondo Bertolini il processo di formazione della personalità umana è composto dalla genesi passiva: ossia il momento in cui il soggetto acquisisce una data visione del mondo a partire dalla sua situazione e dal contesto familiare e socio culturale; e dalla genesi attiva: cioè l’individuo durante il percorso di crescita personale e di auto determinazione costruisce visioni del mondo personali, anche in contrasto con quelle precedentemente assunte. Quindi l’educazione svolge un ruolo fondamentale, nel bene e nel male, nel momento della genesi passiva delle visioni del mondo e allo stesso tempo è sempre l’educazione ad essere fondamentale all’interno del processo di autoformazione implicita nella genesi attiva nella misura in cui offre al soggetto spazi di riflessione e di problematicizzazione dell’esistenza. Bertolini fa notare che l’aspetto più problematico nella formazione umana sia rappresentato dalla costruzione della genesi attiva: rimanendo nel livello della genesi passiva l’individuo perde la consapevolezza e la responsabilità del proprio sé, ciò crea uno stato di infelicità e disadattamento. Comportamenti di reazione sono: 1) la ricerca del piacere immediato-> edonismo, consumismo, materialismo, cinismo, narcisismo; 2) fuga da sé-> fatalismo, scetticismo, sfiducia in se stessi; 3) disperazione per se stesso-> quando il soggetto percepisce lucidamente la propria incapacità di vivere in modo autentico. I soggetti che mettono in atto una di queste forme reattive, tendono a unirsi in gruppi che sfociano in forme di devianza e criminalità. Il recupero dei ragazzi difficili deve, avvenire nella consapevolezza della libertà personale di autodeterminazione; qualsiasi sia la condizione di partenza ogni essere umano può modificare e rivedere le sue visioni del mondo. 4. Da Bertolini a Freire: il compito di “ri-educare” Per Bertolini lo scopo di una rieducazione efficace dovrebbe consistere nella eliminazione di tutti i motivi che possono condurre ad assumere condotte irregolari e rilevanti anche sul piano penale. Questo processo di rieducazione dovrà avvenire attraverso una progressiva trasformazione delle visione distorte del mondo per accettare quelle visioni del mondo permeate dalla coscienza intenzionale soggettiva. La ristrutturazione dei modelli culturali avviene seguendo la dialettica rieducativa in cui c’è la pars destruens: i vecchi paradigmi comportamentali e valoriali vengono abbandonati; e la pars costruens: vengono accettati nuovi paradigmi più consoni e adeguati. Il processo di rieducazione potrà dirsi concluso quando il soggetto, pur non negando il suo passato, è capace di rivedere in maniera

autonoma e soggettiva le sue visioni del mondo e sviluppare una proiezione intenzionale nel futuro. Sul piano operativo cinque sono per Bertolini i momenti fondamentali della dinamica rieducativa: 1) fase diagnostica: studio e analisi della persona e dell’ambiente socio-culturale ed economico di provenienza. In questa prima fase essenziali sono la conoscenza e la comprensione del soggetto all’interno di una equipe diagnostica, composta da vari esperti; 2) fase del decondizionamento: allontanamento dall’ambiente quando questo risulti nocivo e deleterio per la presenza di modelli comportamentali negativi e cattivi orientamenti spirituali da parte del gruppo sociale di riferimento; 3)fase del ricondizionamento: affinamento della capacità cognitive e affettive del soggetto; acquisizione di capacità razionali e di senso critico, creazione di nuovi schemi comportamentali; 4)fase della dilatazione ed espansione del campo di esperienza individuale: in questa fase è essenziale indirizzare il soggetto verso nuovi interessi, superando vecchi interessi e fissazioni, va rieducata la sua capacità di affrontare in maniera diversa le problematiche nell’ottica di una coscienza intenzionale capace di giudicare; 5)fase della personalizzazione: l’aspetto spirituale della rieducazione, fase in cui si procede a una riorganizzazione complessiva. Nel processo rieducativo ampio margine deve essere lasciato alla libertà dell’educando e della propria coscienza intenzionale, mossa da volontà e ragione, e dall’azione intenzionale dell’educatore, visto come fattore ed esecutore dell’intero possesso rieducativo. Esso in primis fornisce ai soggetti la possibilità di sperimentare un rapporto umano valido e significativo, fondato su comprensione reciproca, autenticità ed empatia. Questa imp...


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